Nota:
Dunque dunque...
alla fine ho deciso di inserire anche qui questa storia, che le ragazze
della ML Eros Athanatos già conoscono! ^_^
In realtà all'inizio non pensavo di postarla nel forum, ma avere altri
pareri con cui confrontarmi potrebbe essere costruttivo! *.*
Vi lascio dunque al mio racconto, sperando che possa farvi amare almeno in
piccolissima parte la coppia che più venero di tutti i tempi. *.*
E' un po' lunghetta, quindi l'ho divisa in due parti, ma è da considerare un
capitolo unico! ^_^
Sulla riva del mare
prima parte
di
Enys
Patroclo amava il mare. Era rilassante stendersi sulla sabbia fine, nella
penombra della notte, e ascoltare il rumore delle onde che s’infrangevano
sulle coste, alla luce della luna e delle stelle immobili. Gli dava la
sensazione che, nonostante la guerra, il sangue e il dolore, ci fosse
qualcosa che non sarebbe mai cambiato. Qualcosa che avrebbe perdurato anche
se il suo destino fosse stato quello di morire il giorno seguente.
In quei momenti, lontano dal clamore della battaglia, ripensava alla vita
che si era lasciato alle spalle. Gli anni passati alla corte del re di Ftia,
Peleo, in compagnia del principe erede al trono… erano stati gli anni più
belli della sua vita. Li rammentava come se non fosse trascorso molto tempo
da allora, ed effettivamente solo pochi anni lo separavano da quei giorni
sereni.
Alzò lo sguardo al cielo, sospirando e stendendo le gambe stanche sulla
sabbia, e fissò la luna che faceva capolino tra un velo di nuvole scure. Il
sole era tramontato da poco, segnando la fine dell’ennesimo giorno di
battaglia, e sarebbe sorto tra molte ore. Da due anni, quello stesso sole
sorgeva e tramontava stolidamente, indifferente alle stragi, alla sofferenza
e al sangue che ricopriva quella bella penisola. Molte anime d’eroi avevano
intrapreso l’ultimo viaggio, alcuni ancora crepitavano e sibilavano sulle
numerose pire allineate di fronte alle navi nere. Accanto a loro, pronti a
raccoglierne le ceneri, uno stuolo di schiavi, ancelle, condottieri,
compagni. Quanti padri, fratelli e figli venivano pianti ogni sera! Quanti
amanti erano stati separati dalle spade e dalla morte! Ed erano solo al
secondo anno di guerra… Anche all’interno delle mura impenetrabili di Ilio,
durante la notte, erano visibili le gigantesche pire rabbiose; se si
concentrava, Patroclo poteva vedere i principi troiani, Ettore, Deifobo e
Paride in testa, piangere la morte di molti dei loro fratelli, con la
segreta paura che la stessa sorte sarebbe potuta toccare ad uno qualsiasi di
loro.
Quel giorno, poi, Ettore doveva essere davvero frustrato dall’avvento della
notte. I suoi carri, con lui a capo in piedi dietro all’auriga come un
mortale Apollo sul carro di fuoco, avevano sfondato il battaglione centrale
delle schiere achee, quello di Idomeneo, e avevano fatto un massacro. Lo
stesso re Idomeneo era rimasto gravemente ferito, e giaceva febbricitante
nella tenda di Macaone, il guaritore che stava tentando, da molte ore, di
salvargli un braccio dall’amputazione. Anche Diomede, il possente re di
Argo, e l’astuto Odisseo giacevano feriti nella loro tenda, impossibilitati
a combattere per i prossimi giorni.
E questo era male. Odisseo era il miglior condottiero in campo, i soldati lo
ascoltavano senza fiatare anche quando i suoi ordini li portavano ad essere
falciati dalle lance troiane; la presenza di Diomede, invece, bellissimo
nella sua corazza di bronzo, dava coraggio agli alleati e terrorizzava i
nemici.
Sospirò, alzando gli occhi al cielo, sollevando una tacita preghiera allo
Scuotitore di Terra, il divino Poseidone, che da sempre li aveva favoriti.
