The Unforgettable Fire

 

di Yuki Snow

 


00intro

Questo primo grande racconto è legato molto ad un seguito che è in cantiere, ne è in qualche modo l’antefatto ma ha finito col prendere corpo in maniera troppo indipendente per rimanere un’introduzione di un paio di capitoli. Perciò mentre termino la seconda storia su Ed e Roy, pubblico “The Unforgettable Fire”.

Si tratta di una ffiction ispirata all’anime di Full Metal Alchemist.

Gli eventi narrati seguono l’evolversi del rapporto tra Roy Mustang e Hughes a partire dal fronte, passando per le loro scelte e le loro promesse, e arrivando alla tragica morte di Maes.

Cosa avrà provato Roy, diviso tra un amore perduto, il bisogno impellente di vendicarlo e la necessità di essere ligio al dovere?

Prevalentemente filtrato dal punto di vista di Roy, il racconto vedrà anche l’entrata in scena dei fratelli Elric, allineandosi per buona parte agli avvenimenti dell’anime.

Vengono trattati argomenti abbastanza pesanti e non in maniera superficiale. Perciò sia la guerra, la sofferenza, la morte sia l’amore, il sesso, l’idealismo sono piuttosto calcati e non adatti ad un pubblico minorenne.

Chiarisco che ci sarà presenza di amore e sesso omosessuale tra i personaggi perciò chiunque non gradisca può chiudere qui.

Ogni parola è il parto della mia fantasia, queste cose non sono mai accadute ne’ nella realtà (e ci mancherebbe) ne’ nella finzione dell’anime o del fumetto.

I personaggi originali e parti del racconto originale che menziono non sono miei ma appartengono ai rispettivi autori, io non ne ricavo niente se non il piacere di narrare cose già viste in maniera diversa (perciò ci sono anche spoilers per chi non ha completato la visione dell’anime, film annesso) e cose nuove come vorrei che fossero andate.

Se è di vostro gusto, avrò piacere di allietarvi, se è di vostro gradimento ma avete dubbi, avrò piacere di rispondervi, se non gradite e volete farmelo sapere, avrò anche piacere di accogliere il disaccordo purché sia cordialmente espresso e civilmente motivato.

Grazie dell’attenzione e buona lettura.

yukina



01Gods of war
Uccidere, mi dicono.

Sono ribelli, mi dicono.

Occhi rossi, pelli bruciata dal sole. Rivoltosi e attaccati alla vita come mai ho visto.

Forse perché non ho mai visto la vita in pericolo.

E uccido, uccido, uccido ancora.

Uno schiocco di dita e un’intera via salta in aria dal nulla.

Mi chiamano l’Alchimista di Fuoco.

Il mio orgoglio, la mia forza.

La mia maledizione.

Cadono come foglie secche da un albero, cadono a migliaia.

Uccido chi mi punta il fucile contro, chi attenta alla vita di un mio superiore.

Ma uccido anche donne terrorizzate contro un muro, che chiedono pietà, e bambini dagli occhi sgranati.

Nascondono i ribelli, mi dicono.

Il vero nemico è la loro mentalità, mi dicono.

Pelle bruciata dal sole e occhi rossi.

Ma sembrano così dannatamente uguali a tante altre persone.

Sembrano così dannatamente innocenti.

Perché non dovrebbero voler uccidere anche noi visto che li massacriamo?

Un Alchimista è un potere, una risorsa.

Un soldato è un burattino.

E un Alchimista di Stato è una marionetta mortale nelle mani di chi comanda, di chi vuole questa guerra.

Essere uno di loro, comandare, questo è il mio obiettivo, arrivare talmente in alto da dover smettere di ingoiare la paura di chi sta per morire bruciato vivo o di chi sta per svanire in un mortale cumulo di cenere.

Vedo altri divertirsi, quasi, a far esplodere persone o a sparare e a maciullare chi urla di avere misericordia.

L’Alchimia non mi ha insegnato questo.

Non ho studiato ne’ sacrificato così tanto tempo per togliere la vita agli altri, non è questo il mio interesse.

Non ho votato la mia vita a certi scopi mettendo in conto che per poterli raggiungere avrei dovuto pagare con migliaia di vite umane.

Uno scambio equivalente?

Non mi pare molto equivalente.

Un fottuto scambio iniquo, talmente disonesto che inizia a farmi schifo.

Inizio a farmi schifo.

Questo è il mio corpo, queste sono le mie mani. Il mio potere è in loro. La mia condanna è in loro.

Il ragazzino è terrorizzato, mi guarda dal basso verso l’alto.

Non lo ucciderò mai.

Sono paralizzato.

“Fatti da parte!” lo imploro mentalmente.

“Scappa!”ma non lo dico.

Lui si ostina a proteggere quella porta, chissà cosa c’è dietro.

Non mi interessa più, non gli farò nulla, non potrei mai.

I suoi occhi rossi mi trafiggono.

Non lo ucciderò mai.

Panico, paura, la mente è completamente svuotata.

Estrae un fucile, me lo punta contro.

Siamo così vicini che le mie cervella salterebbero in aria senza troppi complimenti.

Per un istante desidero lo faccia.

Poi emerge il mio di attaccamento alla vita.

Siamo due animali che si sbranano per la sopravvivenza.

Questa è la vera natura dell’uomo.

Lui fa come per spararmi, io non penso, e lui salta in aria in un secondo.

In me c’è orrore, l’animale si ritira ed emerge una coscienza urlante.

Ancora un altro e impazzirò.

Ancora altro sangue innocente sulle mie mani e sarà finita.



02Dogs of war
Maes Hughes girovaga nervosamente per l’accampamento.

Scruta il morale dei soldati e non si stupisce del malessere generale.

Quando anche il soldato più semplice prende contatto col significato reale di una guerra, la sua volontà vacilla. I soldati prima di tutto sono uomini.

Lo scelgono loro. Vengono addestrati appositamente. Ma l’uccidere è veramente lontano dalla loro mente. Poi diventa così spaventosamente normale che non di rado qualcuno non sopporta il peso della sua coscienza. E chi sta in alto muove pedine minuscole su carte topografiche chiare e sottili. Le sposta in avanti e poi sulla destra. A loro basta il gesto di una mano ma nella realtà quel gesto si traduce nel martirio di migliaia di innocenti.

L’ideale vale forse il peso di questo sacrifico?

Maes Hughes non sa rispondere.

Chiunque ha il suo credo e, ad una certa età, sembra che ogni cosa sia sacrificabile al suo posto.

Finché la realtà sogghigna, disperata, schiaffeggiando l’idealista così forte da farlo barcollare e a volte cadere.

È lo schiaffo di fiumi di sangue (fuoriesce con così tanta facilità) e di ammassi di budella rivoltate, ancora calde (affiorano dal corpo con così tanta facilità) e di cataste di cadaveri inerti (si moltiplicano con così tanta facilità).

E superata la prima vittima, le altre cento hanno lo stesso dilaniante, nullo valore.

La coscienza si consuma, muore ogni volta in piccola parte.

Oppure si corrompe e impara a trarre piacere dalla sopraffazione degli altri.

Più impregna il terreno di sangue, più ne vuole, più non le basta.

Sottile è la linea che separa il dolore dalla follia, ognuno reagisce come può, come sa.



Apro con un braccio la tenda verde muffa e guardo dove il soldato mi indica.

Quel corpo gettato sulla branda con scomoda noncuranza è di Roy Mustang.

Rapidamente il suo nome ha acquistato una certa fama, le voci delle sue imprese riempiono le bocche dei suoi compagni.

Lui non parla con nessuno, non si rivolge a nessuno, non cerca il contatto di nessuno.

È fiero, altezzoso, sicuro di sé, una vera macchina per uccidere.

Dicono.

È spaventato, spento, addolorato, uno straccio di essere umano.

Questo io vedo.

Vedo l’orrore gravare anche fisicamente sul suo corpo e percepisco un’aura di morte nella sua immobilità.

Il suono del mio passo non lo scuote rimane dov’è, continua a darmi le spalle..

Forse dorme.

Ma quando la mia mano sfiora la sua spalla per avere attenzione, lui si gira e afferra il mio polso stringendolo a morte.

Trema.

Ci vuole un po’ perché capisca che sono un “amico” e che sono reale, davanti ai lui.

Un’altra tremenda frazione di secondo, poi il falco che è nei suoi occhi scuri riprende il controllo e il suo volto immobile riemerge con compassata sicurezza.

Lascia il mio polso, si mette a sedere sulla branda.

- Mustang?- chiedo io, sfoderando la mia imitazione più efficace di disinvoltura.

Lui annuisce, io mi massaggio il polso.

- Il famoso Alchimista di Fuoco…- alludo io, con intenzioni amichevoli (lo giuro).

Lui mi guarda senza dire niente, credo che ci sia addirittura del disgusto nel suo remoto socchiudere gli occhi.

- Maggiore Hughes, signore. Il colonnello Bask Granne la sta cercando.-

Mustang si ricompone, si alza e sentenzia:

- Fammi strada.-

Lo scorto nella tenda medica dove il generale ci sta aspettando assieme a Marcoh.

Ma c’è qualcun altro. Sono i coniugi Rockbell, curano vittime da entrambe le parti. I feriti sono solo feriti.

L’atmosfera è pesante, mi congedo ad uno sguardo del generale.

I miei pensieri accompagnano Roy Mustang. Spero. Non so cosa di preciso ma spero per lui con tutte le mie forze.



03The great gig in the sky
Annego ogni giorno nel baratro della mia condizione e ogni notte ne emergo per ricordare tutti i peccati commessi, tutte le vite falciate.

E sta diventando davvero difficile rimanere lucidi.

Mi hanno detto che grido nel sonno.

Spesso e volentieri la mia mente è assente e ancora più spesso spengo la coscienza dinanzi all’ennesimo ordine di uccidere.

Quasi godo nell’attesa di provare ancora disprezzo per me stesso e per ciò che sono diventato.

Le stragi che compio mi ricordano che quest’inferno è davvero la realtà che ho scelto per me.

Mi punisco uccidendo ancora e ancora.

Non posso smettere di farlo neanche se volessi.

Confusamente intravedo dietro a tutta questa sofferenza il mio destino.

La mia lucida follia mi dice che la mia strada è segnata.

Dovrò continuare a essere un cane dell’esercito finché vorranno altrimenti non avrò nulla in cambio, nemmeno la gloria che desidero.

Un volgare assassino ha più dignità di me.

Perché mi sono convinto che i miei luridi sogni di gloria valgano la pena del costante logorio della mia coscienza.

Il loro sangue scorre tra le mie mani e i loro volti rimangono impressi ad uno ad uno nella mia memoria e la notte si confondono in un’unica grottesca maschera di panico, terrore, angoscia.

Tutto ciò che sono stato non esiste più, tutto ciò che sarò è troppo lontano.

Conta solo il mio essere qui, adesso, ogni mio respiro, ogni mio passo.

Fino a quando sentirò anche solo di far finta di dare segni di vita, saprò di esistere.



Hughes è un tipo insolito.

È come se sentisse il mio panico e il muto urlo della mia anima.

Mi scruta per minuti interi e solo ogni tanto mi rivolge parola.

Ma non dice nulla di consistente.

Sono solo frasi che, come corde, mi strattonano costringendomi a interagire con la quotidianità e a dimenticare temporaneamente la mia perdizione.

Il suo viso è sempre rilassato e a volte troppo gioviale per i miei gusti.

Tra i tavolacci del reparto rancio, fa il saltimbanco e scalda un po’ il bruto pasto a tutti quanti.

