Buon RuHana day, la miglior ricorrenza dell’anno!!!



Sursum corda

di Hymeko

La polvere filtrava fra i buchi della spessa copertura del carro, aggravando il senso d’oppressione dato all’aria colma d’umidità.
Un rivolo di sudore scivolò lungo la pelle bianchissima della figura legata, solo leggermente appesantita dal viaggio in quel trabiccolo. Cinque grossi mercanti d’uomini erano stati necessari per catturarlo, lì dentro per lui era solo un po’ scomodo.
Allungandosi, prese la rozza tazza in cotto e ne bevve un lungo sorso d’acqua calda, prima di sputarla fuori. Aveva solo bisogno di sciacquarsi la bocca.
Le sbarre della gabbia in cui l’avevano cacciato gli segnavano la schiena…senza una parola, si spostò di lato, osservando in silenzio i frammenti della vita che si svolgeva lì fuori.
La vita cui era stato strappato, cui sarebbe tornato, un giorno. E gliel’avrebbe fatta pagare, poco ma sicuro.
Appoggiò la testa a una sbarra, sperando che non gli facesse troppo male. Solo colpendolo da dietro avevano avuto ragione di lui.
Sì, gliel’avrebbero pagata con gli interessi.
Stringendo i denti, premette la testa all’indietro, per tornare al presente. Non era il momento di pensare alla vendetta. Il cicalio delle persone si era già da un po’ affievolito, e in quel tratto non si sentivano più rumori.
Era arrivato…la sua nuova, per quanto breve, vita lo avrebbe presto avvinghiato a sé.
Il carro si arrestò per qualche secondo, poi il cigolio leggero di cardini ben oliati lo avvertì che il cancello era aperto.
Stava per essere inghiottito.
Strinse i denti, inconsciamente, mentre l’odio aumentava.
‘Io sarò libero’
giurò agli dei, mentre un giardino lussureggiante lo salutava dai buchi del tessuto.
Il viaggio fino al retro della domus fu accompagnato dalle voci leggere di giovani ragazze, probabilmente ancelle, schiave come era appena diventato lui.
Gli facevano pena, quelle giovani. Oltre al dover servire, essere anche vittima della lascivia di vecchiacci schifosi e bavosi.
Ringhiando, il suo progetto di fuga si allargò a tutti gli schiavi di quella tenuta. Avrebbe insegnato lui, a quei patrizi, a non giocare con la vita umana.
Un colpo secco lo avvertì che il viaggio era finito…il carro s’era alleggerito, i due conducenti erano scesi. Presto avrebbe conosciuto i suoi…padroni.
Lo pensò con un conato di vomito, poi lo ripeté a bassa voce:
"Padroni"
Quasi uno sputo, ma doveva abituarsi. Fingersi mansueto, onorato di esser vivo e di servire quella nobile famiglia.
Ma soprattutto, doveva esser intelligente. E furbo. Aveva l'obbligo di rendere la sua recitazione perfetta, per guadagnarsi quel minimo di fiducia e sostegno per potersi muovere liberamente. Per studiare la casa, la famiglia e gli altri componenti, e poi…via, libero, liberi assieme!
Si sarebbe vendicato, e quella casata l’avrebbe pagata per tutti!
Gli occhi di zaffiro furono feriti dalla luce del sole, quando i lembi di tessuto vennero spalancati.
"Aventi scendi!"
La prima persona di cui doveva vendicarsi. Jin, o qualcosa del genere. Il viscido rifiuto umano che l’aveva preso alle spalle.
(alle solite; n.d.Jin)
Con una grossa chiave aprì il lucchetto arrugginito, poi lo pungolò con un bastone appuntito.
‘Sì, tu sarai il primo’
Camminando incerto, il giovane arrivò al bordo del carro, da cui fu prelevato di peso da un energumeno dalla faccia inespressiva e i cappelli rasati corti, un certo Takasago. Il secondo della sua lista.
"Eccolo, domine. Lo schiavo più bello mai visto, lo abbiamo conteso alla stessa Venere, che lo voleva come proprio amante. Ma in cambio di molte offerte siamo stati in grado di portarlo qui, da voi"
"Fategli alzare la testa!"
"Ah!"
Jin l’aveva preso per i capelli, il capo gli scoppiava. I denti digrignati quasi si spezzavano, per la forza con cui erano serrati. Non avrebbe sorriso, non l’aveva mai fatto per nessuno.
Il sole gli picchiava negli occhi, i raggi incandescenti infierivano nelle pupille già provate dalla sabbia.
Ma nessuna mano pietosa era lì per lui. Solo il pugno del mercante di schiavi, che gli fece girare il viso dall’altra parte.
"Non usare quello sguardo col nobile Takenori!"
Lo schiavo sputò per terra, affilando lo sguardo per quel grosso, stupido giovane che lo guardava assolutamente disinteressato, uno sbadiglio sempre sull’orlo delle labbra.
"Non lo rovinare troppo, è pur sempre un regalo"
osservò asciutto il nobile, grattandosi una guancia.
‘E così verrò passato a un’altra mano…meglio’
Non gli piaceva l’idea di stare a così stretto contatto con un bestione simile…se era davvero di famiglia nobile, sicuramente era stato addestrato nell’arte della guerra, e aveva prestato servizio militare in qualche lontana provincia dell’Impero…no, meglio un altro padrone, meno prestante fisicamente, se possibile.
"Avete ragione, perdonateci…non rovineremmo mai questo viso meraviglioso’
‘O il mio prezzo scenderebbe…’
commentò fra sé lo schivo, succhiandosi un labbro.
Calmarsi. Doveva smetterla di tremare nel fondo, e lasciarsi andare. Alla pace, alla remissività.
Doveva scendere più in basso, per poter iniziare a risalire.
Chiuse gli occhi, chinando un po’ il capo, prima di socchiuderli e fissare la terra, lo spesso velo polveroso di fronte alle punte dei calzari del patrizio.
"Andiamo, portatelo dentro, non ci saranno problemi, starà qui per così poco…"
‘Tipico errore dei nobili…pensare che gli schiavi non sappiano ragionare’
E così aveva poco tempo? Gli sarebbe bastato. Il suo desiderio di libertà avrebbe celato il suo orgoglio dietro un velo perfetto, un’apparente fierezza di servire quella famiglia, che avrebbe ingannato chiunque.
Non sarebbe rimasto lì per molto.