L’accampamento dei Mirmidoni si stendeva alle spalle del giovane comandante,
silenzioso, illuminato dalle inquietanti fiamme guizzanti dei falò e delle
torce. Le risate dei soldati, le imprecazioni dei giocatori di dadi o i
gemiti di chi aveva trovato un modo piacevole per concludere la giornata non
arrivavano alle sue orecchie. Patroclo non aveva però difficoltà a
immaginare le vie che gli uomini trovavano per non rischiare di perdere il
senno, per non impazzire di fronte all’orrore di una vita di guerra. Due
anni di esilio, lontani dalla propria patria, dalle proprie mogli e dai
figli troppo piccoli per poter combattere… e l’indovino Calcante aveva
vaticinato ben dieci anni di guerra! Il gioco, le battute, i duelli, il
sesso… ognuno doveva far uscire la propria frustrazione e la propria paura
nel modo che riteneva più congeniale. Molte delle amicizie che già
esistevano tra diversi soldati si erano evolute in qualcosa di più intimo,
profondo, che spesso sfociava in una fisicità che certo gli uomini non si
davano troppa pena nel dissimulare. Ed era bello, era giusto così…
combattere per difendere il proprio amante, o per vendicare la sua morte,
dava ai soldati la grinta e la furia necessarie a rompere le fila nemiche.
Anche grandi re come Ulisse e Diomede avevano trovato conforto e compagnia
l’uno tra le braccia dell’altro.
I Mirmidoni, i guerrieri più forti di tutta l’armata achea, erano celebri
per il loro atteggiamento diffidente e orgoglioso, tanto nei confronti dei
nemici quanto degli alleati. Anche il loro capo, il divino Achille, non
amava conversare e socializzare né con i suoi sottoposti né con i suoi pari.
Credevano in loro stessi, nelle proprie capacità e in quelle dei loro
condottieri. Non avevano bisogno di altro che dell’urlo di Achille per
partire all’assalto, annientando la prima linea dell’esercito avversario. E
quando il principe appariva sul suo carro, vestito con le sue sfolgoranti
armi divine, il pennacchio biondo dell’elmo a frustare l’aria dietro di lui,
le grida esultanti dei guerrieri mirmidoni riempivano i cuori dei nemici di
una paura senza speranza.
Patroclo abbozzò un sorriso, passandosi cautamente una mano sul braccio
sinistro, stranamente freddo, e reprimendo un gemito di dolore. Si portò la
mano di fronte al viso, corrucciato nel notarla sporca di sangue fresco;
ripulì le dita sulla stoffa leggera che gli copriva l’inguine e sospirò
tristemente. Non c’era motivo di preoccuparsi, l’asta del re Sarpedonte
l’aveva solo colpito di striscio, la ferita si sarebbe presto trasformata in
una delle tante cicatrici che deturpavano il suo corpo ancora giovane.
Guardò distrattamente la sua tenda, in cui in realtà passava pochissimo
tempo, e il suo sguardo volò su quella più maestosa che sorgeva al suo
fianco. Fissandola attentamente, si sorprese di trovarla stranamente
silenziosa.
“Probabilmente Achille starà dormendo…” sussurrò al vento.
Un rumore di passi, attutito dalla soffice sabbia dorata, lo fece voltare di
scatto, una mano sull’elsa della spada che aveva prudentemente portato con
sé. Le sentinelle erano attente, ma si trovava lontano dall’accampamento
principale, qualche infiltrato troiano poteva essersi fatto strada fino a lì
per carpire qualche informazione… non sarebbe stata la prima volta.
“No, comandante… Achille non sta affatto dormendo. Fa freddo questa notte, e
il principe non aveva niente con cui scaldarsi.”
Patroclo si rilassò, sorridendo al ragazzo che si era appena seduto al suo
fianco. Era di poco più giovane di lui eppure aveva un aspetto molto maturo
per la sua età. Guardarlo ogni sera gli faceva male al cuore. Achille era
troppo giovane per comandare un esercito, eppure era il miglior guerriero
che gli achei avessero mai avuto tra le loro fila. Il suo corpo non aveva
ancora assunto le forme dell’uomo che sarebbe divenuto, ma era già ricoperto
di così tante cicatrici che era difficile trovare un lembo di pelle integra.
