Tamburelli
di
N
“Allora
Do’aho, ti togli quei pantaloni da solo o devo venire a toglierteli io?”
E
Sakuragi si maledice per la trecentesima volta in questa serata, qui con
addosso solo i pantaloni, qui nel giardino del Kitsune. E con questi che lo
guarda con la testa leggermente chinata e uno sguardo che, misericordia,
indifferente finalmente non è, ma pericolosamente uguale a quella volta in
cui, per la prima volta, se l’è ritrovato a tre centimetri di distanza.
E
si chiede, il nostro Do’aho, come diavolo c’è finito in questo
giardino, con in mano un tamburello e il fiato corto per lo sforzo e
qualcos’altro…
Che
poi. A voler essere fiscali il motivo è molto semplice: non riesce a
resistere alle sfide.
Per
non parlare del suo ego e del suo senso della competizione ipersviluppato…
ma a questo il ‘Tensai’ di certo non penserà mai –sarebbe come
ammettere che è tutta colpa sua- e allora si continua a dibattere in queste
domande, senza capirci nulla.
Ma
probabilmente non ci starete capendo nulla pure voi.
Bisognerebbe
lasciare un attimo in sospeso questi due, in questo giardino semibuio, con
indosso solo pantaloni e poco altro –Rukawa ha ancora i calzini…- e
tornare indietro di un po’.
Almeno
alla settimana precedente, quando la sfida strampalata, che vede i due
affrontarsi ora, è stata lanciata.
E
forse anche prima. Prima del bacio. Perché sì, c’è di mezzo pure un
bacio.
E
allora portate un po’ di pazienza. Forse non ve ne pentirete.
Tutto
è iniziato un mesetto fa. Con l’inizio del secondo anno e della
primavera. Che sia stata l’influenza della bella stagione?
C’è
da dire che le cose erano un po’ cambiate già in precedenza. Akagi e
Kogure avevano lasciato il club per prepararsi agli esami e Hana era tornato
dalla riabilitazione intenzionato a fare sul serio.
Tutti,
alle prime dichiarazioni di questo tipo, erano sbottati a ridere o a
sbuffare, convinti che fossero l’ennesime acclamazioni del Tensai, ma poi
si erano dovuti ricredere.
Stavolta
Sakuragi faceva sul serio.
Aveva
iniziato a fermarsi fino a tardi e a provare e riprovare tiri, finte e
quant’altro.
Nel
“quant’altro” metteteci anche schemi insieme a Rukawa, ma non
illudetevi…
Le
cose tra i due erano forse migliorate al livello teorico, ma nella
quotidianità erano continuati i contrasti. E quella latente tensione, da
sempre tra loro presente, era aumentata fino a divenire qualcosa di grosso
con cui tutti avevano imparato a fare i conti.
Qualcosa
che si stava però trasformando, man mano che Sakuragi migliorava, da pura
invidia e indifferenza a un sentimento diverso, molto diverso.
Sentimento
che coinvolgeva in ugual modo entrambi, che li portava a cercarsi,
confrontarsi e, a volte, aiutarsi. E a spiarsi e a studiarsi, in ogni
singolo momento che avevano la fortuna di passare insieme.
Così
le cose erano andate avanti fino a un mesetto prima, dicevo.
Era
un tardo pomeriggio, fuori già sera. Nella palestra erano rimasti solo
Rukawa e Sakuragi, ad allenarsi.
Già
durante l’allenamento comune la tensione era stata più palpabile del
solito, tanto che gli altri avevano limitato al minimo i contatti con loro.
E ora si poteva tagliare con un coltello.
Galeotto
fu un pallone o chi lo lanciò, ma in capo a un paio di minuti, i due erano
immersi nella più furibonda delle risse, per terra, in mezzo al campo.
Volarono pugni e calci e i nostri, probabilmente, percorsero più volte il
perimetro della palestra rotolando per il predominio della lotta, quando.
Quando
si ritrovarono stesi l’un uno sull’altro e il fiato corto. E si
guardarono negli occhi.
Ora.
Dire ‘guardarsi negli occhi’ può sembrare a noi banale, ma questi due
non l’avevano mai fatto. Non veramente e completamente. Si erano limitati
a sfiorarsi, come se avessero avuto paura di leggere l’un uno nello
sguardo dell’altro qualcosa di spaventoso. Che poi, spaventoso non vuol
mica sempre dire negativo.
Comunque.
