Salve a tutti!

Di nuovo io, e di nuovo una MitKog (li adoro troppo!). Solo che stavolta è una lemon, o almeno questa era l’intenzione. Come potrete notare è collegata alla mia precedente fic di cui è il seguito. Chiedo scusa, innanzitutto al grande Inoue per aver osato rovinare con le mie storie i suoi personaggi, ma i personaggi erano troppo succosi per lasciarli giocare solo a basket, vero?

Comunque volevo fare un ringraziamento ai miei due angeli custodi, Illy e Lalla, e al mio zio preferito, Zio Camillo, che mi hanno dato il coraggio di spedire sta storia dopo mesi che stava nel mio computer.! Grazie! E naturalmente i ringraziamenti vanno anche a chi ha messo la mia storia sul sito! Grazie!

Mi raccomando però: niente insulti!

Okay, ora vi lascio alla lettura.

Ciriciao!

 


Tempeste

di Zia Chicca



Fuori un vento fortissimo sta spazzando via tutto: foglie, carta (persone. No scherzo! N.d.C). Il vento soffia impetuoso sopra gli alberi che non possono fare altro che inchinarsi di fronte alla sua forza.

Mi è sempre piaciuto il vento: rispecchia, in un certo senso, il mio carattere. Non che io sia un tipo impetuoso! Assomiglia piuttosto alla mia mente, che è un turbinare di pensieri impetuosi, per la maggior parte delle volte, o comunque contrastanti.

Amo quest’atmosfera un po’ tetra, mi sembra quasi che con questo tempo riesca a pensare meglio, riesco a stare più tranquillamente con me stesso.

E credo proprio di averne bisogno oggi, per tirare un po’ il fiato.

Sono successe molte cose negli ultimi due mesi: prima la scoperta che Hisashi ricambiava i miei sentimenti, poi la qualificazione ai campionati nazionali, non contando la crescita d’impegno della scuola, visto che sono all’ultimo anno.

Il fatto strano è che tutte e tre le cose mi fanno sentire incredibilmente felice ed al tempo stesso molto preoccupato.

Ammetto di essere piuttosto strano: è proprio quando sono più felice che sono anche più preoccupato. E’ facile capire il perché per quanto riguarda il campionato e la scuola. Ma perché sono preoccupato per me ed Hisashi?

Sono quasi due mesi che stiamo assieme, e mi pare di vivere in un sogno, talmente sto bene con lui.

Il fatto è che questo sogno è tutto mio, non posso dire a nessuno quanto sia felice.

A dir la verità la decisione è stata più mia che sua, naturalmente per via di mio padre. Ma non voglio che lo sappiano neanche i ragazzi della squadra.

A volte mi chiedo il perché di tutta questa segretezza: in fondo siamo solo due persone che si vogliono bene. Ma ho come la sensazione che si spezzerebbe qualcosa se un mio compagno di squadra venisse a sapere.

Anzi ne ho la certezza. 

Ora sono in camera mia, da solo, seduto di fronte alla finestra ad osservare le foglie cadere, scosse dal vento.

Ma il pensiero va a ieri, quando in questa stanza c’era lui con me.

All’inizio era venuto a casa mia per studiare, ma poi non so come, forse anche al fatto che i miei non c’erano, ci siamo ritrovati sul mio letto a scambiarci carezze e baci.

Era la prima volta che facevamo qualcosa di così intimo, ed anche se eravamo entrambi quasi completamente vestiti, è stato comunque qualcosa di assolutamente straordinario.

Sentire il suo corpo eccitato contro il mio altrettanto eccitato, mentre le sue labbra massacravano, letteralmente, di baci il mio collo, e le mie mani fuori controllo cercare una parte nuda del suo corpo: è stato assolutamente fantastico!

Le sue labbra, le sue mani, le sue spalle… adoro tutto di lui, ed anche se ho paura che questo tipo di “coccole” non basteranno più, da una parte ho anche io il desiderio di un rapporto più completo…

La porta della mia camera si apre, proprio quando il mio corpo iniziava a reagire ai ricordi di ieri (ma le buone maniere che fine hanno fatto? Si bussa prima di entrare! N.d.C), ed entra mia madre che nota il mio rossore sul volto, anche se spero vivamente che non noti nient’altro.

“Ehi Kiminobu vieni, la cena è pronta. Ti senti bene?”
“Si mamma, certo!”
“Sei tutto rosso. Non è che hai la febbre?”
“Ma no figurati! E’ che sento un po’ caldo!”

Un po’?! Ma se sto andando a fuoco al solo pensiero di ciò che potrebbe realmente accadere tra me ed Hisashi!

 

La cena è la solita monotona rottura di scatole di tutte le sere: mio padre che parla, parla, parla; mia madre che sta zitta ed annuisce ad ogni parola che esce da quella fogna che si ritrova mio padre; ed io che sto zitto, mentre odio ogni giorno di più entrambi.

Ma ad un certo punto mio padre smette di parlare.

“Che hai figliolo? Qualcosa che non va?”

Sono sorpreso dalla domanda: praticamente sono due anni che non c’è dialogo tra noi.

“No figurati. Tutto a posto.”
“Be’, se c’è qualcosa che non va sappi che puoi sempre…”

“NO! Ho detto che va tutto bene!”
Dal mio tono di voce non si direbbe.

Ma questo suo comportamento interessato all’improvviso non mi piace affatto.

In compenso ho lasciato i miei completamente spiazzati: credo di non aver mai alzato la voce con loro, anzi con nessuno (praticamente l’incontrario di me! N.d.C ^__^)

Mio padre ha la solita aria di pesce lesso, mentre mia madre ha l’aria preoccupata ed io ho perso completamente l’appetito.

Il silenzio cade pesante sopra la tavola, e l‘unico rumore che si sente è quello della televisione che continua a parlare da sola, non sentita da alcuno.

Finché mio padre non lo spegne.

La situazione s’inizia a fare preoccupante.

“C’è qualcosa che ci devi dire Kiminobu?”

Ed ora? Sono con le spalle al muro. Ho bisogno di una via d’uscita, ed ora!

“No papà. Nulla.”

“AVANTI SMETTILA! RAZZA DI CRETINO CREDI CHE NON ABBIA CAPITO CHE C’E’ QUALCOSA CHE TI PREOCCUPA!”

Le parole di mio padre escono fuori con una tale ferocia che quasi ho paura di quell’uomo che ho sempre considerato si ottuso, ma mai, assolutamente, violento.

Riesco solo a dire una frase, prima di abbassare lo sguardo per nascondere gli occhi lucidi sotto le lenti.

“Non potete capire.”

Mio padre sembra calmarsi e mia madre mi poggia una mano sulla spalla come per dire “io ci sono”.

Se solo sapessero come mi sento nei loro confronti, quasi sbagliato, quasi colpevole di non essere quel figlio che desideravano io fossi.

Colpevole di essere ciò che loro odiano di più al mondo: diverso. 

Diverso dalla loro ipocrita normalità, decisa da chissà quale legge suprema.

Malato, secondo i discorsi di mia madre, che dice che dovrebbero inventare delle medicine per curare questa piaga dell’umanità che va sotto il nome di omosessualità.