Ogni volta che tornava all’accampamento ferito e sanguinante, Patroclo
sentiva di avere fallito nella sua missione. Era partito al fianco di
Achille per poterlo difendere, principalmente da se stesso… dalla sua
irascibilità, dalla sua temerarietà, dalla sua pazzia. Ma quando una freccia
gli si conficcava in una gamba, o un giavellotto gli sfiorava la gola,
sapeva che Achille viveva in un mondo tutto suo, in cui a lui era difficile
penetrare. Un mondo in cui l’odore del sangue era afrodisiaco, e le urla dei
feriti la più dolce delle melodie.
“Sono certo che Briseide o un’altra delle sue donne avrebbero potuto
tranquillamente scaldare il corpo del principe per tutta la notte.”
Patroclo fissò lo sguardo in quello di Achille, cercando nei suoi occhi
quella stanchezza che il condottiero non avrebbe mai mostrato in presenza di
altri. Achille era esausto. Ogni notte si rigirava nel giaciglio, gemendo e
pregando, e ogni mattina era pronto ad andare all’assalto in prima fila, in
una mano più di sei lance, nell’altra lo scudo, alla cintura la corta spada.
Da due anni viveva un ritmo frenetico, sostenuto solo dal suo orgoglio e
dalla sua forza di volontà.
Solo nell’intimità della sua tenda, con la compagnia di Patroclo, Achille
mostrava tutto il suo sfinimento.
Il giovane si lasciò sfuggire una leggera risata.
“Il corpo forse sì, ma questa notte è al cuore che il principe sente
freddo.”
Patroclo si spostò, sedendosi alle spalle del compagno e accogliendolo tra
le sue gambe. Lo abbracciò alla vita, affondando il viso tra i suoi capelli
arruffati, spingendolo ad appoggiarsi contro il suo petto. Era così raro e
piacevole trovare un’occasione per passare qualche attimo insieme, da soli,
lontani da tutti. Achille chiuse gli occhi beatamente, rilassandosi e
lasciando che le labbra di Patroclo gli solleticassero il lobo dell’orecchio
e andassero a posarsi lievemente sulla curva del suo collo. Aveva una
sensualità così naturale, quasi ingenua, che spesso Patroclo si trovava a
domandarsi se si rendesse conto dell’effetto che aveva su di lui.
“Patroclo… questa notte desidero passarla con te…” bisbigliò Achille, il
respiro che già cominciava a farsi accelerato. Si mosse leggermente
nell’abbraccio del compagno, voltandosi quel poco che bastava per trovare le
sue labbra e poggiarvi un bacio casto ma carico di aspettativa.
“Come quella passata, tutte quelle già trascorse e quelle che ancora devono
venire.” replicò Patroclo a un soffio dalle sue labbra, guardandolo con
un’intensità che gli fece girare la testa. “Ma a cosa devo tanta poesia? Da
quando Achille deve chiedere il permesso di prendere qualcosa che già gli
appartiene?”
Achille si inginocchiò repentinamente di fronte al compagno, afferrandogli
le spalle con le mani e spingendolo a terra con forza in un impeto di
passione, ma un gemito di dolore di Patroclo lo fece bloccare di colpo. Si
accorse che lungo la sua mano destra scorreva un rivolo vischioso, e si
affrettò a ritirarla. Patroclo si afferrò il braccio ferito con la mano
libera, mordendosi il labbro inferiore; probabilmente alcuni granelli di
sabbia erano entrati a contatto con la ferita aperta, e il dolore si era
fatto di colpo più intenso.
“Sei un incosciente!” sentì Achille urlare. “Perché non ti sei fatto
medicare? E’ un brutto taglio, ha bisogno di essere pulito e fasciato prima
che ti giochi tutto il braccio! Ma a cosa pensavi, per le corna di Zeus?”
Il principe si alzò in piedi, guardandolo con occhi fiammeggianti,
invitandolo con un secco cenno del capo a sollevarsi a sua volta.
“Vieni nella mia tenda, forza! Ho tutto il necessario per far sì che la
ferita si chiuda in pochi giorni, sempre che tu non decida di martirizzarti
ancora e magari lanciarti tra le braccia di Ettore armato solo di un
bastoncino di legno!”
Patroclo ridacchiò leggermente, sollevandosi a fatica sulle gambe robuste;
un capogiro lo colse nel momento in cui rizzò la testa, probabilmente dovuto
alla perdita di sangue, e dovette appoggiarsi al braccio di Achille per non
crollare a terra. Soffocò una risata divertita.
“Forse avevo sottovalutato la ferita.”