"Sono davvero colpito da voi…è il secondo schivo in pochi giorni. Diana vi è favorevole, in questa caccia"
‘Altro errore…’
Fargli sapere subito che c’era un altro giovane, da poco in catene, non poteva che spingerlo a cercarlo, ad allearsi con un altro che conservava intatta la sua fierezza…
"Esatto, domine. La Dea ci assiste, ci ha donato la luce lunare per aiutarci a catturarlo"
‘Tutte scemenze…mi hanno preso in pieno giorno!’
Se solo avesse avuto il diritto di parlare, allora sì che si sarebbe divertito…avrebbe umiliato quei due, avrebbe raschiato via il sorriso unto dalla faccia di Jin, l’espressione tonta dal muso dell’altro…come gli prudevano le mani…
"Hisashi! Yohei!"
Due giovani accorsero al richiamo del padrone, inchinandosi profondamente di fronte a lui.
"Eccoci, domine"
Il nuovo arrivato sorrise…anche la loro fiamma non era stata spenta del tutto, soprattutto nel giovane con la cicatrice sul mento. Vi ardevano forza e determinazione, lo vedeva chiaramente. Sorrise fra sé. Avevano solo bisogno di una guida…
"Portate questo schiavo ai bagni, e ordinate al rossino di dargli una mano a lavarsi. È ora che inizi anche a lui a comprendere quali siano i suoi compiti, qui!"
Tono imperioso, di chi è abituato a considerare il mondo un privato giardino di delizie.
‘Io ti aprirò gli occhi…’
promise, mentre veniva portato via…il nobile non lo guardò nemmeno, non ce n’era bisogno, in fondo era già un suo oggetto. La sua attenzione era sul prezzo da sborsare, per quell’oggetto.
"Maledetto"
bofonchiò stringendo i denti, mentre le unghie di uno dei suoi accompagnatori lo graffiavano.
"Stai buono, qua non si sta tanto male"
lo ammonì il ragazzo più basso, scuotendo la testa.
"Non fare l’eroe, sei solo uno schiavo!"
lo rimbrottò l’altro, camminando più forte. Voleva liberarsi in fretta da lui, evitare problemi e vivere la sua vita in pace.
‘Dovrò darti una regolata…’
si ripromise invece il nuovo arrivato, disgustato dal servilismo strisciante cui quei due s’erano abituati.
Dov’era finito il loro spirito combattivo, il loro bisogno d’aria fresca, di libertà?
"Ecco, aspetta qui"
Uno spintone, e il nuovo arrivato si ritrovò in un piccolo bagno, le pareti e il pavimento in pietra ruvida, con solo poche tinozze, pezzi di sapone consumato e qualche panno stracciato per strofinarsi.
"Merda"
Non voleva farsi un bagno gelido. Non era abbastanza in forma per permetterselo, non poteva ammalarsi. La sua rinascita doveva iniziare subito!
"Calmati…pensa…"
Per prima cosa sbirciò fuori dalle finestre. Sarebbe stato controproducente tentate con la porta, probabilmente uno dei due ragazzi era rimasto fuori, ed era meglio non farsi etichettare come ribelle proprio al primo giorno…
La vista non lo entusiasmò, né lo deluse. Sapeva bene cosa aspettarsi. E infatti, poteva vedere solo un pezzetto di giardino, qualche cespuglio di ortensie e un alto muro di cinta, bianchissimo nella luce del sole.
"Sono vicini al perimetro…"
mormorò fra sé, sedendosi su uno sgabello.
Non aveva forze da disperdere inutilmente, ed era stranamente affamato. Non lo avevano trattato male durante il viaggio dalla Gallia a Roma, ma il cibo aveva un po’ scarseggiato.
Chiuse gli occhi. Doveva avere pazienza.
"Lasciatemi! Insomma Yohei, mollami!!!"
Il ragazzo dagli occhi blu riaprì le palpebre. Quella voce attiva, colma d’energia, di risentimento e di ribellione…un lampo passò nello sguardo di cobalto. L’altro nuovo arrivato, forse? Lo sperava. Il suo possibile complice, in quella fuga verso la libertà. Verso la vendetta.
La porta si aprì, il ragazzo si coprì gli occhi. La luce possente ancora lo feriva.
Una sagoma massiccia fu spinta dentro, e poi un colpo secco segnò il chiudersi dell’uscio.
"E se non lo lavi per bene verrai messo ai ceppi!"
I loro respiri si sovrapposero un attimo, poi un pugno carico di rabbia si abbatté sulla pietra dura.
Per il moro, era la prima volta, da molto, che era libero, accanto a un altro giovane.
Solo. Con uno sconosciuto.
Soli. Due schiavi appena venduti a quella famiglia.
Avrebbero potuto liberarsi entrambi?
Gli occhi blu si socchiusero. Non veniva dal suo stesso paese, anzi. Forse dalla Pannonia, probabilmente più lontano della sua stessa patria.
‘Maledizione!’
L’unico modo per comunicare con lui sarebbe stata la lingua imposta loro, il latino. Ma anche altri avrebbero capito.
I capelli rossi non nascosero una lacrima di frustrazione. Ma non ne cadde un’altra.
Quando si alzò, era perfettamente calmo.
In superficie.
"Sei il nuovo arrivato?"
Tono antipatico, ma non vero. Voleva fargli pesare il fatto d’esser l’ultimo arrivato, probabilmente.
"Hn"
"Bene, giovane Hn. Spero tu abbia un nome"
"Kaede"
"Alzati, a quanto pare il padrone vuole che t’aiuti a lavarti"
"Hn. E tu chi sei?"
Il ragazzo coi capelli di fiamma rimase di stucco. L’altro s’era alzato. E se l’era trovato di fronte, occhi contro occhi. Stessa altezza, muscoli meno evidenti ma di certo potenti almeno quanto i suoi. Occhi di lapislazzuli, duri e gelidi come il ghiaccio sui monti lontani.
"Hanamichi"
La mente del rossino girava a mille. Non sarebbe stata una buona idea inimicarselo. Non con un viso come quello. Sarebbe stato di certo il favorito della padrona. Renderselo amico poteva voler dire sfuggire ai lavori peggiori.
"Dove siamo?"
"Nella villa di una grande famiglia patrizia, gli Akagi. Risalgono al tempo delle guerre contro i Sabini…sono nobili e influenti"
Hanamichi accennò un sorriso. Doveva appiccarsi a quel nuovo arrivato!
"Hn. Anche tu sei un regalo?"