Non so se essere irritato o divertito dalla sua allegria fuori luogo.

Gli altri assicurano che è estremamente professionale e affidabile quando la situazione si fa seria.

Ma stento a credere che l’imbecille che or ora sta lodando il morbido seno della sua amorosa sia questo grande ufficiale che tutti dicono.

Ingollo la brodaglia insapore accompagnandola con del pane discutibile.

La sua donna, continua, è in città e lo aspetta, non vede l’ora di sposarlo.

Gli altri acclamano la sua grande conquista.

Io rimango in silenzio e mastico meccanicamente.

I sapori sono spariti da un bel pezzo, ma speravo di trovarne ancora in questo clima stranamente rilassato.

Hughes in fondo non fa che reagire a modo suo ad una epidemia che ogni uomo qui intorno a me sta sperimentando,senza aver ricevuto gli anticorpi necessari.

I commensali acclamano il loro beniamino e lui si congeda tra i fischi e gli applausi.

Si siede con noncuranza al mio fianco.

- Come te la passi, Mustang?-

Qualcuno dovrebbe ricordargli che con me non attacca.

L’allegria a buon mercato mi innervosisce abbastanza.

- Come tutti, alla grande.- rispondo io.

Sento la mia risposta troppo più funesta di quello che avrei voluto.

Lui si alza per andare fuori e mi invita a seguirlo.

Rifiutare sarebbe scortese, in fondo quest’uomo non mi ha fatto nulla di male.

Seduto attorno ad un fuoco improvvisato, chiude del tabacco in una cartina con insospettata destrezza.

Fuma e offre una sigaretta a me.

Io la guardo un po’ indeciso.

- Non ho mai fumato, neanche in guerra.-

- A volte è il solo piccolo piacere che rimane. Prova.-

Prendo la sigaretta, la accendo, aspiro e una tosse secca mi scuote.

Hughes sorride.

- Era proprio vero che non l’avevi mai fatto!-

Ho forse l’aria di uno che racconta stronzate?

- Ho saputo dei Rockbell…- butta giù lui, come se stessimo parlando delle condizioni atmosferiche di domani.

Lo stomaco si stringe, un conato sale e la realtà vacilla.

Il ricordo della loro espressione pietosa, dell’implorazione in nome di una bambina in attesa, a casa, perfora il mio rivestimento di insensibilità

Ho fatto solo quello che mi è stato comandato da un superiore.

Solo?

Davanti ai due coniugi immersi in un lago del loro stesso sangue ho desiderato come non mai la morte.

Erano medici,aiutavano la gente e non importa di che parte fossero.

Sono morti.

Il terreno è rimasto per giorni macchiato del loro sangue.

Volevo non vedere più nulla.

Volevo strapparmi alla sofferenza della vita.

Un’ondata di disperazione mi suggeriva che quello era il modo più immediato e indolore per farla finita.

Mentre penso e ricordo queste cose mi accorgo che le sto anche dicendo a Hughes.

E nonostante lui stia parlando con un assassino, con un’anima dalle mani immonde, non vedo disprezzo nei suoi occhi.

Nemmeno pena o compassione.

Questo mi stupisce.

- E’ grande il coraggio di chi sceglie di sopravvivere ai suoi errori.-

Non c’è alcuna traccia del buffone o del compagnone di prima.

Il suo tono e il suo sguardo.

So che mi comprende.

- Anche se non sono in prima linea, anche io ho ucciso. Tutti qui soffrono come te, tutti hanno sacrificato la loro umanità in cambio di un dono di morte.-

Ha ragione, non sono il solo ad uccidere.

Ma nessuno ne parla, ognuno si tiene tutto dentro per fingere che non sia successo realmente.

Hughes mi stringe la spalla sinistra con forza:

- Non sprofondare Roy. Non desiderare la morte perché hai ancora la tua di vita da proteggere. Hai ancora la possibilità di fare del bene.-

- Questo non riporterà mai in vita le persone che ho ucciso.- ribatto io in automatico.

- No, ma è il minimo che tu possa fare.-

- Non cerco redenzione.-

Lui mi guarda, fisso.

- Non cercare nemmeno la dannazione. C’è ancora molto che puoi fare.-

Cedo di fronte ad un’offerta così gratuita di disponibilità.

Lancio la sigaretta nel fuoco e immergo la faccia nelle mie mani.

Questo è il grande, debole Alchimista di Fuoco.

Gli parlo delle mie ambizioni, gli parlo della mia visione delle cose.

Soprattutto di quelle che dovrebbero cambiare, di quelle che non vanno.

E gli parlo del timore che questo penoso massacro sia davvero troppo da dare per poter salire in alto.

Perché è ancora il mio progetto anche se ora sto soltanto sprofondando.

- L’esercito ha bisogno di uomini come te, il paese ne ha bisogno.- mi rassicura Hughes con un volto fraterno.

La condivisione di situazioni estreme rende certi tipi di uomini più simili, più vicini, specialmente se i loro punti di vista sono affini.

Maes mi insegna ogni giorno, solo con la sua presenza, che stringere i denti e andare avanti è il solo modo per realizzare il proprio obiettivo.

Mi garantisce una presa sicura sul mondo che tutt’intorno vacilla e mi offre lo sguardo d’intesa di un amico che non ho mai avuto.

Non teme il mio potere di fuoco, non è accomodante come gli altri, non tenta di illudermi ma mi sprona a non lasciare che le debolezze prendano il sopravvento.

Qui ad Ishbar la realtà mi ha travolto e ha ricondotto le mie vaghe presunzioni teoriche su un terreno ben più concreto.

Questo è il vero prezzo da pagare per lasciarsi alle spalle l’indistinto e pretenzioso cammino della gioventù e addentrarsi nel ripido, oneroso tragitto della vita adulta.



04Hey you
Hughes loda senza sosta la bella Gracia in attesa a Central City.

La immagina, la desidera, la nomina ogni giorno di più.

Tornerà, sarà promosso, la sposerà e metterà su famiglia.

Questo è il suo amore, il suo progetto di vita, ed è saldo nella sua mente, come un quadro ben nitido.

Mi chiedo se lo abbia chiaro in mente anche in questo preciso istante, mentre si avvicina a me, il cielo stellato sopra di noi e un scarno fuoco davanti a noi.

Da alcuni minuti ha abbandonato il tono del colloquio superficiale.

Da qualche secondo ha smesso anche di parlarmi gravemente delle nostre grandi questioni di principio.

E ora mi guarda, le pupille dilatate dal buio e l’arancio del fuoco che gli danza sul volto.

Non credo di poter ricordare l’ultima volta che ho sentito così vicino il respiro di un altro essere umano. Rimango immobile, non penso a niente. Il cielo è troppo grande e la vita è così importante da perdere ogni significato. Il suo corpo si fa vicino al mio e vi aderisce, il suo braccio destro raccoglie sicuro le mie spalle.

Le labbra di Hughes catturano le mie con un soffio caldo, le sfiorano e poi vi si posano sopra più decise. Qualcosa nel fondo del mio stomaco vibra forte. Non è una sensazione che appartiene al mondo che conosco.

Baci, carezze, abbracci, amplessi.

Nella strada che ho deciso di percorrere non c’è spazio per quell’angolo di paradiso chiamato…che non ha nome. L’avevo messo in conto.

Invece in questo momento surreale io rispondo ai suoi baci senza vergogna e senza timore.

Hughes si separa da me e rimane a fissarmi, sempre molto vicino.

Ricambio il suo scrutarmi e non mi sottraggo a quello che sto vivendo.

Scioglie il suo abbraccio, si prepara una sigaretta e la fuma.

Non proferiamo parola.

Le spirali di fumo si ammassano disordinatamente e si perdono nel nero della notte.

Penso di non capire più il modo in cui quest’uomo si sta comportando.



Il bacio della sera precedente mi martella in testa come i pesanti postumi di una sbronza.

Si staglia nei miei ricordi simile ad un bagliore improvviso in mezzo a un deserto buio.

Hughes non finge affatto che non sia successo niente ed è questo che mi confonde di più.

Da questa mattina, non appena ci troviamo appartati, sento il suo sguardo posarsi in maniera differente su di me. Mi sorride senza un motivo preciso, e il suo modo di fare è decisamente meno formale nei miei confronti.

Durante il pasto continua a fare il cretino con la lettera di Gracia. Gli altri ridono, io…immagino che dovrei essere geloso ma non lo sono.

Geloso, poi, perché? Non so.

L’assurdità della questione sta proprio qui: mi sembra che Gracia appartenga ad un altro universo e con lei anche il Maes festoso che coltiva i suoi sogni di famiglia perfetta. Il Maes che condivide il sogno di un futuro migliore, quello che mi bacia e mi guarda in quel modo appartengono invece alla realtà del mio essere qui ora, in questo momento.

Non ho nessun rancore, semplicemente ogni evento e ogni condizione all’esterno del mio adesso non esiste sul serio.

Mentre siede e consuma il suo pasto vicino a me, capisco di non vedere due Hughes diversi che si comportano in maniera diversa, ma di vederne uno solo che agisce liberamente nelle situazioni in cui si viene a trovare.

Libero arbitrio, non sarò certo io a giudicare il suo operato.

Al calare della sera Hughes mi aspetta non lontano dalla mia branda.

Accetto di fare due passi con lui, tanto per diversificare la routine di questi giorni.

- Non hai niente da chiedermi?- mi domanda all’improvviso.

- Dovrei?- faccio io, realmente soprappensiero.

- Ti ho baciato. Fai un po’ tu…-

- Molto piacevole. Ho avuto delle donne ma questo ha un altro sapore.-

Lui è sconcertato dalla mia risposta.

- Roy…-

- No, davvero, va bene così. Non capisco bene perché tu l’abbia fatto ma è la cosa più piacevole che mi sia capitata da mesi. Non vedo perché dovrei protestare o altro. Ero a terra, mi hai raccolto. Non mi devi niente.-

Parlo e la mia voce mi appare lontana.

- E poi immagino che la carne sia la carne. Gracia è lontana, con me puoi fare quello che vuoi.-

Forse questo è quanto di più lontano dalle sue reali intenzioni, e non lo penso davvero, ma una parte di me annuisce soddisfatta mentre l’altra è spaesata da tanto cinismo.

Hughes mi afferra per un braccio e mi scuote un po’ nel farlo.

- Lei non c’entra, lasciala fuori. E non parlarmi così, questo non sei tu.-

Io sorrido, quasi sprezzante, mentre la sua presa mi immobilizza.

- Se questo non sono io, dimmi allora tu chi sono.-

Lui mi guarda e attraverso le lenti dei suoi occhiali vedo che è alterato.

- Credevo di averti fatto capire che mantenerti vivo era l’unico modo per reagire alla morte che ci circonda!-

- Respiro, mangio, parlo. Sono vivo.-

Lascia la presa, mi guarda un po’ addolorato, poi le sue braccia scivolano sulle mie spalle e dietro la mia schiena ma ora non stringono, sono leggere.

- Roy, Roy, maledetto Roy!.- sospira lui, poi appoggia la sua fronte alla mia.

Be’, di tutti i modi che aveva per avvicinarsi a me, questo è il più banale.

- Sei di un’arroganza mostruosa…- aggiunge Hughes, che sembra aver letto nel mio pensiero.

Sento il fiato caldo delle sue parole sulla mia bocca, lo stomaco mi segnala di nuovo curiosi pizzicori. Gli sorrido, tagliente, e lo bacio. Stavolta sono io ad afferrargli il volto, a stringerlo a me.

Lui si scioglie dalla presa quasi subito.