Sbagliato, secondo me, perché non ho il coraggio di dirglielo chiaro e tondo in faccia.

Finché non è lui che lo dice chiaro e tondo, quasi fosse una cosa risaputa da tempo.

“Sei gay Kiminobu?”

Mi si gela il sangue.

Alzo la faccia sbalordito all’inverosimile sentendolo pronunciare quella frase, e sebbene riesca ancora a guardarlo negli occhi non riesco ad aprire bocca

Ma è mia madre a parlare. E avrei preferito non l’avesse mai fatto.

“Tesoro ma sei pazzo? Kiminobu gay? Ma se il nostro ragazzo è in piena forma? Diglielo anche tu Kiminobu!”

Lei mi guarda speranzosa che mi metta a ridere alla domanda di mio padre.

Ma rimango fermo, immobile, mentre mio padre risponde.

“Non sono pazzo! Sto solo cercando di capire cosa passa per la testa di tuo figlio visto che ultimamente si comporta in modo strano: quando si parla di gay esce e se ne va (e vorrei vede’ coi discorsi del cavolo che fai tu! E purtroppo non solo tu! N.d.C), sta sempre insieme ad un ragazzo della sua squadra, ultimamente. Secondo te come la dovrei pensare? Da due mesi a questa parte poi sembra davvero un’altra persona!”

Il mio cuore cessa quasi di battere, mentre la mia mente si svuota di ogni pensiero possibile ed immaginabile. Fisso mio padre, che s’incavola ancora una volta, pensando forse al fatto che comunque io non gli ho ancora dato una risposta.

“TI HO FATTO UNA DOMANDA!”

Credo che tutto il vicinato abbia capito che mio padre mi ha fatto una domanda.

Con uno scatto felino mio padre si è alzato e mi ha preso il bavero, mentre mia madre cerca disperatamente di calmare la situazione.

Ma non c’è nulla da nascondere, ormai più nulla.

Abbasso nuovamente lo sguardo: non posso guardare quegli occhi pieni di odio nei miei confronti.

Ma non posso neanche più mentire o scappare.

“Si papà.”

La mamma cade seduta sulla sedia sconvolta.

Ma non ho il tempo di mettere a fuoco la situazione che mio padre decide di stamparmi la sua mano sulla mia guancia, dandomi uno schiaffo che di certo non dimenticherò mai, visto che pone la parola fine ai nostri rapporti.

Gli occhiali volano a terra.

La guancia mi brucia: è ben diverso dallo schiaffo datomi da Mitsui.

Mia madre piange e si dispera per avere un figlio malato cui non v’è unguento e medicinale che possa guarirlo.

Mio padre urla.

“PERCHE’?! PERCHE’?! DOVE HO SBAGLIATO CON TE? DOVE?”

Non ce la faccio più!

Non li sopporto più!

Voglio andarmene! Non li voglio più sentire!

Mi alzo, senza neanche raccogliere gli occhiali, mi dirigo verso la porta, mentre mio padre continua ad urlarmi contro che sono un pervertito, che gli faccio schifo, che sono la vergogna della nostra famiglia…

Apro la porta di casa e vado via.

 

Non vedo un gran che senza occhiali, ma so bene dove porta questa strada: a casa di Mitsui.

Solo perché so a memoria ogni minimo particolare di quella casa, riesco a riconoscerla e ad avvicinarmi al campanello.

Non so se sia solo, ho solo bisogno di vederlo per non sentirmi un idiota e per convincermi sempre più che io non sono una persona malata.

Ho gli occhi pieni di lacrime quando suono il campanello.

Dopo pochi secondi la porta si apre, e mi appare Hisashi in tenuta da casa.

Trovo la risposta a tutte le mie domande e la soluzione a tutti i miei dubbi: lo amo.

Dapprima mi sorride, sorpreso sicuramente nel vedermi.

Ma nota subito il fatto che non porto gli occhiali e che ho gli occhi gonfi per le lacrime.

La sua faccia serena si fa ora preoccupata.

“Kiminobu che hai fatto? Stai bene?”

E’ davvero preoccupato, e mi poggia lentamente una mano sulla guancia accorgendosi del rossore di essa e dell’impronta lasciatami da mio padre.

“Ma che ti è successo! Avanti entra!”

Entro in casa, con la faccia in fiamme e la vista appannata. Non credo che resisterò per molto a scoppiare a piangere. Ma non voglio di certo farlo davanti ai suoi genitori, non ho di certo intenzione di metterlo in imbarazzo: ce n’è già stata una di confessione con esiti completamente disastrosi.

“Sei solo in casa?” riesco quindi a chiedergli con un filo di voce e un minimo di buon senso.

“Si, ma…”

Non gli do neanche il tempo di finire la frase che mi getto tra le sue braccia in preda alla disperazione più nera e lasciando cadere copiose le lacrime.

 

Passano più di 10 minuti prima che io riesca a riprendere il controllo di me stesso, mentre le sue braccia continuano a tenermi forte abbracciato a lui.

Quando si rende conto che ho smesso di piangere si allontana di quel tanto che gli basta per poggiarmi delicatamente le labbra sulle mie, dandomi un bacio tanto semplice quanto stupendo.

Sono in balia dei suoi occhi profondi, e credo che prima o poi quegli occhi mi faranno commettere una pazzia (mo’ se chiamano occhi! N.d.C).

“Va un po’ meglio Kiminobu?”

La sua bocca parla a pochi centimetri dal mio viso, circondato ora dalle sue mani i cui pollici asciugano lentamente le ultime lacrime cadenti dai miei occhi.

“Ora sto bene, grazie Hisashi.”

“Mica mi devi ringraziare! Non mi dispiace affatto tenerti stretto a me!”

La sua voce è canzonatoria e mi fa un piacere immenso sentirgli dire quelle cose.

Poi d’improvviso si fa di nuovo serio e, continuandomi a tenere il viso con le sue mani, continua a parlare.

“Ora vuoi dirmi cosa ti è successo. Mi stai facendo sul serio preoccupare.”

Fa sempre il duro, ma in fondo ha il cuore d’oro, e per me si preoccupa sempre, forse perché mi vede debole, anche se io preferisco pensare perché mi vuole bene.

Così restando in quella confortante posizione, gli racconto in breve quello che è accaduto.

Finito di raccontare la mia cena più tragica, sento le sue mani scivolare lungo la mia schiena e abbracciarmi stretto, quasi a volermi proteggere dalle parole sputatemi contro da mio padre.

“Mi dispiace tantissimo Kiminobu che tu debba soffrire così, senza un motivo. Vorrei tanto esserci stato anche io così almeno…”

“Avresti peggiorato solo la situazione.”
“Forse. Ma chi fa del male al mio Kiminobu se la deve vedere con me!”

Detto questo alzo il mio sguardo verso i suoi occhi per vedere un sorriso stampato sul suo volto, e sentirmi sempre di più bene accanto a lui.

Così stavolta sono io che bacio lui, e non mi basta il semplice contatto delle nostre labbra: voglio di più.

La mia lingua entra nella sua bocca, perlustrandone ogni anfratto, tenendo a bada la sua lingua, sempre pronta a voler prendere il comando: per una volta sono io che comando il bacio.