Il ricordo di quella parola gli rovinava la mente, in quella piccola stanza da bagno poteva liberare la rabbia che gli covava nel profondo.
Il rossino inarcò un sopracciglio, l’acredine di quelle parole aveva messo in allarme il suo istinto. Sapeva di trovarsi di fronte a una bestia appena messa in gabbia, un animale selvaggio, fiero della propria libertà, non ancora minimamente domato.
‘Non posso espormi più di tanto’
Se gli fosse stato accanto, probabilmente la padrona lo avrebbe favorito. Ma se le loro confidenze fossero state troppo intime, e quel nuovo arrivato avesse poi causato dei problemi, probabilmente sarebbe stato accomunato al suo rovinoso destino di caduta.
"Sì"
Il giorno dopo la loro padrona sarebbe arrivata, e sarebbero stati consegnati. Aveva poco tempo…
"E chi è?"
chiese il pallido ragazzo, iniziando a spogliarsi.
Hanamichi deglutì, ricordandosi improvvisamente il motivo per cui si trovavano lì.
"La sorella del nobile Takenori, l’illustre Haruko"
"Hn"
Inginocchiandosi dietro il moro, che s’era seduto su uno sgabello e s’era versato in testa acqua gelida, Hanamichi lo rimproverò:
"Non ti conviene esser sgarbato…la nobile Haruko è il membro più importante di questa famiglia, è una delle sacerdotesse più importanti della divina Vesta…metterti contro di lei, equivarrebbe a contrastare la Dea!"
"Hn. Perché ti preoccupi?"
Kaede avvertì il panno con cui lo stava lavando fermarsi, bloccarsi nel mezzo del massaggio.
"Perché non voglio che mi trascini"
"Sei diventato un vero schiavo, allora?"
La cosa gli dava fastidio più di quanto fosse disposto ad ammettere. Non comprendeva il perché, eppure quei begli occhi marroni, e le mani forti che lo sapevano massaggiare, che scioglievano i suoi muscoli, si erano piegati al volere dei loro padroni. E la cosa lo disturbava moltissimo.
"…voglio solo star fuori dai guai"
gli confessò l’altro, frizionandogli le spalle.
Il ragazzo dai lineamenti di volpe gemette…era dannatamente bravo a massaggiarlo, si sarebbe lasciato toccare da lui per ore.
‘Sì, lo devo liberare…anche solo per continuare a farmi massaggiare…’
"Hn…e chi ti dice che ne causerò?"
L’altro si bloccò. Poi, attento a non scivolare sulla pietra bagnata, gli si portò di lato.
E lo guardò.
"Il tuo sguardo, il modo in cui ti muovi…se stai pensando a filartela, e fargliela pagare…scordatelo"
"Hn…"
Intelligente, ma anche un vero idiota, se pensava di poterlo influenzare così. Lui se ne sarebbe andato, e se quella scimmia rossa avesse provato a fermarlo, l’avrebbe cancellato, esattamente come tutti gli altri.
"Bene, qui ho finito, per il resto puoi fare da te"
e gli gettò sulla schiena una secchiata d’acqua gelida.
Il moro strinse i denti, e lo afferrò per il polso. Non lo avrebbe lasciato andare via così:
"Ti sembra il modo di aiutarmi a lavarmi?"
Hanamichi sorrise:
"Sì, faccia da volpe. Ho pulito dove non potevi arrivare…per il resto arrangiati"
e sia avviò verso la porta.
Kaede sorrise. Gli avrebbe insegnato che non era saggio dargli le spalle. Una saponetta, piccola ma viscida, e il suo scopo fu raggiunto.
Un tonfo, un urlo, imprecazioni a tutti gli dei dell’Olimpo, e l’altro era a terra.
"Maledetta volpe!"
Il moro non aveva calcolato la sua velocità di reazione. Né la sua forza.
Hanamichi lo centrò col suo pugno, sbattendolo contro la parete.
L’aria defluì dai polmoni del moro, che barcollò. La sua vista si annebbiò per un attimo, prima che si riprendesse.
In un attimo fu di nuovo in piedi, nella sorpresa del rossino.
E il pugno fu restituito.
…….
Hanamichi boccheggiò, appoggiando indietro la testa. La peggior zuffa della sua vita, ed incredibile a dirsi, era stato sconfitto.
‘No, è un pareggio’
pensò, avvertendo il respiro del ragazzo volpe su di sé. Vicino al capezzolo, gli accarezzava la pelle lucida d’acqua e di sudore.
I capelli nerissimi erano sparsi sulla sua cute, ne coprivano una piccola porzione, mentre la guancia, resa calda dalla lotta, aderiva al suo cuore.
"Pesi"
lo apostrofò, picchiettando un suo fianco.
"Hn…sei comodo"
rispose l’altro, con un profondo sbadiglio.
"Ehi, non provare nemmeno ad addormentarti, dobbiamo pulire qui!"
Kaede tirò su il viso, con molta fatica, un po’ per la stanchezza, un po’ per il piacere che provava, riposando appoggiato a quel petto muscoloso.
"Hn?!"
Pulire? Non ci pensava proprio! Voleva solo dormire accoccolato su quel bel rossino.
"Preferisci esser fustigato, per aver lasciato sporco? Non fa niente se siamo regali, anzi…potrebbe esser la motivazione per educarci"
aggiunse con una punta di sarcasmo, scrollandosi di dosso il ragazzo mezzo addormentato.
"Hn"
Le frustate erano certamente peggiori del lavoro…soprattutto se c’era l’occasione di studiare un po’ quell’interessante esemplare di essere umano. Con quelle belle gambe lunghe e la pelle che sapeva di tesori d’Oriente…
Il moro si alzò sbadigliando, iniziando a sua volta a raccattare saponi e raschiatoi…spesso, involontariamente, i due si sfioravano, ed ognuno, nel profondo, non faceva nulla, per evitare l’altro…

"Non causarmi guai. Capito, infido volpino?"
"Hn"
La veste di fine lino color crema donava ad entrambi.
Il moro continuava ad ammirare la pelle nuda del suo compagno, che spuntava soave dalle pieghe del tessuto. Fremeva per toccarla di nuovo, per imitare il divino Giove col suo coppiere, Ganimede…ma una parte di lui urlava. Il pericolo era in agguato.
Quella che avevano addosso era una veste troppo ricercata per due schiavi. Il bordo finemente intessuto d’oro era adeguato a una facoltosa famiglia, non a dei servi.
Perché loro, invece, erano così agghindati?