Sembra confuso.

Poi mi incatena con i suoi occhi e, serio, mi dice:

- Non devi dimenticare cos’è il calore umano. Questa è la vita che volevo mostrarti.-

Io quasi sbotto in una risatina ironica.

Quest’idiota crede davvero di potermi insegnare che la vita è ancora bella?

- E questo è il nobile motivo per cui mi hai provocato ieri sera?- gli domando.

Non credevo di volerlo, ma in realtà attendo risposte per quel suo gesto.

Non credevo ma di colpo molta della mia attenzione appartiene a Maes Hughes.

La sua comprensione delle cose è così acuta che va al di là della muta empatia dimostrata da qualsiasi altro essere umano.

Hughes è piuttosto perspicace.

In fondo mi scoccia quel suo fare da maestro di scuola, e mi brucia dover essere il discepolo.

Vorrei dimostrargli che sono alla sua altezza.

E, nemmeno a volerlo, di nuovo centra il bersaglio:

- Non è una gara, Roy, non credo che baciare una persona sia un modo per mettermi in competizione con lei. E non è nemmeno un gioco.-

Dici di volermi restituire quell’umanità calda che questa guerra mi ha sottratto, e lo fai andando oltre le competenze “fisiche” di un camerata. E poi sostieni di non volermi insegnare niente.

Forse non stai considerando che potrei seriamente aver bisogno di te ogni ora di più che passo qui.

Forse stai scordando che da tempo preferisco la pratica alla teoria.

Sono su di giri.

Lo afferro per la collottola, strattonandolo e gli rivolgo i miei occhi più graffianti.

- Allora non scaldarmi di un calore che non puoi darmi. Non farmi volere quello che non posso avere.-

Abbassa lo sguardo, tramortito dalla mia reazione.

Lo lascio andare, la piega che ha preso il discorso non mi piace.

Faccio per andarmene, ma lui non si arrende, fa uno scatto e mi raggiunge.

- Roy!-

Il tramonto sta sfumando del tutto nella notte.

È di fronte a me, ha gli occhi pieni di scuse, pieni di “perché” e di “ma”.

Quest’uomo condivide le mie pene, i miei sanguinosi peccati,ogni giorno usa le robuste spalle della sua anima sicura per aiutarmi a trascinare in giro il peso delle mie colpe.

Quest’uomo sa, mi capisce e mi accetta per come sono.

Non mi teme, non mi ignora.

Tiene in gran conto ciò che penso, ciò che desidero.

Ha diviso i suoi dubbi, i suoi sogni, e le sue ambizioni con me, e vuole che io ne sia parte.

Sotto questo cielo di velluto, così sovrannaturale, sento nitido il desidero che mi mostri ancora quel calore, quell’umanità, quell’affetto.

Hughes non attende oltre la mia tacita richiesta.

Mentre la sua lingua umida e gentile incontra la mia, immagino le nostre due figure stagliarsi solitarie nella notte. Solitarie ma unite.



05the unforgettable fire

La mia stanza è polverosa e mal ridotta, piena di libri, cerchi alchemici, sostanze chimiche.

Quando apro la porta all’ospite inatteso, il suo sguardo studia con apprensione i particolari della mia trascuratezza: la barba non fatta, i vestiti dell’uniforme smessi e spiegazzati.

Hughes guarda ancora più preoccupato il disordine della mia stanza.

Lo rassicuro che non sto tentando di riportare in vita nessuno, benché io abbia accarezzato l’idea della trasmutazione umana veramente da vicino. Finita la guerra, finite le stragi, dopo che ci siamo separati, i fantasmi dei morti hanno tormentato il mio sonno e straziato la mia veglia. Ma la trasmutazione umana è proibita e il suo mistero è così profondo e inesplorabile da lasciare a mani vuote anche l’Alchimista di Fuoco. Le ricerche di Hoenheim della Luce non mi aiutano, la corrispondenza con lui mi suggerisce caldamente di lasciar perdere. Il prezzo da pagare è nuovamente troppo alto e sarebbe impossibile riportare in vita tutti gli innocenti che ho massacrato.

Per Maes è rassicurante sapere che ho abbandonato questo delirio.

Ma sono comunque arrivato ad un punto di non ritorno e lui lo può vedere.

Mi ha portato una torta di mele della sua Gracia.

Gracia. Quasi mi vien su da ridere, istericamente.

Non sentivo questo nome da una marea di tempo.

Cos’erano quei nostri baci rubati alla notte dolorosa della guerra in confronto a questa odorosa, calda torta di mele?

Tutto è seppellito nei muti deserti del Sud.

Mi confessi che il tuo più grande desiderio è di far sì che un uomo come me scali le vette più alte e raggiunga il titolo più ambito. Comandante Supremo.

Prometti che qualsiasi mansione ricoprirai, manterrai salda la devozione nei miei confronti.

Io so che arrivare realmente in cima è ciò che voglio.

Voglio spazzare via il delirio di onnipotenza di un paese in guerra con tutti, so che la mia fierezza e la mia caparbietà sarebbero in grado di tener testa a un compito gestionale di tale levatura.

Ma questo è, per l’appunto, ciò che so.

Ciò che invece non so è cosa Maes Hughes sia stato per me, ciò che in questo momento è, ciò che sarà.

Ora, in piedi qui davanti, mi parla con una amichevole distanza, una distanza che odio con tutto me stesso.

Ricordo con estrema limpidezza di aver desiderato, in passato, che le sue mani attraversassero i livelli di stoffa che ci separavano e che mi toccassero per davvero.

La punta delle dita mi prude.

Mentre lui mi parla di Central City, dell’esercito, dei nostri progetti, cresce in me, prepotentemente, il desiderio confuso di una nostra intimità.

- Roy…mi ascolti?- si interrompe lui, forse notando finalmente il mio sguardo un po’ appannato e distratto.

- Hn.- monosillabico, conciso. Abbasso il capo. Forse non potrò mai avere ciò che desidero.

Forse è un oltraggio il solo pensiero.

Maes…mi piace.

La sua presenza intorpidisce i miei pensieri e scalda le mie membra.

Così lentamente sospingo il mio corpo contro il suo.

Lui non si sottrae al nostro contatto.

- Mi chiedevo se avessi dimenticato. Sai , tra la distanza e le torte di mele è facile che sia così.-

Lo giuro, non intendevo suonare così caustico.

Eppure lui mi abbraccia e ride, genuino.

- E chi si dimentica Roy Mustang?-

Ci stringiamo di più.

- Le torte di mele non c’entrano, Roy. È un mondo a parte, te l’ho sempre detto. È il mio giardino, il frutto del mio impegno con la società e con una persona che stimo e rispetto. E a cui voglio bene…-

A voler essere sinceri, così non me ne aveva mai parlato.

Gracia è sempre stata Gracia e basta.

Il fatto davvero sorprendente è che non la detesto. Non la invidio, non la immagino neppure.

Però vorrei capire meglio.

Lui non si sottrae a me e di certo, ora che l’ho stretto, può indovinare la natura del mio desiderio.

Magari mi vuole tanto quanto lo voglio io.

Sento le vibrazioni della sua voce attraverso il mio petto:

- La mia famiglia è il mio dovere, è qualcosa che voglio, il mio angolo da coltivare. Tu sei altro. Siamo stati lontani a lungo ma nessuna torta di mele riesce a farmi dimenticare te.-

A questo punto qualsiasi cosa dica, per me va bene.

- E penso tu lo sappia. Te lo dissi allora, te lo ripeto adesso. Non bacio la gente per cordiale abitudine o per divertimento.-

Mi separo (malvolentieri) dalle sue spalle, registro senza pensarci la nostra lieve differenza di altezza.

Sempre troppo più acida di quello che vorrei, sento la voce indirizzargli il mio dubbio amletico:

- Senti. Sei veramente venuto qui per dirmi che mi vuoi, come mi volevi nel deserto, ma hai una famiglia da metter su e non vorrestii alcuna distrazione?-

Hughes si tormenta le mani, gironzola nella stanza, si siede su un baule malconcio.

- Prima di conoscerti, non c’era che lei nei miei pensieri. “E’ la donna perfetta!” mi ripetevo giorno dopo giorno, e lo penso ancora, con tutto il cuore. Ma nel profondo so che devo prendermi cura di te. So che è la mia missione, che non è un caso che ci siamo incontrati. Tu mi piaci Roy, mi affascini, mi smuovi dentro qualcosa che mai nessuno ha mosso. Perciò si, è vero, non dovrei nemmeno venire qui a farteli questi discorsi, ma sapendo in che condizioni sei, non posso lasciarti a marcire tra i tuoi fantasmi. Riesco a capire tutto quello che ti passa per la testa. Non posso ignorarti, la mia coscienza non me lo permetterebbe.-

Bel discorsetto.

Io scuoto il capo, incredulo. È capace sul serio di comprendere quello che mi passa per la testa.

Lo so che avevo accettato di eliminare dalla mia vita certe cose ma…

…improvvisamente mi ritrovo a desiderare con forza che lui rimanga, a immaginare che mi dica di voler veramente restare.

Quando mi ricapiterà?

Quando qualcuno tornerà a guardarmi come se la mia anima fosse costantemente a nudo?

Gli vado incontro, mi inginocchio di fronte a lui, lo guardo implorante..

- Rimani allora. Rimani qui con me. Ne ho bisogno.-

Promemoria: nessun altro essere umano, finché sarò in vita, avrà il privilegio di vedermi così affranto, così sconfitto da inginocchiarmi e pregare.

Hughes non si muove.

- Non posso illuderti. Non posso prometterti qualcosa che non potrò mai darti. Lo capisci?-

- Non importa! – mi affretto io – Qualsiasi cosa andrà bene. Non pretenderò nulla di più. Non mi aspetterò niente. Vorrò solo quello che vorrai darmi.-

In effetti sembro quasi disperato.

Ma lo desidero, farei qualsiasi cosa a questo punto.

Lui si alza, lentamente, dirigendosi verso la finestra, e ne chiude le tende pesanti.

Sul davanzale poggia i suoi occhiali piegati, ben riposti.

Poi si volta, mi viene incontro, e io mi rendo conto di non capirci più un accidente.

Mi accoglie dolcemente e, prima che io possa realizzare, sento già la sua lingua lasciare umide tracce sulle mie labbra.

Quando incontra la mia, coprendomi per intero la bocca, un’esplosione incontrollabile di calore infiamma la mia pelle. Percepisco nettamente un aumento di temperatura corporea.

Le guance mi bruciano, il collo mi brucia.

Il mondo fuori dal suo sguardo ha già smesso di far parte del mio campo visivo.

Mi guarda, continua a baciarmi, chiude gli occhi, affonda la mano destra nella mia nuca e mi indirizza verso di lui. Siamo letteralmente incollati.

Ci stacchiamo, ansimanti, prendiamo fiato, lui mi fissa, io ricambio.

Difficile stabilire un da farsi in questo stato.

A dire la verità dentro di me il comando è chiaro:

“Lo voglio, è mio”.

Lui non chiede pareri, riprende da dove aveva lasciato, venendomi incontro con più veemenza di prima.

Mi spinge per la stanza baciandomi e leccandomi il collo.

La mia schiena sbatte un po’ troppo violentemente contro la parete ma non registro che marginalmente l’urto.

Il corpo di Hughes mi sigilla subito contro il muro, aderisce al mio interamente.

La punta della sua lingua percorre il tratto che dalla mandibola va al lobo dell’orecchio, dall’orecchio, al collo.

Io inizio ad ansare pesantemente, il calore si fa acuto.