I nostri erano lì. Rukawa che, per una volta, era riuscito a
bloccare il Do’aho sotto di se e gli stringeva i polsi per trattenerlo. E
le gambe intrecciate, come pure il fiato.
E
gli occhi blu in quelli nocciola. Come nell’orizzonte, quando a tutti
sembra che, finalmente, terra e cielo si siano incontrati, dopo essersi
inseguiti per millenni. E il tempo si ferma.
O,
almeno, così pareva a Sakuragi che rimaneva lì, imbambolato, a tentare di
capire perché sentiva il cuore in gola e non riusciva a muovere un sol
ciglio, come per paura di rompere un incanto.
Fosse
stato per lui, sarebbero rimasti così l’intera nottata, con il calore di
Rukawa che si mischiava al suo e il silenzio che per una volta diceva tutto.
Ma
non aveva fatto i conti con il Kitsune, come sempre.
Rukawa
era sempre stato una persona d’azione e pure stavolta non si sarebbe
tirato indietro.
Piano,
come un fachiro che ipnotizza il proprio serpente, si era mosso su Sakuragi
fino ad avvicinare le proprie labbra a quelle del Tensai. Senza mai staccare
gli occhi da lui. Senza mai avere un’esitazione. Che sembra sia una cosa
facile, abbassarsi e baciare il proprio sogno ricorrente. Ma bisogna avere
coraggio e anche destrezza. Altrimenti il sogno potrebbe svanire in una
nuova alba.
E
poi contatto.
Che
era quello che voleva da un po’. O almeno, così realizzava in
quell’esatto istante.
E
il nostro Tensai?
Per
un attimo era rimasto sbalordito, poi. Poi era entrato in azione quel suo
istinto che geniale era davvero, quello che gli permetteva di creare le sue
magnifiche pazze azioni in partita. Come lo stoppare Uozumi o segnare un
canestro a Maki. E, giustamente, gli aveva ordinato di contraccambiare il
bacio. Di non perdersi nemmeno un secondo di quel contatto e di lasciarsi
andare.
Ed
erano state stelle.
Ma
purtroppo il nostro ‘Tensai’ era -ed è- dotato pure di un raziocinio
che si diverte a comparire nei momenti più impensati. E aveva bussato,
questo raziocinio, svegliandolo dall’incanto. Facendogli pure trovare le
forze necessarie per staccarsi Ru da addosso –e dal cervello, che la
Kitsune aveva completamente allagato con il proprio profumo- e alzarsi e
allontanarsi da lui. Il tutto in cinque secondi esatti.
Non
credo sia un record di cui andare fieri.
Tuttavia,
l’azione del raziocinio si era esaurita in questo scatto, lasciandolo lì,
a fissare Kaede -che tanto a questo punto non avrebbe più senso chiamarlo
per cognome- con gli occhi spalancati e le labbra socchiuse. Come un bambino
che, per la prima volta, vede la vetrina di un negozio di giocattoli.
Che,
se il Kitsune si fosse avvicinato di un passo, Hana ci sarebbe pure entrato
a fare un giro in quel negozio, magari per perdercisi.
Ma
Rukawa è uomo d’azione sì, ma non così avventato. Ed era rimasto fermo
a guardarlo. Come è rimasto in tutto il mese successivo. Sì, perché
Sakuragi, ormai quasi di nuovo in possesso delle proprie facoltà mentali
-almeno quelle poche che tutti gli riconoscono- si era fiondato prima negli
spogliatoi e poi fuori, scappando letteralmente e mugugnando un mantra a
mezza voce.
Cosa
diceva quel mantra? Esattamente neppure lui lo sapeva, ma ricorrenti erano
le parole ‘pazzia’ e ‘Rukawa’.
Da
notare: il nostro non era disgustato per esser stato baciato da un ragazzo,
bensì era sconvolto dell’effetto che aveva avuto il bacio del Kitsune.
Che non è mica cosa da poco, almeno credo.
E
il suddetto Kitsune?
Beh,
lui era rimasto lì, a riordinare le idee. Avrei potuto dire a preparare un
piano d’azione, perché, in quei pochi istanti, le sensazioni molto
confuse che gli vorticavano in testa da un po’ si erano chiarite. E
ripeto: lui è un uomo d’azione.
Ma
stranamente, tutto ciò che il cervello gli sapeva suggerire era di
aspettare e vedere come sarebbe andata a finire.
Il
mese successivo, ovvero quello che ci separa da questa benedetta sera, è
stato un mese strano. In cui i due si sono evitati, allontanati e ignorati.
