Sulla riva del mare

seconda parte

di Enys

 

Patroclo scosse la testa, tornando a sdraiarsi sul giaciglio, la schiena rivolta verso il compagno che lo fissava con un’espressione a metà tra il frustrato e il pensoso. Qualsiasi cosa dicesse, qualsiasi cosa facesse, aveva la sensazione che Achille non provasse nemmeno a capirlo. Lui stesso, Antiloco, Briseide, Deidamia… qual era la reale differenza tra loro? Quali sentimenti suscitavano nel cuore del grande condottiero acheo mentre giacevano tra le sue braccia, uno favorito e gli altri tre insonni?
Era facile, troppo facile, innamorarsi di quel giovane uomo biondo, con le ali ai piedi e dei sassi nel cuore. Era troppo facile trascorrere la fredda notte in riva al mare, avvolto in un mantello, a guardare le onde scivolare silenziose fino ai propri piedi, sfiorandoli, avvolgendoli, mentre il principe si scaldava dentro il corpo di un altro.
Non aveva mai messo in dubbio l’affetto sincero del proprio compagno: anni e anni erano passati dal loro primo incontro; avevano vinto la morte decine di volte, la solitudine molte di più. Se si concentrava, poteva ancora evocare le immagini e le sensazioni della loro prima notte insieme… la naturale conclusione di un amore che li consumava da sempre.
Erano due anime che gli dèi si erano divertiti a separare alla nascita e a cui poi, inteneriti, avevano permesso di rincontrarsi.
Achille e Patroclo.
Chissà se in futuro qualcuno li avrebbe ricordati… chissà se il loro profondo legame sarebbe passato alla storia insieme alle gesta che li avevano e li avrebbero visti partecipi di quella guerra. Di Achille si sarebbe certo parlato in eterno, era scritto nel suo destino nel momento stesso in cui aveva operato la sua scelta prima di partire per Troia: vivere una vita breve ma gloriosa, invece di una vita lunga ma priva di gloria.
Patroclo rabbrividì a quel pensiero. Cosa avrebbe fatto se Achille fosse morto? Lui non era partito per Troia in quanto figlio di re vincolato dal giuramento… era partito per seguire lui. Forse sarebbe tornato a casa, si sarebbe preso cura del piccolo Neottolemo come se fosse stato suo figlio, avrebbe preso in moglie Deidamia. Tutta la sua vita ruotava intorno al giovane principe di Ftia, nel bene o nel male. Dal giorno in cui aveva ucciso per errore quel ragazzino ed era stato mandato alla corte di re Peleo, Patroclo sapeva che la sua vita non aveva più senso senza quel leone biondo che correva scalzo nel cortile, brandendo una corta spada di legno.
Non aveva moglie, non aveva figli, e i pochi amici che si era procurato morivano uno dopo l’altro davanti ai suoi occhi in quei nefasti giorni di guerra.
Patroclo aveva rinunciato a tutto per lui, ed era pronto a rinunciare anche alla sua vita: sarebbe morto per lui mille e mille volte. Se Achille gli avesse ordinato di vestire l’armatura e di caricare contro Ettore da solo, l’avrebbe fatto.
E Achille? Morto Patroclo, cosa gli sarebbe rimasto?
Una moglie stupenda e un figlio sano e forte; una donna affezionata, trasformatasi in breve tempo da bottino di guerra in amante premurosa; un giovane guerriero che per lui avrebbe fatto follie, anche contro il volere di suo padre. Gli sarebbero rimaste le sue armi, il suo scudo, la sua forza. Avrebbe ancora avuto suo padre, sua madre, un regno che attendeva con ansia il giorno della sua incoronazione.
Morto Patroclo, cosa avrebbe perso?
Forse solo un amante.
Un brivido gli corse lungo la schiena quando le fresche labbra di Achille si posarono sulla sua spalla, strappandogli un involontario sospiro. Scacciò dalla mente i propri dubbi e le proprie preoccupazioni e si voltò verso il compagno, salutandolo con un sorriso gentile disegnato sul viso.
“Scusami… pensavo stessi dormendo.” mormorò Achille, poggiando il mento sulla sua spalla e osservandolo con sguardo preoccupato.
Patroclo allungò una mano, facendo scorrere le dita tra i lunghi capelli del principe. Non aveva ancora avuto tempo di lavarli e profumarli, ma Patroclo poteva avvertire lo stesso l’aroma del balsamo diffondersi tutt’attorno alla sua figura.
Achille si rilassò sotto quel tocco gentile, quasi come… quasi come se avesse abbassato solo in quel momento la guardia. Patroclo sapeva che era raro che il condottiero mirmidone si abbandonasse a momenti di distensione, anche con lui, ma questo lo faceva in ogni caso soffrire.
“Patroclo?”
“Dimmi…”
“Perché non hai mai preso moglie?”
Quella domanda lo colpì come un bagno nell’acqua ghiacciata. Allontanò la mano da lui, forse troppo bruscamente, sollevandosi a sedere. Sperava di trovare sul volto di Achille un sorriso malizioso, qualcosa che gli facesse capire che l’amico si stava solamente domandando cosa aspettasse a mettere al mondo un erede, un figlio che avrebbe potuto giocare con il suo e crescere insieme a lui. Ma Achille era estremamente serio. Patroclo non ricordava di averlo mai visto tanto serio durante i loro momenti d’intimità.