Le sue mani iniziano a muoversi, vagano per il mio torace, sulla mia schiena.

Una scivola sotto la camicia, leviga il mio addome.

- HNN!- protesto mordendomi il labbro.

Contatto bollente non previsto.

Senza nemmeno lasciarmi il tempo di reclamare, mi zittisce baciandomi.

Al che, tra il cercare di capire cosa sta succedendo e il tentare di controllarmi (una sorta di atavico imbarazzo, di vestito di razionalità che non vuole andarsene), alla fine opto per il non pensare affatto.

Sovrastato dal rovente accumulo di stimoli e dal crescendo delle sue torride carezze, spengo il cervello e l’orgoglio, spazzo via tutto ciò che ricordo del buon costume, del buon senso, della giusta misura.

Ora l’istinto emerge in tutta la sua sgretolata e affamata essenza.

Stringo le spalle a Hughes, lo obbligo a interrompere le sue attuali interessantissime occupazioni (le nostre lingue, il mio torace) e a guardarmi.

Io ansimo.

Il suo volto è rosso e alterato dai nostri ultimi cinque minuti assieme.

La sua bocca si schiude in un ghigno, ma non c’è cattiveria, solo malizia.

- Vedo che la cosa si fa interessante…- con una mano che si insinua tra le nostre gambe, si accerta della consistenza della mia erezione.

- AH!- io gemo, e involontariamente la strofino d’impulso contro la sua mano diabolica.

Proprio mentre lui crede di avermi in pugno, lo allontano con uno spintone.

Afferro violentemente il polsino della camicia e lo trascino dietro di me oltre la porta, nella zona notte.

Lo getto a forza sul mio letto, e lui si lascia sballottolare lì sopra senza tante domande.

Mi butto su di lui che ancora le molle attutiscono la sua caduta in un ridicolo su e giù.

A cavalcioni sulle sue gambe, serro il suo bacino contro il mio, non permettendogli alcun movimento dalla cintola in giù.

Mentre tento freneticamente di levarmi la camicia, lui, sotto di me, si sposta in maniera tale da permettere al suo inguine di stare attaccato al mio.

Sento, nitido, il contorno del suo sesso duro contro il mio.

Si toccano, si sfregano, tentano disperatamente di liberarsi dell’ingombro della stoffa.

Ormai a petto nudo, mi chino su Hughes, le sue mani occupate a spogliarsi, l’ombelico e la parte alta dell’addome già in bella vista.

Deglutisco ma la gola è riarsa.

Lo bacio, lui rallenta sensibilmente la velocità delle dita sui bottoni.

Non so più cos’è un corpo, cos’è un uomo, cos’è un letto, cos’è un mondo, cos’è la guerra, cos’è l’amore.

Posso solo sentire il fuoco tra le mie gambe, le contrazioni della sua eccitazione, le nostre bocche, i nostri occhi, il nostro caldo, il nostro umido.

Le mie labbra tracciano una scia invisibile di tormento dal collo di Hughes fino al capezzolo sinistro, indugiano sull’aureola, ne catturano a sorpresa la sporgenza. Sento il suo corpo contorcersi dal piacere.

Con la lingua percorro la strada che mi separa dal suo ombelico e lì indugio.

È la sua morte, inizia a mugugnare di darmi una mossa.

Senza tante cerimonie, tolgo la cintura, sfilo i pantaloni, abbasso la biancheria.

Sporge senza esitazione, paonazza e bagnata, la voglia che lui ha di me.

Non so proprio da dove cominciare…(lui si libera della paccottiglia di abiti ancora attaccata alle sue gambe)

…poi mi dico che farò a lui quello che vorrei venisse fatto a me, un gran bel proposito.

Drizzo la schiena e noto il suo sguardo interrogativo.

Seguito dall’estasi e dall’abbandono.

Con la mano accarezzo appena il punto interno in cui la coscia si fonde al bacino.

Quindi , chinandomi, inizio a leccare un testicolo, poi entrambi.

Maes comincia a gemere regolarmente, suoni che non avrei mai immaginato potessero provenire dalla sua bocca.

Osservo l’erezione ancora non completamente estesa, e con pollice e indice permetto al glande di fuoriuscire del tutto, mentre due rigagnoli di liquido trasparente ne percorrono la superficie.

È caldo, rigido e, con estrema onestà, non credevo che ne avrei mai visto uno da così vicino.

Lo accolgo in bocca, accompagnandolo con l’aiuto della lingua.

Anche il resto del corpo del pene sparisce adagio tra le mie labbra serrate, ne riemerge senza fretta.

Hughes grida di piacere.

- Controllati…- sospiro io dai piani bassi: potrebbe sentirci chiunque.

Lui si morde in silenzio il dorso della mano.

Nella mia bocca, straziato da un su e giù volutamente rallentato, il suo sesso si contrae ritmicamente, in accordo con le lamentele strozzate e i muscoli guizzanti del suo ventre sotto sforzo.

Poi le sue mani affondano in malo modo tra i miei capelli e iniziano ad imporre un ritmo al mio succhiare, sempre più veloce, sempre più a fondo.

Credo stia per venire.

Invece si ferma inaspettatamente, tirandomi su e portandomi alla sua altezza, disteso al suo fianco.

Mi disfaccio rapidamente dei vestiti che ho ancora addosso, facendoli volare in angoli remoti della stanza.

Nel mentre, le mani di Hughes percorrono il resto della mia nudità.

Subito un brivido mi percorre.

Hughes mi bacia, mi sorride.

- Assurdo…è assurdo…- mi mormora in un orecchio con voce spezzata.

Affiora sul mio viso un ghigno sardonico ma si ritira non appena i miei occhi incontrano quelli di Hughes.

Sottili, aperti, sinceri.

Come mi ha promesso, mi danno ciò che possono senza pretese, senza progetti.

Un dare così devoto, quasi quanto il ricevere, che per un attimo la mia mente afferra il vero senso dello scambio equivalente.

Mi vengono quasi su le lacrime.

Nudi, uno steso accanto all’altro, abbandonati al piacere più profondo.

Desidero quest’uomo perché è importante che lui desideri me.

Desidero che quest’uomo sia importante per me.

Desidero che lui sia qui con me, ora.

Lo abbraccio, di slancio.

Lui ricambia, e non dico niente, perché so che sa.

Ci infiliamo rapidi sotto le lenzuola; non fa freddo ma qui sotto è come se prendesse corpo una realtà alternativa fatta del solo nostro metro cubo di spazio.

Ci baciamo teneramente.

Si gira sulla schiena, supino, e io sopra di lui, solo il mio busto combacia col suo torace.

Poi i nostri corpi reclamano, con le loro voglie in attesa.

Hughes mi bacia come prima, più a fondo, più eccitante che mai.

Le gambe tornano ad intrecciarsi, i piedi a incastrarsi, le mani a cercarsi, le erezioni a strofinarsi.

Mentre mi bacia, afferra le mie natiche e le accarezza, le stringe.

Percorre il solco che le divide, raggiunge l’orifizio anale.

Io mi ritraggo, un po’ interdetto.

- Ti voglio…- mi soffia lui all’istante in un orecchio.

Alla mia iniziale razione di paura segue una specie di irrazionale fiducia.

Mentre ci baciamo sento il suo dito, umido di saliva, esplorarmi dentro con discrezione.

Quando lo sfintere si è abituato alla stimolazione, il desiderio pian piano infiamma la sua strada e la riempie.

“Lo voglio in me” penso con estrema confusione, senza respiro, tra la sua bocca vorace e le sue dita gentili.

Lui mi solleva e mi fa stendere sulla schiena.

Lo vedo quasi chinato davanti a me, un’espressione stralunata.

Chiudo gli occhi.

Appena sento la sua mano avvicinarsi, trasalgo.

Credo di avere…

- Non avere paura…- sento la sua voce rimbombarmi quasi nella testa, sovrastando leggiadra la tempesta di dati sensoriali.

Tremo.

Due dita riprendono da dove avevano lasciato, stavolta è ancora più bagnato, le sento scivolare dentro lentamente.

Apro gli occhi.

Mi rilasso.

Ora scivolano con maggiore facilità.

Mi puntello con i gomiti sul letto, inarco la schiena e accolgo il piacere.

Appena mi abituo alla penetrazione lui inizia a masturbarmi, prima piano e poi più forte.

Getto il capo indietro.

So che sto guardando il soffitto.

So che c’è un ventilatore, lampade a muro e della tremenda carta da parati verde a strisce color limone.

So che normalmente in quella posizione vedrei quelle cose, ma ora non vedo nulla.

Una pellicola, un’esplosione di colori mantiene la vista attiva distante dagli interessi della mia coscienza.

- Shhhh…- sento Maes sussurrare.

Mi rendo conto che la mia gola sta producendo suoni di piacere in un crescendo di volume.

Lo guardo, semi accovacciato tra le mie gambe, che mi dà piacere.

Lo desidero.

Riempio una mano di saliva e la allungo verso di lui.

Il suo pene accoglie di buon grado la mia decisione,mi asseconda anche con i fianchi..

Lo traggo pian piano verso me, tra le mie gambe.

Con le mani, ora libere, divarica le mie natiche e si avvicina per penetrarmi.

Strozzo a fatica un urlo quando l’intero glande è già dentro.

Istintivamente penso di aver fatto una grande cazzata, fa un male cane.

Mi attraversa subito un flash:“Non ci entrerà mai, è troppo grande”.

Vorrei dirgli di fermarsi: anche se è fin troppo paziente e cauto, sento i lombi sgradevolmente squarciati.

Lui si ferma.

Mi legge nel pensiero, no?

Torna indietro.

Rientra, più adagio e continua per un po’ così.

È contratto da capo a piedi, nello sforzo immane di controllarsi, di non esagerare e non farmi male.

Mi fido di lui.

Allora serro gli occhi e mi concentro sul mio di piacere.

Rilasso totalmente i muscoli, ogni ultima reticenza scivola via.

Il peggio è passato.

Lui, sentito l’abbandono totale, mi afferra le gambe, le solleva sorreggendole di peso e inizia a spingere più a fondo, lo sento ansimare sempre più in fretta e fremere d’impazienza.

Comprensibilissimo.

Torna a toccarmi, iniziamo a dondolarci uno contro l’altro.

Dentro mi sento pieno di lui, del dolore nessun ricordo, libidine pura si sprigiona dall’aumento progressivo del ritmo.

Chiama con bassa voce roca il mio nome, io,quasi in risposta, mi lamento a vocali strozzate e strascicate.

Ormai al culmine, la folle ipersensibilità del mio percepire viene risucchiata esplosivamente nella congestione del mio pene e nel suo rapido penetrarmi.

Hughes si piega su di me, sento il suo pube combaciare con i miei testicoli, il respiro infranto e caldo mi raggiunge a soffi il collo.

Mi chiama più forte.

Ancora e ancora.

Più in fretta.

Io boccheggio, gli occhi spalancati.

La sua mano slitta impazzita attorno al mio pene, lo stringe, il pollice stimola irregolarmente il frenulo scoperto.

Sento lontanissimo Hughes raggiungere il limite, scuotersi, oscillare delirante.

Nel punto di non ritorno, un enorme quantità di lava bollente mi attraversa le reni, il bacino, si concentra completamente nell’anello di piacere delle sue dita.

Un attimo e l’esistenza si paralizza.

Sospesa.

Un’onda di piacere elettrico mi scuote, raggiunge e manda in tilt ogni mio singolo centro nervoso.

Esplode.

Nel nero delle iridi della mia mente si spezzano chiazze infinite di colori.

