Ultima e più decente delle tre. E con questa finisce! (-___- si spera!)

Disclaimers: i personaggi mi appartengono… non so quanto gli convenga!

 

 


Tears of Rain

di SaraNeikos

 

Sole e calore.

Primavera inoltrata, un tempo magnifico.

Mi sento bene, come non mi capitava da un po’ di tempo a questa parte.

Il parco è pieno di gente.

Di vita.

Tanti volti, anime e storie che mi passano accanto.

A volte mi domando come siano realmente.

Quale sia la loro vita.

Di loro non vedo che un piccolo frammento, quello che mostrano qui.

Spesso solo ciò che decidono di mostrare.

Chissà…

Mi sdraio sull’erba, l’aria mi accarezza la pelle.

Calma.

E pace.

Mi sento bene.

 

Anche oggi è qui.

Mi incuriosisce.

Seduto sulla panchina sotto al tiglio, una sacca con alcuni libri posata a fianco.

Probabilmente frequenta l’università qui a fianco come me.

Eppure non l’ho mai visto.

Se ne sta fermo, immobile.

Nessuno gli si avvicina.

Non parla.

Non apre i libri per studiare.

Si limita a guardarsi attorno.

Uno sguardo strano, disinteressato.

Da qui lo vedo chiaramente.

Perché?

Qual è la sua storia?

 

Una nuova mattina.

Un raggio di sole illumina il mio cuscino.

Voci in sottofondo.

Divido il piccolo appartamento con un mio amico.

È un ragazzo allegro, casinista, sempre pronto a divertirsi e a far divertire.

Ed odia il silenzio.

Lo terrorizza, letteralmente.

Appena si sveglia accende la tv .

Non importa il canale e il programma.

L’importante è che rompa il silenzio.

Ed anche oggi non è da meno.

Mtv, “Numb” dei Linkin Park.

Questo video mi ha fatto ricordare il ragazzo del parco.

Lo incontrerò anche oggi?

Spero di sì.

Sulle mie labbra aleggia un sorriso.

 

Lo osservo attentamente.

È sempre su quella panchina.

Sempre solo, sempre silenzioso.

Lo stesso sguardo.

Stamattina lo avevo paragonato alla ragazza del video.

Mi sbagliavo.

Lei veniva ignorata ed evitata da tutti, limitandosi ad osservare rassegnata gli altri passarle accanto.

Ma lui…

È lui ad ignorare gli altri, a non considerarli.

Vive in un mondo suo perché lui stesso lo ha deciso.

Sono sorpreso.

E turbato.

Si crede superiore a tutti?

O forse, semplicemente, non ritiene gli altri degni di attenzione?

Siamo privi di interesse?

Gli passo accanto.

Faccio in modo di guardarlo senza che mi noti.

Mi interessa.

Voglio capire.

Voglio sapere tutto su quello strano ragazzo.

 

Un altro giorno.

Stesso parco, stessa panchina.

Lui è lì.

Ma questa volta ci sono anch’io.

Ho faticato a trovare il coraggio di parlargli.

Non me ne spiego il motivo.

Non ho problemi ad attaccare bottone con chi voglio.

Ma con lui è differente.

Per un attimo ho avuto paura che sparisse.

Come uno spirito, un soffio di vento.

Sbuffo leggermente.

Che stupidaggine.

Eppure…

Etereo e fragile.

Un miraggio destinato a scomparire, senza che si possa fare nulla.

Lo guardo ancora.

Sembra a disagio.

E confuso.

Forse non desiderava parlare con me.

La cosa mi rattrista.

Ma non glielo faccio notare.

Voglio continuare a parlare con lui: voglio conoscerlo.

Mi interessa sempre di più.

 

Anche oggi è qui.

Come tutti gli altri giorni.

Il parco, la panchina sotto al tiglio.

E parliamo. O, meglio, io parlo. Lui ascolta.

Interviene poche volte. Ha una voce sottile e delicata.