“Perché mi fai questa domanda, Achille? Eppure tu dovresti conoscermi meglio di chiunque altro…”
“Gli uomini chiacchierano, Patroclo… le donne ancora di più. Dicono che odi le donne, che rifiuti i bottini di guerra che ti vengono proposti, che non hai mai avuto un’amante. Perché?”
“Non ho bisogno di una donna.”
Patroclo deglutì a vuoto, cercando di allontanare il groppo alla gola che quel discorso gli stava procurando. Possibile che Achille ancora non capisse? Possibile che il suo amore per lui fosse così superficiale da precludergli la comprensione del suo cuore?
“Questa è una cosa che non capisco. Ogni uomo dovrebbe avere una donna al proprio fianco. Ogni uomo ha il diritto e il dovere di mettere al mondo dei figli che perpetuino la propria stirpe.”
Patroclo sospirò, socchiudendo gli occhi; non poteva resistere a quello sguardo indagatore. Quando parlò, il suo tono di voce si era talmente abbassato che Achille fece fatica a sentirlo.
“Se questo è l’unico motivo che spinge gli uomini a prendere una moglie, sono felice di non sentirmi attratto dalle donne…”
In tutta onestà, non si era aspettato che la sua affermazione fosse accolta dal silenzio opprimente che la seguì. Non una parola, non un sospiro; tutto ciò che era in grado di vedere era il profilo aristocratico di Achille, lo sguardo rivolto alla striscia di cielo visibile attraverso l’apertura mal chiusa della tenda.
Quali pensieri ti turbano, mio principe? Perché neanche con me ti senti libero di parlarne?
Achille si alzò, dando le spalle al compagno, e si diresse verso la piccola cassa di legno pregiato che Patroclo conosceva bene. Non era raro che, nei momenti di grande tensione o, al contrario, di rara serenità, Achille estraesse la sua bellissima lira, dono del centauro Chirone, da quest’ultimo fabbricata con lo stesso legno del Monte Pelio con cui era stata costruita anche la sua lancia.
Achille sollevò amorevolmente lo strumento, sfiorando le sottili corde senza trarre da esse alcuna nota. Il suono della lira, un espediente che molti soldati trovavano infantile o, ancora peggio, riservato alle donne, era sempre stato per lui di conforto. Spesso sedeva in riva al mare, il capo poggiato sulle gambe di Patroclo, e suonava per sua madre, perché ella sapesse che suo figlio viveva e non l’aveva dimenticata.
Si volse verso l’amico, un leggero sorriso dipinto sul volto imberbe. Per un istante, concedette al suo sguardo di scivolare sul corpo di Patroclo, accarezzandone i muscoli e la pelle scurita dal sole della Troade. Non provava più, guardando le infinite cicatrici che gli sfregiavano il petto e le braccia, quel senso di colpa che lo aveva colto la prima volta che aveva dovuto lavare e bendare una delle sue ferite… ma ogni volta che aveva modo di osservarlo così, nell’intimità della loro tenda, disarmato e disarmante, il suo cuore si stringeva. Patroclo non era legato ad alcun giuramento, ad alcun vincolo parentale o ospitale. Avrebbe potuto tornare in Tessaglia in qualunque momento, tornando così ricco da terminare la sua vita tra i fasti ed il lusso, grazie alle conquiste che già avevano effettuato sulle coste.
Eppure non partiva. E, in cuor suo lo sapeva anche se non voleva ammetterlo, non sarebbe mai partito senza di lui.
“Vorresti che suonassi per te, Patroclo?”
Patroclo sorrise, consapevole che il discorso era solamente rimandato. Mentre le prime note giungevano alle sue orecchie, si rese conto di un insolito bruciore agli angoli degli occhi. Cercò di serrarli, per impedire alle lacrime di correre sulle sue guance come non si addiceva ad un uomo della sua età, ma non poteva impedire alla dolce melodia della lira di Achille di penetrargli nello spirito. Riaprì gli occhi, cercando tra le immagini confuse dal pianto la figura di quel giovane principe mollemente adagiato su un rude sgabello di legno, il suo trono mentre si trovava a Troia.
Achille teneva gli occhi chiusi, mentre con le labbra mormorava una melodia di accompagnamento al suono della sua lira. Era gradevole osservarlo in quei momenti: concentrato ma sereno, rilassato eppure all’erta. Quando aprì gli occhi e si rese conto delle lacrime dell’amico, arrestò bruscamente il movimento delle dita sulle corde, traendone una nota stonata e stridente che strappò Patroclo alle proprie elucubrazioni.
Achille poggiò delicatamente lo strumento nella cassa da cui l’aveva estratto e si diresse rapido verso il giaciglio su cui Patroclo ancora giaceva disteso.
“Stai piangendo?”
Non rispose. Non ce n’era bisogno, la domanda di Achille aveva come unico scopo rompere un silenzio altrimenti insostenibile. Se gli avesse chiesto il motivo di quelle lacrime, non sarebbe stato sicuro di riuscire a dare una spiegazione esauriente.
