Questa one-shot ha un enorme debito di riconoscenza verso la fic di Unmei "Ciò che davvero conta": se non l’avessi letta, infatti, non avrei mai conosciuto la leggenda della Bodhisattva Tara e del suo mantra, e non mi sarebbe venuta in mente la trama di questa HanaRu.

Un ringraziamento particolare va ad Unmei per la sua gentilezza e disponibilità.

Un pensiero a Calypso, Greta, Kriss e Ria.


 

Ten Thousand Times

di Nausicaa

 

-oOo-

"Non provare a dire mezza parola!" scattò Yohei, alterato come Hanamichi non lo vedeva da moltissimo tempo.

"Ma…" tentò il numero 10 dello Shohoku.

"Sapevo che prima o poi sarebbe successo…" mormorò l’altro, rivolgendo una lunga occhiata sconsolata allo scooter che agonizzava in mezzo alla strada.

Per fortuna non si erano ancora allontanati dalla loro zona quando il veicolo aveva deciso di emettere quegli strani rumori per poi bloccarsi: a quell’ora, in quel quartiere, non c’era ancora traffico e il loro fuori-programma non aveva recato disturbo alle varie macchine e moto che di solito occupavano la strada, dirette verso il centro di Yokohama o verso il mare.

Era successo che era domenica e che Hanamichi rischiava di arrivare in ritardo agli allenamenti e così aveva costretto il suo migliore amico ad accompagnarlo con lo scooter, facendogli posticipare il consueto raduno domenicale con il resto della Gundan davanti alla sala del Pachinko.

Ma lo scooter aveva già subito una dura prova il giorno prima, quando aveva dovuto trasportare Takamiya, così, in quel primo pomeriggio, gli 83 kg di Sakuragi, che tra l’altro si agitava e gesticolava raccontando degli ingiusti pugni del Gorilla, erano stati fatali.

Per Yohei era stato un durissimo colpo.

Era affezionato a quel catorcio e, anche se ogni giorno metterlo in moto gli procurava il famoso brivido dell’imprevisto, aveva sempre confidato che avrebbe retto una volta di più e poi un’altra ancora…

Ecco perchè aveva avuto quello scatto verso Hanamichi.

E che diavolo, gli aveva chiesto di non agitarsi, di starsene buono e fermo sul sellino! Ma, sorrise pensandolo, dopotutto sapeva che ormai il suo migliore amico non poteva stare calmo quando si parlava di basket: si entusiasmava di un’allegria così autentica da essere contagiosa, sembrava che non si stancasse mai di parlare degli allenamenti, dei suoi progressi, dei compagni di squadra…

Di Rukawa.

Già, di Rukawa… pochi secondi prima di essere scioccato dal borbottio moribondo del suo scooter, Yohei aveva fatto in tempo a sentire distintamente le parole ‘stupida volpe’ e la frase ‘smetterà di ignorarmi’, che potevano entrambe essere riferite soltanto al ragazzo con il caschetto nero…

Quindi, indirettamente, era stato lui la causa dell’alterazione di Hanamichi! Ma, in fondo, non avrebbe dovuto meravigliarsi, ormai era sempre così…

Yohei scosse il capo: non era quella la cosa più importante in quel momento; si guardò intorno, poi dopo essersi orientato disse:

"Qui dietro l’angolo c’è un’officina… la conosco, già una volta mi hanno saputo riparare bene lo scooter! Io adesso porto questa specie di cadavere meccanico là, ma tu intanto farai meglio ad avviarti allo Shohoku se non vuoi rischiare di beccarti una punizione con i fiocchi per un mega-ritardo" avvertì l’amico, mostrando un volto nuovamente tranquillo e placido e del resto non avrebbe potuto essere altrimenti, perchè Mito non era tipo da rimanere a lungo nervoso, né da tenere il muso a uno dei membri della Gundan troppo a lungo.

Hanamichi, però, non era della stessa opinione: "No, ti aspetto… voglio sapere subito cos’ha lo scooter e poi voglio anche pagare la metà della riparazione. Non è mica la prima volta che capita qualcosa del genere e non è giusto che…".

Yohei lo interruppe, ridacchiando: "Mah… se è per questo, dovrebbe pagare tutto Takamiya allora!" scherzò.

"Be’, non sarebbe mica male come idea! Comunque, ti aspetto… adesso telefonerò ad Ayako per spiegarle che arriverò in ritardo, così magari eviterò l’ennesimo pugno del Gorilla isterico, che poi potrebbe pure fare uno sforzo di comprensione! Dopotutto, sono sicuro che anche lui rimarrebbe con Kogure, in una situazione simile…" spiegò il rossino con decisione, avviandosi verso la cabina telefonica più vicina, a pochi metri di distanza da loro.

Yohei non poté fare altro che annuire, sapendo quanto fosse difficile dissuadere Sakuragi una volta che si era messo in testa qualcosa, così iniziò a trascinare delicatamente lo scooter per farlo arrivare fino all’officina; nel frattempo, Hanamichi fissava dubbioso il telefono davanti a lui, con sprazzi di lampi assassini, in aggiunta, come se avesse qualcosa di personale contro l’apparecchio.

E se…

E se avesse telefonato a Rukawa?

Erano giorni e giorni che desiderava avere una scusa per farlo, che si arrovellava senza trovarla e che si addormentava con, fissa nella mente, l’immagine di una frangetta nera che velava dei bellissimi occhi blu….

Ora ce l’aveva, la scusa.

Ok, un po’ patetica! Effettivamente, a ben guardare, non era entusiasmante l’idea di dovergli dire: "Oi kitsune, volevo chiederti di avvertire il capitano che arriverò in ritardo perché lo scooter di Yohei è morto in mezzo alla strada, lasciandoci appiedati".

Terribile…

Voleva veramente sprecare la sua prima telefonata a quella meravigliosa volpe per un motivo così cretino?!

La risposta era abbastanza ovvia, quindi decise di chiamare Ayako: mentre le spiegava l’accaduto ebbe quasi timore che una delle sue temibili sventagliate potesse raggiungerlo attraverso i cavi telefonici, e invece andò tutto bene; la manager si era rivelata più indulgente del previsto e quindi il rossino aveva abbastanza tempo per raggiungere Yohei all’officina e minacciare il meccanico di rifilargli una testata, se non avesse rimesso a nuovo quel macinino in… facciamo dieci minuti!

Stava per avviarsi, quando notò proprio sul marciapiede di fronte un minimarket, la cui vista lo bloccò all’istante: faceva caldo, ormai era estate, qualche spicciolo in tasca ce l’aveva ed era stufo di dover sempre scroccare ai compagni di squadra qualche sorso di Pocari Sweat… tanto valeva comprare una bottiglietta e portarsela dietro, sicuramente ne avrebbe avuto bisogno durante i massacranti allenamenti di Akagi…

Una volta entrato nel negozio, Hanamichi individuò subito la zona riservata alle bibite (sapeva che prima o poi gli sarebbero tornate utili tutte le chiacchiere di Takamiya sulla disposizione degli alimenti nei vari market…) e si impadronì dell’ultima bottiglietta rimasta di Pocari Sweat; stava poi per raggiungere una delle casse, quando la sua attenzione fu attirata dal settore ‘giornali e riviste’ e in particolare dalla copertina del nuovo numero di ‘Shonen Jump’, che lui non aveva ancora comprato. Lo voleva! Doveva assolutamente sapere come sarebbe finita la partita nella storia sportiva che stava seguendo!! Nell’ultimo capitolo che aveva letto il protagonista si era fatto male, ma aveva deciso di restare in campo, nonostante la gamba fasciata, per aiutare la sua squadra e stare vicino al suo migliore amico…

Un rapido conto mentale e: "Massì, con i soldi ci arrivo…" pensò Hanamichi, con la mano già protesa verso la copertina colorata; stava per prenderla, quando l’occhio gli cadde involontariamente su una rivista dedicata al Giappone: una di quelle che trattavano delle bellezze artistiche e paesaggistiche del Paese, che ogni mese proponevano nuovi itinerari per eventuali viaggi o gite, e in quel mese il dossier principale era dedicato ai templi.