Si perde nell’aria.

E questo non fa che renderlo ancora più fragile nelle mia mente.

Ho paura di distruggerlo.

E non capisco il perché di questa follia.

La relego in una parte del mio cervello.

A fondo.

E continuo come se niente fosse.

La maggior parte del tempo rimaniamo in silenzio.

Seduti sulla panchina o sdraiati sul prato.

Anche questo è un modo di comunicare.

 

Piove.

La pioggia mi rattrista.

O forse dipende dal fatto che oggi non potrò incontrarlo.

Sospiro.

Non credevo di essere arrivato a questo punto.

Di averne così bisogno.

Non capisco.

 

Sole. Finalmente.

Al parco, sotto al tiglio.

È diventato un posto magico, almeno per me.

E lui è qui con me.

Seduti sulla panchina, a guardare ciò che ci circonda.

Sorrido.

Pace.

Sto bene qui.

Sto bene vicino a lui.

 

Mi ha invitato a casa sua.

All’inizio non riuscivo a crederci.

Non me lo aspettavo.

Così solo e silenzioso.

“Sei mio amico, non dovrei?”

Un battito.

Che scemo.

Ho perso un battito per questa frase.

Semplici parole, spesso abusate.

Sono suo amico.

E, incredibilmente, sono davvero felice.

 

È notte.

Guardo il cielo stellato dalla finestra.

La mia camera. Il mio piccolo regno.

Ordinato nel suo disordine.

Rumoroso anche nel silenzio.

Non come la sua casa.

Immensa, straripante di oggetti costosi.

Fredda.

E vuota.

Vuota di vita.

Un mausoleo per i morti, non il luogo in cui vivono persone.

Disagio e tristezza.

E ho desiderato trascinarlo fuori da lì.

Fuori, verso il sole.

Lontano da quelle mura così fredde e distanti.

Ma mi sono limitato a seguirlo.

Se non potevo spingerlo ad uscire, allora gli sarei rimasto accanto.

Gli avrei fatto sentire la mia presenza.

Non sarebbe stato solo.

 

E così ho conosciuto un altro frammento della vita di quello strano ragazzo.

 

Un altro giorno è passato.

È sera.

Una brezza fresca mi sfiora.

Leggera, impalpabile.

Chissà se anche il suo tocco è così delicato.

Chiudo gli occhi.

Da quando ho iniziato a pensare a lui in questo senso?

All’inizio non ero altro che una delle sei miliardi di persone presenti sulla Terra.

Ora sono suo amico.

Si fida di me.

È già un buon passo avanti, no?

Devo smetterla di pensare a cose impossibili.

Mi devo accontentare di ciò che mi ha dato.

 

Sono felice.

Di più: euforico!

Ho passato l’esame con il massimo dei voti.

E ho voglia di dirlo subito al mio Amico.

Al parco non c’è, è troppo presto, così corro direttamente a casa sua.

Devo essere impazzito.

Che senso ha raccontarglielo? Per lui non cambierebbe nulla.

Ho bisogno di raccontarlo a qualcuno.

Beh, c’è sempre il mio amico casinista.

Sì, ma voglio che sia il mio Amico il primo a saperlo.

Già, ma posso aspettare di vederlo al parco. Dopotutto manca poco al nostro incontro quotidiano.

Mi fermo.

Già.

Cosa mi spinge a fare questo?

Possibile?

No, non può essere.

Mi limito ad ignorare le mie ultime considerazioni.

L’importante, ora, è andare a casa sua.

 

La porta è aperta.

Sono sorpreso.

Entro con calma nell’ampio atrio.

Silenzio.

Pochissima luce.

L’euforia completamente passata.

Ansia.

Che mi attanaglia le viscere.

Ho paura.

E non  ne capisco il motivo.

Devo trovarlo. Devo assicurarmi che stia bene.

Comincio a salire le scale.

Lassù, in fondo al corridoio, c’è la sua stanza.