Ma sapeva che non glielo avrebbe chiesto. Era sempre stato così, quasi non gli importasse dei suoi sentimenti.
“Non farlo.” riprese Achille, sedendosi accanto a lui e allungando una mano fino a sfiorargli le guance umide di lacrime. Con il pollice cancellò quelle tracce bagnate, trasformando ben presto quel gesto in una soffice carezza.
“Non farlo.” ripeté “Se tu cedi adesso, Patroclo, io cederò con te.”
Il figlio di Menezio scosse la testa, allontanando forse involontariamente la mano di Achille dal suo viso.
“Tu non sai quanto vorrei credere alle tue parole…”
Quella frase colpì Achille come un dardo di Eros. Cercò di incrociare lo sguardo di Patroclo, ma questi sfuggiva il suo, rifugiandosi sulle proprie mani inquiete. Corrugò la fronte, cercando di carpire dai movimenti del corpo dell’amante quale fosse il suo stato d’animo e si sorprese di non riuscire a comprenderlo.
O meglio, lui avvertiva della paura, ma Patroclo non era certo uomo da lasciarsi vincere da un sentimento così misero e meschino.
“Perché non puoi crederci? Perché non puoi credere alle mie parole? Quando dico che ti amo non mi credi, forse?”
Quando lo sguardo dell’amico finalmente incrociò il suo, dopo quella domanda infelice, Achille si rese conto di avere centrato il bersaglio. Spalancò gli occhi, arretrando quando un braccio di Patroclo si tese per sfiorarlo, e raggiunse rapidamente il lato opposto della tenda, a qualche passo di distanza da quell’estraneo che giaceva nel suo letto.
“Achille, ti prego…” lo supplicò Patroclo, una mano tesa verso di lui.
L’ira di Achille invase l’aria all’interno della tenda, penetrando in ogni cosa: armi, suppellettili, vestiti. Impregnò i lembi della tenda e affondò come una radice nella terra; invase il cuore di Patroclo come un’onda da cui non riusciva a riemergere.
“Tu! Come osi venire nella mia tenda, nel mio letto, a dirmi che tutto ciò che c’è stato fra di noi finora non è stato che un rilassante diversivo alle battaglie diurne? Come osi dubitare delle mie parole?”
“Achille…”
“Taci! Io ho fatto di te quello che sei… senza di me non saresti nulla più di un soldato del mio esercito! Ti ho reso ricco, rispettato, potente! E mi vieni a dire che tutto ciò non ti basta?”
Gli occhi di Patroclo si offuscarono mentre il guerriero scattava in piedi, ignorando il dolore dovuto alla ferita, e raggiungeva Achille con poche falcate. Afferrò rudemente le braccia del principe, stringendo con una forza tale da fargli male senza però compromettergli l’uso degli arti. Achille sapeva di non aver mai visto il compagno così infuriato.
“Con che diritto mi rinfacci tutto ciò, Achille? Non ho forse sputato sangue con te durante l’addestramento? Non ti ho forse dato prova diverse volte del mio valore di soldato e di stratega? Non ho forse contribuito alla conquista di molte delle città di cui tu hai ottenuto la gloria del vincitore?”
Achille avvicinò il viso al suo, le labbra a un soffio da quelle di lui, ma negli occhi di entrambi era percepibile una furia tanto violenta che non era possibile riconoscere in essi i due teneri amanti che discorrevano di musica e astronomia in riva al mare.
“Stai attento a quello che dici, Patroclo… sono ancora il tuo principe!”
La presa sulle braccia di Achille si rilassò, mentre Patroclo arretrava di un passo, una mano a coprire gli occhi lucidi di rabbia. Dopo qualche istante di silenzio, si volse nuovamente verso il compagno: sembrava malinconico, pensò Achille. Quasi rassegnato a dire qualcosa che non avrebbe voluto dire.
“Tu sei molto di più, Achille… tu sei tutto quello che ho. Sei la mia famiglia, mio fratello, mio amico. Sei il mio compagno, il mio amante. Non esisterà mai una persona più importante di te nella mia vita.”
La rabbia scivolò via da Achille come la pioggia sul marmo. L’espressione del suo viso si fece improvvisamente dolce e vergognosa; non si sarebbe mai abituato a questi suoi repentini sbalzi d’umore. Sembrava davvero ancora un fanciullo.
“Allora perché non puoi credermi quando dico che ti amo? Che tu sei tutto per me?”
“Perché so che non è così.” sospirò Patroclo, passando un braccio attorno alla vita di Achille e nascondendo il capo nell’incavo della sua spalla, così da assaporarne il forte profumo di olio e cuoio. “Perché so di non essere tutto per te. Ed è giusto che sia così. Non puoi permetterti, con le tue responsabilità, di cedere ai capricci di un amante geloso di una schiava e di un amico.”
Achille chiuse gli occhi, lasciandosi abbracciare dal compagno; sembrava averne così disperatamente bisogno che non se la sentì di scostarlo, neppure con infinita dolcezza. Rispose invece all’abbraccio, stringendosi a lui il più possibile, al suo corpo che sembrava terribilmente caldo in confronto alla fresca brezza notturna.
