Disclaimers: la storia ed i personaggi sono una mia non molto originale invenzione avverto inoltre che questa è più o meno la mia prima fic e quel che è peggio potrebbe anche non essere l’ultima^^ i commenti saranno graditi, gli insulti un po’ meno, fate voi

Bunny^.^cat

 

Thank You

parte III

di Bunny Cat



I hope you’re well and what you’ve done is right / oh it’s been such hell,

I wish you well, I hope you’re safe tonight / it’s been a long day coming and long

will it last / when it’s day leaving, and I’m helping it pass / by loving you more

  captives

 

Christian aveva detto che si sarebbero rivisti il giorno dopo.

Ma a scuola non si presentò.

Miki continuava a guardare il suo posto vuoto e sentiva che l’inquietudine lo stava assalendo.

Lo aspettò inutilmente tutta la mattina. Più le ore passavano e più i ricordi felici dei giorni trascorsi insieme si affievolivano.

C’erano solo due possibilità per spiegare la sua assenza.

O non lo voleva più vedere.

Oppure gli era successo qualcosa.

Miki non sapeva proprio quale augurarsi. Anzi lo sapeva, l’importante era che stesse bene. Al resto avrebbe pensato dopo. Gli aveva già fatto cambiare idea una volta, poteva ancora riconquistarlo. Certo, sempre che tornasse, però.

Le ore di lezione gli sembrarono interminabili, non seguì una parola, né dei professori, né dei compagni. Non capiva più nulla. Almeno si fosse potuto accendere una sigaretta. Ma in classe non poteva assolutamente farlo.

 

- Sei un po’ pallido, sicuro di star bene? – Miki non rispose subito, sembrò far fatica a mettere a fuoco il viso della ragazza che gli si era rivolta.

- Mh, sto bene, sì -

- Non si direbbe, hai una faccia…forse dovresti mangiare qualcosa -

- No, no, non ho fame. E’ solo colpa di queste pallosissime lezioni. Sono proprio stanco di non-studiare – si sforzò di farle un sorrisetto ironico, ma ne venne fuori più una smorfia.

- Scusa, non volevo farmi gli affari tuoi. Soltanto non ho potuto non notare la tua brutta cera. E poi… non c’è neanche Christian -

- E questo cosa cazzo c’entra! – le parole gli uscirono dalla bocca quasi strozzate. Il suo volto doveva essersi sbiancato ancora di più a sentire quel nome.

- Non ti arrabbiare. Ho pensato che aveste litigato. Ultimamente mi era sembrato che foste diventati amici. Ma forse lui non si è comportato bene con te -

- Non capisco di cosa tu stia parlando... – stavolta le rispose con un filo di voce.

- Ho visto che lui ti piace. Si vede da come lo guardi, sempre da lontano e stando attento che nessuno se ne accorga -

- No ti sbagli. Lui non mi piace e non siamo neanche amici. Può darsi che lo abbia guardato qualche volta. Ma solo perché è carino. Punto e basta, la cosa non lo coinvolge per niente. Chiaro? -

- Chiaro. Ma non ti credo. Comunque non hai nulla di cui preoccuparti. Non lo vado certo a dire in giro. Puoi fidarti di me. Vorrei esserti amica -

- E perché? Non sono certo un tipo molto popolare, qui nella scuola -

- Sì che lo sei. Solo che non te ne sei mai accorto. Ci sono un sacco di ragazze che hanno una cotta per te. E ci sono anche molte ragazze che come me non mandano giù il modo in cui gli altri ragazzi ti trattano. Quindi, ti ripeto di me ti puoi fidare -

Miki non sapeva che dire. Si era tenuto così alla larga dalle persone che non aveva mai pensato di poter restare simpatico a qualcuno. O addirittura di piacere a qualcuno.

- Ti chiami Marianne, vero? -

- Sì. Molto onorata che tu conosca il mio nome -

- Beh, grazie per le tue attenzioni, ma ti posso assicurare che sto benissimo e non ho alcun problema sentimentale. Probabilmente ne ho uno allo stomaco – gli fece l’occhiolino, un po’ di colore intanto gli stava tornando sulle guance.