Ora, in altre circostanze dopo la prima occhiata Hanamichi sarebbe tornato a concentrasi sui manga, perché tanto lui e sua madre non avevano tempo di viaggiare: lei era troppo impegnata con il suo lavoro e lui doveva pensare al club di basket e a… ad altre cose, insomma! E poi erano anni che non metteva più piede in un tempio, da quando era bambino e c’era ancora suo padre e i suoi genitori organizzavano gite domenicali per evadere da una quotidianità un po’ spenta e stancante, con il lavoro che facevano…

I templi erano belli: circondati da giardini curatissimi e armoniosi, pieni di profumi e di colori… Ma poi… be’, le cose erano cambiate. Molto cambiate.

Lui e la madre non avevano fatto gite da soli, la domenica ormai la trascorreva con gli amici e non più con i genitori…

Insomma, niente più templi per lui

Ma c’erano delle parole quasi magiche, stampate su quella rivista, che lo avevano attirato subito.

"Il tempio che vi permetterà di realizzare i vostri desideri".

Possibile?

Possibile che un semplice tempio potesse far avverare i suoi… o meglio IL suo desiderio?!

E, soprattutto, possibile che si sentisse così disperato da dover ricorrere anche a quello?!

A quanto pareva sì, pensò Hanamichi, iniziando a sfogliare il giornale fino a trovare l’articolo cercato: vi si parlava del tempio che ospitava la statua della Bodhisattva Tara, della profonda compassione di Tara, che realizzava miracoli per chi ripetesse il suo mantra… ecco, quello era il punto fondamentale: se avesse recitato per diecimila volte il mantra di Tara dopo aver espresso un desiderio positivo, questo sarebbe stato esaudito!!!

Uhm…

Non era sicuro che una cosa del genere potesse effettivamente accadere, però… in fondo, non gli costava niente provare, no? Dopotutto non doveva mica essere difficile recitare diecimila volte un mantra!!! Oddio, magari un po’ lungo e noioso sì, ma se era per una buona, anzi vitale, causa….

Om tare tuttare ture soha.

Quello era il mantra; lo sapeva, avrebbe dovuto comprare la rivista per ricordarselo!

Sembra uno scioglilingua, di sicuro mi sbaglierò!!!

"Hanamichi, ma sei qui? Potevi pure raggiungermi all’officina, no?".

La voce un po’ sorpresa di Yohei colse di sorpresa il numero dieci dello Shohoku, che si voltò di scatto verso l’amico.

"Ah! Sì, ci avevo pensato, però poi… maledizione, non ci arrivo con i soldi!!!" sbottò il rossino, calcolando che gli yen che aveva con sé non sarebbero bastati a pagare la Pocari Sweat, la rivista e ‘Shonen Jump’.

"Scusa, da quando leggi ‘Bel Giappone’?" chiese Yohei, lievemente perplesso, notando finalmente il mensile che il suo migliore amico stringeva fra le mani.

Hanamichi si accigliò: "Che razza di domanda è?! Ho un animo sensibile, io, uno spirito artistico!!! E poi piacerebbe a mia madre- e questo era vero- Yohei, non è che mi presteresti dei soldi?".

"Che cosa?! Ma non ti sei appena offerto di pagare metà della riparazione dello scooter?" a quel punto Mito era davvero senza parole.

"Sì sì, ma oggi sono uscito di casa con pochi spiccioli e…".

"…e allora non comprare ‘Shonen Jump’!" tagliò corto l’amico.

"Nooooo!! In questo numero probabilmente saprò come finirà la partita, sono 120 capitoli che aspetto di saperlo!!! E dai, basterà mettere in conto anche questi soldi!" propose Hanamichi, entusiasmandosi, mentre Yohei sospirava di rassegnazione: "Seeee… ho già capito…".

Naturalmente i soldi vennero prestati e Hanamichi uscì dal minimarket con i suoi tre acquisti; questo sarebbe dovuto essere un buon inizio di pomeriggio, ma sfortunatamente la sosta imprevista aveva ulteriormente aggravato il suo ritardo…

 

"E’ QUESTA L’ORA DI PRESENTARSI?!" tuonò Takenori Akagi, stordendo tutti i presenti della palestra.

"Ma io ho telefonato per avvertire! Mi sono comportato in modo responsabile, come un vero basketman…" protestò Hanamichi, offeso, massaggiandosi la testa colpita dal pugno del Gorilla.

"Questo te lo concedo, ma non basta" insistette Akagi, sovrastandolo con sguardo severo.

A queste parole di rimprovero al rossino saltarono i nervi, cosa che avveniva molto facilmente e che si era accentuata nell’ultimo periodo: "Ok, senti, farò degli allenamenti supplementari dopo, mi fermerò il doppio per quei dannati fondamentali, quindi non rompere oltre!!".

Il secondo pugno del Gorilla fu più veloce del ventaglio di Ayako, che non fece neanche in tempo a sgridarlo per la sua mancanza di rispetto verso il capitano.

"Puoi giurarci che ti fermerai per i fondamentali! Ma il punto è che questa è una squadra e, quindi, dobbiamo allenarci tutti insieme anche per migliorare il gioco di squadra, per essere U-N-I-T-I!!!! E’ chiaro?" precisò Akagi, con uno sguardo truce che lanciò a tutti i compagni, giusto come ammonimento generale…

"Vai a cambiarti adesso, Hanamichi" si intromise Kogure, in tono decisamente più gentile, per porre fine a quella strigliata forse eccessiva.

Kiminobu aveva notato che Hanamichi serrava con forza i pugni mentre ascoltava la breve predica del capitano e non voleva che la discussione si protraesse oltre, perché non avrebbe fatto bene a nessuno.

Il numero 10 dello Shohoku raggiunse a grandi passi lo spogliatoio e ne sbatté violentemente la porta alle sue spalle; detestava essere rimproverato in quel modo!!! Sgridato come se fosse l’ultimo arrivato della squadra!!! Ok, era vero, ma c’era bisogno di rimarcarlo a quel modo?

E, soprattutto, davanti a lui?

Lui era l’unico lui che potesse esserci: Kaede Rukawa.

L’asso dello Shohoku, il bellissimo e irraggiungibile idolo della scuola, il suo personale spirito-volpe che lo tormentava proprio come una kitsune autentica…

Fingere di odiarlo stava diventando sempre più difficile, così come fingere di non amarlo, di non essere attratto da lui: perché lo aveva vicino tutti i giorni, lo vedeva a scuola, agli allenamenti, avvertiva ogni giorno quella corrente che scorreva tra loro…

Inoltre, piccolissimo dettaglio, i suoi pensieri stavano diventando sempre più audaci e questo lo imbarazzava da morire!!!

Anche prima, mentre il Gorilla gli gridava contro, non aveva potuto non guardare di sottecchi Rukawa, che se ne stava in silenzio, un po’ scostato dagli altri…

Quelle labbra imbronciate avrebbe voluto vederle gonfie e arrossate per i suoi baci, ansimanti per le sue carezze…

Quando Akagi aveva urlato che dei compagni di squadra dovevano essere uniti, non aveva potuto impedirsi di far scivolare lo sguardo su quel corpo stupendo e di pensare che era un altro tipo di unione quella che desiderava avere con Kaede….

Insomma, non poteva andare avanti in quel modo: svegliarsi, al mattino, stava diventando sempre più imbarazzante per la reazione fisica che gli procuravano i suoi sogni e, a scuola, a volte temeva di iniziare a perdere sangue dal naso nel bel mezzo di una delle sue discussioni con la volpe!!! Anche poco prima aveva rischiato…

Che poi, fosse stata solo attrazione fisica se ne sarebbe fatto una ragione: dopotutto Kaede era il più bel ragazzo del mondo, chi avrebbe potuto negarlo? Di fronte ad una bellezza come la sua, il fatto che fosse un maschio si rivelava una sottigliezza pedante…

No, non era questo. Lui era proprio innamorato.

