DISCLAMER: I personaggi sono di T. Inoue. Alcuni, invece, li ho inventati io, ma non temete: la differenza, balza immediatamente agli occhi! -////-'

NOTE: Riporto qui sotto un mini albero genealogico della famiglia Rukawa, quelli tra parentesi sono i soprannomi che ha dato loro Hanamichi.^^''

Kikyo-san: nonnina-hentai, madre di Kyosuke.
Kyosuke: il capofamiglia, inventore.
Katy: moglie di Kyosuke, pittrice e scultrice.
Akira Sendoh: nato dal precedente matrimonio di Kyosuke (porcospino)
Kaede: primogenito di Kyosuke e Katy (Kitsune=volpe ^^)
Kurumi: gemella di Kazuya, ama solo il denaro e sogna di diventare miliardaria. (Ookami=lupo)
Kazuya: gemello di Kurumi, è appassionato di fotografia (Kojika=cerbiatto)
Kanata: amante della lettura (Nezumi=topo)
Kikyo: l'ultima arrivata in famiglia (koala)
Karen: 'sorella' di Kyosuke

Kei: figlio di Karen, coetaneo di Kaede e Hanamichi (Itachi=donnola)


Altri personaggi:

Hikaru Sakuragi: sorella minore di Hanamichi.


Michael Kant: allenatore in seconda di Anzai (Shiro=bianco)
Arthur Kant: fratello minore di Michael, è un fotografo professionista.

 

Mayuka Odagi: amica del cuore di nonna Kikyo, era un'attrice porno

Reika: nipote di Mayuka, asso del pc e di tutto ciò che è tecnologico, coetanea di Kanata

Madoka: mamma di Reika, scrive romanzi yaoi. (Fukurou=gufo)

Masaki: fratello minore di Reika.

 

Ryosuke Dori: presidente effettivo della Dorian Production.


Strange Family IV

parte IX

di Gojyina-chan

 

“Hanno chiuso il cantiere?! E adesso come farai?”

La voce tesa di Mito lo riscosse dallo stato catatonico in cui era sprofondato la sera precedente, appena ricevuta la nefasta notizia.

“Non lo so... ma troverò qualcos'altro!” sbuffò Hanamichi, passandosi una mano sui capelli.

“Certo, ma... È difficile trovare un lavoro serale a buon prezzo e...”

“Non importa! – lo interruppe stancamente – Se necessario, lascerò il basket così avrò una scelta più ampia!”

“Ma... Hana...”

“Yo! Devo pensare ad Hikaru! Domani sarà il suo primo giorno allo Shohoku e la retta è più costosa di quella delle...” il rossino s'interruppe accigliato.

Il primo giorno di Hikaru al liceo?!

Ma non era già...?

“Hana, per qualunque cosa... Lo sai, vero?” gli chiese il suo migliore amico dandogli una spallata.

“N-Non temere! Il Tensai ha sempre una soluzione!” sorrise il ragazzo, fingendo una tranquillità che era ben lungi dal provare...

… Qualcosa non gli tornava.

C'era qualcosa di sbagliato in tutto quel discorso, si rese conto mentre rincasava.

 

 

 

 

Rukawa si sedette al tavolo della cucina, davanti ad una tazza di caffè fumante.

Tutto il cibo che Hikaru gli aveva portato in quei giorni era rimasto intonso all'interno delle ciotole.

Senza Hanamichi non riusciva nemmeno a mangiare i dolci, figuriamoci il resto.

Fuori stava albeggiando e il rossino aveva trentotto e due di febbre. Molto meno rispetto ai giorni precedenti, ma comunque era alta.

Erano passati solo tre giorni e la volpe stava già dando di matto.

“Do'hao! Non ti azzardare ad ammalarti mai più!” sibilò incoerentemente, specchiandosi nel liquido scuro della tazza che stringeva spasmodicamente tra le mani.

 

 

 

 

Hanamichi si alzò in ritardo e corse a prepararsi. Giunto in cucina salutò la sorella mentre tentava di allacciarsi la divisa blu della scuola.

Sua sorella, a gesti, gli ricordò dell'arrivo a breve del Guntai e il rosso la guardò stralunato.

“Hiki, ma... perché non parli?!” gli chiese stupito.

La sorellina prima sobbalzò stupita, poi un lampo di dolore le attraversò gli occhi scuri.

La vide uscire fuori in tutta fretta, decisa ad aspettare lì l'arrivo dei loro amici.

Cosa stava succedendo?

Hikaru non parlava dal giorno della morte del padre... o forse no?