Con un sospiro, cercò di cancellare quei pensieri. Il suo compagno non sembrava darvi peso, anche se in effetti le uniche cose che lo interessavano veramente erano il cibo, e le risse senza segni sulla pelle, con lui.
‘Che idiota…’
pensò per l’ennesima volta, accorgendosi con rammarico di non aver più pensato alla sua vendetta, da quando gli avevano affiancato quel ragazzo.
‘Non va bene’
Si morse l’interno della guancia, fino a sanguinare. Doveva assaggiare il sangue, ricordare quello che aveva versato durante la sua cattura.
"Arriva"
Un bisbiglio lo riportò alla realtà, i suoi antichi propositi lo invasero di nuovo. Sarebbe scappato, lo avrebbe portato con sé, poi Venere avrebbe deciso del loro destino…
"Inchinatevi di fronte al nobile Takanori, e alla nobile Haruko!"
Yohei, araldo per l’occasione, si fece da parte, scostando l’ultimo di una serie di veli.
I due schiavi trattennero il respiro, uno tentando di convincersi ad esser realmente fedele a quella famiglia, l’altro sempre più deciso ad ottenere la sua vendetta.
Entrambi gli inchini furono perfetti.
"Eccoli, cara sorella. I doni premessi"
Un leggero fruscio camminò accanto a loro, ancora profondamente prostrati. Profumo ricercato d’oro, unguenti egizi rari e preziosi. Gioielli ricchi ma discreti, che scintillavano attorno alle braccia bianchissime, nate e cresciute nella ricchezza assoluta.
Kaede represse a fatica un moto d’ira, mentre il ricordo delle fatiche dei suoi genitori, non faceva che aumentare il suo odio…
"Caro fratello, ti ringrazio…questi due giovani schivi allieteranno la mia permanenza qui"
Dita sottili accarezzarono la chioma nera di Kaede, scendendo lungo i lineamenti del suo viso, polpastrelli morbidi contro la sua mascella lievemente contratta.
"Sei teso, giovane schiavo…"
Il moro avvertì Hanamichi trattenere il fiato, accanto a sé. Temeva che avrebbe dato fuori di testa, garantito.
Fra sé sorrise. Non era ancora il momento.
"…è per l’emozione di trovarmi tanto vicino a un’eccelsa Vestale. Ringrazio la Dea, per questa grazia"
Una risata leggera, le dita che si spostavano sotto il suo mento. Una pressione minima, ma Kaede dovette obbedire, sebbene disgustato.
Alzò il viso.
Due occhi blu si immersero nei suoi.
‘Così questo è il viso di una Vestale?’
Non ne aveva mai vista una…e non vi trovava nulla di eclatante.
‘…è solo una comunissima, sciatta fanciulla’
Nonostante la seta del vestito, l’oro scintillante e le pietre che attiravano la luce fra i suoi capelli, la giovane non era bella. Carina, dolce, ma…normale.
"Notevole…"
e si allontanò, col rimpianto negli occhi. Quasi si fosse accorta di aver detto troppo, di aver sprecato troppa attenzione per lui.
"Sorella, i doni sono dunque graditi?"
Il nobile Takenori la seguì nel giardino, nel sole lieve della mattina. Yohei condusse i due schiavi dietro di loro, umili e sottomessi come si addiceva alla loro posizione.
Una fontana gorgheggiava allegra, spruzzando di perle le statue di satiri che danzavano fra i suoi flutti.
"Naturalmente, fratello caro"
Il moro avvertì l’esile respiro del compagno…abbassando ulteriormente il capo, fingendo profonda devozione, lo guardò.
Tremava. Se solo la Vestale si fosse degnata di passare gli occhi su di lui, se ne sarebbe accorta.
Vibrava come un vulcano sull’orlo di esplodere, così aveva sentito dire.
Kaede non comprendeva bene il motivo di tanta agitazione. Sapeva solo di doverlo calmare.
Mascherando il suo spostarsi come un movimento involontario, gli accarezzò una mano.
Per un attimo, gliela strinse.
I loro occhi si incontrarono, e il moro vi trovò enorme tristezza.
"Voglio che sia data loro una stanza attigua alla mia, perché possano celermente servire i miei desideri"
"Sì, sorella…Yohei, avvisa Hisashi!"
"Sì, domine"
Il giovane si allontanò con un profondo inchino, lasciando soli i due nobili padroni coi giovani schiavi.
"E tu, coi capelli rossi, portaci frutta fresca e acqua aromatizzata!"
"Sì, domine"
Con un inchino più profondo di quello dell’altro, Hanamichi sparì fra le siepi.
Costringendo Kaede a nuove maledizioni contro di loro. Li avevano costretti a dividersi.
"Il tuo nome è Kaede, vero?"
Il ragazzo dovette ricacciare in gola tutto l’astio che minacciava di traboccare:
"Sì, domina"
"Bellissimo nome…siedi ai miei piedi, mi servirai la frutta"
"Sarà fatto, domina"
Accoccolandosi per terra, il ragazzo si domandò quale fosse la vera natura di quella ragazza.
Anche prima, stava per aggiungere qualcosa, dopo il commento sul suo nome.
Ma si era trattenuta, con naturale scioltezza.
‘Cosa nascondi?’
Lo avrebbe scoperto. E, possibilmente, l’avrebbe usato contro di lei.
Con la coda dell’occhio, vide Hanamichi avvicinarsi, il capo chino. Ogni mano recava un vassoio d’argento lavorato: a sinistra, uve prosperose dal profumo di miele, e mele dal dolce colore giallo delle messi nei campi. Nella destra, una brocca di alabastro sottile, e coppe di cristallo intarsiate d’oro.
Il ragazzo volpe strinse i denti. La Vestale l’aveva trattenuto. Gli aveva impedito di aiutarlo. Solo il cielo aveva evitato che qualcosa gli cadesse.
Hanamichi, ringraziandolo con gli occhi, si inginocchiò accanto a lui.
Il moro prese fra le mani il vassoio colmo di frutta, e lo tese ai due padroni. Intanto, l’altro riempiva i calici, e aspettava di servirli.
………
Le chiacchiere dei loro padroni scivolarono su di loro, senza sfiorarli. Non li riguardavano, solo i patrizi avevano il diritto di esprimere le loro opinioni.
Loro erano solo oggetti. Da usare a piacimento dei padroni.
Eppure, non era quello a dare più fastidio al moro.