In cui le liti e le risse sono state assai poche, tanto da far preoccupare
gli altri.
Perché
Hana non si fida più del proprio geniale istinto -proprio ora che dovrebbe
riporre in lui la propria totale fiducia- ed ha paura di finire invischiato
in Kaede come una mosca in una ragnatela. E Kaede aspetta, perché sa che
ogni mossa ora sarebbe quella sbagliata. E in realtà non sa nemmeno bene
che fare, che mica è un esperto in relazioni amorose, lui – in realtà ha
già problemi con quelle umane in generale…- e questo sentimento, che
strisciava, ora è esploso e non sa nemmeno come tenerlo sottocontrollo. Che
non può mica saltargli addosso!
Almeno,
non può farlo una seconda volta… anche se non sarebbe una cattiva
abitudine.
Tutto
procede così, in questo limbo di inattività. Con Hana che sbircia il
Kitsune e cerca di non cedere a quel dannato istinto che si è messo a far
le bizze e Kaede che gli dà del Do’aho e lo guarda con una faccia
impassibile, chiedendosi per quanto resisterà. Ad averlo davanti senza
baciarlo, a marcarlo senza abbracciarlo. A vivere senza amarlo. Già, perché
ormai è chiaro: qui si tratta di… amore?
Dicevo,
la situazione entra in stallo e ci rimane fino a quando Akagi non irrompe in
palestra –e Hana, in un riflesso dato dai vecchi tempi, già si ripara la
testa (coscienza sporca, Tensai?)- e propone –eufemismo di ordina- una
giornata al parco per festeggiare l’ingresso dei ‘grandi’
all’università.
E
come rifiutare?
È
una bella domenica di sole, la domenica precedente la sera della sfida. Con
l’aria profumata e la giusta temperatura per sperare che l’inverno sia
definitivamente passato. L’intero Shohoku si trova al parco per fare un
pic-nic e passarvi il pomeriggio, tra scherzi liti e sonnellini.
Ayako,
quella santa donna –anche se alcuni sarebbero più propensi a chiamarla
Megera- ha organizzato tutto e coordinato quei pazzi squilibrati, rendendo
possibile un pranzo con i fiocchi che ha lasciato tutti sazi, perfino Hana
-E questo ha del miracoloso-.
E
immaginateveli questi matti, sdraiati sull’erba, con nemmeno un pensiero
serio in testa, a scherzare e a prendersi in giro. O semplicemente a
dormire. Come Rukawa, sdraiato sotto un albero con il sole e l’ombra che
giocano a rincorrersi sul suo viso. E Hana che lo guarda e lo veglia senza
nemmeno rendersene conto, mentre prende in giro allegramente Miyagi su un
argomento che nemmeno ricorda. Che sia l’altezza?
Il
nuovo capitano, incazzato per l’onta subita, decide di vendicarsi e, visto
che di basket oggi neppure se ne parla –garante il ventaglio di Ayako-,
sceglie di sfidare il Tensai a un match di tamburelli.
Già,
proprio così, tamburelli. Che pare una cosa facile… ma provate voi a
raccattare una pallina mentre un deficiente si diverte a lanciarla verso i
punti più impervi!
E
così inizia quello che da lì a poco diventa un rumorosissimo torneo di
tamburelli in cui, strano a dirsi, il Tensai domina sconfiggendo tutti. O
quasi. Perché Rukawa, che sì, si è svegliato –per forza con tutto il
baccano che facevano quegli stupidi- continua a guardare sonnacchioso da
sotto l’albero, senza accennare minimamente ad unirsi. E come dargli
torto? Cosa ci potrebbe essere di meglio del starsene tranquilli, in una
tiepida domenica, a guardare il volto arrossato e felice del Do’aho?
Dell’ammirare i suoi movimenti e spiare il suo sorriso? Oddio, un pensiero
fugace di come trascorrere il pomeriggio in modo più piacevole ci sarebbe,
ma Rukawa si affretta a scacciarlo. Ci tiene troppo alla propria pace
interiore per immaginare i movimenti e il sorriso del Do’aho in un’altra
situazione. Una che comprendesse solo loro due e la sua camera da letto. Ma
guarda te questa Volpaccia hentai…
Ma
alla fine tutti i sogni finiscono, pure quelli più belli, e i ragazzi si
accorgono che il Kitsune è sveglio.