Ci stacchiamo per guardarci felici negli occhi, felici di sapere che comunque sia l’uno avrà sempre l’altro.

Ed ora io voglio lui.

Ora.

Ho come il bisogno di sentirmi parte di lui, perché solo così potrò veramente essere certo che mio padre ha torto completo: perché solo così forse mi renderò conto che sono solo colpevole di amare.

Non voglio più pensare questa sera, il pensare mi far star male.

Ma so già che mi basta stare vicino a lui per sentirmi meglio, mi basta sentire le sue braccia forti avvolgermi per capire che in questa lotta non sono solo.

Ed ora sento il bisogno di dimostrargli tutto il mio amore, devo fargli sapere quanto io abbia bisogno di lui e quanto io mi fidi ciecamente di lui, perché lui è tutto per me, tutto.

Chiudo gli occhi e decido di farlo partecipe dei miei pensieri, non senza un certo imbarazzo, gettandomi ancora una volta il mio viso sul suo petto.

O ora o mai più! (esagerato! Sto ragazzo è un po’ troppo pessimista secondo me! N.d.C; guarda che sei tu che scrivi la storia! N.d.K; che c’entra mo’! n.d.C; c’entra, c’entra, e comunque levate dalle scatole che stai rovinando un momento romantico! N.d.K; appunto! Non mi piacciono le scene troppo romantiche! N.d.C; e te ne sei accorta ora! n.d.K)

“Hisashi.”

“Dimmi Kiminobu.”

“Io…voglio…cioè, vorrei…se anche per te…insomma, perché per me…io credo che…”

“Ti senti bene Kiminobu?”

Il suo sguardo è tra il divertito ed il preoccupato, e credo si stia domandando se lo schiaffo di mio padre non abbia avuto altri effetti oltre al quello di farmi piangere.

“Si sto bene, cioè non proprio. Io devo dirti…ehm…proporti…”

“Cos’è una proposta indecente?”

Il suo tono è scherzoso. Ma non la mia faccia quando si mette a ridere proprio mentre stavo per fargli effettivamente una proposta indecente.

E il mio sguardo basso (che te guardi zozzone! N.d.C) non sfugge al mio Hisashi, che subito si rende conto della gaffe appena fatta, capendo al volo quello che stavo cercando di dirgli con tanta difficoltà.

Le sue mani che sono tornate ad incorniciarmi il viso, fanno alzare con forza il mio volto, mentre le sue labbra arrivano impetuose sulle mie e la sua lingua cerca una via di accesso per entrare nella mia bocca. Non indugio molto, e socchiudo le mie labbra per lasciarmi trascinare in un nuovo, travolgente, bacio, dimentico quasi dell’imbarazzo di pochi istanti prima.

Solo dopo un po’ ci rendiamo conto che respirare rimane comunque necessario e siamo costretti a separarci.

Lui poggia la sua fronte sulla mia ed i nostri nasi si accarezzano delicatamente.

“Senza occhiali baciarti è molto più semplice, lo sai Kiminobu?”

E’ tipico di Hisashi spezzare i momenti più imbarazzanti e tesi con una delle sue stupidaggini, e questo mi piace di lui (come tutto il resto!).

“Allora perché ti sei fermato, baka”

“Perché volevo chiederti se ti rimani a dormire qui stanotte.”

E’ strano sentirmelo chiedere con tale semplicità, e non posso nascondere l’imbarazzo, anche se in fondo sono stato io per primo a fargli una proposta indecente (veramente tu hai solo farfugliato, è stato lui a capire tutto! N.d.C).

Come al solito non ho tempo di rispondere che vengo assalito dalla sua bocca, mentre sento i baci crescere d’urgenza ed intensità.

Solo dopo un po’ ho di nuovo la bocca disponibile per parlare.

“Be’ se non disturbo.”

“Oh, si tantissimo! Mi disturbi talmente tanto che non vedo l’ora che te ne vada via! Per non parlare poi di quanto disturbi i miei che stanotte rientreranno tardi visto che sono fuori a festeggiare il loro anniversario di matrimonio!”

Mi sorride in un modo tanto dolce che sono strafelice che quel sorriso sia solo per me.

Poi si scioglie da quell’abbraccio che dura ormai da una buona mezz’ora e mi fa cenno di seguirlo.

Sono in sua balia e lo seguo come un cagnolino fedele fa con il suo padrone.

Saliti le scale ci ritroviamo nella sua stanza, come al solito disordinata al massimo, e con i soliti poster di Jordan attaccati alle pareti della stanza. Ormai ho imparato a conoscerla quella stanza.

Entrati nella stanza Hisashi cerca disperatamente di mettere ordine tra le enormi torri di libri e scartoffie che risiedono, da chissà quanto tempo, sulla sua scrivania, assieme a quelle disseminate sul pavimento in compagnia di avanzi di cena e vestiti vari (ma che schifo! Questa è pure peggio della mia camera! E ce ne vuole! N.d.C). decido di dargli un po’ di tempo e mi dirigo in bagno per sciacquarmi il viso ancora mezzo umido per le lacrime.

Il mio volto riflesso allo specchio ha qualcosa di penoso: gli occhi rossi, una guancia più grossa rispetto all’altra…faccio davvero ridere i polli!

Lo sportello sul quale vi è lo specchio è per metà aperto e dentro riesco a scorgere vari medicinali, tra cui uno che attira la mia attenzione: vaselina.

Quasi istintivamente prendo il barattoletto e lo apro, trovando non poche difficoltà visto che è nuovo e mai aperto. Annuso il suo contenuto e scopro che è praticamente inodore.

Dopo pochi secondi una domanda a mo’ di tarlo si piazza nella mia testa: che ci fa Hisashi con un vasetto di vaselina?

Ma non ho neanche il tempo di chiederlo a me stesso che ho già la risposta da Hisashi appena entrato in bagno, senza che io me ne accorgessi.

“Se ti stai chiedendo cosa me ne faccio io con quella, tranquillizzati, è di mio padre, la usa come detergente. (vi assicuro che non me lo sono inventato, ma mi sono documentata! N.d.C) Se non lo sapevi non si usa solo per agevolare certe cose.”

Mi sento un idiota!

E devo davvero sembrarlo vi sta l’espressione divertita sulla faccia di Hisashi.

Ma appena mi giro a guardarmi allo specchio capisco il perché: sono rosso come i capelli di Sakuragi e tengo in mano quel barattolo come se fosse una bomba ad orologeria!

Chiudo il barattolo e mi accingo a rimetterlo al suo posto, quando una mano ferma il mio polso, prendendo il barattolo dalle mie mani.

“Non credo che a mio padre dispiacerà se la prendo in prestito per stasera.”

Ora gli idioti siamo in due!

Due pomodori che si guardano contemporaneamente negli occhi!

Poi improvvisamente la luce del bagno si spegne e in un istante ci ritroviamo in una casa completamente al buio.

In compenso si riaccende il mio cervello, così che riesco a mettere assieme qualche parola e a formulare una frase intelligente. (ma se sei intelligentissimo! Basta vedere che bel ragazzo ti sei scelto! N.d.C)

“Il vento deve aver danneggiato qualche filo della luce.”

