Disclaimers: I personaggi appartengono alla Sensei Yazawa! Io li uso solo per divertirmi un po’! La canzone invece è di Craig David e Sting.
Dedicato a: Pam perché mi sostiene sempre, Misato e Arashi per i loro splendidi siti e alle cugi Saya e Kima ^****** ^
Note: Se non vi piacciono gli spoiler, non leggete!
Ambientato 7 (chissà xké ;P) anni dopo le vicende di Nana…Siccome non sono una veggente, ho cercato scuse plausibili per le mie esigenze…Quindi se con la fine del manga quello che ho raccontato qui non stesse in piedi, concedetemi una piccola “licenza poetica”, ok?



 

 


The Rise and the Fall

parte II

di Akira14



 

C’era qualcosa che non quadrava…Non andava proprio!
Non è così che doveva andare il loro incontro! Certo Shin non si aspettava che Nobu gli si gettasse al collo urlando al mondo il suo amore per lui, ma un minimo di considerazione non gli avrebbe fatto schifo.
Invece il loro scambio di battute sapeva di romanzo rosa, di dialoghi stereotipati tipo quelli che si leggevano negli Harmony o che si vedevano nelle telenovele.
Forse era lui che aveva qualche problema nella comunicazione, visto che non riusciva a fare un discorso degno di questo nome nemmeno con Nana Oosaki, che era pur sempre la vocalist del suo gruppo e che conosceva da sette anni ormai.
Non poteva che sentirsi frustrato per quell’alienazione totale, il sentirsi fuori posto o di troppo ovunque andasse, con chiunque fosse.
Sperava che almeno con Nobu sarebbe riuscito ad aprirsi maggiormente, a mostrarsi per ciò che veramente era e parlare con lui con la stessa naturalezza di sette anni prima.
Invece il biondo ex-chitarrista dei Black Stones aveva eretto un muro insormontabile intorno a lui, e lo trattava con una freddezza di cui Shinichi non riusciva a capacitarsi. Insomma, era stato lui a chiamarlo dopotutto, no?
Sì, ma non gli era passato nemmeno per l’anticamera del cervello che probabilmente aveva voluto vederlo di persona per potergli sputare in faccia tutto il disprezzo che provava per lui!

Nobu, da parte sua, si chiedeva se avrebbe mai avuto il coraggio di parlare con il cuore in mano a Shin.
La sua intenzione non era certo di essere così formale, ma d’altra parte voleva evitare un coinvolgimento troppo profondo per paura di incancrenire le ferite della sua anima.
Se nuovamente si fosse instaurata la profonda amicizia che li aveva legati quando ancora entrambi suonavano nei Blast, Nobuo non era certo di poter sopportare di perderla nuovamente. Per quanto si fosse impegnato a cercare di crescere, non si poteva dire che i suoi tentativi fossero andati a buon fine.
Forse Hachi non era mai stata la donna giusta per lui, eppure rimpiangeva ancora a distanza di quasi duemilaseicento giorni ed un’infinita d’ore e di minuti gli attimi in cui ci aveva creduto con tutto se stesso.
Non poteva durare, probabilmente. Due persone che per andare avanti hanno bisogno di appoggiarsi a qualcun altro, incuranti se il lasciare la loro vita nelle mani del compagno possa rivelarsi una responsabilità troppo grande per quest’ultimo. Alla fine uno dei due avrebbe comunque ceduto, e a pagarne le conseguenze sarebbe stato una creatura innocente che non meritava il dolore di vedere la sua famiglia distruggersi per un errore di valutazione di due eterni bambini.
Dopotutto, forse le cose erano andate davvero per il verso giusto; anche se lui non riusciva a gioirne.
Il suo sguardo era perso nel nulla, a guardare la città che riposava tranquilla e silenziosa nella nebbia. Una città che pareva rispecchiare perfettamente la sua paura più nascosta, quella che non riusciva ad ammettere nemmeno a se stesso di avere: la paura di perdere la sua identità.La Praga che aveva davanti ai suoi occhi, infatti, era molto diversa dai racconti di sua nonna (che in pratica era stata dappertutto tranne che ai Poli). Era come se stesse pian piano perdendo quell’atmosfera magica. Quell’intimo abbraccio che sapeva dare ad ogni viaggiatore che vi arrivava per lenire la sua malinconia in quella capitale così chiusa e riservata, ormai tutto quello che la rendeva unica si stava perdendo nella pretesa di uniformarsi ai gusti dei turisti. Stava votandosi all’occidentalizzazione in tutto e per tutto, a costo di perdere se stessa.
Non era poi molto diversa da lui, allora.
Che non riusciva ad accettarsi per quello che era e tentava continuamente di cambiare, rinnegando ogni giorno il suo passato.
Si sentiva frustrato, amareggiato e deluso. E tutto quanto solo perché non sapeva agire con la dovuta risolutezza, perché si lasciava trascinare dagli eventi.
Il suo sogno di vivere della sua abilità con la chitarra si era dissolto, sfaldato pezzo per pezzo davanti ai suoi occhi. Prima che potesse afferrarlo e ricomporlo, gli era scivolato attraverso le dita come un pugno di sabbia.
Non aveva avuto la stessa risolutezza che era riuscito a tirar fuori quando Nana Oosaki si era trasferita a Tokyo.