Sakuragi si prese la testa dolorante tra le mani, attanagliato nuovamente dalla sensazione che ci fosse qualcosa che non quadrava.

Sensazione che divenne certezza quando giunse a scuola e fu investito da una ben nota bicicletta.

Kaede.

Lui e la casa...

La sua famiglia assurda...

Lui lavorava lì, aveva trovato l'annuncio in bacheca e poi era andato a casa loro...

 

“Hn?” la volpe sollevò un sopracciglio, stupito dallo sguardo shockato del Do'hao.

Forse lo aveva colpito troppo forte.

 

“R-Ru...” si lasciò sfuggire il rossino, alzandosi in piedi a pochi passi da lui.

“Hn?!” mugugnò Kaede, infastidito da quel nomignolo.

 

“C-Come sta Kikyo-chan?” buttò lì il Tensai, non sapendo bene cosa dire.

“Chi?!” gli chiese la volpe, ormai certa che il rosso avesse bisogno di un encefalogramma.

“Kikyo-chan, tua sorella!” gli spiegò Hanamichi, muovendo un passo verso di lui.

“Sono figlio unico, Do'hao!” sputò il giocatore dello Shohoku, guardandolo disgustato per alcuni secondi prima di voltargli le spalle per incamminarsi verso la sua aula.

 

“Hana? Ehi? Hana, ma ti senti bene? Sei pallidissimo!” notò Yohei, preoccupato per lo stato in cui versava l'amico.

“S-sì. Sì. Vado un attimo... Io... Andate in classe, vi raggiungo subito!” balbettò, incamminandosi verso la terrazza.

Doveva riflettere.

Doveva assolutamente rimettere in ordine le idee e i ricordi che avevano affollato la sua mente alla vista di Rukawa.

Kaede.

La sua volpe non si ricordava più di lui.

 

 

 

 

Kaede posò la tazza vuota nel lavello e si avvicinò alla finestra del soggiorno, guardando l'orizzonte schiarirsi.

Era appena iniziata un'altra mattina senza il sorriso del suo Do'hao.

Da giorni si sentiva inutile ed abbandonato.

Non sapeva cosa fare per aiutarlo e gli mancava così tanto che a stento si riconosceva.

Doveva assolutamente reagire!

“RU!” il gridò disperato di Hanamichi lo fece sobbalzare.

Senza esitazioni corse da lui, con il cuore in gola.

 

 

 

 

Rannicchiato sulla terrazza, Sakuragi aveva nascosto il viso dietro alle ginocchia, per celare le lacrime che rigavano il suo viso.

Figlio unico.

Kaede era figlio unico.

Questo significava che la famiglia Rukawa era stata solo un sogno.

Lui aveva solo immaginato di trovare lavoro in quella casa e di essersi innamorato della volpe.

Era stato tutto frutto del suo inconscio e nulla di più.

Kaede lo aveva guardato con una freddezza incredibile e lui non riusciva a sopportarlo.

Non dopo tutto quello che avevano fatto insieme.

Oppure avrebbe dovuto dire 'che aveva sognato' di fare insieme?!

Certo, quella famiglia era davvero assurda... a cominciare dalla nonna maniaca... ma...

No, non era possibile!

Quella non era la realtà! Non poteva accettarlo!

No, no!

Quello doveva essere per forza...

 

 

 

 

Un incubo.

Il suo Do'hao stava avendo un incubo.

Solo questo poteva giustificare il suo volto sofferente, la sua agitazione e il modo in cui lo stava chiamando disperatamente.

Kaede gli prese il viso tra le mani mentre il ragazzo apriva piano gli occhi.

“R-Ru! Sono io...!” sussurrò il Tensai, cercando di metterlo a fuoco.

“Do'hao! Sei la mia unica ragione di vita.” lo rassicurò la volpe, riuscendo a commuoverlo.

“Ru!” pigolò il rossino, abbracciandolo forte, mentre le immagini di quell'orribile incubo andavano svanendo.

Kaede si stese accanto a lui continuando a tenerlo stretto a sé.

Ma che razza di sogni idioti andava a fare?!

Come se lui potesse dimenticarsi del suo Do'hao!

“Cinque dolci al giorno per sei mesi.” sentenziò la volpetta, decidendo che quello era un risarcimento più che giusto per tutto quello che quel mentecatto gli stava facendo passare.

Sbadigliando un altro paio di insulti, la volpe ricontrollò la temperatura del suo ragazzo, tirando un sospiro di sollievo nel constatare che era scesa ancora, stavolta senza bisogno di medicinali.

 

 

 

“Cammino sola-sola e cerco mamma...” borbottò Kikyo-chan, mentre saliva la scala che l'avrebbe portata dal suo mamma, aggrappata al corrimano.

