Nota: Dunque dunque... alla fine ho deciso di inserire anche qui questa storia, che le ragazze della ML Eros Athanatos già conoscono! ^_^
In realtà all'inizio non pensavo di postarla nel forum, ma avere altri pareri con cui confrontarmi potrebbe essere costruttivo! *.*
Vi lascio dunque al mio racconto, sperando che possa farvi amare almeno in piccolissima parte la coppia che più venero di tutti i tempi. *.*
E' un po' lunghetta, quindi l'ho divisa in due parti, ma è da considerare un capitolo unico! ^_^

 


Sulla riva del mare

prima parte

di Enys

 

Patroclo amava il mare. Era rilassante stendersi sulla sabbia fine, nella penombra della notte, e ascoltare il rumore delle onde che s’infrangevano sulle coste, alla luce della luna e delle stelle immobili. Gli dava la sensazione che, nonostante la guerra, il sangue e il dolore, ci fosse qualcosa che non sarebbe mai cambiato. Qualcosa che avrebbe perdurato anche se il suo destino fosse stato quello di morire il giorno seguente.
In quei momenti, lontano dal clamore della battaglia, ripensava alla vita che si era lasciato alle spalle. Gli anni passati alla corte del re di Ftia, Peleo, in compagnia del principe erede al trono… erano stati gli anni più belli della sua vita. Li rammentava come se non fosse trascorso molto tempo da allora, ed effettivamente solo pochi anni lo separavano da quei giorni sereni.
Alzò lo sguardo al cielo, sospirando e stendendo le gambe stanche sulla sabbia, e fissò la luna che faceva capolino tra un velo di nuvole scure. Il sole era tramontato da poco, segnando la fine dell’ennesimo giorno di battaglia, e sarebbe sorto tra molte ore. Da due anni, quello stesso sole sorgeva e tramontava stolidamente, indifferente alle stragi, alla sofferenza e al sangue che ricopriva quella bella penisola. Molte anime d’eroi avevano intrapreso l’ultimo viaggio, alcuni ancora crepitavano e sibilavano sulle numerose pire allineate di fronte alle navi nere. Accanto a loro, pronti a raccoglierne le ceneri, uno stuolo di schiavi, ancelle, condottieri, compagni. Quanti padri, fratelli e figli venivano pianti ogni sera! Quanti amanti erano stati separati dalle spade e dalla morte! Ed erano solo al secondo anno di guerra… Anche all’interno delle mura impenetrabili di Ilio, durante la notte, erano visibili le gigantesche pire rabbiose; se si concentrava, Patroclo poteva vedere i principi troiani, Ettore, Deifobo e Paride in testa, piangere la morte di molti dei loro fratelli, con la segreta paura che la stessa sorte sarebbe potuta toccare ad uno qualsiasi di loro.
Quel giorno, poi, Ettore doveva essere davvero frustrato dall’avvento della notte. I suoi carri, con lui a capo in piedi dietro all’auriga come un mortale Apollo sul carro di fuoco, avevano sfondato il battaglione centrale delle schiere achee, quello di Idomeneo, e avevano fatto un massacro. Lo stesso re Idomeneo era rimasto gravemente ferito, e giaceva febbricitante nella tenda di Macaone, il guaritore che stava tentando, da molte ore, di salvargli un braccio dall’amputazione. Anche Diomede, il possente re di Argo, e l’astuto Odisseo giacevano feriti nella loro tenda, impossibilitati a combattere per i prossimi giorni.
E questo era male. Odisseo era il miglior condottiero in campo, i soldati lo ascoltavano senza fiatare anche quando i suoi ordini li portavano ad essere falciati dalle lance troiane; la presenza di Diomede, invece, bellissimo nella sua corazza di bronzo, dava coraggio agli alleati e terrorizzava i nemici.
Sospirò, alzando gli occhi al cielo, sollevando una tacita preghiera allo Scuotitore di Terra, il divino Poseidone, che da sempre li aveva favoriti.