Il silenzio regnava sovrano tra i due giovani. Shin non sapeva cosa dire, ed era stanco di tirare fuori sempre le solite recriminazioni. Tanto a Nobu entravano da un orecchio ed uscivano dall’altro.
Taceva, anche perché aveva il terrore che le sue parole sarebbero state accolte con scherno e derisione, o peggio ancora con disprezzo. Naturalmente si vergognava che questi pensieri gli fossero anche solo venuti in mente, perché sapeva che nonostante tutto avrebbero dovuto fidarsi l’uno dell’altro.
Dopotutto erano amici.
O no?

Il giovane Terashima, invece, non voleva che le sue parole fossero fraintese, e nella mente si ripeteva il piccolo discorsetto che aveva intenzione di fare a Shinichi. Pesava attentamente le sue parole, ma quando queste erano già sulla punta della sua lingua le ricacciava indietro intimorito.
Non c’era espressione dalla quale non trasparisse la profonda invidia che provava nei confronti di quel ragazzino cresciuto troppo in fretta. E non aveva usato invidia a caso, era proprio quel desiderio quasi maniacale di essere come lui; tanto che quando aveva capito che Nobuo era Nobuo e non Shinichi, e che non avrebbe mai potuto essere ciò che non era, aveva cominciato a detestarlo.
Quando era cominciata la sua smodata voglia di emulare quel moccioso?
Probabilmente dentro di lui c’era sempre stata una punta di gelosia, che però era sempre riuscita a contenersi nei limiti tali da permettere la nascita di una sincera amicizia tra i due.
Quando la sua vita aveva cominciato a prendere una piega che non riusciva ad accettare, e che non aveva potuto far altro che subire passivamente; vedeva quella di Shinichi che andava a gonfie vele dato che questi non si era fatto nessuno scrupolo a calpestare i suoi sentimenti. Il dolore dell’abbandono aveva deformato la realtà di fronte agli occhi di Nobu, che non riusciva a più vederla con la giusta obbiettività. Quella piccola scheggia di gelosia che albergava dentro di lui si trasformò ben presto, quindi, in una profonda e violenta invidia verso Shin.
Qualunque cosa facesse, Okazaki era in grado di farla mille volte meglio. Qualsiasi cosa dicesse, sembravano puerili stupidaggini in confronto alle profonde riflessioni di Shinichi.
Nobu era l’ingenuo. Il bambinone che non voleva crescere. Lo era sempre stato per tutti, e poco importava se quella definizione gli stava stretta come una cravatta al suo primo colloquio di lavoro…Se la doveva tenere. La gente era troppo pigra per cambiare opinione su di lui, e in fondo quel personaggio che loro stessi avevano creato si stava sostituendo al vero Nobuo.
A chi interessava, in fondo, conoscere un uomo privo di qualità, disperato della sua mediocrità?
Uno che aveva deciso di deporre le armi ancora prima di cominciare a combattere?
Aveva lasciato che Shin se ne andasse, e che Nana lo seguisse non molto tempo dopo.
D’altronde, Shin non se n’era andato di soppiatto come Ren che non aveva nemmeno avuto la decenza di comunicargli la sua decisione di lasciare i Blast per diventare il chitarrista dei Trapnest.
L’aveva detto chiaro e tondo la ragione per cui li mollava “La mancanza di talento di Nobu non ci permetterà mai di sfondare!”
Mancanza di talento.
Si era rivelato un inetto anche nel campo in cui credeva di essere dotato. La musica era tutta la sua vita. A sette anni, come a venti o a ventisette.
Niente era cambiato da quando aveva preso per la prima volta in mano una chitarra. Se non quel verdetto inappellabile che lo condannava a coltivare una passione per la quale non era portato. Vedere i suoi migliori amici che vivevano dei frutti del loro sogno di una vita, e sapere che lui non avrebbe mai saputo cosa significasse guadagnarsi il pane facendo quello che più ami. (Insomma come il mio sogno di fare la scrittrice -___-…Almeno non sei solo, Nobu! NdA14 Sai che consolazione…NdNobu)
E per quanto si scervellasse, non riusciva a capire per quale motivo fosse caduto così in basso da non riuscire nemmeno più a comporre delle melodie orecchiabili. La verità è che non era mai stato disposto a fermarsi a riflettere su come mai tutti i suoi amici l’avessero lasciato solo…Si era immediatamente chiuso in una visione vittimistica.
Poiché credeva di essere stato abbandonato da tutti, e che magari si stessero tutti facendo una bella risata alle sue spalle, in quegli anni aveva maturato un odio profondo per tutti i suoi vecchi “amici”.
Specialmente contro Nana e Shin. I suoi amici più cari che gli avevano voltato le spalle nel momento del bisogno.
Per sette lunghi anni si era tenuto dentro la rabbia, il risentimento e la profonda delusione dell’abbandono da parte delle due persona che considerava una sorta di famiglia allargata, il fratello minore e la sorella maggiore che non aveva mai avuto.
Lui che aveva rinnegato il suo cognome, che nonostante avesse un futuro sicuro grazie al lavoro di suo padre aveva preferito mettersi in gioco, che aveva tentato di ripartire da zero nonostante tutta la sua famiglia fosse contro di lui.
Finché aveva vicino le persone che per lui VERAMENTE considerava IMPORTANTI, non gliene poteva fottere di meno se quella cazzo di famiglia piena di sé che si ritrovava lo considerava la pecora nera dei Terashima!
Un sorriso amaro si dipinse sulle sue labbra, mentre tirava fuori dalla tasca del suo lungo impermeabile nero un pacchetto di Seven Stars. Prese una sigaretta, e l’accese con un accendino che ricordava molto quello che Shin portava al collo a quei tempi.
Shin lì per lì fu alquanto stupito. Nobu era sempre stato l’unico non solo a non fumare, ma a non interessarsene minimamente quasi il vedere tutti gli altri non gli facesse venire nemmeno un pochettino di voglia.
E ora eccolo che si accendeva una sigaretta, della stessa marca che tanto piaceva a Ren e Nana.
C’era un non so ché di rituale in quel semplice gesto.