“Credo anche io. Che dici ce la faremo a raggiungere la mia stanza senza ammazzarci?”

A quanto pare si visto che ora mi sembra di stare seduto su di un letto, mi sembra perché non vedo nulla, un po’ perché non ho gli occhiali e un po’ perché è buio pesto.

Hisashi apre un po’ la tenda e filtra quel poco di luce che riesce a fare la luna coperta da grossi nuvoloni che promettono pioggia.

“Accidenti è saltata via la luce a tutta la strada!”

Il suo sguardo è fisso fuori ed anche se non lo vedo perfettamente riesco ad immaginarmi il suo sguardo intenso tutto concentrato verso quel paesaggio buio, così insolito.

“Ti dispiace?”

Sono riuscito a catturare la sua attenzione perché d’improvviso la stanza si rifà buia completamente e lo sento avvicinarsi lentamente a me.

“No, affatto.” 

Poi la sua bocca sul mio collo…le sue mani sui miei fianchi…e la voglia di lui mi prende ogni secondo di più, così che istintivamente cerco, riuscendoci, di levargli la maglietta, per scoprire un torace assolutamente perfetto (eh eh eh! N.d.C)

Le mie mani scorrono lente dal suo petto, dove si erano poggiate solo per sentire come il suo cuore batta velocemente, tale al mio, fino all’elastico dei pantaloni, dove si fermano titubanti, incerte sul da farsi.

Al contrario delle sue che, mentre la sua lingua giocherella tranquillamente con la mia, hanno raggiunto la chiusura lampo dei miei jeans aprendola, lasciando più ampio spazio alla mia erezione.

In un istante perdo tutta la mia indecisione faccio scivolare le mie mani sotto i suoi pantaloni, sotto i suoi boxer, per scoprire che non sono l’unico ad essere eccitato.

Con la mano accarezzando delicatamente il suo pene che al contatto diviene ancora più duro, mentre il suo respiro si fa più affannato, come il mio del resto: mi basta sentirlo eccitato per eccitarmi a mia volta.

La sua bocca si stacca dalla mia, per tornare a stuzzicare dapprima il mio collo, poi per avvicinarsi sensuale al mio orecchio, dove mi posa un leggero bacio sul lobo, ed infine, con voce rotta dall’eccitazione, mi sussurra:

“Aiutami a levarti i pantaloni.”

Da bravo bambino ubbidiente mi alzo dal letto quel tanto che basta a lui per levarmi, contemporaneamente, jeans e boxer.

Subito dopo mi viene levata, con furia e fretta anche la maglietta e mi ritrovo nudo di fronte ad Hisashi che se ne resta inginocchiato a terra. Non posso nascondere un certo imbarazzo, ma mi consola il fatto che non c’è luce.

Sento le sue labbra scivolare delicate sul mio petto, fino a fermarsi su uno dei miei capezzoli, che viene stuzzicato per un po’ dalla sua lingua, il che mi provoca una serie infinita di brividi lungo la schiena nuda e accarezzata dalle sue mani.

Proprio quando il mio capezzolo si stava abituando a quella piacevole tortura, viene abbandonato dalla sua bocca che continua a scendere giù, lungo il torace, per arrivare ai miei genitali ai quali viene riservato lo stesso trattamento del capezzolo.

La sua lingua massaggia delicatamente ogni millimetro del mio pene, che non può far altro che indurirsi maggiormente, mentre io tento di soffocare i miei gemiti con una mano, e con l’altra mi aggrappo alla coperta del letto.

Le sue mani vanno veloci ad afferrare le mie natiche, tirandomi ancora più verso di lui, e so che se non avessi la mano davanti alla bocca urlerei dal piacere. Ma neanche la mano può fermarmi dal gemere forte quando la sua lingua accarezza un punto particolarmente reattivo, e del liquido caldo inizia ad uscire dal mio pene costringendo Hisashi a staccarsi.

Sudato e affannato mi lascio andare sul letto, mentre Hisashi si rialza da terra e si siede sul letto accanto a me.

“Tutto okay Kiminobu?”

“Più che okay!”

La voce è rotta dall’eccitazione ed anche se sento di aver perso completamente la facoltà di ragionare, ho la voglia di far provare a lui le stesse splendide emozioni che lui ha fatto provare a me.

Così afferro le sue spalle da dietro e lo spingo sdraiato sul letto, accovacciandomi sopra di lui.

Con la lingua traccio la linea delle sue labbra, finché la sua bocca non si apre per farne uscire la sua che reclama la sua parte, trascinandomi ancora una volta in un bacio voluttuoso.

Intanto la mia mano si intrufola, curiosa, sotto i suoi pantaloncini che, con l’altra, riesco a far scivolare via, aiutato anche della mani di Hisashi in cui sento tutta l’urgenza di liberarsi dei vestiti.

Vado a cercare ancora il contatto di poco prima e noto, con piacere, che tra le sue gambe la situazione è sempre la stessa. Con la lingua perlustro ogni centimetro del suo torace che oramai conosco a memoria, tante sono le volte che mi sono soffermato ad osservarlo estasiato. Scendo giù sulla pancia e concentro la mia attenzione sul suo ombelico concedendogli dapprima un solo bacio, poi una serie di massaggi con la lingua.

Lo sento chiamare il mio nome un paio di volte quando finalmente mi decido a scendere più in basso, e con le mani gli levo anche l’ultimo indumento che gli era rimasto. Trattengo una risata pensando al fatto che mai, neanche nei miei sogni più spinti, mi sarei immaginato di fare una cosa del genere.

Tiro un sospiro e mi metto all’opera, inizialmente non sapendo cosa fare di preciso. Poi ripenso a ciò che lui a fatto a me e prendo esempio: con la bocca abbraccio la sua virilità ed inizio ad andare su e giù mentre la mia lingua vaga, senza una meta precisa, lungo il suo pene.

Una delle sue mani afferra i miei capelli, mentre l’altra non so dove sia e francamente non ho intenzione di distogliere lo sguardo per andare a cercarla. So solo che a differenza di me, lui non si trattiene dal gemere forte, e chiama, con voce rotta dall’eccitazione, insistentemente il mio nome.

Finché non sento, ormai in ritmo con quel diverso bacio, del liquido caldo nella mia bocca e non sapendo cosa fare inghiotto, lasciando andare il suo pene, e scoprendo che il suo sapore non è affatto disgustoso.

Rialzo la testa e mi appoggio sul suo petto ad ascoltare il battito del suo cuore che piano piano ritorna alla normalità. Chiudo gli occhi per immergermi meglio nell’ascolto, mentre con le mani mi stringo a lui, che contraccambia il mio abbraccio.

Rimaniamo una decina di minuti in quella posizione, io immerso nel suo respiro, lui…lui che non dice nulla, tanto che il primo pensiero che ho è che si sia addormentato. Così alzo lo sguardo per vedere che fa e trovo i suoi occhi fissi su di me. Lo guardo un po’ indeciso se parlare o più semplicemente baciarlo, e alla fine mi decido a fare entrambe le cose.

Raggiungo le sue labbra sfiorandole con le mie e poi con un filo di voce gli domando l’unica cosa che ora voglio sapere da lui.