“Forse?” ringhiò Achille, sostenendolo con dolce fermezza. “Forse. Meno male
che nelle previsioni di mio padre tu avresti dovuto occuparti di me… cosa
direbbe se ti vedesse in queste condizioni, accasciato contro di me come il
più debole dei cadetti?”
Senza fretta, cominciarono ad avviarsi verso la tenda del principe. Di tanto
in tanto incrociavano qualche sentinella di turno, più o meno assonnata, e
scambiavano con loro una rapida occhiata e un veloce cenno del capo in guisa
di saluto. Niente inchini, niente formalità: Achille era un soldato, prima
ancora di essere un principe.
“Direbbe che è orgoglioso di avere un figlio che non ha bisogno di alcun
protettore.”
Achille mormorò qualcosa a voce talmente bassa che Patroclo non lo sentì, ma
immaginò che non si trattasse di un commento simpatico nei suoi confronti. A
mano a mano che si avvicinavano all’accampamento mirmidone, la notte
silenziosa si riempiva di suoni, luci e colori, e l’aria era sempre più
impregnata del profumo della carne cotta e della legna bruciata. Le tende,
accatastate l’una vicino all’altra sotto gli scafi neri, erano invece buie e
silenziose, riparo per chiunque avesse avuto bisogno di una lunga dormita in
previsione delle giornate a venire. In lontananza, in un angolo isolato
dell’accampamento, giungevano i gemiti dei feriti raccolti nella grande
tenda ospedale: la tenda di Macaone era riservata ai feriti di alto rango, i
soldati semplici dovevano essere curati da un guaritore messo a disposizione
dal proprio sovrano.
Achille si diresse rapido verso la sua tenda, ignorando i richiami dei
soldati che lo invitavano a fermarsi attorno al fuoco. Sentiva Patroclo
appoggiarsi con sempre più forza al suo braccio, e voleva arrivare a
destinazione prima che l’esercito vedesse uno dei suoi comandanti svenire
come una donnicciola.
Ordinò di non essere disturbato per nessun motivo al mondo e la sentinella
di guardia alla tenda, nel vedere Patroclo in sua compagnia, annuì con
espressione maliziosa e un sorriso furbesco disegnato sulle labbra,
assicurando che nessuno avrebbe invaso la loro intimità. Achille sospirò:
che gli uomini pensassero quel che volevano, la sua vita privata non era
affar loro.
Patroclo emise un gemito strozzato, sedendosi sul giaciglio che le donne di
Achille tenevano sempre pronto e pulito, mentre il principe frugava con
impazienza in una grande cassa di legno dove, presumibilmente, teneva
riposto il necessario per le quotidiane medicazioni. Ne estrasse poco dopo
un panno pulito e una bacinella vuota.
Si avvicinò all’uscita della tenda, cercando con gli occhi un ragazzino che
sonnecchiava in un angolo, il viso tutto sporco di cenere e polvere.
“Eaco! Riempi questo contenitore di acqua calda e portamela immediatamente!
Corri!”
Il ragazzino si alzò lesto in piedi, afferrando ossequiosamente la bacinella
di legno e correndo in direzione dei barili pieni d’acqua. Il fiume
Scamandro correva vicino al loro accampamento, ma era inquinato dai rifiuti
della città di Troia, e le sue acque portavano malattie e morte. I barili
pieni di acqua dolce erano l’unica risorsa idrica dei battaglioni accampati
in quella zona della spiaggia.
“E vedi di non intorbidire l’acqua con quelle tue mani luride!” gli gridò
dietro Achille, poco prima di rientrare nella tenda.
“Non dovresti rivolgerti a lui così duramente… è un ragazzo volenteroso, non
ti ha mai dato motivo di dubitare della sua efficienza.” lo rimproverò
Patroclo con voce stanca, socchiudendo gli occhi come se la luce delle torce
glieli ferisse.
Achille lo guardò con disapprovazione, storcendo le labbra in un gesto che a
Patroclo sembrò molto fanciullesco.
“Anche quando giaci ferito sul mio letto devi per forza trovare qualcosa da
insegnarmi, Patroclo?”
Il condottiero gli sorrise dolcemente, invitandolo con un ampio gesto del
braccio sano ad avvicinarsi a lui. Gli occhi di Achille si illuminarono per
un breve istante e il giovane accennò un passo verso il compagno, prima di
fermarsi e fissarlo quasi freddamente.