E
insistono perché si unisca al torneo, perché qualcuno deve battere Hana,
che altrimenti andrà avanti a rompere per tutto il trimestre…
E
chi meglio del Kitsune per riportarlo tra i ranghi?!
Mitsui
lo afferra e lo trascina verso la radura, mentre Hana a gran voce grida di
lasciarlo in pace, che tanto non riuscirà mai a sconfiggere il Tensai dei
Tamburelli –alla faccia del titolo onorifico…- e che è solo un Kitsune
addormentato e altre stupidaggini.
Stupidaggini
che hanno il potere di svegliarlo del tutto e metterlo nello spirito giusto
per sconfiggere quello scemo dal sorriso di zucchero.
Perché
diciamocelo, se c’è una cosa a cui Kaede non può resistere è una sfida,
soprattutto se lanciata da Sakuragi.
A
pensarci bene, questi due hanno molto in comune, sicuramente più di quel
che pensano.
E
si ritrovano l’uno davanti all’altro, con in mano i tamburelli e negli
occhi uno sguardo divertito di sfida che brilla di vita.
Ed
era da un mese, che questi due non ne avevano uno del genere. E
inconsciamente alcuni tirano un sospiro di sollievo, perché pensano che ora
andrà tutto a posto. Ma tutto cosa?
E
iniziano. Inutile, lo ripeterò sempre, il Tensai non dovrebbe mai fare i
conti senza il Kitsune. Che infatti gli tiene testa, mentre gran parte del
parco ha iniziato ad assistere alla sfida con aria fintamente indifferente.
E come dargli torto? Hana si è rimboccato le maniche della maglietta
mettendo in evidenza la sua pelle abbronzata e i suoi muscoli torniti. Kaede
ha quell’espressione lontana e concentrata che da sempre fa strage di
cuori. E i loro movimenti sono fluidi e vigorosi, roba da non riuscire a
staccare gli occhi.
In
un primo momento il Tensai va in vantaggio, non per niente ci sta giocando
da quasi due ore. Poi Rukawa recupera perché prende confidenza con il tutto
e perché non può lasciarsi sconfiggere da Sakuragi, mai. Che è un
istinto quasi primordiale il loro volersi a tutti i costi scontrare, che è
quasi una necessità mostrarsi forti agl’occhi dell’altro. Perché
nessuno dei due si arrenderà mai, nessuno dei due abbandonerà mai.
E
così vanno avanti per un bel po’, con ogni punto strappato con fatica da
una parte e dall’altra e la semplice sfida domenicale che è diventata
qualcosa di molto più fondamentale. Una sfida a sé stessi, per provarsi un
qualcosa di misterioso che a noi semplici umani è precluso. O forse,
semplicemente che, a dispetto di tutto quel che è accaduto ultimamente,
sono ancora loro. Loro con i loro continui scontri, loro con la loro rivalità.
Semplicemente loro.
Che
pare cosa ovvia dirsi che in fondo non sono cambianti, che non è successo
nulla di così radicale, ma forse solo di naturale. Ma è come assaggiare
per caso una cosa che pensavamo da sempre di detestare e trovarla buona.
Come giustificare tutto il pensiero passato?
E
qui non si tratta di una pietanza. Qui si tratta di sentimenti. E bisogna
trovare una giustificazione per non finire a pensare di aver buttato mesi in
modo sciocco. Non sarebbe da Tensai. O da numero uno del Giappone. Forse, da
Do’aho e Kitsune…
La
partita arriva al 9 pari che è quasi buio.
I
due hanno ormai il fiatone per le corse forsennate e un leggero strato di
sudore li ricopre facendo rabbrividire la pelle per l’aria fresca della
prima sera. Avendo deciso di arrivare ai 10, basta un punto. Un misero punto
e si avrà un vincitore.
E
Ayako li ferma. Questa donna ha veramente del fegato.
Si
piazza in mezzo ai due e declama che devono tornare a casa.
Per
una volta, i nostri hanno una reazione simile. Si svegliano dalla trance
agonistica e spalancano gli occhi sbalorditi. Come si è permessa di
interromperli?
Hana
dà voce a questo pensiero, non sapendolo comune pure al Kitsune –che
allora, piuttosto, si sarebbe dichiarato d’accordo con Ayako- e inizia a
strepitare come un ossesso che non si può interrompere una partita così,
che non è giusto, che è un complotto…
Davvero
vorreste l’elenco completo?
Comunque.
Gli altri gli gridano, di rimando, di piantarla che è tardi e Rukawa
–ormai di nuovo totalmente se stesso- lo gela con un semplice ‘Do’aho’.