“A che pensi Hisashi?”

“Al fatto che stasera credevo sarebbe stata una serata noiosissima.”

Mi sorride con quel suo fare canzonatorio e poi ritorna a baciarmi.

La sue mani scivolano lungo la mia schiena, regalandomi ancora una volta brividi caldi e reazioni incontrollate. 

Quasi senza accorgermene mi ritrovo con la schiena sul letto ed Hisashi sopra, che ha invertito le posizioni.

Le nostre virilità vengono a contatto, accarezzandosi l’un l’altra, quasi che volessero imitare lo stesso movimento delle nostre lingue. La reazione è quasi immediata e sento nuovamente un’erezione tra le mie gambe, e non è l’unica.

La sua bocca si stacca dalla mia per scivolare lungo la mia guancia a sensuale avvicinarsi al mio orecchio.

“Sei sicuro di volerlo fare, Kiminobu?”

Le parole non basterebbero a fargli capire quanto sia sempre più convinto che lo voglio: nell’esprimere certi sentimenti a parole si rischia di sminuirli. Così le mie mani afferrano la sua testa portandola vicino alla mia e la mia bocca chiede incessantemente la sua finché non la trova, ed io spingo il mio corpo contro il suo quasi per fargli capire la mia risposta affermativa.

La sua mano si stacca dai miei fianchi e va tenta di prendere qualcosa che era stato appoggiato sopra il comodino, ma non gli lascio molto spazio per muoversi visto che con le mie labbra lo tengo intrappolato vicino a me. La sua bocca si inarca in un sorriso, così che lo lascio andare quel tanto che basta a lui per staccarsi e poter finalmente afferrare il desiderato oggetto, aprendolo.

“Dicevamo?”
La sua domanda è una richiesta a continuare il bacio di prima, e così faccio, mentre le sue mani scivolano calde lungo la mia schiena fino ad arrivare alle mie natiche.

Una di esse scende giù lungo la mia coscia, costringendo questa ad aderire ai suoi fianchi, mentre l’altra si muove verso il barattoletto lasciato aperto, prendendone una piccola quantità che viene spalmata sul suo pene. Nel fare questo però la sua mano tocca più volte ed involontariamente il mio membro, con il piacevole effetto di farmi eccitare ancora di più, solo che stavolta a sigillare la mia bocca non c’è la mia mano, ma la sua di bocca.

Passo, istintivamente, anche l’altra gamba attorno ai suoi fianchi e lui si stacca d’improvviso dalla mia bocca.

“Sei sicuro Kiminobu? Potrebbe farti…”

Male? Lo so, ma non ho intenzione di lasciarglielo dire, così che gli tappo la bocca con la mia, mentre una delle sua mani scivola di nuovo verso il mio sedere.

D’improvviso sento un dito entrare dentro di me, ed anche se la sensazione non è di dolore vero e proprio, c’è qualcosa di strano in quel gesto. Finché le dita non diventano due, poi tre ed i nostri corpi iniziano a muoversi con un ritmo regolare e qualcosa mi entra dentro, qualcosa ben diverso dalle dita.

All’inizio sento solo dolore ed i nostri respiri affannati, le bocche libere l’una dall’altra.

Ben presto il dolore si affievolisce, sovrastato dal piacere e la sua bocca ritorna sulla mia azzittendo i miei sonori gemiti.

Ad ogni movimento che lui fa dentro di me mi pare di ricevere una scarica di adrenalina e so bene che non è entrato tutto. Così afferro le sue natiche costringendolo a sprofondare tutto dentro di me. Come era successo prima anche ora il dolore è più forte del piacere, e solo la sua bocca spinta, come il resto del corpo, contro di me, riesce a smorzare il mio grido.

Mi aggrappo a lui ed ormai priva di ogni autocontrollo la mia bocca inizia ad emettere sospiri incontrollati. Il mio respiro si fa sempre più affannoso quando lui afferra con una mano il mio membro, iniziando a muoverla su e giù lungo tutta la lunghezza di esso.

Così che dopo pochi istanti ci troviamo a venire quasi contemporaneamente lui in me ed io tra le sue mani.

 

Sono quasi due ore che ce ne stiamo sdraiati sul letto, abbracciati e nudi. 

Hisashi si è quasi subito addormentato, poggiando la sua testa nell’incavo della mia spalla e sento il suo respiro leggero solleticarmi il collo.

E’ stupendo vederlo dormire così pacificamente e il guardarlo mi regala una gioia infinita che mi fa dimenticare tutte le amarezze di oggi. 

Chiudo gli occhi deciso a dormire anche io ma una luce improvvisa mi abbaglia costringendomi ad abbandonare i miei propositi.

E’ tornata la luce.

Anche Hisashi si sveglia, alquanto scocciato per essere stato svegliato a quel modo.

E’ quasi mezzanotte e mezza.

“Diavolo! Ma chi è che acceso la luce!”

Si strofina un po’ gli occhi assonnato, poi nasconde la testa nel mio collo per proteggerli dalla luce.

Faccio per alzarmi per evitargli (ed evitarmi) la tortura della luce dopo ore di buio totale.

Mi alzo a sedere e mi sento un po’ indolenzito, mentre Hisashi sembra ricaduto nel sonno più profondo, quando un braccio mi cinge la vita non facendomi alzare.

“Non te ne andare Kiminobu!”

“E chi se ne va! Vado solo a spegnere la luce!”

“Okay, ma prometti che non mi lascerai mai.”

“E dove vuoi che vada? Non so neanche se mi vorranno più a casa ora!”

Il suo sguardo si fissa nel mio amaro e triste, come per volermi confortare e rassicurare, anche se dalle sue parole sembra quasi che sia io a dover confortare lui.

Il suo viso si avvicina lento al mio e chiudo gli occhi pronto a ricevere un nuovo bacio, ma la sua bocca si ferma a pochi centimetri dalla mia mentre le sue mani incorniciano il mio viso.

“Dai suki Kiminobu.”

Poi mi bacia dolcemente e sento il mio cuore uscire fuori dal petto tanto batte veloce.

Quando le nostre bocche si dividono ho la possibilità di rispondergli posandogli prima un leggero bacio sulle sue labbra.

“Dai suki too Hisashi”

Infine mi abbraccia forte ed io mi domando perché mai non esistano i telecomandi per spegnere la luce, perché ora non ho proprio voglia di alzarmi per spegnerla.

Nascondete la luna, nascondete le stelle perché ad illuminare questa notte deve esserci solo la fiamma dell’amore.

 

La luce del sole filtra tra le tende e mi costringe ad aprire gli occhi, ancora una volta indolenziti per le lacrime della sera prima.

Ma questa volta al mio risveglio c’è qualcosa di diverso: non sono solo nel letto e soprattutto il letto non è il mio.

Sento delle voci risuonare in casa e mi rendo conto che sono quelle dei genitori di Hisashi. In un istante mi rimbomba in testa un pensiero: la porta è chiusa a chiave?

Sarebbe terribile se aprissero la porta! Troverebbero due ragazzi nudi teneramente abbracciati. Non credo che la loro sarebbe una reazione gioiosa.

Finché una voce non mi sussurra qualcosa all’orecchio.