Nel farlo, però, perse la presa e scivolò all'indietro.

Sarebbe precipitata dalla scalinata, se non fosse stato per il muso di Kuro che le sostenne la schiena, spingendola piano, aiutandola così a salire con facilità.

“Kuko, andiamo da mamma mio!” gli disse la piccola, per nulla intenzionata a fermarsi, ignara del pericolo che aveva appena corso.

 

 

 

 

Hanamichi si destò, strofinando il viso sul petto della sua volpe.

Si sentiva molto stanco, ma almeno non aveva più il feroce mal di testa dei giorni precedenti.

Anche gli occhi gli bruciavano molto meno, così poté mettere a fuoco il viso del suo ragazzo.

Rimase stupito nel trovarlo sveglio ed intento a guardarlo preoccupato.

“Ciao Ru!” lo salutò sorridendogli.

“Come stai?”

“Meglio, grazie – gli rispose prontamente – Che c'è, Kitsune?” gli domandò poi, rendendosi conto di quanto fosse teso il corpo del suo ragazzo.

“Cosa c'è?! C'è che sei un Do'hao! – sibilò la volpe adirata – Lo sai che hai rischiato di finire in ospedale? Lo sai che ho passato tre giorni...! HN! Lasciamo perdere!” borbottò Kaede imbarazzato, zittendosi subito.

Si vergognava a spiegargli quello che aveva provato e anche quel suo sfogo non era decisamente da lui.

Ma Hanamichi sembrò comprende il suo stato d'animo, perché sollevò il volto e lo guardo dispiaciuto.

“Non volevo spaventarti.” sussurrò piano.

“Hn. Cinque dolci al giorno per un anno e ti perdono.” borbottò la volpe, aumentando le sue pretese.

“Cinque per un anno?! Mi vuoi forse uccidere?” indagò il Tensai, guardandolo con sospetto.

“Hn. Sei mesi. È la mia ultima offerta.”

“Uno ed è pure troppo.” dichiarò Sakuragi, passandosi una mano sul viso ancora un po' caldo.

“Riposati, adesso.” gli disse Rukawa, rimboccandogli le coperte.

“Grazie Ru.” arrossì il suo ragazzo, piacevolmente imbarazzato per tutte quelle attenzioni.

Poteva quasi toccare l'amore che la volpe aveva per lui, tanto era tangibile in ogni suo gesto o sguardo.

Non ricordava molto dei giorni precedenti, ma nei brevi momenti in cui aveva ripreso conoscenza aveva sentito la presenza di Kaede accanto e questo lo aveva fatto sentire bene, nonostante fosse malato.

Forse si meritava davvero la quantità di dolci che gli aveva prenotato!

 

 

 

Arthur si presentò nell'ufficio del presidente con puntualità.

Fu accolto dall'efficientissima Lamia che lo fece accomodare tenendogli compagnia, poiché Ryosuke era stato trattenuto da una riunione indetta da alcuni sponsor.

 

“Prima o poi lo verrai a sapere, perciò tanto vale che te lo dica io: Ryosuke ha intenzione di smettere di fare il modello.” annunciò Lamia, passandogli una tazza di caffè.

“Non è possibile!” si lasciò sfuggire il fotografo.

“Dovrà rispettare i contratti che ha già firmato, ma non ne stipulerà altri.” aggiunse, nascondendo lo stupore per la reazione dell'uomo.

 

“Quanto tempo ho...? Volevo dire... quando scadranno?” si corresse Arthur, stringendo la tazza tra le mani.

“Due o tre anni, non ricordo bene. Come mai ti sconvolge tanto?” gli chiese incuriosita, mentre gli si sedeva accanto.

 

“Vorrei... Beh! Presumo sia una sciocchezza ma... Mi sono prefissato un obiettivo preciso: immortalarlo mentre sorride.”

 

Lamia scoppiò in una fragorosa risata.

“Sorridere?! Ryosuke?!”

“Non ho detto che fosse una cosa facile.” borbottò Kant, imbarazzato.

Forse sembrava una sciocchezza, ma per lui era fondamentale scattare foto particolari e uniche nel loro genere.

 

“In bocca al lupo, allora!” gli disse la donna, mentre il giovane presidente faceva il suo ingresso nella stanza.

 

“Scusi il ritardo, di cosa voleva parlarmi?” chiese Ryosuke, accomodandosi alla scrivania.

“Le foto che ho fatto a te e a Kei. Volevi vederle, no?” esordì Arthur, senza giri di parole.