“Non puoi pensare che l’amore che provo per te sia paragonabile a quello che provo per Briseide o per Antiloco.”
“Perché? Perché non posso pensarlo? Come credi che mi senta durante le notti che passi con loro, le mani premute sulle orecchie per non sentire i vostri gemiti che il vento porta alla mia tenda tanto, troppo vicina alla tua?”
Patroclo non poteva vederlo, ma sapeva che Achille era arrossito. Non amava rendere pubblica la sfera privata della sua vita, ma non aveva certo mai pensato che le pareti di una tenda potessero essere così sottili in confronto alle spesse mura dei palazzi reali cui era abituato.
“Ho commesso l’errore di credere che il mio amore per te fosse scontato…” mormorò Achille a voce talmente bassa che se non si fosse trovato a un soffio dall’orecchio di Patroclo, questi non l’avrebbe di certo sentito.
“Non ho mai dubitato del tuo amore, Achille… ma sono geloso di questo mondo, di questa guerra che ti sta strappando a me a poco a poco.”
“Sai perché Briseide e Antiloco dividono il letto con me?”
Patroclo rabbrividì. “Non credo di…”
“Sono il padrone di Briseide, lei è la mia schiava. Dovrà passare con me tutto il resto della sua vita, finché non mi sarò stancato di lei. Questo è amore, secondo te? Io la definirei piuttosto rassegnazione. Si illude di amarmi, così che il suo destino le risulti più sopportabile.” lo interruppe Achille, con voce decisa “E Antiloco mi ha idealizzato dal primo giorno che ha sentito parlare di me. Quando disobbedì all’ordine di suo padre e raggiunse Troia, fu me che venne a cercare perché convincessi Nestore a farlo combattere per noi. Non biasimarmi se lo accolsi nel mio letto, lui… mi ricorda te quando eravamo più giovani.”
Patroclo ridacchiò sarcasticamente, come se volesse cacciare un peso opprimente dal proprio cuore e credere a quelle parole che suonavano così costruite alle sue orecchie.
“Certe volte…” riprese Achille, scostandosi dal compagno quel tanto che bastava per poterlo osservare negli occhi. “Certe volte sento di non poterti venire a cercare. Di non poter sfogare su di te la mia frustrazione o il mio sfinimento. Quando mi concedo a te, quando ti permetto di continuare ad essere il mio amante nonostante io abbia raggiunto la maggiore età… è perché sento che non posso rinunciare a te. Potrei rinunciare a tutto, ma non a te. Ma non chiedermi di venirti a cercare nelle notti in cui la rabbia, la stanchezza o il dolore offuscano l’amore che provo per te.”
“Talvolta temo che il mio sia un sentimento troppo… totalizzante. Ho paura di perderti come non ho mai avuto paura di nulla al mondo.”
Achille sorrise, sporgendosi in avanti fino a posare le labbra su quelle di Patroclo, cercando l’accesso alla sua bocca. Come sempre, attese che la sensazione di perdersi nel suo sapore lo avvolgesse come una rassicurante coperta di lana nelle notti d’inverno, o come l’ombra di un albero sotto il sole d’estate. Quando si staccò da lui, il sorriso non era sparito dal suo volto, ma i suoi occhi si erano accesi di una luce vivida e familiare.
“Non mi perderai mai, Patroclo. Tu mi ami per quello che sono, non per chi sono. Credi che non lo sappia? Che andrei comunque da Briseide, Antiloco o da chiunque altro se non avessi paura di ferirti, in quelle notti, con la mia aggressività o la mia insofferenza? No… tu sei l’unico di cui mi fidi, e l’unico che può vantarsi di tenere la mia vita nel pugno della sua mano.”
Patroclo avvertì di nuovo quel fastidioso bruciore agli angoli degli occhi, ma questa volta non cedette alle lacrime. Tutti i suoi dubbi, le lunghe notti insonni, le serate a meditare in riva al mare… tutto gli sembrava così irrimediabilmente stupido di fronte alle parole del suo amante. Era così facile, ora, credere alle sue parole. Così terribilmente semplice, ora che poteva vedere tutto l’amore di Achille riversarsi in lui attraverso i suoi occhi, il suo respiro, la sua pelle. Che Briseide o Antiloco si prendessero pure il suo corpo!
Il cuore di Achille era solo suo.
Strinse le braccia attorno alla sua vita, portandolo fino al giaciglio che aveva visto l’inizio di quella loro disperata discussione. Fece stendere l’amico sotto di sé, coprendolo col proprio corpo, gli occhi e i respiri carichi di struggente anticipazione.
“Certe volte ho creduto che ti avrei perso per sempre…” sussurrò Patroclo sulle labbra di Achille, i loro corpi a stretto contatto come non si trovavano da fin troppo tempo.
“Non mi perderai mai, Patroclo… neanche la morte potrà tenerci lontani a lungo. E’ il nostro destino, amore: le nostre vite sono indissolubilmente legate.”
“Ed è giusto che sia così… Ma ora basta parlare. La notte è troppo breve, e potrebbe essere l’ultima.”
“Amami, Patroclo… come nessun altro avrà mai il potere di fare…”