Mi avvicino con cautela.

La porta è socchiusa.

E lo vedo.

Lì, in piedi, davanti ad un quadro dove è ritratto un bel giovane.

Ha uno sguardo dolce.

Da innamorato.

È così bello…

Eppure sento disagio.

Fastidio.

Lui intanto si avvicina alla parete.

Le sue labbra calde si posano su quelle fredde dipinte.

Si stacca subito dopo.

Ancora lo stesso sguardo perso.

Ma ora i suoi occhi sembrano coperti da un velo di tristezza.

Mi allontano senza fare rumore.

Troppo sconvolto, stranito.

Possibile?

Possibile che quel ragazzo silenzioso sia innamorato di un quadro?

 

Non sono andato al parco.

Non ne ho avuto il coraggio.

Dopo ciò che ho visto oggi, credo che non riuscirò più a guardarlo senza ricordare quella scena.

Volevo conoscere tutto di lui. Mi intrigava scoprire qualcosa su quel ragazzo.

Ed ora che ne ho visto solo una piccola parte ho deciso di mollare.

Lasciare perdere.

Non sono uno psichiatra!

Non sono pazzo come lui!

Una parte di me vuole allontanarsi da quello strano Amico.

Subito.

Non avere più nulla a che fare.

Ma l’altra, invece, no.

Vuole capire il perché.

Sapere il motivo di ciò che è successo.

Sono confuso.

Troppo, tanto.

Guardo la volta stellata.

Le nuvole in cielo coprono la luna.

Neanche lei ora può aiutarmi.

 

Piove.

Nuvole cariche di pioggia, nere come il mio umore.

Una notte insonne, passata a domandarmi cosa fare.

Esiste una cosa giusta?

Devo continuare ad incontrarlo?

Fare finta di non aver visto niente?

Oppure affrontarlo, dirgli ciò che è successo?

Cavoli!

Mi torna in mente il suo sguardo, così dolce.

Lo illuminava tutto, rendendolo così bello.

Ed io ero felice. Irrazionalmente felice.

Ma non era me che guardava.

Era il quadro.

È quel quadro a possedere il suo amore.

Sento nuovamente quella sensazione.

Irritazione.

Fastidio.

Gelosia.

Io… sono geloso di un quadro?

Devo essere completamente impazzito.

Non capisco.

Non riesco a capire!

Cosa faccio, cosa faccio…

Devo uscire, ho bisogno di schiarirmi le idee.

Il mio amico casinista mi guarda preoccupato.

Tenta di parlarmi ma io non lo ascolto.

Ora non ho voglia di ascoltare nessuno.

Voglio solo dimenticare.

 

La pioggia continua a scendere.

Fredda, impietosa.

Spero che lavi via anche la confusione che provo.

Sono uscito fuori di corsa senza ombrello.

Cammino, mentre il cielo, sopra di me, continua a piangere le sue lacrime fredde.

Che si mescolano con le mie calde.

Piango.

Per la rabbia, per la tristezza, per la frustrazione.

Per tutto.

Il mio pensare mi ha portato proprio qui, nel parco in cui è iniziato tutto.

Ora è vuoto, triste e silenzioso.

Lancio un’occhiata veloce verso il tiglio.

E mi blocco.

Non è possibile.

Non ci credo.

La mente mi sta facendo strani scherzi.

L’ho sempre detto che pensare troppo fa male!

Non può essere qui.

Non può essere lui.

Mi avvicino a quella sagoma, in piedi di fronte all’albero.

 

“Speravo che venissi”.

È proprio lui, il mio Amico.

Bagnato fradicio come me, se non di più.

“Forse sono stupido. O pazzo, non so. So solo che volevo incontrarti e stare un po’ con te”

Ed io continuo a guardarlo, immobile.

Devo essere veramente sorpreso, perché lui mi sorride timidamente e leggermente a disagio.