Poteva anche rimanere delle ore fisso come una statua, a tendere un vassoio di frutta. I loro discorsi lo interessavano poco. Gli unici dati importanti erano sugli spostamenti della loro nuova padrona, in visita al fratello per celebrare una ricorrenza famigliare.
Pochi giorni, e sarebbe tornata con le altre Vestali, a sorvegliare il Sacro Fuoco della Dea.
Aveva pensato di sfruttare quei momenti per farsi un’idea dei due, ma non ne era in grado.
Due cose lo disturbavano profondamente: il fatto che ignorassero Hanamichi, al primo posto.
A lui la fanciulla rivolgeva trascurabili cenni di ringraziamento, soprattutto quando il fratello era distratto.
Ma il rossino…era come non esistesse. Una statua di marmo avrebbe attratto più interesse.
‘Perché io esisto, mentre lui…’
A dire tutta la verità, il moro aveva una teoria. Che si allacciava al secondo motivo della sua irritazione: la pura, casta, illibata, immacolata, vergine Vestale…continuava a toccarlo.
Lui…le piaceva.
Non aveva possibilità di sbagliarsi…s’era spostato più volte da lei, cambiando posizione. E subito, occhi blu l’avevano fulminato, perché rimanesse nel suo raggio d’azione.
Perché si lasciasse toccare.
Kaede ringhiò, sentendo il sospiro triste del compagno di sventura.
Usato come un tavolino. Senza la minima dignità che a lui era concessa, ricompensa mai desiderata per la sua incredibile bellezza.
Con delicatezza, spostò una gamba, fingendo un crampo. Appoggiando il dorso del piede contro quello del rossino.
Due sguardi si fusero.
Quello blu pregò che l’altro avesse capito…poi un sorriso leggero si disegnò sulle sue labbra.
Kaede si rese conto che, oltre che per la vendetta, forse valeva la pena di vivere anche per qualcosa d’altro…

Le dita sottili estrassero dalle corde una melodia soffusa, che accompagnava il lento cadere delle foglie.
La permanenza della domina si era protratta oltre il tempo iniziale, con la benedizione della Dea, ottenuta per lei dalla lettura del sacro fuoco di Vesta.
Il fratello, il nobile Takenori, era stato colto da un male nefasto, una maledizione sottile che lo aveva reso debole ed emaciato. E la nobile Haruko aveva ricevuto il benestare della divinità, perché gli rimanesse e lo confortasse, con la presenza della Dea.
Tutto questo solo in teoria.
Agli occhi del volpino, Haruko si occupava davvero poco del suo dovere di sorella e sacerdotessa, rimanendo al fianco del malato solo per qualche ora, la mattina, mentre gli schiavi erano affaccendati nelle pulizie.
Tranne loro due, naturalmente, che erano sempre al suo servizio personale.
E il pomeriggio, con la scusa del riposo del fratello, lo passava con loro.
Come in quel momento.
La nobile patrizia era seduta su un grosso cuscino porpora, appoggiato a un sottile tronco di un acero. Le foglie cadevano nel vento, se non ci fosse stata la musica della sua cetra, il loro fragore forse non sarebbe bastato a coprire il rumore dei suoi pensieri.
Sempre più pressanti, più viscidi, più spaventosi.
Hanamichi era lì con loro, ad ascoltare. La mano bianca della ragazza gli accarezzava i capelli rossi, come una padroncina col suo cucciolo preferito.
Ma entrambi gli schiavi sapevano che non era così.
Kaede aveva convinto la padrona a non mandarlo via, a non seguire i suoi propositi iniziali.
Lei avrebbe voluto solo il moro.
Lui, dando fondo alla propria pazienza e alla poca arte oratoria che aveva imparato, l’aveva convinta che, rifiutando quel dono, non solo avrebbe offeso il fratello, ma anche Diana, la dea cacciatrice che aveva favorito i mercanti di schiavi per la cattura.
Era stato abbastanza semplice convincerla. Ma, probabilmente, non erano state le motivazioni esposte, a farle cambiare idea.
La volpe aveva la brutta sensazione che la ragazza avesse intuito qualcosa, ovvero che a lui…quel rossino piaceva sul serio.
Si morse le labbra, attento a non sbagliare nulla.
Erano molte notti che ci pensava, e più lo vedeva dormire nel giaciglio accanto al suo, più si rendeva conto di quanto lo volesse per sé.
Completamente.
Anima e corpo, quel sorriso caldo e gli occhi tanto belli, tristi e ridenti, a seconda di chi fosse accanto a lui.
E in quel momento, la tristezza regnava sovrana.
Hanamichi aveva sperato di piacerle sul serio, glielo aveva svelato in una notte insonne, passata alla finestra, a parlare fra loro e confessarsi alla luna. Lui non aveva detto nulla, per non infrangere le speranze di entrambi.
Ma la realtà, la dura vita aveva alfine avuto la meglio. Su tutti e tre.
Il rossino aveva compreso che, per lei, era solo un modo per tenere il moro legato a sé.
La volpe s’era resa sempre più conto dei sentimenti che provava per quella scimmietta casinista, che aveva mandato all’aria la cucina, nel tentativo di cucinare un piatto tipico, che la conquistasse. Ma a lui era andato bene, aiutarlo a pulire…
La Vestale, infine, s’era resa conto che non avrebbe mai avuto il cuore di quel bellissimo schiavo dalla pelle di neve. Poteva solo tenerlo stretto a sé.
La sua mano scese ad accarezzargli la spalla, a fare ciò che a lui non era concesso. L’omosessualità stava dilagando a Roma, vero. ma era altrettanto vero che non da tutti era ben vista, anzi…
E a due schiavi di una nobilissima famiglia non sarebbe mai stato permesso amarsi. Il capofamiglia sarebbe morto, se l’avesse saputo. Devastato dalla vergogna. Morto dopo averli fatti sventrare, di certo.
Hanamichi chiuse gli occhi, Kaede quasi ringhiò, davanti a quel gesto di dolore.
Doveva assolutamente salvarlo. Doveva liberarlo da quella strega.
Era a causa sua, se si trovava in quella situazione. Doveva rimediare, trovare il modo per farlo scappare, libero per sempre.
Senza di lui…perché lui sarebbe rimasto lì, a distrarre la Vestale. A dargli il tempo di fuggire lontano. Di rifarsi una nuova vita.
‘Non importa cosa mi accadrà…’
Lo voleva libero, lontano dal marciume di quella vita. Sereno, con una nuova vita, una famiglia e qualcuno che lo rendesse felice.