- Mh, sarà così…però se scopro che Christian ti ha fatto qualcosa, gli vado a fare un discorsetto io -

- Che cosa? Non pensar… -

- Tranquillo. Lo lascio in pace. Scherzavo. Però vi controllo, ok? Comunque mi sembra impossibile che lui ti abbia trattato male. E’ un bravo ragazzo. Anche lui mi piace molto -

- Sei una tipa un po’ strana, lo sai? -

- Sì, me lo dicono in molti. Ma anche tu non scherzi, vero? – gli dette un buffetto sulla testa e lo lasciò così, a bocca aperta per lo stupore.  

 

 

Al termine delle lezioni Miki non riusciva ancora a credere che Christian non fosse venuto. Come suonò la campanella prese il suo zaino e guadagnò velocemente l’uscita della scuola. Doveva assolutamente scoprire che cosa gli fosse successo e se davvero non lo voleva più vedere. Sapeva dove abitava. Non era mai entrato in casa sua, però c’era passato davanti diverse volte.

Era rimasto colpito dalla trascuratezza dell’edificio che sembrava vecchio e abbandonato a sé, i muri piuttosto rovinati, le scale esterne arrugginite e pericolanti, il giardino pieno di erbacce e arbusti che invadevano la veranda germogliando nei solchi fra le logore mattonelle. Le finestre erano chiuse. Non si sentiva alcun rumore provenire dall’interno della casa. Suonò più volte il campanello, ma non ci fu nessuna risposta. Rimase lì impalato, di fronte alla porta sprangata, incapace anche solo di fare un passo. Avrebbe aspettato che qualcuno rientrasse, non aveva nessuna intenzione di andarsene senza scoprire la verità. Non temeva più le conseguenze, gli insulti o le delusioni che lo aspettavano. L’unica cosa veramente importante per lui era di rivedere Christian, anche solo per un secondo, anche se per l’ultima volta.

- Che fai, ragazzo? Non c’è più nessuno in quella casa -

Miki si voltò e vide un’anziana nello stradello di fianco a lui.

- Li hanno portati tutti via. E’ stata la polizia. C’erano anche degli assistenti sociali. Hanno fatto una gran confusione. Il padre era ubriaco, urlava come un pazzo, pare che il figlio maggiore l’avesse rinchiuso in una stanza. Ancora poco e la buttava giù la porta, per fortuna che i poliziotti erano già arrivati -

- Che cosa? Non capisco di chi sta parlando? – Miki non poteva credere a una cosa simile.

- Ma della famiglia, beh sempre che si possa definire così, che abita in questa casa. Non sei qui per qualcuno di loro? -

- Il figlio maggiore si chiama forse Christian? – la voce gli tremava, sperava ancora nella possibilità di un errore.

- Sì, mi sembra che sia quello il nome. E’ un ragazzo tanto carino ed educato, sfortuna che si ritrovi con un padre del genere -

Allora le cose stavano così. Era questo il grande segreto di Christian. Non era però il momento di mettersi a pensare a tutto ciò. Lo avrebbe fatto più tardi, al momento c’era solo una cosa importante da chiedere - Sa dove li hanno portati? sono un amico, non lo dirò a nessuno, può stare tranquilla -

- No, mi spiace, non ho la minima idea di dove siano finiti. Probabilmente in qualche istituto -

No, non potevano andare così le cose, doveva esserci un modo per rintracciarlo.

- La prego, mi dica se hanno altri parenti o se c’è qualcun altro che può sapere, è molto importante per me, la scongiuro -

- No, no, non so altro davvero. Qui nessuno li conosce bene, fanno vita molto appartata e poi con un padre così tutti si tenevano piuttosto alla larga. Ora devo andare. Non pensare troppo a loro. Sicuramente adesso stanno meglio -

 - Aspetti, ci deve essere un modo per… - ma l’anziana aveva già varcato l’uscio della sua casa sparendoci dietro.