L’accampamento dei Mirmidoni si stendeva alle spalle del giovane comandante, silenzioso, illuminato dalle inquietanti fiamme guizzanti dei falò e delle torce. Le risate dei soldati, le imprecazioni dei giocatori di dadi o i gemiti di chi aveva trovato un modo piacevole per concludere la giornata non arrivavano alle sue orecchie. Patroclo non aveva però difficoltà a immaginare le vie che gli uomini trovavano per non rischiare di perdere il senno, per non impazzire di fronte all’orrore di una vita di guerra. Due anni di esilio, lontani dalla propria patria, dalle proprie mogli e dai figli troppo piccoli per poter combattere… e l’indovino Calcante aveva vaticinato ben dieci anni di guerra! Il gioco, le battute, i duelli, il sesso… ognuno doveva far uscire la propria frustrazione e la propria paura nel modo che riteneva più congeniale. Molte delle amicizie che già esistevano tra diversi soldati si erano evolute in qualcosa di più intimo, profondo, che spesso sfociava in una fisicità che certo gli uomini non si davano troppa pena nel dissimulare. Ed era bello, era giusto così… combattere per difendere il proprio amante, o per vendicare la sua morte, dava ai soldati la grinta e la furia necessarie a rompere le fila nemiche. Anche grandi re come Ulisse e Diomede avevano trovato conforto e compagnia l’uno tra le braccia dell’altro.
I Mirmidoni, i guerrieri più forti di tutta l’armata achea, erano celebri per il loro atteggiamento diffidente e orgoglioso, tanto nei confronti dei nemici quanto degli alleati. Anche il loro capo, il divino Achille, non amava conversare e socializzare né con i suoi sottoposti né con i suoi pari. Credevano in loro stessi, nelle proprie capacità e in quelle dei loro condottieri. Non avevano bisogno di altro che dell’urlo di Achille per partire all’assalto, annientando la prima linea dell’esercito avversario. E quando il principe appariva sul suo carro, vestito con le sue sfolgoranti armi divine, il pennacchio biondo dell’elmo a frustare l’aria dietro di lui, le grida esultanti dei guerrieri mirmidoni riempivano i cuori dei nemici di una paura senza speranza.
Patroclo abbozzò un sorriso, passandosi cautamente una mano sul braccio sinistro, stranamente freddo, e reprimendo un gemito di dolore. Si portò la mano di fronte al viso, corrucciato nel notarla sporca di sangue fresco; ripulì le dita sulla stoffa leggera che gli copriva l’inguine e sospirò tristemente. Non c’era motivo di preoccuparsi, l’asta del re Sarpedonte l’aveva solo colpito di striscio, la ferita si sarebbe presto trasformata in una delle tante cicatrici che deturpavano il suo corpo ancora giovane.
Guardò distrattamente la sua tenda, in cui in realtà passava pochissimo tempo, e il suo sguardo volò su quella più maestosa che sorgeva al suo fianco. Fissandola attentamente, si sorprese di trovarla stranamente silenziosa.
“Probabilmente Achille starà dormendo…” sussurrò al vento.
Un rumore di passi, attutito dalla soffice sabbia dorata, lo fece voltare di scatto, una mano sull’elsa della spada che aveva prudentemente portato con sé. Le sentinelle erano attente, ma si trovava lontano dall’accampamento principale, qualche infiltrato troiano poteva essersi fatto strada fino a lì per carpire qualche informazione… non sarebbe stata la prima volta.
“No, comandante… Achille non sta affatto dormendo. Fa freddo questa notte, e il principe non aveva niente con cui scaldarsi.”
Patroclo si rilassò, sorridendo al ragazzo che si era appena seduto al suo fianco. Era di poco più giovane di lui eppure aveva un aspetto molto maturo per la sua età. Guardarlo ogni sera gli faceva male al cuore. Achille era troppo giovane per comandare un esercito, eppure era il miglior guerriero che gli achei avessero mai avuto tra le loro fila. Il suo corpo non aveva ancora assunto le forme dell’uomo che sarebbe divenuto, ma era già ricoperto di così tante cicatrici che era difficile trovare un lembo di pelle integra. Ogni volta che tornava all’accampamento ferito e sanguinante, Patroclo sentiva di avere fallito nella sua missione. Era partito al fianco di Achille per poterlo difendere, principalmente da se stesso… dalla sua irascibilità, dalla sua temerarietà, dalla sua pazzia. Ma quando una freccia gli si conficcava in una gamba, o un giavellotto gli sfiorava la gola, sapeva che Achille viveva in un mondo tutto suo, in cui a lui era difficile penetrare. Un mondo in cui l’odore del sangue era afrodisiaco, e le urla dei feriti la più dolce delle melodie.