Il piccolo Eaco richiuse bene la tenda quando allontanò l’occhio dalla sottile apertura che dava all’interno. Non poteva che sorridere alla vista dei due corpi intrecciati nell’angolo più buio della tenda, l’aria che diventava ogni attimo più calda, quasi soffocante, pregna dell’odore dei due uomini. Era felice che si fossero chiariti… se avesse dovuto sopportare un altro giorno la prepotenza di Achille o la silenziosa tristezza di Patroclo sarebbe sicuramente esploso! Tornò nel suo cantuccio polveroso, guardando le stelle brillare sul nero manto della Notte. Mentre il sonno cominciava a prendere il sopravvento sulla sua mente già annebbiata, gli sembrò di scorgere, sospeso in volo sulla tenda del principe, la sagoma di un fanciullo bellissimo e raggiante, quasi sfolgorante di luce propria.
In cuor suo sorrise, incerto se si trattasse di una visione reale o di uno scherzo della sua mente assonnata: Afrodite poteva essere alleata dei loro nemici, ma suo figlio non poteva distogliere lo sguardo dalla più viva rappresentazione dell’amore.
 

*fine*


Note dell'autrice

1. La prima cosa che sicuramente farà saltare sulla sedia i conoscitori dell’Iliade è sicuramente il presunto (da me) rapporto tra Achille e Antiloco. Sono perfettamente consapevole che i due non fossero amanti, ciò nonostante ho sempre creduto che il rapporto tra i due fosse un’amicizia talmente profonda da giustificare questa mia piccola licenza poetica. Non per niente è Antiloco a dare la notizia della morte di Patroclo ad Achille… e ad evitare che il suddetto principe si tagli la gola con la spada per il dolore. In realtà, quella di inserire Antiloco come eròmenos di Achille è un’idea che mi era venuta per un’altra storia, più “romanzata”… in questa storia, il personaggio di Antiloco era più tragico, se mi passate il termine. Innamorato di Achille eppure amico di Patroclo… c’è di che scrivere un Harmony! In ogni caso, spero che non me ne vogliate per questa piccola licenza…