Il volto di Maes si cristallizza in un grido muto, sofferto, afono.

Il fiotto del suo seme riempie il mio interno, lorda le natiche e le gambe.

Vengo anche io nella sua mano, prolungo il mio godimento più volte prima di fermarmi, ancora ansante, col cuscino morso in bocca a censurarmi l’urlo.

Momenti di immane estasi.

Una profonda attonita sfinitezza mi piomba addosso.

Lui si è già accasciato sul mio petto, continua a sospirare in maniera irregolare, scivola su un lato e si affloscia lì, inerte.

Mi parla dopo molto tempo.

Le mie palpebre sono già pesanti di uno strano sonno quando la sua voce mi riconduce di nuovo all’ingresso del mondo conosciuto.

- Come stai?-

- Hnnn…mmm…- mormoro io, non molto convinto.

- Ti ha fatto male?-

Lì in basso ora brucia da impazzire e dentro le viscere protestano dell’anormale scuotimento.

- Naaaa – minimizzo – roba da poco.-

- Mmmmmh…- risponde lui, strofinandomi il naso sullo zigomo.

Mi giro, lo bacio lievemente.

Lui sorride con gli occhi, poi li chiude e sospira:

- Non ho la forza di alzarmi.-

“Rimani allora”, lo penso.

- Rimani.- dico senza indugio.

Mi cinge la vita mollemente con un braccio e si assopisce col mento appoggiato sulla mia spalla.

Non oso pensare, in generale.

È facile dirsi certe cose, è facile farne altre.

Non so cosa ne sarà di noi.

Ma questo angolo di cielo, concessomi per il rotto della cuffia, ora satura ogni mio atomo, ogni mio brivido.

E tanto basta.



*****

NOTE

Spero caldamente di venir contraddetta, ma temo sia la scena di sesso più lunga mai scritta in una fic.

Non mi ero assolutamente resa conto di questa cosa però non posso certo cambiarla o tagliarla.

La trovo fondamentale.

Giuro che non era mia intenzione essere volgare o altro, anche perché a scriver le zozzate siamo bravi tutti e qui credo che di scurrilità a basso prezzo non ce ne siano.

Però è un po’ spropositata.

Non so neanche se si può scrivere una cosa così.

Se ci sono problemi fornirò una versione alternativa…o almeno ci proverò.

Sorry, sarà una delle poche note sparse in giro, promesso. (è che stavolta era d’obbligo).

Bye

yukina



06purple rain

In lontananza un lampo squarcia violento le nuvole sgranate e violacee e un tuono percorre l’aria borbottando minaccioso.

Nessuna linea all’orizzonte che distingua il grigio della terra da quello del cielo.

La vetrata dell’ufficio del tenente colonnello Roy Mustang riflette traslucida l’ennesimo fulmine.

Dall’esterno si vedono le tende scure chiuse in silenziosa attesa.

Roy è sulla sua poltrona, sorseggia disattento cinque cubetti di ghiaccio in un dito di whisky color caramello.

Gli occhi sono persi nel buio soffitto della stanza, puntano qualcosa di invisibile, nel nulla.

Ogni tanto si morde il labbro inferiore, contraendo il volto, come a voler sopportare qualcosa.

Pioverà presto, e Roy Mustang detesta istintivamente la pioggia.

La pioggia vuol dire sempre una giornata da dimenticare.

- Aaah…- geme piano, a rilento.

Nessun altro suono.

Contrae le dita dei piedi, involontariamente, le stringe, si trattiene.

Non conta più ormai le volte che è successo, ma dover sempre resistere senza gridare o lasciarsi andare è una vera tortura.

E anche un piacere, una sfida.

Sottilmente sadico.

Maes Hughes si trova chino, tra le sue gambe, piuttosto occupato.

- Aaah…ah..a.-

Roy Mustang detesta il suono del proprio godimento.

Alle sue orecchie è debolezza, infantile e accondiscendente richiesta di piacere.

Roy Mustang non deve niente a nessuno, se non a se stesso.

Ma forse deve qualcosa anche all’ufficiale curvo tra le sue cosce.

Lo ama.

Non lo sa.

Probabilmente si.

Però dipende da che cosa si intende per amore.

- Mmmmmmh.- si impone di non schiudere le labbra, si costringe a stare in silenzio.

Il suo sesso spunta lucido dalla bocca di Hughes, che alza il volto per guardarlo, senza smettere di toccarlo.

Roy fissa il soffitto.

Per abbandono, per noncuranza, per paura di guardarlo?

Forse tutte e tre le cose.

Maes conosce Roy.

Ha visto sia il peggio che il meglio di lui.

Maes sa che questo giorno prima o poi sarebbe arrivato.

Il giorno dei chiarimenti.

Il giorno della rinuncia.

L’uomo a cui sta offrendo incondizionatamente il piacere, quest’uomo…lui ne è forse innamorato?

Lo ignora.

Non c’è risposta.

Dipende dal significato che viene attribuito al termine amore.

Si, se amore è affinità selettiva tra due anime, compenetrazione, spiriti che risuonano all’unisono, atemporale salvazione comune dal tormento mondano.

Due singole persone estratte dal loro contesto, due singole persone senza obblighi, doveri, volontà costruttive, relazioni con altri all’infuori di essi stessi, che insieme si ritraggono da una sofferenza condivisa.

No, se amore è relazione serena, sana e libera, se è reciproco dare e avere nella prospettiva di un futuro ben pianificato e voluto.

Due persone che devono render conto del loro agire, a se stessi prima che agli altri.

Amore è perdizione, annientamento, fusione, esplosività instabile di corporeità e spiritualità

Amore è generazione, appagamento, tersa dichiarazione d’intenti, limpida consapevolezza del reciproco e del comune.

Maes è travolto dall’impeto e dalla disperazione del suo amore per Roy.

Maes è appagato dalla tranquilla felicità dell’amore per Gracia.

Maes è convinto che in fondo sia tutta colpa sua.

Conosce bene ogni espressione di Roy, per quanto apparentemente egli abbia una sola immobile maschera caparbia di esteriorità e potere.

Ha dato a Roy una parte del suo cuore e della sua mente, nell’utopia di potergli offrire senza ostacoli una redenzione, un futuro migliore per la sua anima tormentata.

Ora non è più possibile, accettabile.

Roy andrà a avanti, avrà sempre in Maes il suo più fedele amico e sostenitore, ma sarà in grado di continuare la sua pericolosa ascesa senza quella comunione, fisica e mentale, che hanno condiviso così a lungo?

Maes non lo sa.

Ma non può continuare con due vite, due pensieri, due amori, due preoccupazioni affettive differenti.

Non può continuare a mentire ogni giorno un po’ alla sua Gracia.

Non avrebbe in ogni caso dovuto farlo, sin dall’inizio.

All’enorme tentazione della prima volta ne sono seguite innumerevoli, sempre più logoranti, sempre più strazianti.

Anche ora il cuore di Maes è diviso in due e lo sarà ancora per molto.

La scelta è in primo luogo la rinuncia al resto.

Rinunciare per andare avanti.

Gli appare necessario come l’aria che respira.

Roy si contrae in silenzio per l’ultima volta.

Maes pulisce in fretta la traccia viscosa del loro peccato.

Roy china finalmente il capo.

Sta piangendo.

Maes è addolorato.

Quel che è fatto è fatto, ne hanno già pacatamente discusso, ora è tempo di andare avanti.

Lo abbraccia, Roy si fa stringere.

Non riescono a dirsi nulla di più di quello che si sono detti il giorno prima.

Le intenzioni, i motivi, le ragioni.

Per Roy va bene così.

Aveva giurato, un’infinità di tempo prima, che avrebbe voluto solo ciò che gli veniva dato.

Se fosse terminata la volontà di dare di Maes, lui avrebbe finito all’istante di volere.

Era un promessa.

Eppure in questo momento aleggia una strana e fastidiosa sensazione di incompletezza.

Fuori il temporale esplode senza pietà.

Roy rabbrividisce, allontana Maes, si alza e si ricompone.

Apre le tende, lascia che il bagliore fuligginoso invada in fretta la stanza, quasi a voler cancellare ogni cosa.

Alle sue spalle Maes è immobile.

- Roy…- tenta di dire.

Mustang alza la mano destra, segno che il silenzio dovrà protrarsi ancora per un po’.

Lo interrompe lui stesso:

- Grazie di tutto. Questo è un addio. Non c’è più tempo da sprecare.-

Maes non l’ha mai considerato tempo sprecato il loro amore.

Se solo…un altro luogo, un altro tempo…

Ma il mondo dei “se” non esiste.

La verità inevitabilmente ferisce.

- Ogni cosa te l’ho data col cuore e con l’intenzione.- risponde a capo chino.

- Non ne dubito.-

Roy si volta.

Sorride. Amaramente ma sinceramente.

- Qualsiasi cosa accadrà, sarò dalla tua parte.- continua Maes, un po’ contrito.

- Lo so, lo apprezzo. Niente rancore, niente rimpianti. Ho…abbiamo una missione da compiere.-

Maes annuisce in silenzio.

Ha paura di non essersi spiegato (o scusato?) a sufficienza, teme la sopravvivenza del legame primitivo che li ha legati: profonda, istantanea, genuina amicizia.

Non può darsi amicizia vera dove prima c’era qualcos’altro.

Certi segni rimangono.

Forse Roy, che lo sa bene, sceglie solo di ignorare.

- È tutto così irreale. Roy…-

- Maes. Le cose cambiano. È normale. Crudele ma del tutto ordinario.-

Pausa.

Roy avanza leggermente verso di lui, lo guarda con sincerità.

- Avrai il leader che desideri, ora è questa la promessa della nostra amicizia.-

Hughes sostiene con sguardo fermo il nuovo aspetto del loro impegno reciproco.

Roy si avvicina, si sporge, lo bacia per l’ultima volta sulla guancia.

La pelle di Maes rabbrividisce in una frazione di secondo.

Poi sorride.

Ma il cuore è pesante come un macigno.

Maes si rende conto quanto sia ridicolo che dei due sia lui a dover essere consolato.

Roy si fa progressivamente più formale.

- Fammi avere sempre tue notizie. Di ogni cosa che ti capita. Ne sarò felice.-

Hughes annuisce.

- A presto allora…-

Tempo del congedo.

- Arrivederci, Roy…Tenente Colonnello…- pronuncia le ultime parole con un po’ di sana ironia.

Roy raccoglie di buon grado, forse il sorriso apertosi sul suo viso è sul serio così franco come sembra.

Torna alla finestra a fissare la pioggia, l’animo è triste ma un po’ più leggero.

Dopo poco minuti osserva la figura di Maes, giù nel cortile, camminare speditamente verso l’automobile.

La figura si volta un po’ e alza il braccio in segno di saluto.

Gli occhi innamorati di Roy spirano guardando così allontanarsi, per l’ultima volta, l’oggetto del proprio desiderio.

Riza Hawkeye entra in silenzio appoggiando sulla scrivania la corrispondenza del giorno.

Si ferma, senza volerlo, a fissare la silhouette del suo superiore.

Non sa niente e insieme intuisce tutto.

L’aria è pregna di un sottile abbandono.

È proprio vero che certi giorni di pioggia sarebbero da cancellare.

Roy la congeda, si siede alla scrivania, guarda senza interesse le numerose lettere.

Una spicca tra le altre per una anacronistica scrittura infantile.

Mittente: Edward ed Alfonse Elric.

Domandano del padre.

I figli di Hohenheim che praticano l’Alchimia?

Una situazione nuova. Una nuova strada?