Nobu sospirò, perso nei suoi pensieri cominciando a camminare senza meta lungo il ponte mentre Shin lo seguiva a debita distanza, come se avesse paura che standogli troppo vicino potesse contrarre chissà quale virus mortale.
Cosa si era aspettato da questo incontro? Che almeno i suoi migliori amici tornassero sui loro passi, gettandosi ai suoi piedi invocando perdono?
Lo sapevano forse loro, cosa significasse tornarsene all’ovile con la coda fra le gambe?
Il non sentirsi mai all’altezza, la certezza del rifiuto se mai avesse “osato” mendicare un po’ d’amore, l’essere continuamente criticato, disprezzato, svilito e deriso?
Perdere completamente qualsiasi briciola d’amor proprio e credere alle crudeli parole della sua famiglia?
Svegliarsi la mattina nauseati dalla vita, convivere tutto il giorno con quella sensazione che ti schiacciava a terra, e la notte desiderare di non risvegliarsi mai più?
Sentirsi nient’altro che un peso?
Sentirsi in colpa di essere vivo? Di essere nato?
Sentire tutti gli sguardi su di se, tutti in attesa di una sua caduta per additarlo ad esempio vivente di stupidità?
Le loro aspettative, lì apposta per essere deluse. E a forza di sentirsi ricordare che era un perfetto idiota, un buono a nulla, insomma un cretino integrale per di più nullafacente che a ventisette anni rimpiangeva ancora momenti che ormai appartenevano ad un passato remoto, alla fine si convinceva di essere veramente così.
Aveva sopportato, accettato di buon grado le loro critiche per mesi…Sopportava perché aveva ancora Ren e Yasu. Ma quando questi si erano dichiarati stanchi di fargli da balia e l’avevano lasciato a se stesso, la terra era crollata sotto i suoi piedi ed il cielo sopra la sua testa ed era rimasto solo quell’abisso nero. Un abisso senza fine, nel quale lui continuava a precipitare senza sosta. Oramai si era convinto che l’unico modo per frenare quella caduta non fossero gli psicofarmaci che il medico di famiglia (amico fra l’altro di suo padre) gli somministrava.
Non esisteva paracadute. Solo la morte poteva mettere fine a quel supplizio disumano.
Ma non aveva abbastanza coraggio per farla finita.
Beh, c’era anche un altro modo di rendere il tutto perlomeno sopportabile, senza ricorrere a metodi estremi…Almeno temporaneamente. Che nelle condizioni in cui trovava Nobu era già meglio di niente.
L’illusione che qualcuno l’amasse. L’appoggiarsi a qualcuno, finalmente. Dopo tanto tempo, una spalla amica su cui piangere…Il sapere che se cadrai ci sarà qualcuno che ti darà una mano a rialzarti, che se piangerai ci sarà qualcuno che piangerà con te.
E forse era più vicino di quanto non pensasse.
Ora però doveva togliersi un peso dal cuore e parlare a Shin.
Si voltò all’improvviso, tanto che Shinichi non capì le sue intenzioni e gli si cappottò letteralmente addosso e finirono entrambi a terra.

“Ma che mi spiegheresti perché diavolo ti sei girato così di scatto?” gridò Shinichi dolorante.

“Perché dovevo parlarti.” Rispose Nobu tirando fuori un fazzoletto per pulire la ferita che Shin si era procurato al labbro superiore cadendo.
Shin sentì tutto ad un tratto un fastidioso afflusso di sangue non che un irritante formicolio nel punto in cui le dita di Nobu sfioravano le sue labbra, ma tutto era reso confuso da un improvvisa vampata di caldo.

Si sentiva in soggezione davanti a quei due occhi scuri, che sembravano scavare dentro la sua anima per portare a galla il marcio che c’era in lui. Non sembravano neanche umani. Erano vitrei come quelli di una bambola. Di per se non esprimevano nulla, erano soltanto uno specchio che rifletteva ciò che gli stava davanti. Solo che Shin, sentendosi tremendamente in colpa nei confronti di Nobu, lo viveva come uno sguardo di desolante disapprovazione. Come quelli di un animale chiuso in una gabbia minuscola, dove riesce a malapena a muoversi, che ti osserva sperando in un aiuto che in fondo sa che non arriverà mai; eppure conserva negli occhi quella scintilla di speranza che ti fa sentire in colpa per la tua crudele indifferenza.
Una triste rassegnazione, quasi leggesse nei tuoi pensieri e sapesse che in fondo non sei che un perbenista, che vuole solo salvare la faccia di fronte agli altri fingendosi un benefattore dell’umanità.
Quasi si sentisse in colpa di aver creduto in te.
Guardandolo in faccia, poi, gli si stingeva il cuore. Aveva la stessa vitalità di un cadavere.