2. Altro piccolo errore, fattomi notare dalla carissima Sky, che ringrazio ancora infinitamente. Avendo ambientato la storia durante il secondo anno di guerra, è molto improbabile che Briseide fosse già stata catturata. In realtà non so quando avvenne la conquista di Lirnesso, la città di Briseide, ma molto probabilmente non prima del secondo anno. Quindi, in realtà, questa è una seconda licenza che mi sono presa, anche se involontariamente. Avrei potuto spostare la storia più avanti, ma mi sembrava improbabile che Achille e Patroclo decidessero di chiarirsi dopo magari sei anni di convivenza forzata!!! Già due sono tanti… A questo proposito, forse nemmeno Antiloco durante il secondo anno era già arrivato a Troia. Figlio minore di Nestore, nonché il favorito, Antiloco era troppo giovane per partire quando la guerra era scoppiata. Smanioso di combattere, raggiunse gli achei in Troade più tardi (di nuovo, non so precisamente quando) e, sapendo che suo padre non gli avrebbe permesso di combattere per paura di perderlo, si rivolse ad Achille perché lo aiutasse a convincere il vecchio Nestore. Ancora una volta, presumibilmente tutto ciò accadde dopo il secondo anno di guerra.

3. Ci sono vari riferimenti storico-artistico-mitologico-cinematografici sparsi per tutta la storia. Non sto a citarli, sfidandovi a trovarli nel testo! Niente di troppo complicato… solo qualche espediente per rendere la mia scrittura più stimolante!

Concludo con un appunto personale.
Il prologo di questa storia (diciamo le prime due pagine) nasce più di tre anni fa. Solo il 31 gennaio 2005 ho finalmente concluso, in modo più o meno soddisfacente, la prima delle mie storie dedicate alla coppia che più amo dell’antichità: Achille e Patroclo. Fin dal primo giorno in cui lessi i versi del cordoglio di Achille alla morte di Patroclo, con la professoressa che si ostinava a promuovere il loro come un amore fraterno o un’amicizia virile, capii che c’era qualcosa che mi era sempre stato tenuto nascosto. C’era troppo dolore nei gesti e nelle parole di Achille. Troppo.
Credo sia stato il mio primo approccio all’omosessualità (se così vogliamo chiamarla) nel mondo antico. Un approccio del tutto spontaneo, scaturito solo dalla lettura dei versi di Omero, o dei rapsodi che si celano sotto questo nome.
Ed ora, nel mio piccolo, spero di aver contribuito anch’io con una goccia di quell’amore così assoluto che ispirò personaggi del calibro di Alessandro il Grande.

Sono di rito i ringraziamenti speciali, questa volta particolarmente sentiti.
Prima di tutto, ringrazio dal profondo del cuore la ragazza che ho eletto a mia Musa personale (nonché correttrice ufficiale delle mie bozze!): Flora. Senza i suoi consigli e le sue parole di incoraggiamento, non sarei mai andata più avanti di metà… Se trovate qualche parola particolarmente azzeccata, molto probabilmente è tutto merito suo!
In secondo luogo (ma non seconda per importanza!) devo assolutamente ringraziare Sky: il nostro amore comune per questa coppia di eroi ha fatto nascere una splendida amicizia che sono sicura si rafforzerà col tempo! Anche in questo caso, ben poco avrei fatto senza i suoi consigli e le sue belle parole… e spero di avere presto l’occasione di scrivere a qualcosa a quattro mani con lei!
Last but not least, ringrazio e dedico questa storia a tutte le ragazze della ML “Eros Athànatos”, che mi rallegrano le giornate e che hanno dato vita, in così poco tempo, ad un gruppo affiatato e numeroso, di una sensibilità e di una cultura che, alla nascita della ML, non avrei mai creduto possibile raggiungere!
Grazie a tutte/i!