“Sono certo che Briseide o un’altra delle sue donne avrebbero potuto tranquillamente scaldare il corpo del principe per tutta la notte.”
Patroclo fissò lo sguardo in quello di Achille, cercando nei suoi occhi quella stanchezza che il condottiero non avrebbe mai mostrato in presenza di altri. Achille era esausto. Ogni notte si rigirava nel giaciglio, gemendo e pregando, e ogni mattina era pronto ad andare all’assalto in prima fila, in una mano più di sei lance, nell’altra lo scudo, alla cintura la corta spada. Da due anni viveva un ritmo frenetico, sostenuto solo dal suo orgoglio e dalla sua forza di volontà.
Solo nell’intimità della sua tenda, con la compagnia di Patroclo, Achille mostrava tutto il suo sfinimento.
Il giovane si lasciò sfuggire una leggera risata.
“Il corpo forse sì, ma questa notte è al cuore che il principe sente freddo.”
Patroclo si spostò, sedendosi alle spalle del compagno e accogliendolo tra le sue gambe. Lo abbracciò alla vita, affondando il viso tra i suoi capelli arruffati, spingendolo ad appoggiarsi contro il suo petto. Era così raro e piacevole trovare un’occasione per passare qualche attimo insieme, da soli, lontani da tutti. Achille chiuse gli occhi beatamente, rilassandosi e lasciando che le labbra di Patroclo gli solleticassero il lobo dell’orecchio e andassero a posarsi lievemente sulla curva del suo collo. Aveva una sensualità così naturale, quasi ingenua, che spesso Patroclo si trovava a domandarsi se si rendesse conto dell’effetto che aveva su di lui.
“Patroclo… questa notte desidero passarla con te…” bisbigliò Achille, il respiro che già cominciava a farsi accelerato. Si mosse leggermente nell’abbraccio del compagno, voltandosi quel poco che bastava per trovare le sue labbra e poggiarvi un bacio casto ma carico di aspettativa.
“Come quella passata, tutte quelle già trascorse e quelle che ancora devono venire.” replicò Patroclo a un soffio dalle sue labbra, guardandolo con un’intensità che gli fece girare la testa. “Ma a cosa devo tanta poesia? Da quando Achille deve chiedere il permesso di prendere qualcosa che già gli appartiene?”
Achille si inginocchiò repentinamente di fronte al compagno, afferrandogli le spalle con le mani e spingendolo a terra con forza in un impeto di passione, ma un gemito di dolore di Patroclo lo fece bloccare di colpo. Si accorse che lungo la sua mano destra scorreva un rivolo vischioso, e si affrettò a ritirarla. Patroclo si afferrò il braccio ferito con la mano libera, mordendosi il labbro inferiore; probabilmente alcuni granelli di sabbia erano entrati a contatto con la ferita aperta, e il dolore si era fatto di colpo più intenso.
“Sei un incosciente!” sentì Achille urlare. “Perché non ti sei fatto medicare? E’ un brutto taglio, ha bisogno di essere pulito e fasciato prima che ti giochi tutto il braccio! Ma a cosa pensavi, per le corna di Zeus?”
Il principe si alzò in piedi, guardandolo con occhi fiammeggianti, invitandolo con un secco cenno del capo a sollevarsi a sua volta.
“Vieni nella mia tenda, forza! Ho tutto il necessario per far sì che la ferita si chiuda in pochi giorni, sempre che tu non decida di martirizzarti ancora e magari lanciarti tra le braccia di Ettore armato solo di un bastoncino di legno!”
Patroclo ridacchiò leggermente, sollevandosi a fatica sulle gambe robuste; un capogiro lo colse nel momento in cui rizzò la testa, probabilmente dovuto alla perdita di sangue, e dovette appoggiarsi al braccio di Achille per non crollare a terra. Soffocò una risata divertita.
“Forse avevo sottovalutato la ferita.”