Roy si appunta mentalmente l’obbligo di un sopralluogo, il suo fiuto non lo inganna molto facilmente.

Fuori il temporale è di colpo sfumato in una fitta pioggia brumosa.

Ciò che è successo sembra già lontano mille miglia dalla sua memoria.



07SOMA
Qualche anno più tardi, in un capriccioso e gelido giorno d’inverno, Gracia e Maes diventano per la prima(e ultima) volta genitori.

L’animo di Maes è gonfio di un sentimento in assoluto ineguagliabile: autentico orgoglio paterno.

Nella sua mente è seppellito ogni ricordo intimo di Roy: la loro è solo una conclamata e salda amicizia.

Gracia è onorata che l’oramai Colonnello Mustang abbia così a cuore suo marito e che questi, da parte sua, non abbia altro desiderio che spingerlo il più possibile in alto.

Apprezza il legame di questi due uomini, coraggiosi, volenterosi e in gamba.

Gracia stringe al petto il minuscolo fagotto della bambina, alza lo sguardo e ringrazia i due strani giovani che l’hanno assistita in un momento così complicato come quello del parto.

Un ragazzino piuttosto basso, occhi particolari, capelli biondi, un braccio destro e una gamba sinistra d’acciaio. L’altro spropositatamente alto, rinchiuso per motivi assolutamente oscuri dentro un’armatura di antica foggia.

Edward le sorride, rilassato, fuori la bufera di neve si sta calmando.

Gracia pensa che questo è il giorno più bello della sua vita.

Sente il marito in visibilio al telefono con l’immancabile Colonnello, da quel momento la notizia della nascita di Alicia farà il giro del mondo.



Edward Elric, candidato all’esame di Alchimista di Stato, guarda silenzioso la neve ballare tra il cielo e la terra, Alfonse, suo fratello minore, consulta pensieroso un libro di Alchimia.

La sera precedente Gracia ha dato alla luce la piccola Alicia,e il mistero della vita li ha investiti in tutta la sua grandiosità.

Non possono non pensare alla madre, non possono dimenticare l’orrore del loro peccato di superbia.

Una trasmutazione umana fallita, un corpo, una gamba e un braccio andati perduti in cambio di resti umani pestilenziali e dell’anima di un bambino.

Quando Ed ricorda, in realtà la sua testa evita le immagini più vivide, i fotogrammi più scioccanti, altrimenti sa che senza quella censura potrebbe impazzire.

Nel suo desiderio di diventare Alchimista di Stato, nella sua decisione di recuperare il corpo di Al, c’è una caparbietà che sfiora l’ossessione.

Come una mostruosa protuberanza innaturale su un tronco di una bellezza unica, ciò che ha commesso sporge dai suoi occhi, sporge dal fardello dei suoi arti fittizi.

Nelle orecchie di Ed rimbomba, ogni giorno,una voce terrificante di derisione

È la consapevolezza di quanto grottesca sia la sua figura di bambino e adulto insieme.

Ed si fa schifo.

Ed non ha il coraggio di chiedere ad Alfonse il suo reale parere su come le cose sono andate, su quella terribile sera, sul loro disperato cercare.

Ed si fa pena.

Ma deve essere forte.

Si impone di mantenere il suo cipiglio con tutti, di temere in ogni possibile momento un pericolo, di non avere fiducia in nessuno all’infuori di suo fratello.

Non ci sarà più la speranza di una vita normale o tranquilla, Ed ha dimenticato il calore di un abbraccio e malvolentieri ha un contatto fisico con gli altri esseri umani.

Quando si presenta, porge loro la fredda mano d’acciaio.

Un sottile solco di neutralità lo separa dal resto del mondo.

L’unico di cui deve preoccuparsi, l’unico che vorrebbe stringere, suo fratello, non ha un corpo.

È tutta colpa sua.

Ed riuscirà,a qualsiasi costo, a ridare almeno a lui la speranza di un futuro felice, normale.

Per sé non vuole nulla.

Ha già preteso troppo dal mondo, trasgredendo agli insegnamenti della maestra, tradendo la natura dell’Alchimia.

Nel profondo sa che rimarrà un reietto, che lo scambio equivalente lo ripagherà del suo errore emarginandolo dall’esistenza che le altre persone condividono.

Però si permette ogni tanto di sognare e di sperare.

Ed guarda ancora l’armatura vuota che tiene l’anima di suo fratello in questo mondo.

Come se non ce ne fossero già abbastanza, è un altro segno della macchia che ha sulle mani, un altro segno della sua decisione e del suo impegno.

Ogni giorno al suo fianco, Al gli ricorda, solo con la sua presenza, il peso di una promessa e l’importanza del legame di sangue che li unisce.



Ci sono dei momenti nella vita di un uomo in cui sembra che un giro di boa sia in arrivo.

L’aria si altera, il clima muta, piccole cose si modificano preannunciando qualche cambiamento epocale.

Se si presenta l’occasione di muoversi in questa corrente di possibilità, sarebbe da sciocchi non approfittarne.

Chi ha il coraggio di farsi avanti e cavalcare l’onda della metamorfosi, superati gli ostacoli, avrà per sé un risultato di gloria e di vittoria.

Così Roy Mustang, promosso di un grado, sente più vicino il suo obiettivo.

Da ottimo giocatore di scacchi qual è, sa che la cosa fondamentale è preparare il terreno, giocare con arguzia e con tempismo.

Disciplina, rigore, idee chiare e ferme.

Mantenere davanti a sé, fisso, il punto di arrivo, il termine ultimo dei propri desideri.

E avanzare con volontà, evitando o sopraffacendo gli intralci, ma senza mai staccare gli occhi dall’orizzonte della propria decisione.

Nessuna pausa, nessuna commistione di sentimenti.

Nessuna distrazione affettiva o emotiva.

Il punto debole di un uomo diventa ciò che egli protegge e custodisce gelosamente.

Un amore, ad esempio.

Ma se l’amore non c’è più,se è solo il nostalgico e appannato ricordo a cui si accede con qualche bicchiere in più o in qualche sogno appiccicoso e confuso…be’, allora quest’uomo è invincibile, non ha punti deboli.

Maggiore Hughes a rapporto, sente spesso dire dall’altra parte della cornetta del telefono.

Il suo cuore, ogni volta, manda qualche segnale, come a dire:

- Ma come, non è lui?Non è proprio lui?-.

Ma sono anni ormai che non è più lui.

E la protesta del suo cuore si è fatta sempre più flebile, fino a diventare un soffio, un mormorio d’abitudine.

Per quanto si voglia cercare di cancellarli, certi ricordi diventano parte ineludibile della vita di una persona, fin quasi a penetrare in ogni suo gesto.

Perciò Roy ha deciso di preservare ogni vero atto d’amore da qualsiasi altro essere umano all’infuori di Hughes.

Porta a letto continuamente donne per cui non ha alcun interesse.

Sperando superficialmente di distrarsi, sapendo interiormente di volersi fare del male.

Amore è roba da favole per bambini, amore è per chi non ha attentato alla sacralità della vita.

A lui non spetta nessun amore, e quando anche sembrerebbe che il tepore del corpo nudo dell’ennesima donna sia lì a comunicargli sincero affetto, lui scansa in fretta l’eventualità che sia così, la rigetta rudemente.

Perché il modo in cui uno spirito sofferente opera nel mondo molte volte è complicato e incomprensibile.

Spesso è autolesionista.

Ha amato Maes Hughes per quel periodo tremendo della sua vita in cui non vedeva alcun futuro.

Lo ha amato così tanto che ora il suo cuore è arido.

O forse si è ritirato, dolente, decidendo di incapsularsi in una bolla di protettiva freddezza.

Così Roy Mustang è uno spietato rubacuori.

Un perfetto arrivista e magnifico stronzo, che sfrutta tutto e tutti per arrivare fino in cima.

Odia il fanatismo dei militari, la loro cocciuta cecità, il loro obbedire senza porsi domande.

Eppure anche lui in passato ha obbedito a ordini assurdi, e continua ad essere un ufficiale.

Ma adesso ha imparato.

Il marcio brulica tra le fila delle redini del paese, e l’unico modo di sopraffarlo è risanarlo dall’interno.

Perciò Roy Mustang è in silenziosa attesa del cambiamento.

Quando inizieranno a girare le cose, lui balzerà sulle sue prede, le prenderà direttamente al collo, sopprimendole.

Si farà strada, purgherà ogni reparto dello schifo delle alte sfere.

L’unico compito che ancora spetta ad una vita immonda e colpevole come la sua.

L’ultimo colpo di coda.

Roy dubita che la tensione verso i suoi grandi ideali ricambi con l’adeguata soddisfazione la mancanza della perfetta serenità di una vita che possa essere definita quotidiana.

Ne dubita perché sa che, finita ogni cosa, a lui non rimarrà in mano un bel niente.

Di nuovo, come tanti anni prima, uno scambio, non equivalente ma totalmente iniquo.

Sacrificare la propria vita per una causa talmente nobile da dover rimanere nascosta, per poi ritrovarsi a guardare, nello specchio, il nullo riflesso della propria persona.

Non c’è reale possibilità di salvezza.

Però, a pensarci bene, questa dannazione è il risultato di una fossa scavata dalla colpa dei suoi sanguinosi assassini.

Perciò Roy non discute col destino, farà quello che dovrà fare, sarà strumento del suo ideale immacolato di giustizia.

Poi, sistemate le cose, potrebbe anche accarezzare l’idea di morire.

Roy Mustang non ha paura di morire, perché mai dovrebbe averne?

Non ha nessuno, non è nessuno all’infuori del suo grado di Colonnello.



Il suo secondo nome sarà “Alchimista d’Acciaio”, così ha voluto il Comandante Supremo.

Il ragazzino appena dodicenne che mi sta di fronte mi guarda indossando lo sguardo più serioso e truce di cui è capace.

Mi chiedo quand’è stata l’ultima volta che ha riso, saltato, giocato.

Ha un carico di responsabilità e problemi sulle spalle che non è lontanamente comparabile a quello dei suoi coetanei.

E il fratello ridotto in quello stato, poi…una situazione del tutto penosa.

Cos’è?

Un moto istintivo di muta empatia?

Meglio reprimerlo all’istante.

Non posso identificarmi nel dolore dei suoi occhi dorati, perché il suo è un orrore diverso dal mio.

Lo ricordo, quella sera, steso in un letto, senza braccio e gamba, che gemeva mezzo svenuto.

Debole, sul punto di morire.

Un corpicino brutalmente menomato, la pelle pallida e un’armatura avvilita in attesa.

Sopravvissuti ad una trasmutazione umana mal riuscita, ma a che prezzo?

Roy non si stupirebbe se almeno uno dei due fratelli Elric dicesse di desiderare la morte.

Però non deve dimenticare che si tratta di due bambini, potranno anche aver vissuto un trauma, ma non hanno perso la speranza.

Credono ancora nel mondo, nelle loro forze, nella possibilità di tornare normali.

Lo può ben capire dal modo in cui Edward Elric parla.

Vuole essere infantilmente trattato come un adulto.

Come un adulto Roy farà finta di trattarlo.

Gli lancia l’orologio da Alchimista di Stato con meditata noncuranza.

Dentro Roy è quasi orgoglioso di aver scoperto il suo talento innato, la sua precoce genialità, ma non lo dà a vedere.

Per adesso starà in disparte, osserverà le loro mosse, il loro viaggio, senza intervenire direttamente, facendo loro rispettare l’obbligo di obbedienza al suo comando e di rapporto nella ricerca della pietra filosofale.