Miki si guardò intorno, non c’era anima viva, nessuno a cui chiedere aiuto. Provò a bussare ad altre porte, ma o non ebbe risposta o fu trattato molto male. La famiglia di Christian non era molto amata dai vicini e nessuno si era interessato a quanto era successo il giorno prima. Anzi sembravano tutti ben felici che se ne fossero andati via.

 

Fu costretto a tornarsene a casa.

Provava un senso di impotenza talmente grande che non riusciva neanche a piangere. Non voleva arrendersi, ma ormai cos’altro poteva fare?

Almeno sapeva che Christian stava bene ed era al sicuro.

Però era stato costretto a lasciare la sua casa e anche la scuola, sicuramente stava soffrendo per tutto questo, non era giusto, lui non aveva fatto nulla di male.

E poi, finire in un istituto, al solo pensiero Miki provava un’angoscia lacerante, non poteva evitare di chiedersi se lo avrebbero trattato bene, se il posto fosse pulito e accogliente, oppure freddo e inospitale. E poi…si domandava se lì si sarebbe ricordato di lui, dei momenti passati insieme a parlare, a giocare, a studiare, a far l’amore. Forse tutto ciò gli sarebbe apparso molto lontano, forse già stava pensando ad altro, ai suoi veri problemi, alla sua nuova vita.

Senza di lui.

Sentiva di essere un grande egoista, ma era proprio questo pensiero quello che lo faceva soffrire di più. Non riusciva ad accettare che lo potesse dimenticare.

Ormai era troppo innamorato di Christian.

Ma forse non era giusto causargli altri problemi ricordandogli la loro storia.

Tuttavia non voleva perderlo, non in simili circostanze, e poi avrebbe voluto essergli vicino almeno come amico, in fondo soltanto con lui aveva cominciato ad aprirsi, non gli aveva rivelato il suo segreto, ma non glielo aveva neanche nascosto.

Certo, poteva fare tutte le considerazioni possibili, ma restava il fatto che non era in grado di raggiungerlo e quindi non poteva offrirgli né il suo amore, né la sua amicizia o qualunque cosa avesse voluto.

Christian però aveva il suo numero di telefono.

Avrebbe potuto chiamarlo in qualsiasi momento. Non restava che aspettare. E questa sarebbe stata la parte più dura. Aspettare. Senza sapere se la telefonata sarebbe mai arrivata.

Miki si sdraiò sul letto, mise il suo cordeless sul comodino, chiuse gli occhi e comiciò ad aspettare.

- Ti prego chiama, ti prego, ti prego…Christian -  

 

 

Trascorse una settimana d’inferno. La mattina non ce la faceva ad alzarsi dal letto, era troppo stanco, la notte praticamente non chiudeva occhio. Si sforzava di andare a scuola solo perché lì gli sembrava più probabile di vederselo riapparire di fronte. Aspettava con impazienza il momento dell’appello, senza mai perder d’occhio la porta, i professori leggevano la lista dei nomi e Miki tratteneva il fiato, fino al punto che sapeva, poi quando il nome fatidico veniva letto aspettava tutti i lunghissimi cinque secondi di silenzio che seguivano. Dopo, sapeva che la sua nuova giornata senza Christian aveva inizio.

In una sola settimana i suoi voti peggiorarono ancora. Delle lezioni e dei compiti non gliene importava nulla, rispose male ad un professore che lo aveva ripreso per la sua mancanza di attenzione e per questo finì in direzione. Non era la prima volta che gli capitava di venir spedito dal preside, ma le altre volte c’era finito a causa dei suoi voti insufficienti, oppure per qualche brutto scherzo organizzato dai compagni non proprio “gay-friendly”. Questa era la prima volta che ci finiva per indisciplina. 

Il preside non fu troppo duro con lui. In fondo sapeva che per Miki la scuola non era facile. Dopo avergli fatto la ramanzina per il suo pessimo comportamento, lo esortò a impegnarsi per terminare gli studi.