Chiaro, semplice, essenziale. Di immediato successo.
Perché
Hana si quieta e si gira verso di lui. Ha negli occhi uno sguardo strano.
Come di rabbia trattenuta, ma non solo. Forse delusione. Lo fissa un secondo
–secondo in cui Kaede si perde un po’ e non si accorge di star
trattenendo il fiato- e gli sibila qualcosa.
Qualcosa
del tipo: tu non avresti voluto continuare?
Sì.
Sì, che avrebbe voluto. Continuare a giocare, continuare la lotta,
continuare a rincorrersi. Ma Kaede avrebbe voluto anche continuare a
baciarlo in quella sera di un mese prima. E anche dopo.
E
il Kitsune capisce lo strano contrasto di questo pensiero. Ma lo accetta.
Perché sa che in fondo è da loro avere un simile pensiero. E che
pure il Do’aho si ritrova questo stesso identico contrasto cucito addosso.
Così
si limita a guardarlo, perché non ci riuscirebbe a spiegargli tutto questo
–non lo sa spiegare neppure a se stesso- e a sperare che l’altro capisca
da solo.
E
Hana non distoglie il suo, di sguardo. Ma si attacca a quello di Kaede, come
un bambino si attacca alla mano della propria madre quando ha il timore di
perdersi.
E
poi sorride. Un sorriso un po’ sghembo che finisce in uno sbuffo e in uno
scuoter la testa.
Ha
capito. Sa.
E
si incammina verso casa.
Ma
non pensate che le cose siano cambiate, a questo punto.
Sapete
come si dice: altro giro, altro regalo. E il giorno dopo, siano da punto a
capo.
Ma
questi non si stuferanno mai?!
Sicuramente
non si stanca di sparar cavolate Hana, che affronta gli allenamenti ancor più
ciarliero del solito.
E
strepita contro la Megera e il Nano aguzzino. E declama a destra e a manca.
E grida ad ogni rimbalzo, ad ogni punto.
Il
tutto per non fermarsi a pensare. Ne sono quasi certa.
Rukawa
lo guarda scettico e nei momenti più critici -quando gli stanno per saltare
i nervi, insomma- lo gela come
al solito. Ma non si arriva mai alla rissa. Che se no, chi sa che potrebbe
accadere stavolta.
Alla
fine degli allenamenti, nessuno ne può più e, per una volta, la Scimmia
viene esonerata dagli esercizi extra. Tutto, pur di toglierselo dai piedi…
Ma
anche negli spogliatoi, la cosa non migliora…
E,
ormai a corto di argomenti, il Tensai inizia a celebrarsi per la prestazione
ai tamburelli del giorno prima, sbeffeggiando chi ha battuto a tutto spiano.
Ma.
Sì, sì, gente, il solito: non ha fatto i conti con il Kitsune.
Che
lo blocca ricordandogli che non ha proprio battuto tutti.
Che
lui non l’ha mai battuto. E che forse non lo farà mai.
Ora.
Mi sembrava di aver capito che questi due si piacessero… o io avevo capito
male, o loro sono molto bravi a fingere il contrario. O, più probabilmente,
sono due perfetti cretini entrambi.
Comunque.
A questo punto Hana non ci vede più –e te pareva…- e inizia a
strepitare che lui, quel dannato Kitsune spelacchiato, lo può battere con
una mano sola e robe simili. E Rukawa lapidario lo sfida a una partita.
Ovviamente accetta.
E
rimane gelato, quando il Volpino gli dice il dove e quando. Ovvero il giorno
seguente, a casa sua, dopo gli allenamenti.
E
mentre sta cercando di riconnettere il cervello per balbettare una qualche
protesta, Kaede si è già messo d’accordo con Miyagi per avere in
prestito i tamburelli ed è già uscito dagli spogliatoi.
E
per il Tensai iniziano le 24 ore di passione che lo separano dal varcare la
soglia della tana del Kitsune. Che farà : gnam! *
Ora.
Potrei dilungarmi su tutte le scuse che Hana ha pensato di snocciolare a Ru
per evitare la sfida, ma sarebbe inutile. Perché alla fine ci va a casa di
Kaede.
Ci
va con lo stomaco che si rimescola, perché Rukawa ha fatto casualmente
notare che saranno da soli. Ci va con la mente confusa da mille pensieri
contrastanti, perché ha voglia e terrore del loro restare soli.