Del suo silenzio, della sua introversione, del suo orgoglio, della sua forza, della sua passione per il basket, del musetto che faceva quando qualcosa lo contrariava e dell’espressione un po’ triste che aveva quando pensava che nessuno lo stesse osservando.

Anche sforzandosi, Hanamichi non riusciva a pensare ad un carattere più opposto al suo.

Mi pare giusto che sia andato ad innamorarmi proprio di lui! rimuginò per l’ennesima volta, mentre si infilava la sua canotta nera; già, aveva sempre sospettato di avere una predisposizione spiccata per cercare guai, peccato che troppo spesso capitasse qualcosa per confermarglielo!

Sì, però…

Però non era giusto parlare così, Kaede non era affatto un guaio, anzi… era ciò che di più bello gli fosse capitato nella vita…

Forse, con quel mantra… forse, se ci avesse provato…

Afferrò la rivista del suo borsone e rilesse attentamente la frase.

Om tare tuttare ture soha.

Ok, non era difficile, poteva farcela!!

Om tare tuttare…

Doveva solo ripeterlo per diecimila volte dopo aver espresso il desiderio di avere il volpino e tutto si sarebbe risolto, per magia.

Om tare tuffare… no, non era così!!!!!!!!!!!

"SAKURAGIIIII!!!! CHE COSA STAI FACENDO LA’ DENTRO?! KOGURE, VAI AD ASSICURARTI CHE NON SIA SCAPPATO DALLA FINESTRA!!!".

L’urlo di Akagi lo indusse a riporre la rivista nel borsone e a raggiungere la squadra. Che aveva detto il Gorilla? Scappato dalla finestra? Mpf!

Come se un tensai come lui potesse abbassarsi ad un simile espediente da vigliacchi!!! No, se avesse voluto andarsene lo avrebbe fatto sfidando la sorte e i pugni del Gorilla, dall’uscita principale…

Comunque, alla fine Sakuragi raggiunse la squadra e da quel momento iniziò uno dei pomeriggi più surreali nella storia degli allenamenti dello Shohoku.

Tutto pacifico. Troppo.

Il rossino si allenava, correva, palleggiava, provava tiri e passaggi, ma non parlava; anzi, aveva un’espressione concentrata che gli avevano visto raramente, sembrava tutto preso da qualcosa che quasi gli impediva di vedere realmente i compagni e che gli faceva compiere meccanicamente i gesti del basket.

All’inizio avevano pensato tutti che fosse una specie di ripicca, di protesta contro i metodi gorilleschi del capitano, ma dopo un quarto d’ora di tale comportamento capirono che non poteva essere solo quello.

Kogure, preoccupato, arrivò a voltarsi con sguardo interrogativo verso Yohei, che se ne stava appoggiato alla porta della palestra, ma quest’ultimo era stupito quanto gli altri e non poté fare altro che stringersi nelle spalle, come a dire che non aveva idea del perché di quello strano comportamento.

Mitsui e Miyagi provarono anche a chiamare l’amico, più volte, ma ottennero solo silenzio e occhiatacce, finché Akagi non disse di lasciar perdere, tanto meglio se quel casinista per una volta era tranquillo, magari stava imparando ad essere responsabile… anzi, prendessero esempio anche loro e tacessero!!!

E Rukawa?

Be’, lui se ne stava in disparte, naturalmente, apparentemente disinteressato ma in realtà sempre più nervoso.

Perché quel do’aho si comportava così?

Non lo aveva degnato di uno sguardo, non lo aveva guardato neanche una volta, non lo aveva ancora chiamato ‘kitsune’, non aveva neanche provato ad azzuffarsi con lui! Quel deficiente… non era a questo che lo aveva abituato!!!

No, decisamente no, e se ne era reso conto qualche tempo prima, e non era stato facile capire e accettare…

Sakuragi lo aveva abituato ai suoi occhi sempre fissi su di lui, che lo seguivano, che lo osservavano, che lo scrutavano, che lo spogliavano…

Sì, anche quello.

Kaede si sentiva spogliato dagli occhi di Hanamichi, da quello sguardo al tempo stesso appassionato e affettuoso, ed era una sensazione nuova, incredibilmente… piacevole! Piacevole, sì… Gli piaceva che fosse il do’aho a rivolgergli quegli sguardi e, a dispetto delle risse e degli insulti, Rukawa sapeva bene che quel cretino rosso era l’unica persona in grado di farlo reagire, di catturare la sua attenzione: il numero 11 dello Shohoku era troppo onesto per non esserlo anche con se stesso.

Oddio, era vero che Sakuragi lo aveva praticamente costretto ad accorgersi di lui, imponendogli la sua presenza continua e rumorosa.

Ma questo ormai non aveva più importanza, lo aveva il fatto che Hanamichi lo stava ignorando e che Kaede si sentiva derubato di sguardi che gli appartenevano…

L’allenamento finì così come era proseguito per tutta la sua durata: con il rossino che stava zitto, che eseguiva meccanicamente i vari esercizi osservando i suoi compagni più che ascoltando le direttive del capitano.

E poi, mentre i suoi compagni andavano nello spogliatoio, Hanamichi non protestò per il fatto di dover rimanere per esercitarsi con i fondamentali… anzi, iniziò a palleggiare concentratissimo, ignorando pure i saluti ironici che gli rivolsero Mitsui e Miyagi prima di andarsene, augurandogli di ritrovare presto la rotta per il pianeta Terra, e ignorando anche la replica di Akagi ("Ma lasciatelo stare e prendete esempio, che se taceste di più anche voi mi arrabbierei molto meno!") e quella di Kogure ("Non essere troppo severo, Akagi… Ayako, assicurati che stia bene davvero, mi sembra un po’ strano…").

Rukawa, invece, si era trattenuto per provare gli ultimi tiri; qualche terzo tempo, un paio di canestri da tre, alcune schiacciate. Come sempre.

Solo che le altre volte il tutto era accompagnato dal sottofondo degli insulti furibondi di Sakuragi che gli diceva di non montarsi la testa, perché tanto lui lo avrebbe raggiunto e superato, gliel’avrebbe fatta vedere prima o poi, anzi più prima che poi, lo avrebbe raggiunto di sicuro…

Stavolta non c’era stato niente di tutto questo e faceva male scontrarsi con l’improvvisa indifferenza dell’unica persona che fino a quel momento non si fosse fatta intimidire dal suo carattere introverso e scostante.

Irritato, Rukawa aveva riposto il pallone nel cesto e si era diretto con un viso scuro da far paura nello spogliatoio, dove si era buttato subito sotto il getto d’acqua tiepida della doccia, sperando che lavasse e portasse via anche quei pensieri confusi, che lo turbavano…

Già, perché alla fine… cosa gliene fregava se il do’aho d’improvviso taceva e dava prova di sapersi comportare decentemente e non soltanto come una scimmia urlante?! Tanto meglio per la squadra, tanto meglio per lui…

Ma quel fastidioso senso di privazione rimaneva a punzecchiargli il cuore.

 

In palestra, in una situazione quasi irreale data da un Hanamichi che non si lamentava e da una Ayako che si sentiva quasi inutile senza potergli assestare qualche sventagliata per farlo rigare dritto, anche Yohei osservava perplesso l’amico.

Eppure era stato tutto normale fino a quando il rossino non era entrato nello spogliatoio…

"Ehi, Mito".

Yohei si voltò verso Ayako, che gli si era avvicinata.

"Ma è successo qualcosa? Sakuragi ha qualche problema?" chiese la manager del club di basket e Yohei capì che lo stava chiedendo seriamente.

"Non lo so. Ti assicuro che, finché non siamo arrivati qui, era normale" considerò la matricola.

Un rumore li fece voltare e i due videro Rukawa, ormai rivestito e con la sacca sulle spalle, che si avviava verso la porta, con il viso particolarmente imbronciato.