– In definitiva si tratta di tener duro solo per un altro anno -  e si raccomandò anche che avesse più cura di sé – Hai un’aria molto sciupata, sei troppo magro e pallido. Non vuoi andare in infermeria? dovresti alimentarti meglio, non avrai di nuovo qualche problema con il cibo? Se fosse così lo sai che mi vedrei costretto a chiamare lo psicologo e anche i tuoi genitori –

- No, signore. Le posso assicurare che non ci sono affatto ricaduto. Può stare tranquillo. Mi impegnerò di più nello studio, ma non chiami i miei, la prego. Sono fuori città per lavoro e si arrabbierebbero moltissimo -

- D’accordo, aspetterò una settimana, ma se le tue condizioni non migliorano dovrò prendere dei provvedimenti. Ora puoi andare -

 

Mentre faceva ritorno a casa, ripensò a quanto il preside gli aveva detto. Forse non era vero che aveva risolto i suoi problemi col cibo. In quella settimana, da quando Christian era scomparso, non aveva mangiato quasi nulla.

Che ci stesse per ricadere? Anche l’ultima volta lo aveva fatto per amore.

Ma al confronto non aveva sofferto così tanto.

Era molto debole, quindi la sua “malattia” poteva prendere di nuovo il sopravvento.

E probabilmente era già successo, mentre la guardia era abbassata.

Bene, lo attendevano un inferno dietro l’altro. Ma ormai che importava?

Non gli restava che aspettare, da solo.

Allora meglio farlo con la compagna di sempre. La fame.

Soltanto lei in definitiva non lo aveva mai abbandonato.

 

 

Domenica. E dopo, un’altra schifosa, fottutissima, nuova settimana.

Era a letto. Praticamente non si alzava da almeno 24 ore. E ancora non aveva nessunissima intenzione di farlo. Al solito il vicino del piano di sopra aveva messo su un disco di musica classica. Le quattro stagioni di Vivaldi. Era già alla Caccia. Bellissima. Seguiva la musica, cercando finalmente di non pensare ad altro, lasciandosi riempire solo da quelle note, da quelle sensazioni, da quei colori autunnali. Con gli occhi chiusi si sentiva trascinato via dal suono degli archi, finalmente un po’ di vita e di calore riuscivano a penetrare nella sua anima, come un piccolo sole in mezzo a molte nubi grigie.

Quando il pezzo finì, la malinconia dell’Inverno lo trasportò verso altre sensazioni, più dolorose, più reali. Pian piano tornò al presente, ai soliti pensieri, al solito squallore.

Ma c’era un rumore. Non se ne era accorto finché aveva seguito l’allegro della melodia, poi l’aveva recepito come un fastidio e l’aveva ignorato. Ma il rumore era insistente. Veniva dalla porta. Qualcuno suonava il suo campanello. Domenica mattina. Potevano essere solo scocciatori. In genere faceva finta di non essere in casa. Ma stavolta il suono era troppo insistente. Chiunque fosse non aveva intenzione di arrendersi tanto facilmente. Probabilmente aveva visto le finestre aperte che la sera prima aveva dimenticato di chiudere.

Si decise ad alzarsi.

Andò nell’ingresso e fece scattare la serratura della porta. La aprì senza alcuna esitazione.

- Si può sapere che cazzo… - le parole gli morirono in bocca. Davanti a lui c’erano due stupendi occhi neri che lo fissavano con grandissimo stupore – Perché ci hai messo tanto ad aprire? -

- Christian? – sentì che le gambe non lo reggevano più, fece a tempo ad aggrapparsi alla porta per non cadere.

- Cos’hai Miki? Non ti senti bene? – d’istinto lo afferrò per la vita e facendolo appoggiare a sé lo fece rientrare in casa.

Il cuore di Miki batteva talmente forte da fargli male. Non riusciva a credere che gli fosse accanto, che lo abbracciasse. Anche se lo stringeva, quel contatto non gli pareva una cosa reale, forse era solo frutto della sua fantasia. Neanche nei suoi sogni era arrivato a tanto, ad immaginarselo di nuovo lì a casa con lui. E invece era venuto, spontaneamente, senza bisogno di suppliche o di preghiere. Non lo aveva dimenticato. E questo aveva davvero dell’incredibile.