Finge di tenerli legati a sé con il ricatto di rivelare a tutti il segreto dei loro corpi.

In realtà ha già deciso che in qualche modo li proteggerà.

Non ancora completamente consapevole, Roy Mustang ha perciò preso a cuore la causa dei fratelli Elric.



- Li terrai d’occhio allora?- domanda Hughes al telefono.

- Decisamente. Staremo a vedere dove arriveranno.- risponde Roy, il telefono stretto tra la spalle e la guancia, le mani impegnate a firmare scartoffie.

- Ah!Li hai davvero presi a cuore!- esclama Hughes.

Maledetto, allusivo vizio di leggermi dentro, anche a distanza.

- Voglio che non combinino casini. Tutto qua.- dice Mustang, fingendo la solita sufficienza.

- Così mi chiedi di sorvegliargli allo stesso modo, eh?Ricevuto!- fa ancora lui, dall’altro capo.

Roy è innervosito.

Gli sbatte il telefono in faccia.

- Tratti il telefono con garbo, signore!- tuona Hawkeye dietro di lui.





08 Everloving
Il cielo è terso e chiaro, il sole brillante inonda l’erba sotto i suoi piedi, una brezza gentile accarezza la terra muta.

Una fila consistente di ufficiali, silenziosamente, percorre il sentiero interno del campo santo, diretta su una piccola collina.

Tutti sono vestiti a lutto, una fascia nera cinge loro il petto, un’espressione seria e compunta dipinta sul volto.

Oggi si celebra il funerale dell’ex-tenente colonnello Maes Hughes, promosso Generale di brigata per morte in servizio.

Al momento dell’inumazione la bimba, Alicia, inizia a gridare.

Se quegli uomini continuano a tirare la terra addosso al papà, come farà ad andare a lavoro?

Perché il papà è lì sotto?

La bambina protesta, un po’ comprende, un po’ no.

Singhiozza.

Tutt’intorno, uomini grandi e grossi, non hanno il coraggio di alzare lo sguardo, di giocare a fare gli adulti onniscienti e di spiegarle, con garbo, che il padre è morto e non tornerà mai più.

Il Maggiore Armstrong piange senza ritegno ne’ vergogna.

La cerimonia ha fine, il gruppo inizia ad assottigliarsi man mano che le persone porgono le condoglianze più sincere alla povera Gracia.

Lei è perfetta, impeccabile, affranta il giusto, composta il giusto. Come in ogni occasione.

Roy non ha mai detestato Gracia, la rispetta moltissimo.

La ammira,segretamente.

Perfino in questo assurdo e avvilente giorno di dolore.

Roy Mustang è immobile, davanti alla lapide.

In disparte, alle sue spalle, Riza Hawkeye attende turbata, guardando apprensiva la figura solitaria del colonnello.



Promosso a grado di Generale di Brigata per morte in servizio.

Cosa credevi di fare stupido?

Sottile sarcasmo, distilla il dolore facendo sì che io non impazzisca in questo preciso istante, davanti alla prova inconfutabile della tua morte.

Devo ancora rivolgerti una marea di perché, devo ancora picchiarti per avermi tenuto all’oscuro di una marea di cose, devo punirti per aver alla fine sacrificato l’amore di tua moglie e di tua figlia in nome del dovere, in nome del patto originario che stipulammo.

Giustizia, onore, lealtà.

Devo dirti troppe cose, devo saperne altre in più, devo parlarti, devo vederti.

Vorrei abbracciarti ancora.

Com’erano quei cerchi alchemici per la trasmutazione umana?

Tento disperatamente di ricordare.

Perché non sei morto, Maes.

Ridicolo.

Alchimista di Fuoco sei ridicolo.

Sei spregevole.

Anni di promesse, anni di razionali convinzioni…tutto è stato spazzato via.

Non riesco a mettere assieme, realizzandone il significato, l’idea di lui che mi accarezzava il viso e l’idea che ora nemmeno remotamente potrà più rivolgermi la parola.

Era già in qualche modo sparito dalla mia vita, ma capivo il suo affetto dietro alle battute e agli scherzi, non era difficile vedere che in fondo teneva a me.

Ora invece non potrò più neanche mentalmente figurarmi la consapevolezza della sua presenza.

Non c’è più.

Che diavolo significa?

Che diavolo vuol dire quando una persona muore?

Come si fa a capire?

Come si può accettare?

Tutto il mio fosco riflettere sul significato della mia, nostra missione, tutto il mio decidere di rimanere da solo e di puntare dritto in alto, in realtà era inconsciamente consolato dalla vicinanza del ricordo più bello della mia vita.

Tu ed io insieme.

Per poco tempo e in maniera così discontinua, ma pur sempre uniti da qualcosa di irripetibile.

Mi hanno detto che poco prima di morire mi hai chiamato al Quartiere Generale di East City.

Hai chiamato me, eri agitato, così hanno testimoniato.

Se avessi ritardato la partenza di qualche ora, avrei potuto parlarti un’ultima volta, magari cambiare le cose. Magari salvarti.

Se si potesse tornare indietro, se si potesse modificare il corso degli eventi.

Se...se…se..!

La mia lucidità si sgretola di fronte alla monolitica e nuda certezza della tua morte.

Sento che una parte di me sta già morendo al tuo fianco.

Come quando uccisi i Rockbell, e desiderai con forza la morte per poter smettere si percepire quella lacerazione atroce, ora desidero che qualcuno mi uccida, per poter smettere di sopravviverti.

Avevo sempre immaginato che sarebbe stato il contrario, che mi avresti seppellito tu, una volta terminata la nostra missione.

Mi figuravo un funerale solenne ma intimo, in cui tu ricordavi la mia persona, magari lodandomi, e gli altri mi salutavano con un cordiale addio, Hawkeye con le lacrime agli occhi.

E invece, stupido idiota, ora osservo inerte la tua tomba, la terra nera e dissodata ancora fresca, e ogni atomo del mondo mi crolla addosso con tutta la sua pesantezza.

Non ha più senso continuare.

Non ha più senso puntare diritto a qualcosa, senza il tuo sostegno, la tua incondizionata fedeltà.

Maes Huges, non lasciarmi così.

Gli occhi si appannano un po’ di lacrime.

È passato così tanto tempo dall’ultima volta che ho lasciato risalire il dolore da lì dove se ne stava, sprofondato, fino agli occhi.

Riza si avvicina.

Capisco che sia sconfortata nel vedermi così.

Anche se la tratto spesso in maniera quasi scostante, ringrazio che ci sia almeno lei.

Magari per una volta lascerò che assista ad un Colonnello che non conosce e non immagina nemmeno.

Le dico di aver appena tentato disperatamente di ricordare la trasmutazione umana.

So che lei può comprendere una parte del mio dolore.

Lei mi spiega che Hughes ha voluto tenermi all’oscuro di ciò che era successo perché quando ci sono di mezzo i fratelli Elric io perdo la mia lucidità.

Non capisco.

Che vuol dire che perdo la mia lucidità?

Sarà che mi preoccupo, sarà che senza esserne consapevole ho deciso di prendermene cura.

Come se proteggendo loro,salvassi un po’ anche me.

Maes sapeva, non voleva che io mi preoccupassi

Capiva all’istante quello che mi passava per la testa, anche meglio di me.

Maes mi mancherà come l’aria che respiro.

La sua giovialità, la sua fermezza, il suo beneamato fancazzismo da superficie…i suoi baci, i nostri abbracci, le ore passate a far l’amore come forsennati.

Roy, basta, non ricordare.

Non ricordare o potresti non tornare più indietro.

Sotto questo sole così cullante, così sereno, le lacrime cadono giù senza che io riesca più a trattenerle.

Dico ad Hawkeye di andare, perché sta iniziando a piovere.



09Mayonaise
Questo ho realizzato: dovrei continuare proprio perché sei morto.

Ho compreso che abbandonare i sacrifici silenziosi di questi anni significherebbe abbandonare anche te.

Ora che non ci sei, farò più affidamento sui miei sottoposti.

Non sarà come averti qui di nuovo, ma saprò cavarmela.

Arriverò in cima.

Ma voglio scoprire chi ti ha ucciso.

Chi mi ha privato di te.

E se questo significasse trasformare il mio potere in un braccio di egoistica vendetta, non vacillerò: ripagherò ogni particella della tua fedeltà.

Se poi dovessi distruggere la mia scalata al potere, perdonami Hughes, ma sarà il prezzo che avrò deciso di pagare in cambio della verità.

Sei l’unica persona per cui baratterei l’unico vero scopo della mia esistenza.

Perciò andrò a fondo nella questione.

Con lucida freddezza.

Per te.

Per la famiglia che hai lasciato dietro di te.

È giusto anche per loro.

O almeno ho la presunzione di credere che sia così.

Dopo anni, mi ritrovo faccia a faccia con la donna che ti ha portato via da me.

Ma non ho niente di cattivo da dirle…dovrei?

Non credo.

Sono enormemente dispiaciuto.

Le faccio capire, anche se a distanza, che il mio sostegno c’è.

E lei è silenziosa ma so che apprezza.

Non è stupida e sa bene come cavarsela.
Niente da dire, Maes, una donna degna di te.

Non ho il coraggio, in effetti, di andare da lei e parlarle a viso aperto.

Affrontare le persone in carne d’ossa è anche peggio che avere a che fare con i propri fantasmi.

Ma pian piano le darò maggiore confidenza, è giusto che lei sappia di poter contare sul mio aiuto almeno quanto ci contavi tu.

Non sarà il mio senso di colpa nei confronti di questa donna a guidarmi?

Ho colpa perché sei morto.

Irrazionale ma vero.

Ho colpa perché tanto tempo fa ho tolto tempo al vostro amore, trattenendo te tra le mie braccia.

No.

Ora è tutto così lontano e diverso che scelgo di sentirmi in colpa solo per la tua morte.

Il resto non c’entra, il resto rimane a me, è una cosa che non dirò mai a nessuno e che tu hai portato con te nella tomba.

Va bene così.

Maes, farò ciò che devo fare e lo farò in fretta, i tempi sono maturi.

Abbi fiducia, come ne hai sempre avuta.



Armstrong è sotto controllo.

Lui me lo fa capire, limitando di giorno in giorno le sue amichevoli incursioni, centellinando i nostri dialoghi.

La sua famiglia è dalla mia parte.

Condividiamo sospetti, ideali, volontà operativa.

Capisco con chiarezza chi è mio nemico, chi non lo è

Tessiamo ogni giorno, col nostro comportamento apparentemente ligio al dovere, una sottile trama di inganno.

La guerra di Ishibar (che ricordo fin troppo bene…), il laboratorio numero 5, la morte di Maes, i tentacoli putridi di un esercito le cui alte sfere governative operano nell’oscurità…tutto è collegato in un quadro che si fa sempre più chiaro,sempre più spaventoso e grande.

Hawkeye alza la cornetta del telefono che sta squillando.

- La tigre si è mossa.- mi dice Riza, trafelata.

Bene.

È ora di agire.

Piombo nell’ufficio del Comandante Supremo, chiedo di farmi spedire a Reole assieme a Armostrong e a quel fanatico di Archer.

Ho la meglio.

Ci congediamo.

Armstrong mi guarda di sottecchi.

È difficile avere la sua pazienza quando sai cosa devi fare, ma devi farlo con attenzione, senza far rumore.


Edward mi ha fatto incazzare.

Aveva ragione Hawkeye a dire che perdo lucidità quando si tratta di questo Alchimista in miniatura.

Prende iniziative.