Soli.
Come non sono stati da un mese a questa parte. Come volutamente, almeno da
parte sua, non sono stati dal bacio.
In
casa sua.
Hana
non vuole pensare oltre. Sa che allora gli mancherebbe il coraggio di
suonare il campanello. E sarebbe come ammettere di essere debole. Di essere
stato sconfitto senza nemmeno aver lottato. E lui non sarà mai sconfitto
dal Baka Kitsune.
E
così, signori, siamo giunti a questa fatidica sera. Hana, passato da casa a
cambiarsi, si presenta a casa Rukawa che ormai è quasi finito il tramonto e
il blu si fa intenso in cielo.
La
casa è una villetta a due piani con un piccolo giardino, recitato da
un’alta siepe.
Una
normalissima casa giapponese. Chi sa cosa si era aspettato.
Suona
il campanello e sente il click del portone che si apre senza che nessuno gli
abbia chiesto nulla, né si sia fatto vedere.
E
il nostro si sente catapultato in un film. O forse nella favola di
cappuccetto rosso… quando lei entra in casa della nonna e ci trova il
lupo…
Ru
lo aspetta sulla soglia, appoggiato allo stipite.
I
loro sguardi si percorrono l’un l’altro e si intrappolano a vicenda
quando si incontrano.
E
Kaede si domanda se sia proprio necessaria questa sfida. Se non si possa
evitare, per passare ad altro. Magari ad assaggiare quelle labbra
impertinenti che ora vengono mordicchiate nervosamente. O accarezzare quel
petto, nascosto dalle maglie, ma che lui conosce bene, per averlo sognato
spesso in questo mese.
Ma
sa che Hana non sarebbe d’accordo, perché è uno scemo do’aho testardo.
“Allora?
Iniziamo la sfida?” chiede Sakuragi, nervoso.
E
a Kaede si accende una lampadina in testa. Sfida. Ecco come, forse, potrà
catturare la propria Scimmia.
“Che
ne dici di una posta?”
“Una
posta?”
“Già.
O meglio, una penitenza.”
“ah,
ah.. certo! Così ci sarà più gusto nell’umiliarti!!!”
“Ok.
Ad ogni punto perso ci toglieremo un vestito.”
…
….
……
Hana
si inceppa. Riamane con gli occhi sgranati a fissare Kaede, inebetito.
Che
se gli dice no, fa la figura del pauroso. Ma se gli dice sì…
C’è
una guerra in testa a Sakuragi, ora. Una di quelle guerre fratricide, dove
nessuno ha ragione. Come in tutte le guerre.
È
la guerra che, da un mese, il Tensai affronta ogni mattina, ad ogni
allenamento, in ogni momento in cui il
suo sguardo capita su Ru.
Ed
Hana ormai è un soldato stanco di lottare. Contro questo benedetto istinto
che continua a urlare di lasciarsi andare, di affidarsi a questo ghiacciolo
dagli occhi di tenebra, perché sarà in lui che troverà il calore e la
luce. Che continua a ripetergli che andrà tutto bene e che il Kitsune non
giocherà con il suo cuore come un bambino con un vaso di cristallo.
E
allora…
“ok.
Ad ogni punto, un vestito. Giochiamo in giardino?”
E
inizia la sfida, nel giardino illuminato solo da alcune lampade.
E
man mano che la partita va avanti, la tensione cresce. I corpi si iniziano a
mostrare come preziosi tesori che magicamente riaffiorino dal mare, e
diventa sempre più difficile concentrarsi sul gioco.
Quando
Kaede pronuncia la frase con cui abbiamo iniziato, la situazione è al
culmine.
Hana
ha indosso solo i pantaloni e la biancheria. Lui, questo e i calzini.
E
Sakuragi ha appena perso il punto, ma rimane lì, titubante e a testa bassa,
senza nessuna intenzione di pagare pegno.
“Allora
Do’aho, ti togli quei pantaloni da solo o devo venire a toglierteli io?”
E
Hana alza la testa con gli occhi che paiono volergli uscire dalla testa e un
colorito che illumina lo spazio circostante.
“Baka!”
E
Kaede pensa che sì, è veramente un baka. Perché sta lì a torturarsi.
Perché vedere Hana che si toglieva la maglia è stato un inferno. Vederla
salire piano, sottolineando, pigra, gli addominali dorati e poi l’ampio
petto. Vederla impigliarsi un istante nei capezzoli resi turgidi dal freddo.