Sakuragi non disse nulla, ignorandolo come aveva fatto per tutto il pomeriggio, mentre Ayako rivolse un sorriso al suo kohai preferito quando questi le passò accanto: "Ciao, Ru, ci vediamo domani".

"…ao, senpai…" mormorò Kaede, voltandosi appena.

Per una frazione di secondo Ayako e Yohei avrebbero potuto giurare di aver visto un lampo quasi assassino nei bellissimi occhi blu di Rukawa, indirizzato a Sakuragi, ma era durato troppo poco tempo per poterne essere sicuri…

A quel punto Mito decise di essere stanco della situazione: con passo deciso di avvicinò al suo amico, gli appoggiò una mano sulla spalla e lo scosse con forza.

"Oi, Hanamichi, che diavolo ti è preso? Lo so che non stai male, stamattina eri a posto, quindi adesso che cosa stai cercando di fare?".

Silenzio, a parte il rumore della palla da basket che rimbalzava sul parquet.

"E’ per ottenere attenzione? Guarda che è un modo davvero infantile per farlo!".

Silenzio.

"E dai!!!!!! Hai fatto improvvisamente voto di tacere?!".

Questa volta Yohei alzò la voce e scosse con più forza la spalla di Sakuragi, che perse l’equilibrio e cadde a terra; e che, alla fine, parlò:

"MA CHE VUOI, INSOMMA?!" gridò contro il suo migliore amico.

"Tu, che cosa vuoi! Mi stavo preoccupando…" gli replicò Yohei, sfoderando un tono tranquillo che potesse calmare l’altro.

"Senti, stavo solo contando, chiaro?- spiegò Sakuragi, alzandosi e osservando accigliato Mito e Ayako che lo guardavano con tanto d’occhi- Devo ripetere un mantra per diecimila volte e…".

"Un mantra?".

"Sì, un mantra, hai presente? Ed ero arrivato a… a…. a….".

D’un tratto Hanamichi impallidì paurosamente, tanto che i suoi compagni temettero potesse cadere a terra da un momento all’altro; poi, di colpo, le guance gli diventarono rosse di rabbia mentre puntava su Yohei due occhi furibondi e animati da luce assassina.

"Yohei, io ti ammazzo!!!!!!!!!".

"Che ho fatto?" si difese l’altro, più perplesso che preoccupato.

"MI HAI FATTO PERDERE IL CONTOOOOOO!!! Avevo impiegato un’ora soltanto per memorizzare la frase esatta e ora dovrò ricominciare daccapooooo!!!" urlò il numero 10 dello Shohoku, con tutto il suo fiato.

"Adesso basta- intervenne Ayako, facendo un passo avanti, accigliata almeno quanto lui- Ti rendo noto, se non te ne fossi accorto, che ti stai comportando da pazzo! Bah, per oggi è meglio finire qui gli esercizi sui fondamentali… Metto a posto io, tu vedi di sparire".

"Era ora…- borbottò il rossino, continuando a guardare male l’amico-… e tu vieni con me, così ti spiegherò tutto!" gli disse, per poi dirigersi a grandi passi verso lo spogliatoio, seguito da Mito.

Quando furono lì, Hanamichi gli mise sotto il naso la rivista, indicandogli l’articolo sul tempio dedicato alla Bodhisattva Tara, parlandogli del mantra e del desiderio da far avverare.

Yohei lesse attentamente, poi alzò su di lui uno sguardo stupito: "Ma, Hanamichi… tu non credi a queste cose…".

L’altro si passò una mano dietro alla nuca, imbarazzato, evitando gli occhi dell’amico: "No… cioè… diciamo che mi sento un po’ disperato per una certa questione e ho pensato che provare non mi avrebbe fatto male".

Yohei per un attimo sembrò cambiare espressione, come se si fosse chiarito le idee, poi buttò là un: "Ah, certo, però… non ti sembra un po’ esagerato essere disperato per Haruko?".

"Haruko?!".

Lo stupore di Hanamichi, la sua spontaneità nel manifestarlo, fecero comprendere a Mito che i suoi dubbi avevano un fondamento e che, quasi sicuramente, aveva visto giusto.

Anzi, il ragazzo sospirò di sollievo: "Per fortuna che non è lei! Non ho niente contro Haruko, ma sembra ancora così infantile… insomma, sarebbe stato grave se tu fossi stato disperato per una come lei! Comunque, per chi stavi recitando questo mantra?".

Silenzio imbarazzato di Hanamichi.

"A me viene in mente un solo nome- continuò Mito- E’… Rukawa?" chiese dopo una leggera esitazione.

Il numero dieci dello Shohoku non poté fare altro che annuire, sempre evitando di guardare in faccia il suo migliore amico.

"Sì, è lui… è così palese?".

Yohei sorrise: "Adesso che ci penso, sì".

Hanamichi cominciò a camminare nervosamente per la stanza e iniziò anche a parlare, in fretta, come se fosse sollevato di potersi finalmente sfogare con qualcuno e volesse recuperare il tempo in cui non aveva potuto farlo.

"Non so come spiegarmelo, Yohei: ci ho pensato e ripensato, ma l’unica cosa che posso dirti è che penso sempre a lui, al suo viso, alla sua espressione, a… a tutti quei particolari del suo carattere che mi fanno impazzire!!- una breve pausa e poi proseguì con meno concitazione- All’inizio credevo che fosse solo ammirazione, un po’ di invidia per quello che lui è… credevo di non sopportare di essere ignorato da lui solo per questo, ma poi…" si interruppe, di colpo di nuovo imbarazzato.

Fu Yohei a finire per lui: "Hai iniziato a provare attrazione fisica".

Hanamichi avrebbe voluto sprofondare: non era affatto bravo ad affrontare simili discorsi, non riusciva ad essere disinvolto!

"Già… be’, quella c’è stata da subito, praticamente…".

"Uhm… dal modo in cui lo dici, deduco che tu non ti sia limitato ad immaginare di riaccompagnarlo a casa mano nella mano!!!" scherzò Mito, divertito dal rossore che subito colorò le guance di un alterato Sakuragi:

"Oi, non prendermi troppo in giro, sai?! Faccio dei sogni che mi imbarazzano da morire e il guaio è che ormai sogno pure ad occhi aperti!!" scattò il rossino.

"Per curiosità, in questi sogni sei seme o uke?".

Il ragazzo rispose d’istinto, prima di mettere a fuoco la presenza di Ayako accanto alla porta: "Sono seme…- un momento di perplessità, poi- Ma… AYAKOOOOOOOOOOOO!!!!! Come diavolo fai a domandare una cosa simile in tutta tranquillità?!" domandò, quasi preso dal panico.

Oddio, lo aveva sentito!! E adesso?

La manager sbuffò leggermente, entrando nello spogliatoio: "Perché dovrei agitarmi? Dai, io sono un’appassionata di shonen ai, compro un sacco di doujinshi…".

"Ah!".

"Quindi ti piace Rukawa" considerò lei.

Sakuragi scosse il capo con decisione: "No, non è solo che mi piace… io sono innamorato di lui".

"Allora tutte quelle risse erano una scusa per toccarlo?" chiese Mito, che nel frattempo si era seduto su una panca.

Hanamichi sembrò pensarci su, ma poi, incredibilmente, scosse di nuovo il capo: "Non proprio. Nel senso che siamo diversi, quindi ci scontriamo e finiamo per azzuffarci: le risse erano vere… ok ,non nego che ero piuttosto contento di poterlo toccare! Il fatto è che, anche se siamo così diversi, non possiamo stare lontani".

Yohei sorrise: "Parli al plurale: pensi che Rukawa ti ricambi?".

"Non lo so, lo spero. Non posso averla sentita soltanto io questa corrente che passa da uno all’altro quando stiamo vicini, vi pare? Non me la sono sognata, no? Ho pensato che se il nostro rapporto ha suscitato in lui anche solo la metà dei sentimenti che provo io, allora… oh, al diavolo!!! Forse sto sbagliando tutto!!!!".