Lo afferro per un braccio, trascinandomelo sotto la pioggia fino al mio appartamento.

Ha detto che voleva stare con me.

Cavoli, sono felice!

È bastata una semplice frase per cambiare totalmente il mio umore.

Lui ama un quadro.

La mia mente non fa che ricordarmelo.

Ma per una volta la ignoro.

Ora non mi importa nulla.

Lui è qui con me e la cosa mi basta.

Al diavolo il resto.

 

Quel pazzo casinista non smette un attimo di parlare.

Sembra non volersi fermare, non prende nemmeno fiato.

Il mio Amico lo guarda stranito.

Sorrido.

Quel ragazzo è un vulcano iper-attivo, non sta fermo un secondo.

È il Caos fatto persona.

Mentre lui è il Silenzio.

Sono agli antipodi.

Non so se riusciranno ad andare d’accordo questo pomeriggio.

Lo spero.

Non voglio perdere nessuno dei due.

 

“Lui è il mio amante”.

Non capisco.

Lo guardo perplesso.

“So che eri lì. Ti ho sentito uscire”.

Smascherato.

Non avevo il coraggio di parlarne.

L’ha fatto lui al mio posto.

Mi sento male.

Mi disprezzo; non sono altro che un codardo.

Eppure non posso fare a meno di sentirmi sollevato.

Vigliacco.

Chi dei due è realmente debole?

Ha avuto fegato.

Chi mai ammetterebbe di amare un essere che esiste solo nella propria mente?

Ma, in fondo, ognuno di noi non ama forse l’immagine che si è fatto di una persona?

“Quel quadro è il mio amante, il mio angelo. Lui non mi tradirà e non mi lascerà mai”.

Lo stesso sguardo dolce e triste.

Non mi tradirà. Non mi lascerà.

Queste parole mi colpiscono.

Ha dunque così paura di rimanere solo?

Di essere lasciato?

Di non essere amato abbastanza?

Pensavo fosse pazzo.

Semplice e lineare.

Invece è un comune ragazzo.

Con le sue paure, le sue insicurezze.

E a differenza degli altri ha trovato il suo amore ideale in un quadro, invece che in un attore o in una passione qualsiasi.

Continuo ad osservarlo.

Parla, mi racconta tutto.

Sul suo angelo.

Ed io ascolto.

Per ora mi limito a questo.

 

È notte.

Continuo a guardare fuori dalla finestra spalancata.

L’aria calda, il cielo limpido.

Ho deciso.

Voglio raggiungere il suo cuore.

Voglio essere io il suo Angelo.

Questa volta non mi tirerò indietro.

 

Sole.

Caldo, splendente.

L’estate è arrivata.

Continuiamo ad incontrarci qui al parco, sotto al tiglio.

Quando il caldo si fa eccessivo andiamo a casa sua.

Almeno lì si sta al fresco.

Lo guardo mangiare il gelato che abbiamo comprato prima di venire qua.

Sorride.

E parla.

Molto più di un tempo.

Ormai è passato un mese da quel giorno di pioggia.

Dal giorno in cui presi la mia decisione.

Da allora gli sono rimasto accanto il più possibile, gli ho dato consigli quando ne aveva bisogno e l’ho aiutato quando era necessario.

Nient’altro.

Mi sono limitato ad essere un amico.

Non ho intenzione di impormi a lui con la forza.

Per ora mi basta stargli vicino.

… ma chi voglio ingannare?

Vorrei poterlo abbracciare, sussurrargli parole all’orecchio, riempire di baci quelle labbra.

Labbra così dolci ed invitanti.

Frutti maturi.

Ma mi impongo di non farlo.

Non è il momento.

Lui ama ancora il suo quadro.

 

Lo voglio.

E non posso averlo.

 

È strano.

Diverso dal solito.

Inquieto.

Confuso.

Triste.

Sta in piedi, di fronte al quadro.

Come quel giorno.