Patroclo lo guardò interrogativamente, chinando il capo su un lato come per
osservarlo meglio in tutta la sua interezza. Il suo sguardo sfiorò le sue
labbra tese, i denti che spuntavano per mordicchiare il labbro inferiore.
Abbassò gli occhi, scuotendo la testa e sospirando rumorosamente.
“Se avessi saputo che la ferita era così grave, mi sarei fatto medicare
prima, lo sai.”
Achille si voltò verso l’uscita della tenda, tirando con un gesto secco il
telo che la isolava dall’esterno. Si passò una mano tra i biondi capelli,
guardando in tutte le direzioni alla ricerca del giovane Eaco.
“Dove si è cacciato quel moccioso? Dannazione a lui!”
Come se avesse sentito la sua rabbia, il ragazzo comparve da dietro un
angolo, reggendo con attenzione il cratere, attento a non versare neanche
una goccia dell’acqua fumante. Arrivato davanti alla tenda, lo tese ad
Achille con aria trionfante, attendendo che il principe lo elogiasse com’era
solito fare in quei casi.
Questi però afferrò rudemente il contenitore, versando una buona quantità
d’acqua per terra, e si richiuse la tenda alle spalle, lasciando che Eaco
tornasse a dormire, ferito e depresso, nel suo angolo polveroso.
Si affrettò ad appoggiare l’occorrente per la pulizia della ferita ai piedi
di Patroclo, con gesti rapidi e bruschi, immergendo il panno pulito
nell’acqua e strizzandolo diverse volte prima di volgere lo sguardo al
braccio dell’amico. Senza preavviso, con ben poca dolcezza, prese a passare
il panno intorno alla pelle lacerata, ripulendola dalla sabbia e dal sangue
ormai secco che vi si era depositato.
Patroclo soffocò un gemito di dolore, voltando il capo dalla parte opposta
perché Achille non vedesse i suoi occhi riempirsi di lacrime. Il giovane
principe continuò imperterrito il suo lavoro, fin quando un lamento
strozzato del compagno non lo convinse ad arrestarsi un attimo. Patroclo
aveva gli occhi serrati e la fronte corrucciata, come se per tutto il tempo
non avesse fatto altro che mordersi la lingua per non urlare. Si rilassò
solo quando le mani di Achille furono a debita distanza dal suo braccio.
“Avresti dovuto pensarci prima, stolto.” mormorò con un filo di voce il
principe, abbandonando la pezza nell’acqua ormai tiepida e permettendo al
compagno di riprendere fiato. L’acqua si tinse presto di un rosso cupo, e
Achille spinse il cratere in un angolo della tenda, lontano dal suo sguardo.
Patroclo lo guardò, il respiro reso più veloce dalla sofferenza, e non vide
altro che un ragazzo spaventato. Achille poteva sembrare un freddo
condottiero calcolatore, ma nell’intimità della tenda non era che un giovane
uomo che si sentiva immortale nella sua forza. Era nato per essere un
soldato, un soldato vittorioso, e non avrebbe permesso a nessuno di
togliergli la gloria che gli spettava sul campo di battaglia. Aveva davanti
a sé tutta una vita da godere, da consumare attimo dopo attimo… ma quando la
guerra colpiva le persone a lui care, che si trattasse dei suoi uomini o
della sua famiglia, il ragazzo cambiava di colpo, trasformandosi da generale
a ragazzino. Le frecce di Paride potevano avergli lasciato decine di
cicatrici su tutto il corpo, la spada di Ettore gli aveva squarciato la
pelle in più di un’occasione, ma in nessun caso Achille aveva mai mostrato
paura o esitazione. Solo quando le sue mani sfioravano il sangue di Patroclo
o fasciavano le ferite di Antiloco il principe sentiva sulle sue spalle il
peso della responsabilità.
Patroclo tese il braccio sano verso il suo viso e gli accarezzò una guancia,
sfiorandogli con le dita gli occhi e le labbra tese. La sua pelle era
glabra, priva ancora della prima barba, eppure segnata da piccoli marchi
indelebili, piccoli solchi irregolari che sfregiavano il suo volto. Achille
lo fissò, apparentemente insensibile al suo tocco, ma quando le labbra
esangui del compagno si incurvarono in un sorriso, si sedette al suo fianco,
tirandolo verso di sé per catturare quelle stesse labbra in un bacio appena
sfiorato. Si lasciò cadere sul giaciglio, portandosi dietro l’amico e
cercando contemporaneamente di non rompere il contatto.