Si è proposto come scout della città di Reole, mettendosi a contrattare con Archer.

Maledizione, siamo in guerra e Archer e uno che non ha scrupoli, l’avrà capito?

Se ne va in giro, fuori controllo, agisce solo secondo il proprio volere.

Intendevo preservare lui e il fratello da possibili risvolti controproducenti.

- Credevo avessimo fatto un patto.- tuono io, fuori dall’ufficio di Archer.

Lui non mi fa notare che se avesse chiesto il mio permesso, non l’avrebbe ottenuto.

Sogghigna.

Ha in mente di fare di testa sua, come sempre.

Non ricevo rapporti da tanto tempo e speravo mi aggiornasse sulle sue mosse.

Speravo mi raccontasse di tutto ciò che Maes mi ha taciuto, sarebbero stati tasselli importanti del quadro che ho costruito mentalmente.

E invece sento i suoi occhi ostili guardarmi con diffidenza.

Questo mi infastidisce.

Vorrei mi comprendesse meglio, vorrei che considerasse più a fondo le mie ragioni.

Ma come posso pretendere da lui un atteggiamento simile?

Acciaio è testardo, orgoglioso, diffidente, tende a fare di testa sua.

E forse crede che io sia dalla parte di chi gli dà la caccia.

A me andrebbe anche bene vedere lui e il fratello fare come vogliono, ma siamo nell’esercito e fino a prova contraria ho imposto che entrambi siano sotto il mio diretto comando.

Ho una tremenda sensazione.

Temo che accada qualcosa a tutti e due.

Temo che nell’immenso quadro di questa situazione loro due siano cruciali anche se nascosti, in disparte.

Ma come posso impedire che provochino dei danni se continuano a essere così insubordinati?

Non capiscono che fingere è la chiave di questo teatrino chiamato esercito?

A volte fare buon viso a cattivo gioco paga bene.

E invece loro due reagiscono impulsivamente.

È un impulso più simile a un intuito poderoso che a un istinto cieco, ma è pur sempre un modo di muoversi che spesso collide con tanti dei miei pari e dei miei superiori.

Non posso certo raccontare loro che sto proteggendo gli Elric che sono in cerca della pietra filosofale per porre rimedio ai danni di una trasmutazione umana fallita.

Dannazione, Edward, se solo mi dessi più ascolto!



Rizemburg.

Appoggio un gomito al tavolo, sorseggio del tè caldo.

Sopra la mia testa una valanga di stelle luminose e tutt’intorno un buio profondo e tranquillo.

Gli altri, tra stanchezza e sbronza, dormono all’interno della casa dei Rockbell.

Uno strana beffa del destino trovare rifugio proprio qui.

Winry, la ragazza, non sembra guardarmi più come faceva prima, con un disprezzo così profondo e consapevole da ammutolirmi.

E qui davanti a me, in questo momento, sorpresa delle sorprese, nient’altri che il fantomatico padre degli Elric.

Un uomo alto (ma il figlio maggiore da chi avrà ripreso?) e distinto, lunghi capelli biondo scuro (come il figlio maggiore) e occhiali a proteggere due occhi pieni di cose non dette, a tratti sofferenti.

Alchimista di fama spropositata tra i più, fuggitivo e dato per disperso da anni.

Acciaio lo detesta a tal punto di averlo costretto a rimanere a dormire fuori stasera.

Alfonse invece sembra comportarsi conformemente a quello che è: un bambino in adorazione di un padre sempre mentalmente presente, ma fisicamente assente.

Dopo esser venuto a conoscenza della vera natura del Comandante Supremo e della sua segretaria, ho bisogno di fare maggiore chiarezza.

Hohenheim mi parla degli homunculus, dalle sue parole cerco conferme e spiegazioni.

I fratelli Elric appaiono dalla porta battibeccando tra loro, argomento: permanenza del padre.

Ordino immediatamente di rientrare: se qualcuno li dovesse vedere, tutti i piani verrebbero mandati all’aria.

Edward protesta.

Gli indirizzo il mio sguardo più eloquente: intimare

- Non discutere, obbedisci. È colpa tua se siamo tutti nei guai.-

Lui,una volta offeso in abbondanza il padre, gira i tacchi e rientra.

Il padre di Edward mi guarda, con aria interrogativa.

Gli confesso che mi hanno ordinato di catturarli a vista o di ucciderli, in alternativa.

Questo perché il Comandante Supremo li ha formalmente incolpati del disastro di Reole e io gli ho risposto, stupidamente, che rispondevo personalmente degli Elric.

Così Bradley mi ha costretto a godere dell’ausilio di sue truppe personali, che tradotto vuol dire: ti tengo così sotto controllo che se fai un’altra mossa falsa sei finito.

A pensarci bene, in un attimo ho dimenticato una vita di progetti per paura che loro due si ritrovassero con le spalle scoperte.

Ora danno me e i miei uomini per dispersi, ci cercano spulciando a tappeto le zone circostanti.

Ma avendo ricondotto Edward e Alfonse a casa, più o meno sani e salvi, non appena si avvicinerà qualche ufficiale, ci separeremo.

Questo è il piano.

Hohenheim sospira:

- Sembra che Ed dia ascolto almeno a lei…- la sua espressione non è delle più felici.

- Meno male che a me dà ascolto, eh! È così zuccone che devo minacciarlo per ottenere un minimo di attenzione.-

- Colonnello…almeno lei…finché è in suo potere, non smetta mai di proteggere i miei ragazzi.-

Mi verrebbe quasi da chiedergli di mettersi a fare il padre piuttosto che delegare a me i suoi doveri.

Ed lo odia proprio perché lui è scomparso, li ha abbandonati.

Ma è anche piuttosto evidente (talmente chiaro che Acciaio non lo capisce) che ciò è accaduto perché quest’uomo ha seri problemi che intende nascondere agli altri e di cui intende occuparsi in segreto.

Altrimenti non ricomparirebbe in un momento così assurdo, e non mi domanderebbe con quella faccia quello che mi ha appena chiesto.

- Finché sarà in mio potere, promesso.- faccio io, abbassando un po’ il capo.

- La ringrazio. Le sarò riconoscente a vita. È così difficile per me. Edward è così difficile!Ma non lo biasimo affatto…-

- È ostinato oltre ogni limite ma vedrò cosa posso fare.-

Mi congedo, tempo di andare a riposare il minimo necessario.

Ora so quali contromisure adottare contro King Bradley.

Ora non esiterò più.

Alfonse si presenta ancora fuori e decide di voler dormire col padre.

Comprensibile.

Lo lascio fare a patto che non si allontanino troppo.

Edward si affaccia immusonito per ripescare il fratello, ma io lo spingo dentro e gli consiglio di andare a dormire.

È abbastanza alterato, ma la porta si è già chiusa e lui sparisce borbottando offese incomprensibili.

Pazienza…

_____________________________________________________________



Roy si svegliò di soprassalto, agitato.

…il teschio di Bradley, le fiamme attorno ai suoi resti, un mostruoso Archer che spara mirando alla sua testa, una Riza che lo chiama, in lacrime, sempre più lontana, lontana, lontana…

I ricordi si ammassarono confusi davanti ai suoi occhi.

Nella fresca e gradevole ombra riparata della stanza, la consapevolezza salì lentamente sino alla sua coscienza.

Era riuscito nel suo intento.

Il suo piano impossibile si era avverato.

Aveva rovesciato il potere di quell’homunculus, lo aveva ucciso e cancellato per sempre da questo mondo.

Aveva ucciso chi aveva osato assassinare Maes.

Maes.

Un ricordo simile ad una dolcezza diffusa rotolò via, sfuggendo alla pesante rete della sua razionalità.

Vendetta ottenuta, giustizia conseguita.

Roy alzò lentamente un braccio e scoprì che una benda copriva parzialmente la parte sinistra del suo volto.

Un prezzo piuttosto basso per ciò che era riuscito ad ottenere.

Dove stava allora la fregatura?

Un opaco sentimento di inerzia rimpiazzò velocemente l’entusiasmo iniziale, il commosso giubilo del vincente.

La fregatura era ovvia: raggiunto lo scopo, aveva sperato nella morte e invece era sopravvissuto, sia a Hughes che a Bradley.

E ora non c’erano più obbiettivi reali, o scopi sinceri da perseguire.

Una grottesca, surreale verità.

Roy rise, istericamente e amaramente insieme, perché da tempo, ormai, la vita si prendeva con prepotenza gioco di lui.

“Lo scambio equivalente non esiste. Questo è tutto” pensò nitidamente.

“Cosa ne sarà di me?” si chiese poi con vacuo orrore.

Riza entrò, un vassoio tra le mani e Black Hayate subito dietro lei.

Roy si lasciò andare alle cure della donna senza proteste o commenti e lei, da parte sua, proferì parola per metterlo al corrente di quanto accaduto, da ineccepibile luogotenente.

L’avevano ufficialmente nominato generale e, con una velocità che rasentava l’impossibilità, il governo militare era caduto, lasciando il posto ad una nuova forma democratica, in mano al Parlamento.

Quando Hawkeye lasciò la stanza, Roy era in uno stato di abbandono.

Immerso cupamente nei suoi immobili e irrimediabili pensieri, rifletteva su tutto ciò che era stato, su ogni minima azione compiuta, voluta.

E dal nulla si impose un interrogativo.

Dove si trovava in quel momento Acciaio?

Cosa avrebbe detto, o meglio, quanto lo avrebbe deriso sorprendendolo in quel mentre?

Riza gli aveva comunicato, tra le altre cose, che Al era sano e salvo, già a casa, in un corpo umano normale con cui vivere di nuovo.

Perciò Ed aveva compiuto, riuscendoci, una trasmutazione umana.

La scientifica obbiettività di Alchimista suggeriva a Roy che ciò aveva dell’incredibile, del geniale, del sublime, eccezionale e spaventoso al tempo stesso.

Ma Ed non si trovava più in nessun angolo di mondo.
Quindi era sparito.

Morto, probabilmente.

Così aveva riferito Hawkeye.

Roy, nel profondo, nel sonno della sua mente e nella veglia del suo intuito, sapeva che Edward Elric non era affatto morto.

Bisognava solo trovarlo.

E quando tornò a chiedersi, con insistenza, cosa ne sarebbe stato del suo futuro, Roy si rispose, con una nuova piccola speranza, che avrebbe iniziato col sopravvivere a se stesso e avrebbe tirato avanti.

Lo doveva quantomeno a tutti quelli che erano morti a causa sua o prima di lui.

Maes Hughes, tanto tempo prima, gli aveva insegnato con affetto che non sempre tutto andava perduto.

Avrebbe seguito il suo consiglio.



*** FINE

Ringrazio per l’attenzione.

Come già scritto all’inizio, segue un’altra storia, diversa ma assolutamente collegata a questa, incentrata però su Ed e Roy: “Che rumore fa la felicità?”.

Non è indispensabile leggerla ma è come se fosse il naturale proseguimento di questa e mi piace che anche voi le pensiate insieme.

Come mi è stato fatto notare in separata sede, non è chiarissimo il significato dei titoli.

In realtà sono tutti titoli di canzoni Perciò, anche per capire meglio l’atmosfera del racconto, scrivo qui la “playlist” di questa storia.

01- Def Leppard – Gods of War

02- Pink Floyd – Dogs of war

03- Pink Floyd – The Great Gig In The Sky

04- Pink Floyd – Hey you

05- U2 – The Unforgettable Fire

06- Prince – Purple Rain

07- Smashing Pumpkins – Soma

08- Moby – Everloving

09- Smashing Pumpkins - Mayonaise