Distolse gli occhi dal suo migliore amico, ma nel farlo incontrò lo sguardo contento e incoraggiante di Ayako.

La ragazza fece qualche passo verso la finestra, osservando lo spicchio di cielo che vi si vedeva: "Sai, io sono sicura che tu sia la persona più adatta a Ru…" disse affettuosamente.

Ma Hanamichi non sembrava convinto:

"Non credo che lo pensi anche lui, anzi ho paura che, quando mi dichiarerò, farà di me una poltiglia!".

"Chi, Ru?! Sei fuori strada, Sakuragi: lui è deciso, è forte, ma non è affatto duro o insensibile e non si permetterebbe mai di insultare i sentimenti di un’altra persona. E poi tu sei l’unico che lo abbia fatto reagire, l’unico con cui accetti di scontrarsi e di azzuffarsi. Non hai notato che con gli altri non fa nemmeno questo ed evita il contatto fisico?" gli fece osservare la manager.

"Ayako ha ragione" convenne Yohei.

"Io sarei… l’unico?" Hanamichi ebbe quasi paura a chiederlo; certo, lo aveva avvertito pure lui, ma era sempre presente il dubbio di essersi sbagliato. Dopotutto si era già sbagliato 50 volte, anche se in quelle dichiarazioni (e se ne accorgeva soltanto adesso) non c’era niente di vero, niente di autentico, ma aveva dovuto provare un sentimento sincero per scorgere la falsità degli altri…

Eppure questo non bastava per togliergli il senso di insicurezza che gli era rimasto addosso da quelle esperienze.

Però…

L’unico. L’unico per Rukawa. Suonava bene, ecco…

Lui era l’unico per Rukawa.

Sì, suonava decisamente bene!!!

Ayako confermò quello che gli aveva detto poco prima: "Sì, sei l’unico… Io penso che a volte, in realtà, Ru si senta un po’ solo, perché lui ha proprio dei problemi ad interagire con gli altri. Li aveva anche quando andavamo ancora alla Tomigaoka".

Sakuragi si portò più vicino a lei: "Davvero? Senti, Ayako… com’era Rukawa alle medie?" chiese sorridendo.

"Oh!- la ragazza inclinò il capo, restituendogli il sorriso- Era più basso di diciotto centimetri circa, in prima media, sai è cresciuto soprattutto in seconda media…. Tu lo avresti definito una volpe in miniatura, quando faceva il primo anno! Per il resto non è cambiato molto: anche allora aveva quell’adorabile musetto imbronciato! No, non fare quella faccia: non mi piace Ru, stai tranquillo!!!! Mi sa che lo considero un po’ come un fratellino minore… sai, io sono figlia unica… Comunque, c’erano i suoi compagni di squadra che lo ammiravano e che avrebbero voluto essergli amici, ma lui li teneva a distanza, perché credo che sotto sotto sia anche un po’ timido ma che non gli piaccia l’idea di esserlo…".

"Be’ però è anche uno che sa quello che vuole, in campo è tosto!!" osservò Yohei, mentre Hanamichi non si perdeva una sola parola. Oddio, un po’ gli dispiaceva che stessero lì a psicanalizzare la volpetta senza che lui fosse presente, senza dargli diritto di replica: gli sembrava ingiusto nei sui confronti; però era anche vero che si sentiva così sollevato di poter parlare finalmente di lui con qualcuno…

"In campo, sì" annuì Ayako.

"E poi sembra che a lui piaccia non parlare" continuò il ragazzo.

"Sicuramente è un introverso, quindi finisce per parlare poco e per stare da solo".

"Ma hai detto poco fa che Rukawa potrebbe sentirsi solo!".

Ayako si strinse nelle spalle: "Perché, una cosa esclude un’altra? Io penso che la solitudine possa pesare talvolta anche a chi la cerca, perché comunque essere soli e sentirsi soli sono due cose diverse. Ehi, dopotutto è una matricola come voi, non è veramente di ghiaccio!!".

No, non lo era, pensò Hanamichi, anche se forse a loro aveva fatto comodo pensarlo, a volte: per poter litigare meglio, per potersi giustificare di non averlo coinvolto più di tanto in un vero rapporto di squadra, più cameratesco.

"Sai, Hanamichi, sono proprio contenta che tu ti sia accorto di amarlo".

Sakuragi alzò gli occhi e vide il volto sorridente di Ayako, che lo osservava con simpatia.

"Già…- rispose- … spero che poi sia contento anche lui…".

Il rossino si avvicinò al suo borsone e prese di nuovo in mano la rivista, sfogliandola.

"Mi dispiace di averti fatto perdere il conto- gli disse Yohei- Adesso che farai? Conterai daccapo il mantra altre 10.000 volte?".

L’altro si rigirò il giornale fra le mani: "Prima mi sentivo bene, mentre ripetevo il mantra. Cioè, non mi sono rincretinito tutto di botto, so che probabilmente è solo un effetto psicologico, però… ti sembra tanto sbagliato ricominciare a ripeterlo?" chiese al suo migliore amico, che scosse la testa e disse semplicemente:

"Male non farà…".

 

Il giorno dopo, quando arrivò a scuola, Rukawa aveva recuperato la sua espressione imperturbabile e un po’ felina, da gatto indolente; la sera precedente era stato molto arrabbiato con il do’aho, ma poi a poco a poco l’irritazione era svanita per lasciare il posto ad una leggera tristezza.

Negli ultimi tempi gli era sembrato che il modo di fare di Sakuragi, il suo atteggiamento verso di lui, fossero dettati da qualcosa di più personale che dall’invidia o dalla rivalità: non gli era sfuggito che, nei confronti degli altri compagni , il do’aho non era così ossessivamente aggressivo, sempre lì a cercare di attaccar briga, a gridargli contro, a costringerlo a prestargli attenzione (cosa, questa, che lo mandava in bestia: come era riuscito quella scimmia urlante ad indurlo a dargli la sua attenzione?!).

Forse ho frainteso, si era detto Rukawa e alla fine questa idea l’aveva convinto.

Be’, meglio così: si stava lasciando coinvolgere troppo e questo gli creava disagio…

Quella mattina, allo Shohoku, aveva visto Sakuragi, ma solo di sfuggita e aveva distolto subito lo sguardo. Se non lo avesse fatto, si sarebbe accorto di quanto fossero brucianti gli occhi che lo scrutavano, che lo accarezzavano, che scivolavano su di lui, mentre si allontanava con il suo passo felino ed elegante.

 

La sera prima Hanamichi aveva deciso di rimandare la nuova conta al giorno successivo, quando avrebbe potuto affrontare l’impresa fresco di un bel sonno ristoratore.

E così era stato: aveva iniziato a ripetere il mantra non appena aveva messo piede fuori di casa e confidava di poter proseguire indisturbato per tutta la durata delle lezioni, se necessario.

Dopotutto, in quel modo avrebbe fatto un favore anche ai professori: se ne sarebbe stato fermo e buono al suo posto, con un’ espressione concentrata sul volto…. praticamente un evento!!!

Le ore passarono e tutto andò secondo i suoi piani: era riuscito a non distrarsi mai, a parte un rischio che aveva corso in tal senso non appena arrivato a scuola, quando aveva visto la sua bellissima Kitsune e si era imbambolato per qualche secondo ad osservarlo; e poi, fatto importantissimo, nessuno aveva provato a distoglierlo dalla sua concentrazione: Yohei ormai sapeva tutto egli aveva rivolto solo un cenno di saluto, vigilando tra l’altro che neanche gli altri membri della Gundan potessero disturbarlo ed interromperlo.

Precauzione amichevole, ma superflua: la concentrazione rendeva il volto di Sakuragi leggermente più impressionante del solito ed i compagni di classe (e perfino i professori) si guardarono bene dal richiamarlo per un qualsiasi motivo.