Nobu, d’altra parte, stava raccogliendo tutto il suo coraggio per riuscire finalmente a liberarsi di quel peso che aveva sul cuore.
Non ce la faceva più. Quello non era vivere, era sopravvivere. Prima di farla finita, doveva mettersi il cuore in pace con le persone che avevano segnato profondamente la sua esistenza.
Si sentiva in uno stato di confusione mentale che gli faceva quasi paura. L’ultima volta che gli era successo, i suoi l’avevano creduto che se ne andava in giro in pigiama per la città chiedendo soldi per un biglietto per Tokyo. Peccato che lui non ricordasse nulla.
Forse non avrebbe dovuto mischiare i medicinali con la vodka, anche questo era vero…Quando stava particolarmente male cercava sempre rifugio nell’alcool…
Era diventato tutto così dannatamente insostenibile…Proprio quando credeva di essere riuscito a trovare una via d’uscita, una cura al suo malessere ecco che puntualmente ricadeva nell’abisso. La sua malattia era ciclica, infatti, si alternavano momenti di depressione e di euforia, con piccolissimi sprazzi di normalità ogni tanto che si facevano tanto più rari quanto più la malattia si aggravava.
Da quando Hachi lo aveva lasciato per sposarsi con Takumi non era mai stato quel che si suol dire “un fiore”, ma si era affermato che BISOGNAVA superare quel dolore e andare avanti. In fondo aveva davanti a se tutto il tempo del mondo, per dimenticare.
Ciò che non riusciva a perdonarsi, era di non essersi assunto la paternità del bambino che Hachi portava in grembo.
Era così superbamente sicuro di aver preso tutte le precauzioni del caso, che aveva lasciato che Takumi gli portasse via Shizuka.
Man mano che la piccola cresceva, però, la sua somiglianza con Nobu si era fatta sempre più evidente: stesso taglio degli occhi, stesse mani…Perfino lo stesso naso.
Nana Komatsu non aveva mai avuto alcun problema a lasciare che Nobuo vedesse sua figlia, quando Takumi era fuori casa naturalmente. Quando quest’ultimo aveva scoperto cosa accadeva a sua insaputa, però, era riuscito a convincere tutti quanti che lui fosse interessato a Shizuka solo perché non era altro che un perverso pedofilo. C’era riuscito talmente bene che era scattato un ordine di restrizione “morale” nei confronti di Nobu. Nel senso che tutti facevano in modo che Shizuka si vergognasse così tanto a stare con lui, che era stata lei stessa a chiedergli di andarsene e non tornare mai più.
Era come se gli avessero appeso al collo un cartello con su scritto “CRIMINALE”. Così quel malessere che era nato in lui tanto tempo prima apparentemente senza ragione (se avesse saputo perché se ne sarebbe liberato appena possibile), era peggiorato a tal punto da diventare patologico. Da essere dipendente dagli psicofarmaci.
Era stato un peggioramento graduale, al quale però l’abbandono da parte dei suoi migliori amici aveva dato la mazzata finale. Si sentiva così penoso e inutile…Inoltre non gli serviva uno specchio per sapere che il suo volto aveva completamente perso la freschezza della gioventù, tanto che si sarebbe dato quarant’anni.
Guardava Shin e l’invidia si faceva ancora più forte. La grazia dei suoi lineamenti era pressoché immutata, se non che avevano acquistato la bellezza della maturità. Shinichi era sempre stato avvenente, ma era come se dalla gemma che era l’Okazaki quindicenne fosse fiorito un ventiduenne stupendo.
Nobu era così perso nell’invidiosa ammirazione di Shin, che ci mancò poco che si bruciasse il medio e l’indice con la sigaretta che ormai ridotta ad un mozzicone. Si limitò a tirarla distrattamente nella Moldava.
Shinichi si risvegliò improvvisamente dalla trance in cui era caduto grazie al tocco gentile di Nobu. Gli prese il colletto e con voce incrinata dalla rabbia gli urlò “ALLORA? MI DICI CHE C’E?”
Non gli era mai di perdere la pazienza a quel modo, così violentemente, ma l’atteggiamento passivo di Nobuo era veramente esasperante. Dove credeva che l’avrebbe portato quel giustificazionismo? Certo, la colpa non era mai sua…Era sempre una congiura architettata dai suoi innumerevoli nemici!
“Ho bisogno di sapere. Perché sei venuto se per te non sono che un patetico piagnone?” rispose voltandosi verso il fiume, per non dover sostenere lo sguardo severo di Shin.
“Mi sembra che non abbiamo niente da dirci, se dai per partito preso che io non ci tenga a te e ti consideri solo un miserabile piagnucolone!” sibilò rabbiosamente Shin. Come faceva ad essere così ottuso da non comprendere il suo affetto?
Camminando a grandi falcate si allontanò, diretto verso nemmeno lui sapeva dove…Gli bastava solo che fosse lontano da quello stupido.
Fu quasi subito fermato da Nobuo, che gli prese il polso con decisione costringendolo a girarsi.
“Mi hai abbandonato quando più avevo bisogno di te! Che grande dimostrazione d’amicizia! Vuoi anche un applauso?” mentre gridava queste ultime parole strinse il polso di Shinichi tanto forte da ferirlo con le unghie. Il giovane dai capelli argentati trattenne a stento le lacrime. Non c’era niente di più penoso che parlarsi e non capirsi. Di essere l’unico ad impegnarsi per recuperare un rapporto a cui teneva molto più di quanto avesse mai creduto possibile. Questa tristezza, mista a rabbia lo portava ad esprimere i suoi sentimenti con parole poco gentili.