“Non ti preoccupare, l’ho chiusa la porta a chiave, quando dormivi e li ho sentiti rientrare.”

Mi giro verso Hisashi che pare sveglio già da un po’ e mi sorride prima di darmi un tenero bacio, interrotto dalle grida della madre di Hisashi:

“RAGAZZI! LA COLAZIONE E’ PRONTA! DATEVI UNA MOSSA!” (se vi state chiedendo come faccia la madre di Mitsui a sapere che c’è qualcun altro in camera del figlio, se ne rendo conto vedendo le scarpe di Kogure all’entrata, ormai le conosce visto che Kogure è solito andare a casa loro per studiare - ? mo’ se chiama studia’ -)

Per fortuna che è domenica mattina!

Non oso immaginare cosa faccia quando deve svegliare Hisashi per andare a scuola!

“SI MAMMA! SIAMO SVEGLI! ORA ARRIVIAMO!”

Allora è un vizio di famiglia urlare

Solo che Hisashi mi ha urlato nell’orecchio!

“Ah! Hisashi! Mi hai sturato un orecchio!”

“Scusa!”

E per scusarsi mi da un altro bacio: come non fare a perdonarlo!

Veloci ci rivestiamo e scendiamo giù in cucina per fare colazione, dove troviamo la signora Mitsui ad aspettarci.

“Alla buon’ora! Ma avete visto che ore sono? Due sportivi come voi non dovrebbero dormire così tanto! Invece di crogiolarvi a letto andatevi ad allenare, avete un campionato da vincere e poi…”

“Mamma! Dacci un taglio! Ci siamo appena svegliati! Il povero Kiminobu non è abituato alle tue chiacchiere mattiniere!”

“Non ti preoccupare Hisashi. E’ bello vedere tanta allegria di prima mattina.”

Ed è proprio così, mi piace questo risveglio completamente diverso da quello che mi aspetta a casa mia. Casa mia…

Chissà se i miei sono in pensiero?

Il mio volto si rabbuia al pensiero della cena precedente, e la ferita nel mio petto ricomincia a farsi sentire.

Sia Hisashi che la madre si accorgono del mio cambiamento d’umore, finché una figura alle mie spalle non si affaccia in cucina.

Il padre di Hisashi entra e si accomoda in tavola, salutandomi con un amabile sorriso.

“Salve ragazzi! Dormito bene?”

Dormito? Se solo sapesse!

D’improvviso le guance mi vanno a fuoco, ma riesco comunque a mascherare l’imbarazzo e mi siedo a tavola assieme ad Hisashi e a sua madre.

Dopo qualche istante di silenzio la madre inizia a discorrere dei più svariati argomenti insieme al marito, finche non decide di iniziare a parlare anche con noi.

“Allora Kiminobu. Come stanno i tuoi genitori?”

Cerco di mantenere il sorriso sul volto, ma dentro di me sento un magone.

“Bene, grazie.”

La mia voce è titubante ed ancora una volta mi rendo conto di non aver saputo raccontare una bugia. Così mi ritrovo gli sguardi della famiglia Mitsui addosso: nessuno dei tre l’ha bevuta. Ma tutti e tre preferiscono far cadere il discorso là, ed io tiro un sospiro di sollievo.

La madre di Hisashi cerca di cambiare discorso, ma non sa di tornare a toccare lo stesso tasto dolente.

“Come mai da queste parti, Kiminobu?”

Per fortuna Hisashi risponde a posto mio.

“Perché non ti fai gli affari tuoi mamma?”

“Okay, scusa. Cercavo solo di essere gentile!”

Mi sento quasi in colpa nei confronti di quella signora che in fondo stava solo cercando di fare un po’ di conversazione. E sono anche piuttosto in imbarazzo, il che non resta nascosto per molto, visto che il padre di Hisashi conclude definitivamente il tutto, sviando il discorso verso il basket, chiedendoci cose sulla squadra.

Ma non riesco ad essere spontaneo come al solito, né ad essere rilassato.

So che dovrò tornare a casa e non so che cosa mi aspetterà.

Non so perché, ma non sono affatto ottimista.

Guardo per un Hisashi che discorre pacatamente con il padre che lo ascolta parlare della squadra.

So che non è stato sempre così.

Nel periodo teppista di Hisashi, i loro rapporti erano praticamente inesistenti, ma di fatto in quel periodo lui non aveva rapporti con nessuno.

Però ora mi rende felice l’idea che almeno lui abbia un qualche tipo di rapporto con suo padre: mio padre non mi ha mai chiesto nulla della squadra, né tanto meno mi ha mai lasciato parlare per più di 30 secondi.

Una mano si poggia sulla mia abbandonata sul tavolo, e la mano è quella della madre di Hisashi che mi sorride dolce, tanto che noto come si somigliano quando sorridono in questo modo.

“Su con la vita Kiminobu! Qualsiasi cosa ti preoccupa vedrai che si risolverà presto!”

Il suo tono allegro quasi mi fa sentire meglio e con gli occhi umidi la ringrazio con lo sguardo.

Anche il padre di Hisashi annuisce con la testa come a confermare quello che ha appena detto la moglie.

Mi sento veramente bene, ma non posso fare a meno di pensare che, nonostante tutto, mi manca la mia casa, la mia famiglia.

Anche mia madre sa essere dolce, molto dolce, e sono sicuro che ora sarà piuttosto in ansia.

Forse ho fatto male ad andarmene a quel modo e soprattutto a non farmi più sentire.

Nonostante i pensieri tristi sorrido pensando al fatto che forse non tutto è perduto.

Hisashi al contrario si fa serio e mi guarda un attimo per poi iniziare a parlare.

“Visto che stamattina siete di buonumore, ho da dirvi una cosa.”

Capisco subito quello che Hisashi vuole dire ed il terrore si impadronisce di me: e se avessero la stessa reazione dei miei?

Entrambi si fanno seri e guardano il figlio in attesa che parli.

“Io volevo dirvi che…che…io e Kiminobu…stiamo assieme…”

Non so dove guardare, se cercare di capire la reazione dei suoi genitori oppure evitare proprio di guardare qualcuno.

Ma alla fine poso lo sguardo su Hisashi che invece fa andare i suoi occhi dall’una all’altra parte del tavolo, in cerca di reazioni da parte dei genitori.

In entrambi è sparita l’espressione serena di poco prima ed il padre sbuffa sonoramente, sprofondando ancora di più nella sedia.

La madre invece è la prima a rompere il silenzio.

“Wow! Non pensavo saresti stato così diretto!”

Abbasso lo sguardo sul tavolo studiandone ogni millimetro di superficie e chiedendomi perché mai ha detto una cosa così proprio in mia presenza: le guance mi vanno a fuoco, il cuore mi batte all’impazzata e sembra voler uscire fuori dal petto.

Il silenzio è terribile, e la tensioni si taglia con il coltello.

Per fortuna la madre di Hisashi odia il silenzio, e dopo un po’ ricomincia a parlare, ma stavolta gela il sangue nelle mie vene e non solo nelle mie credo.

“Be’, che vi posso dire? Mi dispiace per voi ragazzi!”