Inoltre, il rossino consumò anche il pranzo nel silenzio più assoluto, in un’aula che si era svuotata dagli studenti che preferivano chiacchierare nei corridoi; la sua faccia si rilassò soltanto al suono della campanella che segnava il termine delle lezioni, che coincise con il raggiungimento dell’obiettivo: aveva ripetuto il mantra 10.000 volte!!!! Bene: il meno era fatto, ora poteva passare al più ossia… affrontare il volpacchiotto!!! Rukawa, ti amo.

Anzi…

Kaede, ti amo.

Non era difficile da dire: nella sua testa, nei suoi sogni, lo aveva ripetuto milioni di volte al suo volpacchiotto, altro che 10.000!!!! Però…

Però.

Quella era fantasia e la realtà era tutta un’altra cosa: era avere davanti il vero Kaede e non un sogno, era dover parlare cercando di non essere rapito dal suo profumo, dal suo viso, dai suoi occhi meravigliosi, da quella corrente che sentiva passare costantemente fra i loro corpi e che lo mandava in tilt!!

Ecco, quella corrente… era quella che gli dava una scintilla di speranza: il volpino non poteva non averla notata, no?

Ripensò alle parole che gli aveva rivolto Ayako la sera prima e anche questo contribuì a dargli slancio.

Oddio, era anche vero che Ayako e Yohei erano due persone ottimiste, di buon carattere… come avrebbero potuto non incoraggiarlo? E lui stesso era un ragazzo ottimista, forte. Altrimenti come avrebbe potuto continuare a ridere e a scherzare dopo quel che era successo alla sua famiglia?

Hanamichi scosse il capo, non volendo pensare alla morte del padre proprio in quel momento; no, lui era forte, era stato capace di rialzarsi e lo sarebbe stato anche di conquistarsi la sua felicità accanto al suo volpacchiotto.

D’accordo, forse era possibile che nemmeno in tre fossero riusciti ad interpretare al meglio i possibili pensieri del ragazzo più silenzioso della scuola, ma c’era anche la possibilità che avessero visto giusto, no?

Superati i suoi tentennamenti, Hanamichi uscì velocemente dall’aula, non prima di aver ricevuto un incoraggiante segno di vittoria da parte di Yohei. Doveva parlare con Rukawa prima dell’inizio degli allenamenti, assolutamente!

Corse nello spogliatoio, ma era vuoto; tuttavia i rumori provenienti dalla palestra gli fecero capire che il volpino doveva trovarsi già lì, per fare qualche tiro in attesa che arrivassero le altre matricole, che come loro avevano il compito di pulire il parquet.

E infatti…

Rukawa stava giocando a basket, da solo, con lo stesso impegno e la stessa passione che aveva avuto quella sera in cui lo aveva sorpreso sempre da solo, di notte, in palestra.

Una corsa veloce, un salto leggero come se potesse volare, ed ecco che Kaede aveva insaccato uno splendido ed elegante slam dunk… ed Hanamichi si ritrovò ad ammirarlo a bocca aperta, completamente stregato da qualsiasi suo gesto… anche da quello di raccogliere il pallone e palleggiare per provare nuovi tiri.

Poi, però, il rossino si riscosse: doveva parlargli e lo doveva fare finché sentiva scorrergli l’adrenalina nelle vene!

"Oi stupida volpe!" la sua voce echeggiò nella palestra.

Ok, non era esattamente il richiamo romantico con cui avrebbe voluto esordire, ma talvolta l’abitudine si rivela più forte di tutto…

Deglutì nervosamente, notando gli occhi freddi con cui la kitsune lo stava osservando, ma decise di proseguire, soffocando l’imbarazzo che iniziava a fare capolino.

"Ti devo parlare, vieni in terrazza con me!" continuò; ecco, forse avrebbe dovuto usare un tono meno imperativo con quella volpe orgogliosa… inoltre, aveva il terribile ma concreto sospetto di avere le guance in fiamme: un bel contrasto con il tono energico delle sue parole!!

"Hn".

Senza ammorbidire il suo sguardo, Rukawa gli si avvicinò, facendogli così capire che aveva deciso di seguirlo.

Il ragazzo dai capelli neri era rimato stupito dal comportamento del compagno: non si aspettava quell’invito, se così si poteva chiamare, non dopo l’ostentata e improvvisa indifferenza mostrata dal do’aho il giorno prima…

Nonostante questo, comunque, aveva deciso di assecondarlo: in un modo ancora un po’ confuso, un po’ vago, sentiva che quella conversazione avrebbe riguardato anche l’atteggiamento atipico e antipatico che aveva tenuto il rossino soltanto il giorno prima…

 

Sulla terrazza soffiava un venticello piacevole e i due ragazzi avrebbero potuto perfino cercare di intravedere la sottilissima striscia blu del mare, in lontananza, ma in quel momento erano troppo impegnati a stare l’uno di fronte all’altro, immobili.

Rukawa manteneva un’espressione annoiata e anche un po’ irritata, mentre osservava da sotto in su il volto nervoso e arrossato di Sakuragi; in realtà, il volpino cominciava ad essere davvero curioso… perché tutta quella tensione?

Hanamichi stava praticamente sudando freddo, non riusciva a stare fermo né con lo sguardo, che spostava velocemente da un punto all’altro della terrazza, né con il corpo, quasi saltellando alternativamente sui suoi piedi.

Ad un tratto il rossino si rese conto di stare tenendo le mani affondate nelle tasche dei pantaloni e questo non gli piacque… doveva dichiararsi al suo amore, non voleva mostrarsi così poco composto…

Raddrizzò il capo e tolse le mani dalle tasche, fissando Rukawa diritto negli occhi, anche se il cuore gli batteva all’impazzata.

"Allora?".

Il volpacchiotto lo spiazzò, parlando per primo, soffiando quella domanda che alle orecchie di Sakuragi sembrò quasi irritata.

Be’ dopotutto aveva ragione: prima il compagno lo trascinava sulla terrazza e poi se ne stava zitto…

"Ecco… io e te… cioè, finora ci siamo soprattutto picchiati e insultati…- iniziò lentamente Hanamichi, sperando di riuscire a dare un filo logico al discorso-… ma questo non significa che io ti odi davvero o che ti trovi antipatico… Anzi…è che… - dannazione, che cosa penosa!!! Se ne accorgeva da solo, possibile che non riuscisse a fare di meglio? O forse… forse doveva solo mandare a quel paese i giri di parole- No, accidenti, sto sbagliando tutto!!! Senti, non conosco un altro modo per dirtelo senza tergiversare: Rukawa, ti amo!!!" esclamò, praticamente sbottando, in fretta e con il respiro veloce; si impose di non distogliere gli occhi da quelli blu di Rukawa e rimase in attesa per alcuni interminabili secondi.

Ma niente… non riusciva a leggervi niente, né a suo favore né contro di lui, come se il suo volpino stesse ancora analizzando la sua dichiarazione.

Poi, d’un tratto, vi scorse un lampo cupo, molto poco rassicurante.

"Aha… non è divertente come scherzo, do’aho" replicò semplicemente Rukawa.

Hanamichi si accigliò, non capendo: "Divertente? Spero bene che non sia…divertente! Non… non è uno scherzo!!" ribadì, dispiaciuto ed arrabbiato.

Perché i suoi sentimenti dovevano essere considerati uno scherzo? Qualcosa da usare per prendere in giro?

"No? Però hai uno strano modo di dimostrarlo" commentò la kitsune, inclinando il viso.

"Be’ non mi pare. Ok, ti ho pestato un po’, ma questo non significa niente, te l’ho detto. Ero nervoso, va bene? E agitato, e turbato, perché ho passato le medie a dichiararmi alle ragazze e all’improvviso…ops! Ops, non ho capito niente di me stesso per anni, visto che è stato un ragazzo a farmi innamorare veramente e perdutamente! Pensi… pensi davvero che sia stato facile per me chiederti di parlare, oggi? Ho rimandato per giorni e giorni, finché non ho trovato quella rivista…".

Rukawa si accigliò, indurendo leggermente i lineamenti delicati; rivista? Di cosa stava parlando quel deficiente?! Possibile che non si riuscisse mai a capire cosa avesse in mente quella testa rossa?