Avrebbe voluto manifestargli tutta la gioia che sentiva nel cuore, mostrargli la sua felicità nel rivederlo, ma non ce la faceva a parlare. Tremava come una foglia, si sentiva terribilmente debole e stanco, l’unica cosa che riusciva a fare era di aggrapparsi a Christian più forte che poteva e trarre da lui quel calore che ormai mancava al suo corpo.

- Miki, che ti succede? Vuoi rispondermi? Sei così freddo e pallido -

- No, non ti preoccupare ora starò bene, basta che mi stringi un altro po’, mi sei mancato tanto. Sono stato molto in pensiero per te -

- Lo vedo. Guarda come ti sei ridotto – gli sollevò il viso per costringerlo a guardarlo negli occhi.

- Sei dimagrito – lo disse con durezza, come a fargli un tacito rimprovero.

Lo sollevò con estrema facilità (era davvero leggero) e lo adagiò sul divano. Continuò a fissarlo aspettando da lui qualche spiegazione. Che strano, inspiegabilmente le parti si erano rovesciate: si sarebbe aspettato una pioggia di domande e di rimproveri da parte di Miki che invece continuava a non dirgli niente, il volto fisso a terra, gli occhi rossi, le labbra sigillate.

- Non ti sarai ridotto così per me, vero Miki? Avresti fatto malissimo. Non posso stare a preoccuparmi anche di te – forse le parole erano un po’ dure, ma in quel momento gli sembrò necessario provocargli una qualche reazione.

- Perdonami, non volevo, ti giuro. Avevo una gran voglia di rivederti. Non riesco ancora a credere che sia venuto tu da me. Grazie. Non lo dimenticherò mai – affondò il viso nella spalla destra di Christian e lasciò che due calde lacrime scendessero dai suoi occhi arrossati.

- Non devi piangere, ok? Guarda che quello nei casini sono io! Non mi sei molto d’aiuto così -

- Sì, lo so. Sono uno schifoso egoista. Mi odio da morire. Però tu non farlo. Almeno non adesso -

- Ehi, guarda che non sono mica arrabbiato con te. E’ solo che anche tu mi hai fatto prendere un bello spavento, stupido – lo strinse a sé più forte ancora e con una mano gli carezzò la schiena, molto dolcemente, come a volte aveva fatto con i fratelli quando erano spaventati. Quando lo sentì più calmo, si staccò un poco e tornò a prendere il suo viso fra le mani.

- Come vanno i tuoi voti? Scommetto che a scuola hai fatto qualche cazzata -

- Guarda che i miei voti non sono affari tuoi! E poi lo sai che non me ne frega nulla della scuola – era arrossito, un po’ contrariato dalla stupida domanda, ma al tempo stesso felice che fossero tornati al tono e ai bisticci di sempre. Allungò una mano verso Christian  e gli scompigliò i capelli tanto per farlo un po’ incazzare.

- Stronzo. Così impari a prendermi in giro -

- Ho detto solo la verità, che sei un asino, carino, ma scemo -

- Vaffanculo, sapientone – lo prese per il collo della maglietta e lo trascinò giù, sopra di sé, per riassaporare di nuovo il contatto tanto caldo dei loro corpi, per unire di nuovo le loro bocche in uno di quei baci che gli erano terribilmente mancati.

- Adesso zitto. Facciamo altro -

Dischiuse le labbra per poi riunirle e sigillarle a quelle di Christian. Si lasciò subito invadere con gioia dalla sua lingua e le lasciò piena libertà di esplorare, di assaggiare e di gustare la sua bocca come e quanto voleva.

Si baciarono per un tempo lunghissimo, quasi a recuperare tutte le occasioni perdute in quei giorni di separazione e quando si staccarono un poco per riprendere fiato Miki aveva ancora il cuore a mille, ma stavolta non per l’emozione o per la debolezza, ma per la felicità che le cose tra di loro fossero di nuovo come prima.

Rimasero abbracciati a fissarsi per un lunghissimo tempo.