Sembrava essere diventato quasi il contrario del ragazzino che era scappato da casa sette anni prima, molto maturo per la sua età. Ora invece aveva ventidue anni e pensava come un bambino di dieci.
<Non devo dire quello che penso.> si ordinò categoricamente. Non servì. Ad un certo punto sbottò “Tu, invece, che pretendi che tutto ruoti intorno a te puoi permetterti di sputare sentenze, no? Se mi hai chiamato solo per la vittima, e ciò significa che non sei per nulla cambiato rispetto a sei anni fa, sappi che io non ho intenzione di starti a sentire!”
“Bene! Nessuno ti obbliga a restare! Se vuoi andare, vai!!” ringhiò rilasciandogli il polso.
Shin non si mosse di un millimetro. Per quanto fosse irritato dalla sgarbatezza di Nobu, doveva restare, altrimenti non avrebbero mai risolto la spinosa situazione che si era venuta a creare tra loro.
Inspirò lentamente, cercando di calmarsi.
“Perché non cerchi di crescere? Hai ancora tutto il tempo per ricominciare! Smettila di piangerti addosso e vivi!” gli rispose senza nemmeno cercare di trattenere uno schiaffo che colpì Nobu in pieno viso.
Nobu non accennò la benché minima reazione, si limitò a massaggiarsi la guancia.
“Ci ho provato, Shin! Non immagini quanto! Ma sono fatto così, per andare avanti ho bisogno di appoggiarmi agli altri. Ho bisogno di sentirmi accettato, rispettato, amato. Vivo condizionato da quello che gli altri pensano di me. Con voi vicino, però, ero sicuro di poter resistere. Capisci, quindi, che il vostro abbandono è stato per me un vero e proprio tradimento. Se avevo qualcosa, qualcuno, per cui vivere…Quando voi ve ne siete andati non c’era più. Se ti ho chiamato, è per mettere in chiaro che nonostante tutto, nonostante la profonda rabbia e delusione che provo nei vostri confronti…Io non ho mai smesso di considerarvi miei amici. Continuate ad essere il cardine della mia vita, nel bene e nel male.
Siccome verrà il giorno in cui la depressione sarà così insostenibile da spingermi al suicidio ed io non vedo perché dovrei sottrarmi, ho chiamato la persona che per me significa più di qualunque altra. Cioè tu, il mio migliore amico, Shin.
Se devo lasciare questo mondo, preferisco togliermi un peso dal cuore.
Non aver pena di me, non compatirmi.
Sono fatto male, lo so ma non posso farci nulla.
Sono come sono.”
Shin si sentiva diviso tra due fuochi, mentre con gli occhi sbarrati ascoltava quelle parole. Avrebbe voluto prenderlo a schiaffi fino a fargli rimangiare quelle idiozie. Dall’altra avrebbe voluto gettargli le braccia al collo, e baciarlo fino a fargli scordare tutti i suoi problemi.
Nobu lo squadrava con uno sguardo carico di tacite accuse, e Shinichi non poteva che sentirsi in colpa per non aver capito fino a quel momento l’entità del malessere del suo migliore amico.
Il silenzio fu interrotto da un sonoro starnuto del giovanissimo bassista.
“C’è qualcuno che sta parlando di te, Shin ^____^”
“Nel bene o nel male, se dovessi starnutire tutte le volte che parlano male di me non potrei mettere insieme due parole che verrei interrotto da uno starnuto! Sarebbe peggio di un’allergia ^____-”
“Autostima a mille, eh?”
“È la pura e semplice verità…Sono una celebrità!” disse sorridendo. Siccome sembrava che l’atmosfera si fosse fatta più rilassata, Shin s’azzardò a circondare le spalle di Nobu con un braccio e il suo sorriso si allargò a dismisura vedendo che non veniva respinto. “Avresti potuto esserlo anche tu, se non avessi mollato tutto. Dico sul serio.” Aggiunse facendosi serio. Nobu continuò a camminare al suo fianco, verso il pulmino che stava ancora aspettando il giovane Okazaki per riportarlo in albergo.
“Non prenderti gioco di me.” Mormorò Nobuo con voce pregna d’amarezza.
“Non sto scherzando. Ma parliamone in albergo, o domani dovrò restarmene a letto con l’influenza se rimaniamo ancora un po’ qui fermi come due idioti a prendere freddo!” rispose Shin deciso, facendo scendere il braccio dalle spalle fino a prendere la mano di Nobu ed intrecciare le loro dita, trascinandolo quasi di peso con lui.
La mano del biondino (ehilà ^_^! NdNaoki Ma tu cosa c’entri __?? NdA14) era fredda come il ghiaccio, quasi volesse dimostrare quanto a lungo Terashima aveva aspettato l’arrivo dell’amico. In un primo momento questi si ritrasse, intimorito dalla freddezza di quella pallida pelle, ma poi si fece coraggio e strinse quella mano gelida ed ossuta con vigore.
Si presero tutto il tempo necessario per arrivare alla vettura con calma, senza rischiare di schiantarsi in un lampione per la nebbia, e riuscendo perfino a gettare qualche sguardo alle statue del ponte.
Una volta arrivati, il gorilla non risparmiò a Terashima uno sguardo sospettoso ma si astenne da qualunque commento che potesse indispettire il suo protetto. In fondo le star erano così permalose che conveniva sempre tenere a freno la lingua in loro presenza, se non si voleva rischiare di essere licenziati in tronco. Fu invece Shinichi a parlare.
“Andiamo.” Disse lapidario salendo sul piccolo pullman e portandosi dietro un Nobu alquanto reticente a seguirlo.