Kaede emise un impercettibile sospiro, poi lo interruppe:

"Sarà meglio che mi spieghi dall’inizio…".

E, capendo che la sua volpe era disposto ad ascoltare, che voleva delle spiegazioni, che gliele aveva chieste lui stesso e, soprattutto, che non se ne era ancora andato rifiutandolo seccamente, a quel punto Hanamichi si rivelò un fiume in piena: era sempre imbarazzato, questo sì, e temeva che la sua faccia ormai sarebbe rimasta sempre un tutt’uno con i suoi capelli quanto a tonalità, ma le parole erano sempre meno legate e difficili da far uscire: gli raccontò del minimarket, della rivista, di Tara e del suo mantra… gli raccontò del suo desiderio, dell’interruzione che aveva subito il suo piano per colpa di Yohei, del fatto che soltanto poco prima era arrivato a completare le 10.000 recite del mantra…

E, mentre le parole del do’aho lo travolgevano, Rukawa se ne stava immobile, ad ascoltare, senza muovere un muscolo, con il nodo che lo serrava dal giorno avanti che diventava sempre meno soffocante.

Tutto quel silenzio… per lui? Non doveva essere stato facile per Sakuragi imporsi un simile controllo di sé. Davvero lo aveva fatto per lui?

"… ed è anche per questo che devi credermi!!! Insomma, ho ripetuto quel mantra per quasi 20.000 volte, contando anche ieri, vorrà dire qualcosa, no?" sbottò Hanamichi, cercando di sdrammatizzare per far calare la tensione che avvertiva, ancora pesante, fra di loro.

"Che sei un credulone?" ironizzò Rukawa, alzando appena un sopracciglio.

Hanamichi tornò serio, fissandolo negli occhi: "Comunque sia, non è questo l’importante… forse avevo solo bisogno di appoggiarmi a qualcosa… Perché ti amo, kitsune, davvero. Ti amo da… da sempre, forse da quando Haruko ti ha nominato, prima ancora di vederti! E lo so che ho fatto un sacco di pasticci con te, capisco che ora tu sia dubbioso, ma se potessi trovare le parole per dirti quanto ti amo…".

Hanamichi sarebbe stato pronto a giurare di aver visto un tremito passare rapido nello sguardo di Kaede e la sua pelle diventare un po’ più pallida.

"Come…" Rukawa iniziò a parlare, facendo tacere all’istante il rossino, fin troppo consapevole del fatto che da quelle parole sarebbe dipesa la sua, la loro felicità.

"Come fai a sapere che non si tratta soltanto di attrazione fisica?" gli chiese il ragazzo, mentre la leggera brezza che si era alzata faceva muovere lievemente i suoi morbidi capelli neri.

Hanamichi fece per rispondere di getto, spontaneamente, come gli veniva sempre naturale, ma poi seppe trattenersi: capì che quella era una domanda importante per il suo Rukawa, che il ragazzo dovesse sentirsi abbastanza esasperato da tutte le sue ammiratrici che si esaltavano tanto per lui senza conoscerlo affatto. Vedevano un ragazzo bellissimo, campione di basket e stop: quello era sufficiente per scalmanarsi per lui.

Ok, lo era.

Ma l’amore era un’altra cosa, l’amore comprendeva attrazione per quel bel viso e per quel corpo favoloso, ma ne prescindeva anche…

Hanamichi deglutì e poi iniziò a parlare, sperando di saper trovare le parole giuste:

"Tu mi attrai, kitsune, non voglio neanche provare a negarlo. Ma c’è il fatto che io sto bene solo quando ho vicino te, quando parliamo o litighiamo o ci insultiamo. Se non ci sei, mi mancano le nostre schermaglie. Io ti amo, perché le poche volte che apri bocca so in anticipo che avrò voglia di saltarti alla gola, ma nonostante questo vorrei sentire sempre la tua voce. Tu sei forte, Kaede. Posso chiamarti Kaede? Mi piace il modo in cui vivi la tua passione per il basket, mi piace la luce che hai negli occhi quando siamo in campo…mi piace e mi fa paura la tua indipendenza, il tuo non cercare la compagnia degli altri… perché… perché io, invece, ne ho sempre avuto un bisogno terribile e talvolta invidio chi riesce a stare solo… ma mi fa paura anche, questo tuo aspetto, perché temo che possa tenerti lontano da me. E mi piace l’espressione che fai quando pensi che nessuno ti guardi: un po’ triste, un po’ velata… perché, quando la vedo, so che avevo ragione a pensare che non sei affatto un bastardo insensibile…" Hanamichi si interruppe, costretto dalla necessità di riprendere fiato e poi si perse ad ammirare il viso di Kaede, semplicemente adorabile con quell’espressione spaesata, confusa, che non gli aveva mai visto addosso e che lo rendeva ancora più angelico.

Il cuore di Rukawa aveva iniziato a battere forte, mentre ascoltava le parole del rossino, dapprima incerte e poi via via più veloci, più decise e sicure…

Il do’aho (che poi tanto do’aho non era), la testa rossa, aveva provato a capirlo e ci stava riuscendo! Non del tutto, ovviamente, sarebbe stato impossibile considerando il poco tempo da cui si conoscevano, ma aveva intuito tante cose di lui… aveva saputo vedere oltre la sua maschera di indifferenza; nel suo modo di giocare aveva saputo scorgere la PASSIONE e non l’egocentrismo gratuito, la passione di chi ha con uno sport un rapporto speciale…

Quella testa rossa, quel casinista terribile che lo assordava con le sue grida e che gli faceva perdere la pazienza durante gli allenamenti, non era forse la persona a cui, paradossalmente, si era affezionato di più? Non era colui che lo aveva praticamente obbligato ad accorgersi della sua presenza, della sua esistenza?

Con le sue grida, con i suoi pugni, con le sue risate, con la sua allegria.

E ora era lì, davanti a lui, a dichiararsi, a scoprirsi parlando sinceramente di paura, di invidia, di ammirazione. Di amore.

Soltanto in quel momento, mentre tutti i pezzi del puzzle si sistemavano nel modo giusto, Kaede si rese conto di quanto Hanamichi gli fosse entrato sottopelle…

Sakuragi, intanto, continuava a tenere fisso lo sguardo sul ragazzo che amava, e si sentiva stupido e forse lo era davvero e rischiava di restare deluso, in quel modo, ma la speranza diventava sempre più tangibile ai suoi occhi: il volpino non si era arrabbiato! Lo aveva ascoltato e non lo aveva preso in giro, i suoi lineamenti erano colmi di stupore e sul suo volto non c’erano tracce di disprezzo o scherno…

Anzi.

Quello era il volto di chi stava ricevendo una notizia spiazzante, inaspettata, ma piacevole.

Il numero dieci dello Shohoku fece un passo verso la sua kitsune; le guance ancora gli bruciavano per l’emozione, ma stavolta parlò con più forza e, allo stesso tempo, con più dolcezza: "Io ti amo, Kaede. Dammi una possibilità… stai con me! Voglio solo renderti contento…".

Voglio solo renderti contento.

Era la prima volta che Rukawa si sentiva rivolgere una frase così disinteressata, la prima volta che un interesse verso di lui non era dovuto ai punti che segnava in partita, ai suoi canestri, al bene della squadra.

Il volpacchiotto si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore, cercando di vincere gli ultimi ostacoli dati dal suo carattere: quella difficoltà a lasciarsi andare, ad abbassare le difese…a fidarsi….

Ma il volto di Hanamichi, davanti a lui, esprimeva solo amore, dolcezza, ansia, attesa…

"Sì" si ritrovò a mormorare, prima ancora di rendersene conto.

Hanamichi sbatté le palpebre, confuso, con il cuore che gli batteva all’impazzata:

"Sì, cosa?".

"Hn. Sei proprio tonto, do’aho…" soffiò Kaede, cercando difficoltosamente di ostentare un distacco che non provava.