“Forse?” ringhiò Achille, sostenendolo con dolce fermezza. “Forse. Meno male che nelle previsioni di mio padre tu avresti dovuto occuparti di me… cosa direbbe se ti vedesse in queste condizioni, accasciato contro di me come il più debole dei cadetti?”
Senza fretta, cominciarono ad avviarsi verso la tenda del principe. Di tanto in tanto incrociavano qualche sentinella di turno, più o meno assonnata, e scambiavano con loro una rapida occhiata e un veloce cenno del capo in guisa di saluto. Niente inchini, niente formalità: Achille era un soldato, prima ancora di essere un principe.
“Direbbe che è orgoglioso di avere un figlio che non ha bisogno di alcun protettore.”
Achille mormorò qualcosa a voce talmente bassa che Patroclo non lo sentì, ma immaginò che non si trattasse di un commento simpatico nei suoi confronti. A mano a mano che si avvicinavano all’accampamento mirmidone, la notte silenziosa si riempiva di suoni, luci e colori, e l’aria era sempre più impregnata del profumo della carne cotta e della legna bruciata. Le tende, accatastate l’una vicino all’altra sotto gli scafi neri, erano invece buie e silenziose, riparo per chiunque avesse avuto bisogno di una lunga dormita in previsione delle giornate a venire. In lontananza, in un angolo isolato dell’accampamento, giungevano i gemiti dei feriti raccolti nella grande tenda ospedale: la tenda di Macaone era riservata ai feriti di alto rango, i soldati semplici dovevano essere curati da un guaritore messo a disposizione dal proprio sovrano.
Achille si diresse rapido verso la sua tenda, ignorando i richiami dei soldati che lo invitavano a fermarsi attorno al fuoco. Sentiva Patroclo appoggiarsi con sempre più forza al suo braccio, e voleva arrivare a destinazione prima che l’esercito vedesse uno dei suoi comandanti svenire come una donnicciola.
Ordinò di non essere disturbato per nessun motivo al mondo e la sentinella di guardia alla tenda, nel vedere Patroclo in sua compagnia, annuì con espressione maliziosa e un sorriso furbesco disegnato sulle labbra, assicurando che nessuno avrebbe invaso la loro intimità. Achille sospirò: che gli uomini pensassero quel che volevano, la sua vita privata non era affar loro.
Patroclo emise un gemito strozzato, sedendosi sul giaciglio che le donne di Achille tenevano sempre pronto e pulito, mentre il principe frugava con impazienza in una grande cassa di legno dove, presumibilmente, teneva riposto il necessario per le quotidiane medicazioni. Ne estrasse poco dopo un panno pulito e una bacinella vuota.
Si avvicinò all’uscita della tenda, cercando con gli occhi un ragazzino che sonnecchiava in un angolo, il viso tutto sporco di cenere e polvere.
“Eaco! Riempi questo contenitore di acqua calda e portamela immediatamente! Corri!”
Il ragazzino si alzò lesto in piedi, afferrando ossequiosamente la bacinella di legno e correndo in direzione dei barili pieni d’acqua. Il fiume Scamandro correva vicino al loro accampamento, ma era inquinato dai rifiuti della città di Troia, e le sue acque portavano malattie e morte. I barili pieni di acqua dolce erano l’unica risorsa idrica dei battaglioni accampati in quella zona della spiaggia.
“E vedi di non intorbidire l’acqua con quelle tue mani luride!” gli gridò dietro Achille, poco prima di rientrare nella tenda.
“Non dovresti rivolgerti a lui così duramente… è un ragazzo volenteroso, non ti ha mai dato motivo di dubitare della sua efficienza.” lo rimproverò Patroclo con voce stanca, socchiudendo gli occhi come se la luce delle torce glieli ferisse.
Achille lo guardò con disapprovazione, storcendo le labbra in un gesto che a Patroclo sembrò molto fanciullesco.
“Anche quando giaci ferito sul mio letto devi per forza trovare qualcosa da insegnarmi, Patroclo?”
Il condottiero gli sorrise dolcemente, invitandolo con un ampio gesto del braccio sano ad avvicinarsi a lui. Gli occhi di Achille si illuminarono per un breve istante e il giovane accennò un passo verso il compagno, prima di fermarsi e fissarlo quasi freddamente.