- Tu stai bene, vero? Se non vuoi parlarmene non importa. Sei libero di fare o dire tutto quello che ti senti, oppure se preferisci sei libero di non dirmi niente -

- Se per te va bene lo stesso, per il momento preferirei non parlarne. E’ stata una settimana di merda. L’istituto già lo odio e la scuola mi manca da morire -

- Mi dispiace, mi dispiace molto – gli prese la mano destra con la sua sinistra, ci intrecciò le dita e gliela strinse forte.

- Se tu volessi a casa mia c’è tanto posto e a me piacerebbe da morire averti con me -

- No, non posso lasciare da soli i miei fratelli, loro sono la mia vera famiglia e poi non credo che i tuoi sarebbero contenti di trovarmi qui al loro rientro -

- Probabilmente manco se ne accorgerebbero, tanto non ci sono quasi mai a casa -

- Non è un motivo sufficiente. E poi gli assistenti sociali mi tengono d’occhio. Devo rigare dritto altrimenti mi separano dai miei fratelli e fanno cadere le accuse contro mio padre. Per questo non potrò vederti fuori della scuola. Non ho detto nulla di noi due allo psicologo, sennò quello col cavolo che mi avrebbe aiutato -

- Ok, non ti preoccupare. Farò attenzione anch’io. Non voglio metterti nei guai. Mi basta sapere che ci vedremo ancora e… che per te conto qualcosa -

- Mh, se non mi fosse importato niente di te non sarei certo venuto qui, anche tu mi sei mancato molto – gli baciò delicatamente la fronte, stringendo un po’ di più la mano intrecciata alla sua.

- Posso chiederti un regalo visto che forse dovremo stare un altro po’ separati? -

- Va bene, se posso accontentarti e se non sei troppo esigente – chissà cosa voleva, conoscendo Miki probabilmente qualche pegno d’amore o dei compiti da copiare.

- Ti va di scoparmi? – era tornato ai suoi soliti modi smaliziati e provocanti.

- Lo sapevo, non sei molto originale. Ma ce la fai, mi sembri un tantino sciupato, ti preferisco più in carne -

Si beccò un pugno nello stomaco come risposta.

- Stronzo. Non mi sembra di essere così debole -

- Sarà. Però prima vorrei mangiare qualcosa se non ti dispiace. E’ da ieri sera che non tocco cibo, per venire qui ho saltato la colazione – non era vero, ma era convinto che fosse Miki a non aver mangiato e da un sacco di tempo.

- Scusami sono un maleducato. Ti cerco subito del cibo commestibile -

- Aspetta ti aiuto io -

Si tirarono su dal divano e andarono in cucina. Ma non trovarono nulla che andasse bene. Era da giorni che Miki non faceva la spesa. Christian fece finta di non essersene accorto.

- Mi dispiace. Devo aver finito tutto ieri sera. Vado a comprare qualcosa. Faccio in un attimo -

- La spesa la facciamo dopo. Mi sono portato dietro due panini, per emergenza. Non sono un granché, ma per ora possiamo accontentarci. Scegli quello che preferisci -

- No, non pensare a me, sei tu quello a digiuno e io sono l’ospite, non posso davvero -

- Guarda che se non lo mangi, niente sesso, capito? E non ci saranno altre occasioni per un bel pezzo -

Miki lo guardò negli occhi per un lunghissimo istante, non disse una parola, aveva capito che l’altro era preoccupato per la sua salute e questo lo commosse nel profondo del suo cuore, perché era Christian quello che avrebbe avuto diritto ad un aiuto, non lui, non lo schifoso egoista che era.

Anche se non aveva alcuna fame prese in mano il panino che gli aveva offerto e facendosi violenza si costrinse a mangiarlo tutto fino all’ultima briciola, ignorando la nausea e il rigetto che sentiva salirgli su dalle viscere.

Lo fece per lui.

Come prova del suo amore.

Perché anche lui voleva essere una persona migliore.

Poi, quando ebbero finito di mangiare e Christian fu sicuro che stesse bene fecero l’amore come aveva promesso a Miki.




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