E come quel giorno io mi ritrovo ad osservarlo attraverso la porta socchiusa.

Piange.

Lacrime amare scendono lungo le sue guance.

Piagano il suo volto solitamente dolce.

Dolore.

Sento solo questo.

 

“Perché? Perché non vieni più?

Dove sei angelo mio?

Mi odi così tanto?

Non capisco più il mio cuore.

Non lo capisco.

Non so che fare…

Mi hai lasciato.

Non mi ami…?”

Singhiozza.

Sembra voler piangere tutte le lacrime del mondo.

Stringo forte i pugni.

Appoggia la testa al quadro.

I capelli, soffici tende a nascondergli il viso.

“Io… volevo solo… essere amato…”

Non so cosa mi prenda.

So soltanto che non posso continuare a stare lì.

Fermo, immobile, ad osservare il suo dolore.

Non penso.

Non è più tempo di pensare.

Pochi passi.

Lo abbraccio da dietro.

 

Una frase.

La mia dichiarazione.

“Un quadro non potrà mai amarti. Ma io sì”

 

Sembra sorpreso.

Gli occhi sgranati.

I capelli che scendono a coprirgli in parte il viso.

Per un attimo ho paura.

Paura che mi rifiuti.

Che mi odi.

Il mio cuore batte all’impazzata.

Ho messo tutto in mano sua.

Ora aspetto.

La distruzione o la salvezza.

 

Le sue braccia mi stringono.

Il suo viso è vicino al mio.

Per un attimo il mio cuore si è fermato.

Un battito. Due battiti.

Poi ha ricominciato a battere furioso.

Lui singhiozza ancora.

Ma non mi rifiuta.

Non si allontana.

Ha capito?

Posso sperare?

Poso le mie labbra sulle sue.

Calde, morbide.

Un bacio delicato.

E lui risponde.

Il mio cuore è leggero.

L’ansia e la paura scomparse.

Mi sento bene.

Sono felice.

 

C’è poca luce.

I nostri ansimi riempiono la stanza.

Come una musica leggera.

Che scaccia il silenzio, le indecisioni, le paure.

Sono qui, su di lui.

Pelle contro pelle, i nostri corpi che si fondono.

Calore.

Il suo tocco.

Leggero, come lo immaginavo.

Dolce, delicato, fragile.

Un soffio di vento.

Ma non si dissolverà nel nulla.

Lui rimarrà con me.

Io rimarrò con lui.

Lui è mio.

Ed io… io sono suo.

Sono il suo Angelo.

Voglio donargli il piacere.

Tutto il piacere possibile.

Perché non si senta solo.

Perché continui a desiderarmi.

 

Legato a me.

 

Dentro di lui.

Profondamente.

Uniti nel corpo e nell’anima.

Mi sento vivo.

E raggiungo l’orgasmo.

 

È mattina.

Un raggio di sole sul cuscino.

Lo abbraccio stretto.

Voglio fargli sentire tutto il calore possibile.

Tutto il calore del mio amore e della mia anima.

Voglio che sia felice.

Sorrido.

Pace.

Calma.

Mi sento bene.

Sono felice.

 

Quel quadro è ancora appeso alla parete.

Il mio Amore non ha ancora trovato il coraggio di staccarlo.

Spesso si ferma lì davanti.

E lo fissa.

Lo sguardo triste.

Forse si aspetta un rimprovero.

Una recriminazione.

Ma in fondo è un quadro.

Per quanto sembri vivo, non lo è.

Mi avvicino a lui.

Lo abbraccio con forza.

Voglio che mi senta.

Voglio che sappia che io sono qui.

E che ci sarò sempre.

“Io rimarrò con te, accanto a te, più di quanto quel dipinto avrebbe mai potuto fare”.

Lui si volta.

Sorride.

Con gli occhi e con l’anima.

Ed io so che ha capito.

È felice.

 

Io, che sono la sua vita.

Lui, che è la mia vita.

Uniti.