Patroclo lo guardò interrogativamente, chinando il capo su un lato come per osservarlo meglio in tutta la sua interezza. Il suo sguardo sfiorò le sue labbra tese, i denti che spuntavano per mordicchiare il labbro inferiore. Abbassò gli occhi, scuotendo la testa e sospirando rumorosamente.
“Se avessi saputo che la ferita era così grave, mi sarei fatto medicare prima, lo sai.”
Achille si voltò verso l’uscita della tenda, tirando con un gesto secco il telo che la isolava dall’esterno. Si passò una mano tra i biondi capelli, guardando in tutte le direzioni alla ricerca del giovane Eaco.
“Dove si è cacciato quel moccioso? Dannazione a lui!”
Come se avesse sentito la sua rabbia, il ragazzo comparve da dietro un angolo, reggendo con attenzione il cratere, attento a non versare neanche una goccia dell’acqua fumante. Arrivato davanti alla tenda, lo tese ad Achille con aria trionfante, attendendo che il principe lo elogiasse com’era solito fare in quei casi.
Questi però afferrò rudemente il contenitore, versando una buona quantità d’acqua per terra, e si richiuse la tenda alle spalle, lasciando che Eaco tornasse a dormire, ferito e depresso, nel suo angolo polveroso.
Si affrettò ad appoggiare l’occorrente per la pulizia della ferita ai piedi di Patroclo, con gesti rapidi e bruschi, immergendo il panno pulito nell’acqua e strizzandolo diverse volte prima di volgere lo sguardo al braccio dell’amico. Senza preavviso, con ben poca dolcezza, prese a passare il panno intorno alla pelle lacerata, ripulendola dalla sabbia e dal sangue ormai secco che vi si era depositato.
Patroclo soffocò un gemito di dolore, voltando il capo dalla parte opposta perché Achille non vedesse i suoi occhi riempirsi di lacrime. Il giovane principe continuò imperterrito il suo lavoro, fin quando un lamento strozzato del compagno non lo convinse ad arrestarsi un attimo. Patroclo aveva gli occhi serrati e la fronte corrucciata, come se per tutto il tempo non avesse fatto altro che mordersi la lingua per non urlare. Si rilassò solo quando le mani di Achille furono a debita distanza dal suo braccio.
“Avresti dovuto pensarci prima, stolto.” mormorò con un filo di voce il principe, abbandonando la pezza nell’acqua ormai tiepida e permettendo al compagno di riprendere fiato. L’acqua si tinse presto di un rosso cupo, e Achille spinse il cratere in un angolo della tenda, lontano dal suo sguardo. Patroclo lo guardò, il respiro reso più veloce dalla sofferenza, e non vide altro che un ragazzo spaventato. Achille poteva sembrare un freddo condottiero calcolatore, ma nell’intimità della tenda non era che un giovane uomo che si sentiva immortale nella sua forza. Era nato per essere un soldato, un soldato vittorioso, e non avrebbe permesso a nessuno di togliergli la gloria che gli spettava sul campo di battaglia. Aveva davanti a sé tutta una vita da godere, da consumare attimo dopo attimo… ma quando la guerra colpiva le persone a lui care, che si trattasse dei suoi uomini o della sua famiglia, il ragazzo cambiava di colpo, trasformandosi da generale a ragazzino. Le frecce di Paride potevano avergli lasciato decine di cicatrici su tutto il corpo, la spada di Ettore gli aveva squarciato la pelle in più di un’occasione, ma in nessun caso Achille aveva mai mostrato paura o esitazione. Solo quando le sue mani sfioravano il sangue di Patroclo o fasciavano le ferite di Antiloco il principe sentiva sulle sue spalle il peso della responsabilità.
Patroclo tese il braccio sano verso il suo viso e gli accarezzò una guancia, sfiorandogli con le dita gli occhi e le labbra tese. La sua pelle era glabra, priva ancora della prima barba, eppure segnata da piccoli marchi indelebili, piccoli solchi irregolari che sfregiavano il suo volto. Achille lo fissò, apparentemente insensibile al suo tocco, ma quando le labbra esangui del compagno si incurvarono in un sorriso, si sedette al suo fianco, tirandolo verso di sé per catturare quelle stesse labbra in un bacio appena sfiorato. Si lasciò cadere sul giaciglio, portandosi dietro l’amico e cercando contemporaneamente di non rompere il contatto.