Per tutta la durata del tragitto non si dissero nulla. Niente di niente. Cadere nella banalità in un momento come quello avrebbe pregiudicato per sempre quel poco che rimaneva della loro amicizia.
Sebbene fosse notte, per non rischiare di finire imbottigliati nel traffico o peggio circondati da un’orda di fan impazzite, dovettero fare un giro lunghissimo prima di entrare nel parcheggio sotterraneo da una viuzza laterale, e questo certo non migliorò l’umore già alle stelle dei due ragazzi.
In quegli interminabili minuti, l’unico rumore che si sentiva era quello dei loro respiri.
Shinichi, snervato da quella situazione, scese così di fretta che rischiò di chiudere la porta con tale forza da rompere il braccio a Nobu che stava scendendo svogliatamente dal veicolo.
Fortunatamente questi ebbe la prontezza di riflessi necessaria per fermare la porta scorrevole con il palmo della mano e scendere indenne; per poi inseguire il suo amico che stava già scomparendo dietro a quelle semichiuse dell’ascensore.
Siccome aveva dovuto praticamente tuffarcisi dentro si schiantò nello specchio slogandosi la clavicola.(era: si spatasciò sullo specchio sgarruppandosi la clavicola.) Stava quasi per rimbalzare all’indietro quando fu fermato prontamente da Shin che lo prese per la vita, e questo gli evitò un’ulteriore caduta sul pavimento di quell’enorme ascensore.
In compenso si ritrovò tutto il dolce peso di Nobuo sul groppone. Non che questo andasse totalmente a suo svantaggio…Nel momento in cui l’aveva “acchiappato”, il cappotto gli era sceso lungo le braccia fino ad arrivare al livello dei gomiti; denudando quindi il collo e quella parte di spalle e di torace che i primi bottoni aperti della camicia lasciavano intravedere. Shin dovette fare ricorso a tutta la sua buona volontà per non saltargli addosso.
Perciò non appena Nobu riacquistò l’equilibrio lo lasciò andare immediatamente, allontanandolo manco fosse stato un lebbroso.
Concentrò il suo sguardo sull’interessantissima pulsantiera lampeggiante, la quale annunciava che ormai stavano per arrivare al settimo piano, dove si trovava la sua camera…La 717.
Nobu non disse nulla, ma si lasciò scappare un sospiro quasi esasperato, dando le spalle a Shinichi fino a che non si aprirono le porte dell’ascensore.
Uscendo gli scompigliò bonariamente i capelli, che ricadevano liberi lungo i suoi splendidi lineamenti, con un sorriso che avrebbe sciolto perfino i ghiacci del Polo, mormorandogli ad un millimetro dall’orecchio: “A quanto pare non sono l’unico a cercare di fuggire, mh?”
Shin avrebbe voluto saltargli al collo e dimenticare ogni pudore per ringraziarlo di quello straordinario sorriso, che dopo tanti anni tornava ad illuminargli il volto; ma la parte razionale ebbe nuovamente il sopravvento su di lui.
Era rimasto paralizzato dalla sua incapacità di agire.
Le sue gambe tremavano, ed il suo cuore batteva come un forsennato contro la gabbia toracica. Peggio di un adolescente alla sua prima cotta. Forse perché quella “stagione” della sua vita l’aveva voluta trasformare immediatamente in qualcosa d’innaturale, una prematura maturità. A quindici anni era già un adulto; ma essersi negato allora la sua gioventù aveva fatto sì che provasse il desiderio di viverla adesso, fuori tempo massimo. Ora che poteva permettersi tutto ciò che voleva, bramava l’irrecuperabile.
Aver fretta di esser grande, e poi voler tornare indietro…Quando non si può. (sì lo so che sono parole del Liga ^_^ NdA14)
Per non rimanere lì impalato come un fesso vicino al suo amico, perdendo per sempre la sua reputazione d’uomo vissuto che ignorava il significato della parola “imbarazzo”; corse verso la porta della camera a perdifiato, con Nobu che lo seguiva poco distante.
Occupato com’era a correre, non si accorse del rumore di tacchi che si sentiva poco distante, e appena girato l’angolo per imboccare il corridoio che l’avrebbe condotto alla sua camera cadde rovinosamente contro un’ignara ragazza che stava tranquillamente camminando.
Subito si rialzò, e facendo ricorso a tutta la galanteria che aveva imparato nel quel periodo in cui era stato uno pseudo-gigolò porse la mano alla giovane con un sorriso scintillante, che tuttavia si spense non appena scorse le iridi violette della ragazza.
Si trattava della nipote di quell’antipatico vecchiaccio che alloggiava nella 718. Era una modella piuttosto famosa, tanto che Shinichi l’aveva incontrata più di una volta, soprattutto in città famose per la moda come Londra, Parigi, New York e Milano.
La sua bellezza andava oltre ogni umana immaginazione, tanto che non sembrava neanche appartenere a questo mondo. Aveva lunghi capelli neri, leggermente ondulati, che le arrivano fino alle spalle. La pelle era chiarissima, quasi come quella di una bambola di porcellana. Aveva le mani affusolate, con dita lunghe ed unghie ben curate e dipinte con una finissima patina di smalto. Non c’era qualcosa in lei che fosse imperfetto, né il naso piccolo e diritto né le labbra sottili… Neanche i piedi, né troppo piccoli né troppo grandi.
Il suo fisico poi, era davvero invidiabile. Alta e slanciata, con delle gambe lunghissime e diritte, il ventre piatto ed il seno formoso ma non eccessivamente prosperoso; stava divinamente con qualsiasi cosa si mettesse addosso.
Ciò che di più straordinario c’era in lei erano quei due occhi color ametista, capaci di stregarti non appena incrociavi il loro sguardo.
Per di più era quella che si definiva una ragazza “dalle buone maniere”, molto elegante e attenta al galateo. Non c’era azione in cui non mostrasse tutta la sua innegabile eleganza.
Inoltre aveva anche una voce dolce e calda, ed una volta ascoltatala difficilmente si poteva fare a meno di restare ipnotizzato dalla sua cadenza ritmica e melodica, che tanto rassomigliava a quella di sua madre quando lo cullava per farlo calmare nelle notti di temporale.
N’era rimasto così affascinato che per svariato tempo si era lasciato usare, correndo da lei come un cagnolino ogni volta che lo chiamava, rischiando svariate volte di rompere con il suo gruppo per farla felice.
Allora non sentiva il retrogusto mellifluo che avevano le sue parole, faceva finta di non vedere le sue espressioni crudelmente derisorie; passivamente chiudeva gli occhi e affidava il suo cuore ad una donna che l’aveva sempre e solo considerato alla stregua di un giocattolo né più né meno.