Vederla sfiorare la gola e svelare nuovamente il viso spigoloso di Hana.
Vedere
gli occhi di Hana tingersi di inquietudine e qualcos’altro quando si è
tolto lui la sua. Sentire incollato a se quello sguardo caldo in ogni
momento della gara. E poi trovarselo con addosso solo ed esclusivamente i
jeans, come in un proclama di sensualità innata.
Davvero
troppo.
È
un suicidio continuare a restare lì, fermi ad aspettare. Ru sta per
muoversi, quando vede Hana sospirare ed abbassare il capo. Poi portarsi le
mani ai bottoni dei jeans ed iniziare a sbottonarli.
Sarà
un suicidio, ma è la più bella morte che possa immaginare.
E
tutto trattiene il fiato, mentre Sakuragi si slaccia lento il primo bottone.
Lo trattiene il vento, che ha smesso di soffiare. Lo trattiene il tempo, che
ha smesso di scorrere. Lo trattiene Ru, che non ha mai visto niente di così
dannatamente bello in tutta la sua esistenza.
E
Hana sta slacciando il secondo bottone.
Poi.
“Oh,
merda!” esclama il do’aho e in fretta e furia, rosso come non mai,
riallaccia il tutto.
E
Kaede si risveglia dalla trance, pure parecchio incazzato.
“Do’aho.
Hai perso il punto. Toglieteli.”
“No.
Mai. Non posso!”
“Come
non puoi?”
“Insomma
Kitsune, non sono affari tuoi. Non posso. Hai vinto”
Ora.
In un altro momento questa frase di Hana sarebbe stata accolta come minimo
da un infarto di Ru, ma ora questi è troppo incazzato per accorgersi di
quello che il Do’aho ha appena ammesso.
Ora
vuole solo che si tolga di quei maledetti pantaloni e si faccia guardare. E
baciare e quant’altro.
La
pazienza di Kaede Rukawa è ufficialmente finita.
Lunga
vita alla sua impazienza!!!
Ru
parte deciso alla volta di Hana, con uno sguardo feroce e determinato, da
felino in caccia. Il Do’aho tenta di arretrare, ma quello sguardo lo
inchioda.
Ed
ecco che la nostra pantera sta per ghermire la preda.
Un
attimo di lucidità fa si che Hana reagisca.
E
inizia così la lotta. Kaede che tenta di sbottonare e Hana di impedirlo.
Cadono a terra e.
E
dopo un attimo, la lotta si trasforma. Con Ru che cattura le labbra di
Sakuragi e le assaggia, per ricordare se sanno veramente di cielo.
E
dopo un istante, Hana ricambia. Per ricordare se le labbra di Kaede sanno
veramente di prati. E loro sanno davvero di terra e di cielo che finalmente
si rincontrano.
E
non c’è più lotta, più dubbi, più contrasto. Ci sono solo loro sul
prato, sotto ad un cielo blu scuro che fa da soffitto.
Le
loro mani vagano uno sull’altro, come per seguire itinerari ancestrali che
non imparano, ma semplicemente, rammentano ora. Le loro bocche si uniscono
alle mani per segnarli e mai più dimenticarli. E i loro occhi si sussurrano
le promesse che li renderanno fuoco liquido.
Alla
fine si ritrovano ansanti, sdraiati sull’erba fresca a guardarsi negli
occhi.
E
come se fosse la cosa più naturale del mondo le mani di Ru corrono leggere
verso quei fatidici bottoni.
Uno…
Gli
occhi sono incatenati gli uni agli altri.
Due…
Le
guance di Hana si imporporano e lui chiude gli occhi, mentre le mani di Ru
lo sfiorano lievi.
Tre…
Ru
contempla il viso dell’altro e ne bacia le labbra socchiuse.
quattro…
e
abbassa lo sguardo verso quel corpo perfetto.
E
li vede.
E
tutta l’atmosfera romantica, sensuale, e chi più ne ha più ne metta,
viene spazzata via dagli occhi di Kaede che si sgranano e la faccia di Hana
che diventa un vulcano.
Il
Kitsune tenta di trattenersi, ma è inutile. Molla l’altro per girarsi
supino e ridere a tutto spiano.
Che
cavolo è successo?
Semplice.
È successo che ha visto i boxer di Hana.
Che
sono rossi con una fantasia scozzese verde. E hanno sopra dei teneri
orsacchiotti marroni con tanto di cappellino di Babbo Natale.