“Non ho ancora finito di medicarti…”
“Ci sarà tempo… dopo…”
Patroclo si appoggiò al braccio sano per non pesare interamente sul corpo di Achille, sfiorando con la mano i suoi capelli annodati dal sudore e dalla polvere.
“Non hai la forza per farlo…” lo rimbeccò scherzosamente Achille, infilando una gamba fra le sue e accarezzando la pelle ancora coperta dal chitone azzurro. “Sei troppo debole.”
Patroclo rise, sdraiandosi accanto al compagno e appoggiando la testa sul suo petto.
“Come sempre, hai ragione…” sussurrò con voce fioca. Non era una ripicca, si sentiva veramente esausto; dubitava di riuscire a tornare alla sua tenda sulle sue gambe. La perdita di sangue era stata effettivamente notevole, e diversi capogiri continuavano a tormentare il suo corpo e il suo spirito. Odiava sentirsi così… indifeso, fisicamente e mentalmente. Qualcuno che Achille doveva proteggere, e non l’opposto. Per questo in battaglia era lui a reggere il grande scudo per difendere il suo principe alle spalle, per questo la prima volta che avevano fatto l’amore, le lacrime di Achille lo avevano spaventato.
Il suo amore per l’erede al trono di Ftia era totalizzante.
Ma non quello di Achille. Il giovane condottiero aveva amato molte donne, e dall’ultima prima della partenza, Deidamia, aveva anche avuto un figlio, che presto avrebbe avuto otto anni. Poi c’era sempre Briseide, la favorita… non sembrava una serva, tanti erano i privilegi a lei accordati.
Solo quando aveva bisogno di maggiore forza, di vigore, Achille andava a cercarlo, e questo era motivo di enorme sofferenza per Patroclo. Non che tra loro non ci fosse dolcezza… ma era la ruvida dolcezza di chi è nato per maneggiare le armi.
Patroclo sospirò, nascondendo il proprio volto sul corpo dell’altro perché non scorgesse le emozioni che lo tormentavano da giorni. Diomede era finito nel letto di Ulisse nonostante entrambi avessero a casa due splendide mogli ad attenderli; la relazione tra loro era però la naturale conclusione di un’amicizia che andava al di là della semplice compagnia. Si piacevano, si rispettavano, si desideravano: ora erano amanti, e avevano eliminato dalla lista dei loro problemi tutti quelli che le donne per loro natura si portano dietro.
Ma cosa aveva portato Achille nel suo letto? Patroclo aveva paura della risposta.
“Patroclo? Che cos’hai, cugino?”
Il giovane scosse la testa, facendo ondeggiare i folti riccioli neri. Aveva imparato a conservare lacrime e singhiozzi per l’intimità della sua tenda.
“Nulla di preoccupante. Solo un po’ di dolore al braccio.”
Achille si sollevò a sedere, portandosi inevitabilmente dietro il compagno. Allungò una mano su una cassa lì vicino, afferrando una striscia di tessuto pulito senza neanche guardarla. Con gli occhi bassi, concentrato sulla ferita, si affrettò a fasciarla, stringendo il più possibile perché i lembi di pelle si cicatrizzassero al più presto.
“Le tue mani sanno essere così gentili quando vuoi, Achille.” soffiò Patroclo, sospirando di sollievo quando si accorse che il dolore era ora meno intenso. Il biondo condottiero arrossì, conscio del fatto che, nel lavare la ferita, aveva usato molta poca dolcezza.
“Perdonami per prima, Patroclo… non ero in me.”
“Lo so… ora devo tornare alla mia tenda e dormire fino all’alba, se domani ho intenzione di scendere in campo.”
Achille lo guardò tristemente, con un malinconico sorriso tirato dipinto sul volto.
“Non c’è bisogno di tornare alla tua tenda. Resta con me.”
“Tu non hai bisogno di me, Achille…”
“Ti sbagli… ti sbagli…”
 

*...continua...*