‘In fondo, non ha mai nemmeno dimostrato un vero interesse, per me’
Con un sospiro, invocò la benedizione di Orfeo. Per suonare come lui, per commuovere il cuore intriso di veleno di quella donna, per convincerla a lasciarlo andare…il cuore gli si stava rovesciando nel petto.
La sacerdotessa l’aveva fatto appoggiare alle sue ginocchia.
Tutti, lì, stavano soffrendo.
"Nobile Vestale!"
La ragazza allontanò di scatto la testa del rossino, graffiandogli la fronte. Si era fatta sorprendere da un estraneo, uno schiavo fra i più fidati del fratello, Yohei.
Se gli avesse raccontato di quel gesto di finta dolcezza, l’uomo avrebbe potuto avere dei dubbi…il volpino strinse gli occhi, mentre comprendeva la ragione di tanta grettezza.
Haruko…desiderava amare. Fisicamente e con l’anima, voleva un uomo con cui passare la vita.
Ma, in quanto sacerdotessa di nobile famiglia, purissimo sangue, sarebbe stata destinata a una lunghissima carriera, forse anche al grado di Vestale Massima. E quindi, verginità perpetua.
Le sarebbe stato per sempre vietato amare…la sua vita, era stata destinata alla Dea.
‘Senza il suo consenso’
Ora Kaede comprendeva meglio…lei stava amando uno schiavo, peccato che nessuno avrebbe mai sospettato, da parte sua. E lo voleva, in qualsiasi modo.
‘Anche a costo di rovinare le vite di tutti…’
Nel fondo del cuore, provò un briciolo di pietà, per lei. Un palpito di compassione, quasi simpatia. Il loro destino era così simile, sebbene mai sarebbe arrivato a pensarlo…
Scosse la testa mentre si alzava, provare pietà significava essere deboli, e lui non ne aveva né il tempo, né la possibilità.
Haruko ordinò loro di rimanere lì, e si allontanò seguita da Yohei, che di certo era stato mandato dal fratello.
"Fammi vedere"
Lei era appena sparita dietro gli alberi, e già il volpino stava osservando il graffio sulla pelle del rossino.
"Non è nulla di grave"
lo tranquillizzò, immergendo un fazzoletto nella brocca d’acqua fresca.
Piano piano lo ripulì, sfregando delicatamente la cute lesa.
"Ecco…non preoccuparti, non rimarrà segno"
"…non voglio più stare qui"
"Hn?"
Il moro sussultò, quando il pugno dell’altro si schiantò sul tronco sottile di una betulla…le foglie secche caddero come neve, mischiandosi ai capelli di entrambi, accarezzando le loro pelli come soffi leggeri, che tentavano di lenire il loro dolore.
"Non voglio più stare qui!!!"
urlò, gettando indietro la testa, le lacrime che riflettevano gli ultimi raggi del sole, le mani contratte che artigliavano le vesti morbide, i denti che affondavano nella carne rossa delle labbra…il moro vacillò, di fronte alla sua disperazione.
Lui stesso era in una posizione orribile, vero. Ma il suo compagno era l’oggetto in tutto, in ogni situazione era relegato al compito di oggetto.
Haruko lo riduceva a tale…toccava a lui renderlo libero.
"Io ti libererò"
mormorò, prima di intrecciare le dita coi capelli della sua nuca, e sprofondare con lui in un bacio lunghissimo.
………
"Che cosa vorresti fare?"
mormorò il rossino, appoggiato alla sua spalla. La sera era scesa veloce, e ancora nessuno era venuto a dar loro l’ordine di andarsene. Non potevano che aspettare, nei primi freddi dell’autunno.
"Hn…non lo so. Approfittare della prima situazione favorevole"
bisbigliò il rossino, accarezzandogli con le labbra i capelli, deciso a non ascoltare i dubbi del suo cuore.
Non era certo che lo ricambiasse, che provasse qualcosa per lui. Però non si era tirato indietro, quindi una piccola possibilità l’aveva. Doveva solo trovare la maniera di sfruttarla…
"E poi?"
"Andare via…rifarci una vita"
"Rifarci?"
Hanamichi sollevò un po’ il viso, guardandolo. Sembrava così bisogno d’esser amato…
"Hn…se lo vorrai"
"…sì. Ci penserò. In fondo, non potrebbe esser peggio di così"
"Hn"
Un altro schiavo arrivò con l’ordine di rientrare, e il moro poté così evitare di rispondere. Paragonare la possibile vita con lui, con quella che conducevano in quel momento, non era esattamente gentile…sospirando, il moro lo seguì. Sbirciando i suoi tratti per tutto il percorso.
Sembrava più leggero, sul suo viso erano sparite le rughe di preoccupazione che lo avevano segnato, ultimamente.
‘Cosa potrei fare?’
Arrivati alla domus, una lieta notizia li accolse: il nobile Takenori era ormai guarito. La sua malattia era stata sconfitta dalle cure dei medici, e dai sacrifici agli dei, uniti alle preghiera dell’amorevole sorella e degli schiavi tutti.
‘Significa che la Vestale presto dovrà andarsene’
Il moro si morse l’interno delle labbra, mentre fingeva di festeggiare con gli altri la salute ritrovata del padrone.
‘Agirà presto, allora. Se ha in mente qualcosa, non potrà aspettare ancora!’
Volteggiando nella stanza assieme agli altri, Kaede la intravide sbirciare la festa. E la paura aumentò di colpo.
Non stava guardando lui. Stava guardando Hanamichi.

"C-Che cosa?!"
Hanamichi cercò di ritrarsi, mentre accanto a lui Kaede la guardava scioccato. Non poteva aver capito bene…non poteva esser davvero così!
"Obbedite ai miei ordini!"
Il frustino della ragazza sferzò l’aria, mancando di poco l’occhio di Hanamichi. Kaede scattò in piedi ma il salice sottile si abbatté sul suo braccio, costringendo il rossino a ritirarlo giù.
"Obbedite!"
Gli occhi di Kaede si scurirono. Aveva sbagliato a valutarla. Oltre ad essere innamorata di lui, quella repressa voleva vivere attraverso loro…o meglio, attraverso Hanamichi.
Per questo gli aveva ordinato di baciarlo. Poteva sognare di prendere il posto del rossino, ed esser amata da lui.
"Kaede avanti, baci Hanamichi! Obbedisci!"
‘Si sta immedesimando in lui…se io lo bacio, è come se baciassi lei’
"M-Ma perché?!"