Alzo lo sguardo in direzione di quelle parole e così fa Hisashi che diventa di tutti i colori che può assumere una persona quando è furiosa.

Si alza da tavola con una rabbia inaudita e sento che sta per esplodere e urlare qualcosa in faccia alla madre.

Vorrei fermarlo, ma sono inchiodato alla sedia dall’imbarazzo e dalla paura.

Così non sono io a calmarlo, ma suo padre.

“Lascia parlare tua madre, Hisashi.”

Il tono di voce è calmo, ma traspare una sorta di freddezza e di amarezza dalle sua parole.

Hisashi, sbuffando, si rimette a sedere e la madre ricomincia a parlare.

“Non fraintendetemi ragazzi. Non è che mi dispiace perché state assieme, anche se non faccio i salti di gioia. Mi dispiace perché non voglio vedervi soffrire, e so già che questo succederà. Ci sono troppi pregiudizi, troppi tabù, sull’omosessualità. E si sa, una madre vorrebbe vedere suo figlio sempre sereno!”

L’ultima frase la dice con una grande tristezza, e nella mia immaginazione si crea la figura di mia madre: chissà se anche lei la pensa in questo modo.

Il mio sguardo si posa poi sulla figura del padre che se ne resta in silenzio, con lo sguardo perso nel vuoto, assorto in chissà quali pensieri.

Si accorge del mio sguardo forse, perché inizia anche lui a guardarmi, così che i nostri occhi si fissano per qualche istante prima che io ritorni ad abbassare di nuovo il mio sguardo.

Incrocio le mie mani per nascondere il tremore che le scuote, cercando di farle stare ferme.

L’atmosfera è tesissima e uno strano ronzio inizia a tartassare la mia testa.

In questo momento vorrei solo scomparire!

D’improvviso il silenzio viene rotto dalla voce ferma di Hisashi.

“E tu non dici niente papà?”

Alzo lo sguardo verso il destinatario della domanda e mi accorgo di avere su di me quello preoccupato della madre di Hisashi.

Il padre, con lentezza, si alza dalla sedia, spostandola in modo da non far rumore. Orami in piedi guarda il figlio ed accennando un sorriso gli parla con calma.

“Che vuoi che ti dica? Devo andare a comprare il giornale. E se vuoi sapere cosa ne penso, be’…la vita è vostra, non sono io che vi devo giudicare. Ed anche se non approvo, non intendo condannarvi. D’altronde meglio un figlio gay piuttosto che un teppista che non sai mai se ti ritorna a casa e se ci ritorna in quale stato pietoso.”

Non da neanche il tempo di rispondere che con un gesto della mano saluta e scompare nell’ingresso, rincorso dalla voce di Hisashi, fino a quando non si sente il rumore della porta di casa chiudersi.

“Lascia stare Hisashi. Sono sicura che tuo padre non ti odia, è solo un po’…sorpreso…tutto qui.”

Le parole della madre hanno avuto l’effetto di farlo risedere a tavola con lo sguardo basso.

Le mie mani tremano come le foglie che ieri venivano scosse dal vento.

Sento il mondo sgretolarsi attorno a me: la felicità di poco prima completamente scomparsa.

In questo momento avrei solo voglia di scomparire da questo mondo, lasciandomi tutto alle spalle, andandomene senza aver bisogno di salutare qualcuno, o di chiedermi se ciò che faccio è giusto o sbagliato, senza sentirmi in colpa per quello che provo: chiudermi la porta dietro le spalle e non tornare mai più, liberando la mia mente di tutti i pensieri negativi che l'hanno affollata in questo ultimo periodo…

Ma poi mi rendo conto di quanto i miei discorsi siano egoistici, guardando Hisashi mi rendo conto che mai e poi mai potrei andarmene senza di lui, credo che oramai non riuscirei a fare più nulla senza di lui…

Le mie mani tremano sempre più vistosamente, cosa che non resta inosservata alla madre premurosa di Hisashi, la quale, come poco prima, poggia una sua mano sulle mie.

Al contatto alzo gli occhi verso il suo viso sorridente, che ancora una volta mi fa sentire meglio e che mi fa pensare a mia madre.

“Non so cosa ti sia successo Kiminobu, ma datti una calmata o i sismografi registreranno un terremoto con epicentro in casa nostra!”

Ancora una volta la sua allegria è contagiosa e strappa un sorriso sia a me che ad Hisashi.

Poi si alza da tavola e si appresta a sparecchiare la tavola, al che ci alziamo entrambi per aiutarla.

Ma improvvisamente si ferma e ci guarda entrambi negli occhi.

“Mettiamo in chiaro una cosa ragazzi: niente smancerie in mia presenza, niente atti osceni in pubblico e il primo dei due che sgarra verrà punito da me medesima!”

Dire che divento un pomodoro è dire poco: sento letteralmente il mio viso andare a fuoco!

Poi come se avesse detto la cosa più naturale del mondo, si gira verso il lavandino e inizia a lavare i piatti.

Per un attimo io ed Hisashi rimaniamo attoniti, immobili in mezzo alla cucina, sorpresi da tale spontaneità.

“Be’! Che fate lì imbambolati! Cammina via di qui! Ho cose migliori da fare che guardare i vostri volti color pomodoro! Perché non andate ad allenarvi, anzi no! …”

Poi d’improvviso si fa seria e mi guarda con occhi preoccupati.

“…credo che dovresti tornare a casa, Kiminobu. Non so perché, ma ho come il presentimento che te ne sei andato senza salutare nessuno. A quest’ora i tuoi saranno piuttosto preoccupati!”

Ed è vero, i miei saranno in pensiero. Soprattutto mia madre. Solo mia madre, visto che mio padre preferisce un figlio morto piuttosto che gay.

Non riesco a levarmi le sue parole dalla testa, non ne posso fare a meno.

Il mio sguardo si fa preoccupato: cosa mi aspetterà quando tornerò a casa?

Da una parte vorrei tornare per tranquillizzare la mamma, ma dall’altra ho paura, una paura che mai avevo avuto in vita mia.

Paura di non essere accettato, paura che le parole dei miei siano vere, che veramente mi considerato una persona malata…paura di fargli schifo…paura del fatto che ora tutto cambierà.

Mi giro in cerca dello sguardo rassicurante di Hisashi, che è al mio fianco e mi guarda intensamente prima di posarmi una mano sulla spalla e parlare.

“Avanti andiamo. Ti accompagno io, senza occhiali non so che fine potresti fare!”

Cerca di essere sereno e di fare una battuta, ma non ci riesco a rispondergli con un sorriso come al solito ed anzi cerco di replicare che non ho bisogno che mi accompagni e che anzi sarebbe davvero terribile se mi accompagnasse.

Ma la bocca, sebbene aperta, non emette nessun suono perché in fondo speravo che mi dicesse una cosa del genere: in questo momento è l’unico che riesce a darmi un po’ di forza.

Così mi limito ad accennare con il capo un timido si, e rivolgo alla madre di Hisashi un sentito “Grazie di tutto.”

Infine io ed Hisashi usciamo di casa e ci dirigiamo verso casa mia, che in questo momento sembra rappresentare l’inferno, visto che in realtà non so quello che mi aspetterà.