"Sì, nel senso che starai con me?" il rossino era talmente agitato per questo, da non badare neanche al ‘do’aho’ con cui lo aveva apostrofato il compagno.

"Sì".

Un altro sussurro della volpetta, altri passi avanti fatti fino a ritrovarsi a pochi centimetri l’uno dall’altro.

D’un tratto, Hanamichi passò un braccio attorno alla vita del compagno e se lo serrò contro, lo attirò nel suo abbraccio, quasi lo soffocò cingendogli il collo con l’altro braccio e trattenendo il respiro, senza concedersi di ‘pensare’ a quello che stava facendo (se avesse ‘pensato’ avrebbe perso il coraggio per farlo), ma perdendosi nelle sensazioni e trattenendo il fiato: perché finalmente quel corpo era fra le sue braccia, da stringere, da coccolare, da proteggere, da amare…

E anche Kaede gli si era stretto contro, gli cingeva le spalle, teneva la testa nell’incavo della sua spalla, rilassandosi in quel guscio d’affetto che lo avvolgeva, assaporando quella sensazione finora sconosciuta di calore assoluto…

Rimasero così per lunghi minuti, ascoltando i battiti dei loro cuori, respirando l’uno il profumo dell’altro, imparando a riconoscere il loro odore, prendendo la prima, timida confidenza con i reciproci corpi…seguendo un istinto antico quanto gli esseri umani…

E poi già non bastava più.

Hanamichi si scostò appena dalla stretta di Kaede per poi prendergli il viso fra le mani e baciarlo.

Finalmente.

Le labbra di Kaede sotto le sue, socchiuse per lui.

E il suo sapore fresco, di menta, di buono.

Il battito del cuore del volpino accelerò, mentre sentiva la lingua del rossino insinuarsi nella sua bocca, e la sua cercarla, sfiorarla…

Il loro primo bacio.

Hanamichi credeva che sarebbe impazzito dalla felicità: sapeva che il suo bacio era forse un po’ goffo, un po’ troppo affannato e non avrebbe potuto essere altrimenti visto che era inesperto… ma per una volta ringraziò e confidò in quella sua natura istintiva, passionale, che sapeva lo avrebbe aiutato…

E che, in effetti, guidò le sue mani sotto la maglietta di Kaede: quella stoffa stava diventando insopportabile, il cotone gli dava fastidio come fosse lana grezza, aveva bisogno della pelle di Kaede.

La trovò, circondandogli la schiena, ed era proprio come l’aveva immaginata nei suoi sogni: compatta, liscia, morbida, tiepida…

La sentì percorsa da un lungo brivido sotto il suo tocco emozionato, mentre Kaede sussultava e aumentava la passione con cui stava ricambiando il bacio.

Di riflesso, Hanamichi aumentò la sua stretta, le sue dita strinsero maggiormente quella pelle candida che lo faceva impazzire…

Avrebbe voluto… sì, avrebbe voluto riempire di carezze anche quel petto niveo, sentirlo fremere ancora di più, baciargli la gola e vederlo arrovesciare il capo, sensualmente…

Però, allo stesso tempo, i suoi desideri gli facevano quasi paura: troppo audaci, troppo precipitosi… non c’era bisogno di bruciare la tappe, avrebbero avuto tutto il tempo del mondo, davanti a sé…

Hanamichi baciò con infinita dolcezza le labbra soffici e morbide di Kaede e poi si tirò leggermente indietro, titubante, sperando di non aver esagerato e di non dover leggere il rimprovero in quegli specchi blu, ma si sentì subito rassicurato, guardandolo: gli occhi di Kaede erano limpidi, le gote lievemente arrossate e per questo incantevoli, così come quell’accenno di sorriso che gli illuminava il volto.

Rassicurato, Hanamichi gli rivolse a sua volta un sorriso caldo, radioso, solare, carico di promesse.

"Cioè… allora… stiamo insieme?" chiese il rossino, mentre le sue mani si incrociavano dietro alla nuca elegante di Kaede, giocando con alcune ciocche setose dei suoi capelli nerissimi che profumavano di vaniglia.

Aveva bisogno di sentirlo di nuovo, dalla bocca di Kaede. Forse era banale, ma gli sembrava… troppo bello. Troppo bello per essere vero, troppo bello che fosse per lui…

"Me l’hai già chiesto, do’aho" replicò il compagno, sorridendo ancora di più e tornando ad appoggiarsi a lui.

Kaede aveva scoperto che gli piaceva tantissimo stare così: contro quel torace forte, con la testa sulle spalle ampie del rossino. E gli piaceva quel lato dolce e coccolone di Hanamichi che stava vedendo in quel momento, un aspetto della testa rossa a volte nascosto dalla spavalderia che ostentava, eppure anch’esso così tipicamente suo…

"Cos’è, volpe, hai le corde vocali tanto atrofizzate da non potermi rispondere una seconda volta?" polemizzò Sakuragi, usando però un tono meno burbero di quanto avrebbe voluto.

"Hn".

"Grrrr… lo stai facendo apposta, lo so!!! Ma non importa: io sono un genio e come tale posso prevedere tutto e, quindi, prevedo anche che la stupida volpe non potrà più fare a meno del tensai per il resto della sua vita!!!! Anche perché sai, Kaede… io temo di non poter fare più a meno di te…" concluse Hanamichi, arrossendo per l’emozione e sfiorando con le labbra la fronte bianca del suo ragazzo.

Kaede lo baciò delicatamente sulla bocca e gli prese la mano, intrecciando le dita fra quelle abbronzate del rossino.

Rimasero così per alcuni minuti, poi…

"Dobbiamo tornare in palestra, do’aho" mormorò Rukawa.

"Lo so, stupidissima volpe, cosa credi? Non mi va affatto di sorbirmi i rimbrotti del Gorilla…- replicò il numero dieci dello Shohoku, ritrovando il suo più classico tono da baruffa-… senti, andiamo insieme da qualche parte, dopo gli allenamenti? Non so, in una caffetteria, in un bar… in gelateria!!!!!!!!! Ci mangiamo un bel gelato, eh?!" propose.

"Hn… va bene"."

"E’ che ho voglia di stare con te, volpetta artica, vorrei che chiacchierassimo un po’… cioè, non voglio obbligarti a parlare, possiamo anche fare che io parlo e tu ascolti! Almeno per i primi tempi, poi qualcosa la vorrei sentire anche da parte tua, soprattutto le tre paroline magiche" quest’ultima frase Hanamichi la disse con una punta di incertezza, come se temesse la reazione di Rukawa.

Ok, aveva capito che le parole non erano il forte del volpacchiotto e magari era stato troppo precipitoso a ‘pretendere’ una dichiarazione d’amore; poteva non essere stata un’ottima idea, però…

Ne aveva bisogno, un bisogno disperato.

Di sentire quelle parole, dette da lui.

"Oh, ma quelle te le posso dire anche subito: SEI-UN-DO’AHO" lo provocò la kitsune.

"Grrrrr… NON QUESTE!!!!!!!!! Ma già, come fa ad arrivarci una volpe scema come te?!" si infuriò il rossino, agitando minacciosamente il pugno davanti al viso di Kaede, stando però attento a non colpirlo.

"Do’aho…" lo chiamò Kaede.

"NON SONO UN DO’AHO!!!" gridò l’altro, ormai paonazzo.

"Hanamichi…".

Il rossino si calmò immediatamente: la sua kitsune lo aveva chiamato per nome… con quella voce morbida, sussurrata, mormorata, che gli faceva scendere brividi lungo tutta la schiena…

"Che… che vuoi, volpaccia antipatica?" chiese con il cuore in gola; lo sguardo con cui lo stava guardando Kaede era bellissimo e prometteva gioia… poi il ragazzo dai capelli neri si avvicinò a lui, e gli sussurrò qualcosa all’orecchio.

Non staremo a dirvi che cosa gli avesse detto: vi basti sapere che, dopo, sul viso di Hanamichi c’era un sorriso radioso e che il volpino era di nuovo stretto fra le sue braccia…

 

Fine ^^


 

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