Non capiva, il rossino accanto a lui non riusciva proprio a comprendere come un pura Vestale potesse…
"Perché non può fare altrimenti…le Vestali devono rimanere vergini, e allora si limiterà a fare la guardona! Se bacio te, potrà fingere che stia baciando lei…"
"Kaede!"
Il moro non aveva alcuna intenzione di evitare la fustigata. Quella follia stava andando troppo oltre, solo a causa della prima uscita del padrone di casa, che sarebbe stato via per molti giorni.
Haruko in quel momento aveva il controllo totale della casa. E loro erano i suoi oggetti, sottoposti alle sue decisioni.
‘Non a questa…non venderò un momento così per il suo divertimento!’
pensò, stringendo i denti e preparandosi al colpo.
Ma Hanamichi mugolò al suo posto…l'aveva protetto col suo braccio.
"Ehi!"
Il moro gli afferrò il polso, osservando la lunga striscia porpora che vi era disegnata.
"Non voglio che ti colpisca…"
Nei suoi occhi, le iridi blu pavone vi lessero una preghiera.
Voleva essere baciato. Che quella follia avesse una rapida fine. Se l’avessero accontentata, forse li avrebbe lasciati in pace…se le avessero dato soddisfazione…
Kaede interruppe i suoi pensieri, e lo baciò piano, a fior di labbra. Non si sarebbe spinto oltre, violare la bocca del rossino era un piacere che aveva assaggiato solo una volta, e non avrebbe diviso la seconda volta con lei.
"Benissimo…"
Gli occhi di lei s’erano violentemente scuriti, la sua gola continuava a deglutire, mentre le labbra dei ragazzi si esploravano senza sosta…mentre la sbirciava, il moro si chiese fino a che punto si sarebbe spinta la sua repressa libido.
"…ora spoglialo!"
Hanamichi spalancò gli occhi, mentre il suo cuore si fermava.
Gli occhi del moro erano nei suoi, le labbra ancora incollate alle sue.
Non stava facendo nulla, avrebbe aspettato il suo permesso.
Aveva il destino di entrambi nelle sue mani…il rossino annuì, mordicchiandogli le labbra.
Con un mugugno, Kaede si affrettò a slacciargli la spilla che teneva unita la veste di lino. Non avrebbe voluto obbedire, ma se lei avesse agito di propria iniziativa…no, era meglio che fosse lui a farlo.
La veste scivolò lungo il corpo scultoreo dello schiavo, svelando muscoli lucidi e un petto glabro e abbronzato, e due boccioli di rosa sui due muscoli pettorali.
"Bellissimo…adesso succhiagli il collo"
La voce della giovane era un gemito alto, il miagolio eccitato di un animale in calore…tenendola d’occhio perché non facesse strane mosse, il moro spostò piano le labbra, succhiando la giugulare del compagno, e strappandogli gemiti che rivaleggiavano con quelli della Vestale. Perché lei non facesse altre richieste assurde, il moro scese ad accarezzargli il fianco, a solleticare la pelle sensibile, a far aumentare il volume dei suoi gemiti.
"Vesta aiutami…"
Haruko giaceva su un triclinio in legno dorato, si stringeva i capezzoli, irrigidiva le gambe…la volpe sorrise soddisfatta, mentre intrecciava una mano con quella del rossino.
Lui conduceva il gioco, ormai.
Poi un cancello si chiuse col clangore del metallo.
Tutti e tre sobbalzarono.
La Vestale corse a una finestra che dava sull’ingresso. Quando tornò indietro, era pallida come chi ha visto la morte in faccia.
"…è tornato Takenori"
Sul corpo di Hanamichi erano ben visibili i segni dei baci del volpino, la pelle era arrossata e stava tendendo al viola; mentre Haruko era ancora così bianca che sarebbe stato impossibile non chiedersi cosa fosse successo, lì.
"V-Vi prego…non ditegli nulla"
Le palpebre di entrambi si spalancarono, poi i due schiavi si guardarono.
Parlare significava quanto meno farla finire sotto inchiesta. Per le Vestali che rinunciavano alla verginità, la pena era la morte. Per una che aveva costretto due schiavi ad amarsi, ed assistito ai loro amoreggiamenti, probabilmente la pena sarebbe stata meno lieve.
Forse.
L’avevano in pugno. Ma poteva essere un’arma a doppio taglio. Kaede sapeva che, se avessero parlato, sarebbero stati chiamati a testimoniare in un processo.
E loro erano pur sempre schiavi.
"No, non diremo nulla"
Hanamichi soffocò un ansimo, ma il compagno scosse la testa, prima di avvicinare le labbra al suo orecchio:
"Se non diciamo nulla, l’avremo in pugno…ci cascherà di nuovo, poco ma sicuro. Le Vestali la metteranno sotto torchio! Lei lo sa…così sarà ricattabile!"
"Spero che tu abbia ragione"
ribatté l’altro, prima di tentare di mordergli le labbra.
"Ssshhh…buona scimmietta"
Prima di baciarlo, Kaede gettò un’occhiata vittoriosa alla padrona che, improvvisamente, s’era resa conto di non esserlo più…
………
Il sole scintillava forte sull’acqua. La barca, mossa dalle potenti braccia dei due ragazzi, scivolava silenziosa sul pelo dell’acqua.
Ora la gens Akagi era riunita, assieme ad altre nobili famiglie, per una gita su un lago privato, vicino la capitale.
Tutta la nobiltà di Roma era lì raccolta, per festeggiare la guarigione del capofamiglia.
Una festa a sorpresa, per questo avevano mandato a prendere anche la Vestale, e i suoi schiavi favoriti. Perché anche loro festeggiassero la guarigione del loro amato padrone.
La barca rollava nel dolce tepore del lago; il vento caldo, proveniente dalle aride terre del sud, portava con sé il profumo del mare. La festa era assolutamente superba, con animali rari ed esotici, e schiavi dalla pelle d’ebano messi in mostra dalle loro padrone, che li costringevano a far loro aria.
Eppure, tutte invidiavano i regali che la Vestale aveva ricevuto dal generoso fratello, quello schiavo con la pelle che rivaleggiava con quella di Minerva dalle bianche braccia, bellissimo nella perfezione dei lineamenti, forse un uomo baciato dalla dea Venere.
L’altro, invece, probabilmente era stato forgiato dalle mani stesse del dio Vulcano, tanta la forza e l’energia che esplodevano da ogni suo movimento.