Credo
di capire che il Tensai non ritenesse si sarebbe arrivati a questo grado di
intimità, stasera….
Immagino
che sia un esempio lampante di quel che accade a chi non rispetta il
classico consiglio di tutte le nonne… Quello che recita di uscire di casa
sempre con addosso biancheria pulita e decente perché non si sa mai cosa
possa capitare…
“Vuoi
piantarla, maledetto?”
Strepita
il Do’aho –che a questo punto non posso non chiamarlo così- ancora
bordeaux, mentre si mette prima a sedere e poi in piedi.
Rukawa
riprende fiato ad occhi chiusi, ancora sdraiato supino, le braccia ora
allargate. Che una risata così non se la faceva da anni –forse non se
l’era mai fatta-. Apre un occhio. E se lo vede davanti, in piedi, con le
gambe divaricate e le mani piantate sui fianchi e una espressione fiera e
imbronciata. Che mette quasi soggezione.
Non
può fare a meno di far scivolare lo sguardo dal suo viso, spigoloso e
fiero, al suo torace perfetto. E poi giù…
Ai
fatidici boxer. Che ora non lo fanno più ridere.
Perché
vi riconosce un lato del carattere del proprietario, in quei boxer. Ci
riconosce il suo essere buffo e dolce nonostante tutto. Il suo essere
bambino che convive perfettamente con quel viso duro e quel corpo da Dio
della lotta.
E
capisce che questo contrasto è una delle cose che più l’attirano in lui.
Perché
non sa mai quale aspetto ci sarà un momento dopo.
Gli
si addolcisce lo sguardo e gli scappa un mezzo sorriso, mentre torna a
fissare Hana in viso.
Che
ci rimane un po’ scioccato. E le sua guance cambiano di nuovo colore.
Perché in quello sguardo non ci ha visto derisione, ma solo amore.
Ma.
Non può certo finire così, come nei più scontati romanzi
d’appendice. E, credetemi, quei boxer sono veramente ridicoli…
“Do’aho.
Fanno schifo.”
“Non
fanno schifo! Sono bellissimi. I miei preferiti!!! Sei tu che non hai
gusto!!! Kitsune fuori moda!!”
“Do’aho”
“Baka!!!!!”
“Togliteli”
“ehhh????”
a Sakuragi quasi schizzano fuori gli occhi dalle orbite. Ok, che prima…
Ok, che non gli dispiacerebbe, un giorno… ma qui e ora? Troppo presto!
Ci
ha messo un mese per digerire ed accettare un bacio. Mi sa che se si aspetta
lui questi faranno sesso verso i 40 anni…
“Perché
diavolo me li dovrei levare?”
“Primo.
Hai perso la sfida. –e previene lo strepitio di protesta con un cenno e
continua- Perché tu indossi solo quelli, mentre io ho addosso pantaloni,
biancheria e calzini. Secondo: perché sono orrendi!”
Il
tono è serio, atono. Ma lo sguardo. Lo sguardo è caldo e malizioso. Che
uno sguardo così da Kaede Rukawa era l’ultima cosa che Hana si sarebbe
mai aspettato. Non che non l’avesse desiderato, soprattutto nell’ultimo
mese. Ma. Diciamolo: il Tensai non è poi così fiducioso delle proprie
capacità di seduzione. D’altro canto, chi lo sarebbe dopo 50
scaricamenti? Ma chi sa… forse era perché aveva sempre sbagliato target.
Che è inutile provare a convincere chi ne è allergico a mangiare fragole.
E
Hana rimane ipnotizzato. Aminale selvatico stregato dai fari d’auto che lo
sta per investire. Già, già… perché Ru, sempre fissandolo, si alza in
piedi e gli si para di fronte.
E
continua a guardarlo dritto negli occhi. Ma ora il suo sguardo non è solo
malizioso e caldo. È anche determinato. Quasi minaccioso.
“Allora
Do’aho, ti sfili quei boxer da solo o devo venire a toglierteli io?”
…
Davvero
non riuscite a immaginare come sia andata a finire?
owari
*
questa frase in realtà era un commento di Elyxyz fatto in sede di correzione. Ma ci stava così bene che è
diventato parte integrante del testo. Grazie Ely!
E
Grazie a tutti quelli che non hanno commentato questa fic, tempo fa. Hanno
contribuito al farmi capire quanto importante fosse che mi prendessi una
pausa per decidere se e cosa continuare a scrivere.
Una
pausa molto lunga. Arrivederci.
^_^
Cipo!
N
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