-I always said that I was gonna make it,
Now it's plain for everyone to see,
But this game I'm in don't take no prisoners,
Just casualties,
I know that everything is gonna change,
Even the friends I knew before me go,
But this dream is the life I've been searching for,
Started believing that I was the greatest,
My life was never gonna be the same,
Cause with the money came a different status,
That's when things change,
Now I'm too concerned with all the things I own,
Blinded by all the pretty girls I see,
I'm beginning to lose my integrity-

Il bello era che dopo averlo sfruttato come meglio credeva, ed averlo lasciato al suo destino andava a gridare a quattro venti che Shinichi Okazaki era il più gran bastardo del mondo. Che quando stavano insieme la picchiava (semmai era lei a non perdere occasione per avvilirlo), andava con altre donne (perché lei invece che si portava a letto anche più di un uomo per volta poteva permettersi di criticarlo) e la sputtanava in giro con un ghigno malefico degno del peggior stronzo della terra.(sì perché dopo aver perso tutto quel tempo dietro ad una del genere avrebbe anche dovuto passare le sue giornate a parlare male di lei, no?)
Comprensibile che suo nonno non l’avesse in simpatia. D’altronde quei due si assomigliavano moltissimo nella loro amabile acidità, con quella bella lingua biforcuta…Sempre pronti a sputare sentenze, dall’alto della loro famiglia perfetta che ricordava in maniera impressionante la sua, ma in un certo modo perfino peggiore nella finzione e nella profonda malvagità dei suoi componenti che si nascondevano dietro alla loro fama di persone perbene.
La verità era che lei, Raziel von Luzern, godeva enormemente nel vedere le persone strisciare adoranti ai suoi piedi, e poterli schiacciare sotto i suoi tacchi a spillo. Per lei non c’era niente di più appagante che osservare sadicamente le persone soffrire e compiacersi nel sapere che era lei la causa delle loro pene.
Quello che rendeva quell’incontro insopportabile a Shinichi, era che gli occhi del SUO Nobu sembravano essersi incollati a quelli della “simpaticona”. E lei lo guardava come un serpente guarda un povero e innocente topolino.
“Non mi presenti il tuo amico, Shin-kun?” chiese svenevole, porgendo la mano a Nobuo che ancora era perso nella sua contemplazione.
“Perché dovrei presentargli una vipera come te? E poi penso che siate entrambi maggiorenni e vaccinati e quindi possiate anche fare conoscenza da soli, senza farmi assistere a questo penoso spettacolo.” Rispose Shin schiaffeggiando con violenza la mano di Raziel.
L’ex-chitarrista dei Blast, che più passava il tempo meno capiva cosa stesse succedendo (e questo l’irritava enormemente, quasi più di aver sentito “Shin-kun” uscire dalle labbra di una donna bella come quella che aveva davanti) scansò Shinichi dandogli una gomitata alla spalla, per poi tendere la mano verso quella della donna.
“Piacere, Nobuo Terashima” disse, stringendo quella mano aggraziata e sottile con uno dei suoi sorrisi migliori.
“Piacere mio, Raziel Lilith von Luzern. E’ così tu saresti l’amichetto che Shinichi ha sempre sognato di portarsi a letto, non è così?” replicò lei, stringendo la presa sulla mano tanto da ferirla con le sue lunghe unghie.
Shin avrebbe voluto sotterrarsi dalla vergogna, o che gli fosse caduto un meteorite in testa in quell’esatto istante. Insomma qualcosa che gli evitasse quella situazione insostenibile. Voleva scappare ma le sue gambe non si muovevano…Sentiva solamente le guance imporporarsi, le mani stringersi convulsamente in due pugni, le lacrime che prepotentemente cercavano di scendere dai suoi occhi e un caldo insopportabile. Caldo, sempre più caldo. E difficoltà a respirare tra i singulti.
Nobu d’altra parte era sconvolto dalle parole di quella ragazza. Non aveva mai pensato, né tantomeno osato credere, che il suo amico avesse certe mire su di lui. Allora per lui non era altro che un altro “compagno di letto”? Lui che lo riteneva il suo miglior amico…Lo aveva ingannato fino ad ora.
Shin non aveva altri obiettivi che scoparselo. Era questa la verità?
Se non lo era, allora perché Shinichi non negava? Perché rimaneva lì fermo come se gli fosse piombato addosso il giudizio universale?
La mano di Raziel si slacciò dalla sua, appoggiandosi sulla spalla. “Non trovi affascinante che le persone di cui credevi di poterti fidare, di cui avevi stima, si rivelino essere più vili dei tuoi peggiori nemici?Che quello che ti spacciano per amicizia sia solo una bieca via per ottenere i loro scopi ed approfittare di te?” asserì in tono melodrammatico.
Poi rivolgendosi verso il suo ex-fidanzato “E allora dimmi, Shinichi, in cosa siamo tanto diversi io e te?”