Ma l’unica a non esser felice era proprio la giovane sacerdotessa. Non solo la scusa che avevano inventato i suoi schiavi aveva fatto inarcare le sopracciglia al fratello, che conosceva bene la differenza fra baci e segni di lotta…ma ora anche tutte le altre matrone stavano fissando cupide i suoi due gioielli.
Quando lei fosse tornata nel tempio di Vesta, cosa sarebbe successo loro? Non li voleva lasciare nelle mani di un’altra, loro dovevano essere solo suoi, o di nessuno!
‘E se li facessi uccidere? Potrei dire che hanno tentato di violentarmi’
L’idea non l’allettava, una Vestale che mentiva sarebbe incorsa nell’ira della Dea. Inoltre, i due non avevano mai dato segni di aggressività, ed erano benvoluti sia dal fratello, che dai parenti che vivevano fuori città.
‘Cosa posso fare?’
Un fiore attirò la sua attenzione…una margherita cui avevano strappato la vita, che galleggiava sul pelo dell’acqua, poco distante dalla barca.
La giovane allungò le dita, accarezzò il pelo dell’acqua, sfiorò il gambo del fiore delicato.
‘Maledizione!’
strillò fra sé, non riusciva nemmeno ad acciuffare un fiore.
"Haruko ferma!!!"
Troppo tardi, il fratello aveva compreso in ritardo le intenzioni della sorella. Lei si spostò ancora in avanti, e la barca si rovesciò.
Nessuno della nobile famiglia sapeva nuotare. Non ce n’era mai stato bisogno, entrare nei fiumi era un compito da schivi, non da patrizi.
Haruko spalancò gli occhi. Il sole, oltre la superficie, illuminava una figura nerissima, muscolosa, che si avvicinava a lei. Le sue braccia le circondavano la vita, la sua forza la trascinava su, verso l’aria.
La sacerdotessa sbatté i suoi occhi, mentre i colori cambiavano, davanti alle pupille offuscate dall’acqua. Il rosso e il blu si mischiavano, l’aria le mancava, l’acqua le riempiva la bocca spalancata e le narici, stava soffocando, sarebbe morta così…
‘…no…’
L’aria la abbracciò col suo calore, il sole accecò con gioia i suoi occhi. Tossendo, i suoi polmoni si gonfiarono e sgonfiarono molte volte, ripetendo con forza oltre la normalità quel ciclo naturale, perché tutta l’aria fosse limpida e pulita, in lei.
"State tranquilla, Vestale, ora vi porto a riva"
Quella voce, il suo schiavo, quello che lei aveva più maltrattato.
Hanamichi, dai capelli rossi appiccicati sulla testa, e la veste resa trasparente dall’acqua.
Poco lontano Kaede, che trasportava con maggior fatica l’ingombrante fratello.
A terra, una folla di nobili che seguiva eccitata la scena, col cuore in gola si chiedeva se i due schiavi sarebbero riusciti a trasportare i loro padroni al sicuro…alcuni ordinarono ai propri servi di andare ad aiutarli, oltrepassando la curiosità col senso dell’umana pietà.
………
"Ci avete salvato la vita, a un patrizio ma soprattutto a una preziosa Vestale…di fronte agli Dei, e a questi nobili patrizi qui riuniti, noi vi giuriamo eterna riconoscenza"
Un mormorio di approvazione salì dalla folla, il nobile Takenori stava dando prova di grande saggezza e intelligenza…di certo sarebbe arrivato al consolato, con le sue doti straordinarie.
"Ditemi, dunque…c’è qualcosa che desiderate, come ringraziamento per la vostra generosa azione?"
Kaede si inchinò, e sollevò lentamente la testa. Il suo sguardo rimase un attimo sul patrizio, poi si fissò un secondo sulla sacerdotessa, e tornò sul capofamiglia.
"Nobili patrizi, sacerdotessa…parlo a nome di entrambi. Servirvi è stato il più grande onore che potessimo avere, ma il nostro cuore ci porta a desiderare di rivedere la famiglie lontane"
Un mormorio d’approvazione si levò dal gruppo di matrone, che più si identificava con i sentimenti che il moro stava evocando.
"Per cui, elevo a voi la mia preghiera…vi preghiamo, concedeteci la libertà. Affrancateci"
Il nobile Takenori spalancò gli occhi, incredulo per la richiesta, al limite della sfrontatezza, che quello schiavo aveva osato rivolgergli. Davanti agli altri patrizi, poi. Non tutti erano favorevoli sull’affrancamento degli schiavi per particolari motivi, molti li consideravano oggetti che dovevano rimanere tali per sempre.
Ma Haruko ricordava l’occhiata di pochi attimi prima, per cui parlò:
"E sia, siete liberi"
La folla ammutolì. La sacerdotessa aveva alzato il viso, guardava tutti dall’alto in basso, sebbene fosse la più minuti. Quel tono, quella postura…non era più Haruko, della nobile gens degli Akagi. No, a parlare era una Vestale.
"La dea Vesta m’è apparsa, mentre venivo salvata. Ha incorniciato d’oro le due figure che lottavano contro i flutti, ha sorriso loro. Il Suo divino volere è più forte di qualsiasi legge umana: siete liberi, che gli Dei del sacro Olimpo siano con voi"
Nessuno osò più fiatare. La Vestale aveva parlato, la sua parola era una pietra nella brezza.
A un cenno del capofamiglia, uno schiavo gli portò pergamena e piuma d’oca, e in pochi minuti due lettere d’affrancamento erano pronte, la ceralacca fu impressa col sigillo degli Akagi, a testimoniare furono i più nobili di Roma…erano nati due nuovi cittadini, liberi…
………
Il carro che li conduceva lontano traballava leggermente, ma a nessuno dei due importava. Erano doni ricevuti da Haruko, un ringraziamento o forse l’ultimo tentativo di comprare il loro silenzio, non lo sapevano. E neppure importava loro.
"Cosa faremo ora?"
gli chiese il rossino, ancora sotto shock. La mattina erano stati schiavi, e la sera…erano uomini liberi, e ricchi.
Il sole del tramonto si riflesse negli occhi scuri del volpino:
"Io sono in cerca di vendetta…vuoi accompagnarmi?"
Hanamichi sorrise, e accennò un sì con le testa. Sarebbe stato divertente…

Fine

La fic non avrebbe dovuto esser così, ma come al solito m’è sfuggita di mano…un giorno però scriverò il seguito, promesso. n.d.Hymeko


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