 

La strada sembra non finire mai e rischio più di qualche volta di farmi male, visto che senza occhiali non vedo buche o ostacoli davanti a me (evviva la miopia! N.d.C), anche se penso che se avessi gli occhiali sarebbe la stessa cosa, talmente sono preso dai miei pensieri. 

Pensieri non di certo positivi! (ma va?! Non mi dire! N.d.C)

Cerco di immaginarmi come reagiranno i miei nel vedermi tornare dopo che ieri sera me ne sono andato a quel modo senza avvertire dove andavo e quando sarei tornato, se sarei tornato.

Già sento la voce di mio padre urlarmi contro i suoi soliti rimproveri sul fatto che faccio preoccupare mia madre, e d i suoi insulti che di certi mi accompagneranno nelle mie giornate d’ora in avanti. E mi pare di vederla mai madre, preoccupata e con il viso rigato dalle lacrime: sarà stata sveglia tutta la notte ad aspettarmi.

Attesa invana! Stanotte avevo altro da fare! (brutto zozzo! Se dicono ste’ cose! N.d.C. -__^)

Sorrido ripensando a quello che è successo stanotte: ancora non riesco a crederci! E le guance mi vanno d’improvviso in fiamme, anche perché penso che lui è ora accanto a me, e mi cammina vicino: se allungassi una mano potrei prendere la sua e tenerla stretta tra le mie, proprio come una coppia! Quello che siamo ora!

Mi volto verso di lui e lo osservo mentre lui perso tra i suoi pensieri sembra non accorgersi neanche della mia presenza. Ma dopo un po’ si accorge del mio sguardo e dei miei occhi che lo stanno praticamente spogliando, ricordando come sotto quei vestiti ci sia un corpo perfetto (anvedi che maniaco! Questo è peggio di me! N.d.C; veramente mi stai mettendo in bocca i tuoi pensieri, quindi la maniaca sei te! N.d.K; non svelare ‘sti retroscena e poi ci vuole solo il coraggio tuo a dire che questi pensieri non ce li hai pure te! N.d.C)

Mi guarda per un attimo perplesso, forse a causa del mio certo rossore sulle guance, poi mi sorride dolcemente, incuriosito.

“Be’, che hai da guardare? Ho ancora quei famosi pupazzetti sulla fronte?”

L’aria più divertita che arrabbiata, mi fa sorridere a mai volta e un po’ di quella tensione che si era accumulata nei minuti precedenti, sembra scomparsa, con mio grande sollievo.

Poi, proprio nel momento in cui le cose sembravano distendersi un po’, arriviamo davanti alla casa degli incubi.

Il sangue mi si gela nelle vene, ed ho quasi paura ad entrare, anzi, anche solo a bussare.

Hisashi mi guarda perplesso, e sicuramente non sa cosa dire. Come me del resto.

Ci guardiamo un attimo negli occhi, ed alla fine riesco a parlare.

“Be’, siamo giunti a destinazione! Ora sarà meglio che prosegua da solo. Ti ringrazio per avermi accompagnato, non so se senza di te e senza occhiali sarei riuscito ad arrivare a casa sano e salvo!”

Il tono più scherzoso possibile non è comunque abbastanza convincente, e mi ritrovo i suoi occhi indagatori sul volto, a fissarmi.

“Sei sicuro di voler andare da solo? Non vuoi che venga con te?”

In questo momento ho una gran voglia di baciarlo, ma so che mi devo trattenere, così mi limito ad un sorriso, in cui cerco di imprimere tutto ilo mio amore, e tutta la gratitudine che provo nei suoi confronti per essermi così vicino.

Ma questa è una questione che devo affrontare da solo.

“Vai pure a casa Hisashi. Ci sentiamo più tardi.”

Le sue mani sprofondano ancora di più nelle tasche dei pantaloni e stringendosi le spalle mi guarda quasi dispiaciuto del mio rifiuto.

“Okay, come preferisci te. Ci sentiamo più tardi, allora.”

So che gli costa l’andarsene così, ma non è davvero il caso che venga ora a casa: sarà per un’altra volta!

Lo vedo allontanarsi di qualche passo per poi fermarsi bruscamente e girarsi di nuovo verso di me ed aprire un paio di volte la bocca senza dire nulla finche non decide di dar voce ai suoi pensieri.

“Ehi, Quattr’occhi! Vedi di non farmi stare in pensiero, cerca di ricordarti di chiamarmi!”

Gli sorrido, sinceramente grato per quello che mi ha detto, manifestandomi il fatto che a me ci tiene.

Accenno con il capo ad un si e lo vedo infine allontanarsi, finché non gira l’angolo e scompare dalla mia vista, mentre io mi dirigo verso il cancello di casa mia.

 

Sto per suonare, ma la porta si apre prima e compare mio padre con l’aria alquanto scocciata e assonnata: che sia stato anche lui sveglio ad aspettarmi?

“Era ora che ti facessi vivo! Che cavolo di fine hai fatto? Tua madre era molto preoccupata! Avanti entra!”

Il cancello scatta ed io entro come mi è stato suggerito e dopo pochi secondi mi ritrovo dentro casa con mio padre che mi incombe da dietro.

Vorrei dire qualcosa, ma non so davvero che dire per allentare un po’ la tensione. Sfortunatamente è mio padre a parlare per primo.

“Allora, dove sei stato? Dal tuo amichetto?”

Il tono della sua voce è alquanto sprezzante ed amara, e cerca di ferirmi con questo suo comportamento, in modo che mi senta peggio di quello che già sono.

Ma in realtà mi aspettavo un comportamento del genere, quindi non mi lascio ferire né sorprendere più di molto.

“Si.”

Mi giro verso il suo sguardo furioso, e sono già pronto a ricevere un altro schiaffo, ma questo non arriva e al suo posto sento un grande sospiro mentre una mano si posa non troppo gentilmente sulla mia spalla.

“La prossima volta cerca di avvertire, tua madre è stata veramente in pensiero…”

La sua voce non è adirata, ma potrei dire quasi preoccupata, e devo dire che questa volta sono stato veramente sorpreso dal comportamento di mio padre.

“…e…Kiminobu… non azzardarti ha portare il tuo amichetto a casa mia… certe cosa valle a fare da un’altra parte…”

Ora alla sorpresa si è sostituito l’imbarazzo da entrambe le parti, così che lui mi toglie la mano dalla spalla e si dirige verso le scale per andarsene.

Mi volto di scatto, quasi a volerlo fermare, e mi sento ridicolo: il solito bambino insicuro che cerca l’approvazione dei suoi!

Ma non ho tempo di pensare che mi piomba addosso mia madre piangente, che mi si getta al collo dopo essersi assicurata che sia tutto intero.

Mi viene quasi da ridere: e io che pensavo di trovare l’inferno a casa!

E’ proprio vero: la vita a volte riesce a sorprenderti anche in modo piacevole!

Fuori il sole splende: la classica pace dopo la tempesta.

E devo dire che ieri è stato un giorno piuttosto tempestoso, tra tempeste vere col vento che non ci ha dato tregua, tempeste a casa coi genitori, e…be’… diciamolo pure… vere a proprie tempeste ormonali: davvero un giorno tempestoso! 




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