Il giovane si passò le mani nelle ciocche argentate, come a cercare di coprire i suoi occhi dallo sguardo penetrante di Nobu, dal quale traspariva un certo disgusto (o almeno lui lo interpretava come tale).
“Che io sono capace di provare amore e affetto, a differenza di qualcun altro qui presente.” Trovò il coraggio di dire prima di proseguire speditamente oltre Raziel, diretto verso la sua camera. Era così nervoso ed agitato, che la chiave gli tremava tra le mani e non riusciva a farla entrare nella serratura.
“Non si può certo dire che ti manchi il talento retorico, Shinichi.” Disse ancora la giovane, avvicinandosi a lui. “Vorrei proprio vedere come convincerai il tuo amichetto che sei il povero martire dei miei malefici inganni…” sussurrò sfiorandogli la guancia con le sue unghie affilate. “Grande amico che sei se lo credi così ingenuo, non è vero Nobu?” aggiunse infine prima di entrare nella stanza attigua a quella di Shin, e scomparire dietro alla porta chiusa della camera 718.
Con la dipartita di Raziel, c’era una tensione tra i due che si poteva tagliare con il coltello.
Era mai possibile che non potessero avere un attimo di pace? Forse si era illusi di poter ricreare quel rapporto d’amicizia dopo che tutto era cambiato. E questa era la punizione per aver creduto in un sogno.
Riuscì ad aprire la porta della camera, dopo non pochi tentativi ed essersi addirittura graffiato con la chiave.
Entrò e rimase basito.
Si maledisse mentalmente per aver dimenticato la finestra aperta. Una folata di vento aveva sparso per Praga parecchi dei fogli su cui aveva abbozzato le canzoni per il nuovo album. Mesi di lavoro, letteralmente andati a carte quarantotto. E dire che le aveva scritte su carta perché sul pc aveva paura che si potessero danneggiare i file!
Ci rimase talmente male che le gambe non lo ressero, e rischiò di cadere a terra come un sacco di patate se non che venne preso appena in tempo da Nobu.
“Ti dovevo un salvataggio.” Disse Nobu aiutandolo a sedersi sul letto.
“Grazie.” Sussurrò l’altro sdraiandosi e prendendo una sigaretta dal pacchetto sul comodino vicino a lui.
“Che cos’erano quei fogli? Le tue canzoni?” chiese il biondino curioso. Era meglio tenersi su argomenti neutri. Tanto il chiarimento sarebbe arrivato comunque, quindi perché torturarsi pensando a quelle che potevano benissimo essere cattiveria gratuite?
“Già. Davvero niente di che…Sfortunatamente sono l’unico del gruppo che sappia scrivere melodie decenti. Ma niente a che vedere con le canzoni che scrivevate tu e Ren.” Replicò Shinichi con una nota di rammarico nella voce. “Solitamente ce le facciamo scrivere da altri musicisti e ci limitiamo a cantarle e suonarle.”
Nobuo si lasciò cadere su un fianco, sdraiandosi vicino a Shin e puntellandosi su un gomito gli scostò le ciocche di capelli argentati da davanti agli occhi.
“Si sente la mia mancanza, eh?” insinuò con un sorriso malizioso.
“Certo. Tu sì che ne hai di talento, ne hai a palate…” rispose Shin prendendo quelle dita che si attardavano sulla sua fronte e portandosele alla bocca.
Nobu si tirò indietro, cadendo dal letto. “SHINICHI! Che pensi di fare? E pretendi anche che io ti creda? Se ti comporti come un pervertito, dimmi perché non dovrei credere che fai ti stai inventando una serie assurda di complimenti solo per portarmi a letto?”
Shinichi non si scompose minimamente. “Se preferisci credere a lei piuttosto che a me…Penso proprio che ci siamo detti tutto quello che c’era da dire.”
L’altro ragazzo non si rassegnò, e rialzandosi prese Shinichi per il colletto della camicia costringendolo ad alzarsi. In preda ad una rabbia incontrollabile, lo sbatté contro il muro.
“Dillo che mi stai prendendo in giro! Non sei forse stato tu a dire che non volevi più suonare nei Blast perché il sottoscritto non sapeva né suonare la chitarra né tantomeno comporre melodie orecchiabili. Com’è che adesso mi sono trasformato nel nuovo Sid Vicious?”
“Ma allora non hai capito niente di me! NIENTE! Non l’ hai capito che l’ ho fatto per punzecchiarti? Eri pressoché un ameba, ed io ho cercato di stimolare una reazione in te! Scusa tanto se mi sono preoccupato, ed ho cercato di aiutarti a modo mio!” gridò rabbioso Shin, allontanandolo in malo modo.
Nobu si aggrappò disperatamente al suo amico, stringendolo in un abbraccio che sembrava quasi una morsa tanto era soffocante.
“Perché non riesco a crederti? PERCHE’?” urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. Una nuova ferita bruciava nel suo cuore.
Perché doveva essere tutto così dannatamente difficile?
Perché?

- Sometimes in life you feel the fight is over,
And it seems as though the writings on the wall,
Superstar you finally made it,
But once your picture becomes tainted,
It's what they call,
The rise and fall-




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