“Non ho ancora finito di medicarti…”
“Ci sarà tempo… dopo…”
Patroclo si appoggiò al braccio sano per non pesare interamente sul corpo di
Achille, sfiorando con la mano i suoi capelli annodati dal sudore e dalla
polvere.
“Non hai la forza per farlo…” lo rimbeccò scherzosamente Achille, infilando
una gamba fra le sue e accarezzando la pelle ancora coperta dal chitone
azzurro. “Sei troppo debole.”
Patroclo rise, sdraiandosi accanto al compagno e appoggiando la testa sul
suo petto.
“Come sempre, hai ragione…” sussurrò con voce fioca. Non era una ripicca, si
sentiva veramente esausto; dubitava di riuscire a tornare alla sua tenda
sulle sue gambe. La perdita di sangue era stata effettivamente notevole, e
diversi capogiri continuavano a tormentare il suo corpo e il suo spirito.
Odiava sentirsi così… indifeso, fisicamente e mentalmente. Qualcuno che
Achille doveva proteggere, e non l’opposto. Per questo in battaglia era lui
a reggere il grande scudo per difendere il suo principe alle spalle, per
questo la prima volta che avevano fatto l’amore, le lacrime di Achille lo
avevano spaventato.
Il suo amore per l’erede al trono di Ftia era totalizzante.
Ma non quello di Achille. Il giovane condottiero aveva amato molte donne, e
dall’ultima prima della partenza, Deidamia, aveva anche avuto un figlio, che
presto avrebbe avuto otto anni. Poi c’era sempre Briseide, la favorita… non
sembrava una serva, tanti erano i privilegi a lei accordati.
Solo quando aveva bisogno di maggiore forza, di vigore, Achille andava a
cercarlo, e questo era motivo di enorme sofferenza per Patroclo. Non che tra
loro non ci fosse dolcezza… ma era la ruvida dolcezza di chi è nato per
maneggiare le armi.
Patroclo sospirò, nascondendo il proprio volto sul corpo dell’altro perché
non scorgesse le emozioni che lo tormentavano da giorni. Diomede era finito
nel letto di Ulisse nonostante entrambi avessero a casa due splendide mogli
ad attenderli; la relazione tra loro era però la naturale conclusione di
un’amicizia che andava al di là della semplice compagnia. Si piacevano, si
rispettavano, si desideravano: ora erano amanti, e avevano eliminato dalla
lista dei loro problemi tutti quelli che le donne per loro natura si portano
dietro.
Ma cosa aveva portato Achille nel suo letto? Patroclo aveva paura della
risposta.
“Patroclo? Che cos’hai, cugino?”
Il giovane scosse la testa, facendo ondeggiare i folti riccioli neri. Aveva
imparato a conservare lacrime e singhiozzi per l’intimità della sua tenda.
“Nulla di preoccupante. Solo un po’ di dolore al braccio.”
Achille si sollevò a sedere, portandosi inevitabilmente dietro il compagno.
Allungò una mano su una cassa lì vicino, afferrando una striscia di tessuto
pulito senza neanche guardarla. Con gli occhi bassi, concentrato sulla
ferita, si affrettò a fasciarla, stringendo il più possibile perché i lembi
di pelle si cicatrizzassero al più presto.
“Le tue mani sanno essere così gentili quando vuoi, Achille.” soffiò
Patroclo, sospirando di sollievo quando si accorse che il dolore era ora
meno intenso. Il biondo condottiero arrossì, conscio del fatto che, nel
lavare la ferita, aveva usato molta poca dolcezza.
“Perdonami per prima, Patroclo… non ero in me.”
“Lo so… ora devo tornare alla mia tenda e dormire fino all’alba, se domani
ho intenzione di scendere in campo.”
Achille lo guardò tristemente, con un malinconico sorriso tirato dipinto sul
volto.
“Non c’è bisogno di tornare alla tua tenda. Resta con me.”
“Tu non hai bisogno di me, Achille…”
“Ti sbagli… ti sbagli…”
*...continua...*
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