“Certo, ma non era necessario prendere addirittura un appuntamento, le poteva spedire via mail a Lamia-san o consegnargliele ieri. Se mi ha voluto incontrare, deduco che voglia parlarmi di qualcosa.” disse il ragazzo, guardandolo senza scomporsi.

 

“Esatto! Mi sono accorto che sono sbagliate.” disse Kant, mostrandogliele una ad una.

“A me sembrano di ottima qualità.” commentò l'altro, osservandole con attenzione.

“Posso essere sincero?” domandò il fotografo, cercando di essere il più educato possibile, avendo a che fare comunque con un ragazzo.

“Assolutamente.” si sentì rispondere da Dori, il cui sguardo si fece più attento.

“Non sono sbagliate le foto in sé, ma credo che lo sia tu.”

“Io? Sono sbagliato io?” ripeté il più giovane, spiazzato da quell'affermazione.

 

“Queste sono foto di due profumi da uomo. I due ragazzi rappresentano una fragranza diversa. Kei è stato associato al muschio bianco e tu alla lavanda. Le foto di Kei sono ottime: abbiamo ambientato le sue scene in un bosco e lui è un giovane che si è perso e trova il suo profumo su un mezzo tronco d'albero. Nei suoi occhi c'è sorpresa, stupore e un pizzico di imbarazzo: sentimenti che lui stesso provava essendo alla sua prima esperienza lavorativa, ma è per quello che è stato scelto, no?” domandò in modo retorico, conoscendo bene la risposta.

“Certo. Continua.” sussurrò Ryosuke, troppo curioso di capire il senso di quel discorso per rendersi conto che gli aveva dato del tu.

 

“Lui è perfetto nel suo ruolo, ma tu sei completamente fuori dal personaggio. Il tuo sguardo che così tanta celebrità ti ha dato, qui stride completamente. Sei nel giardino di casa tua; in un luogo a te familiare, un posto in cui dovresti sentirti al sicuro, dove abbassi le difese e ti perdi nell'osservare i fiori, viola come i tuoi occhi, tra i quali c'è il profumo da pubblicizzare. Tu però non trasmetti niente di tutto quello. Li tieni a distanza e così facendo si perde il concetto alla base della pubblicità.”

 

Il pesante silenzio che calò nella stanza fu interrotto da Lamia, che avvertiva il presidente della telefonata del regista di una delle loro serie televisive di maggior spicco.

 

“Lasciami le foto. Penserò a quello che mi hai detto e ne riparleremo più avanti.” tagliò corto il giovane, mentre alzava la cornetta del telefono.

 

Arthur si congedò con una certa soddisfazione: sembrava che Ryosuke lo avesse capito appieno.

Chissà perché era tanto sollevato all'idea che lui avesse un modo di lavorare tanto simile al suo: sempre alla ricerca della perfezione, prestava attenzione ai particolari e agli obiettivi che ci si prefiggeva all'inizio di ogni nuovo lavoro.

 

Ma soprattutto, Kant aveva scoperto che adorava punzecchiarlo.

Desiderava farlo adirare.

Quando era irritato gli occhi di Ryosuke diventavano indaco, tanto si scurivano.

Ma il fotografo voleva di più.

Voleva sentire la sua voce infuriata.

 

“La colazione con Michael! Lui sì che si incavola se arrivo in ritardo!” esclamò all'improvviso, ricordandosi dell'appuntamento con il fratellone.

 

 

 

 

Kikyo arrivò al pianerottolo e posò subito le mani sulla porta nel tentativo di aprirla.

Non riuscendo però a spostarla, si sedette sullo zerbino con un profondo sospiro, cercando in tutti i modi di non mettersi a piangere.

Mentre si sfregava gli occhioni con le mani, Kuro si sollevò sulle zampe posteriori, tirando una musata alla maniglia che subito scattò.

“Bravo, Kuko!” trillò la bambina, abbracciandolo forte.

Felice come non mai, si rialzò ed entrò finalmente in casa.

 

Guardando contrariata il soggiorno deserto, decise di chiamare a gran voce la persona che stava cercando da giorni.

“IN BRACCIO MAMMA!”

Alcuni istanti dopo, la porta della camera da letto si spalancò e si ritrovò oggetto dello sguardo allibito del fratello maggiore.

 

“HN?!”

Kaede la guardò stranito, rendendosi conto che la piccola era lì da sola, mentre la testa di Hanamichi faceva capolino dietro di lui.

“MAMMA!” gridò la bambina, mentre camminava con le manine puntate verso di lui.

 

“Hn...”

“Non importa Ru. Sarebbe impossibile fermarla!” sospirò il ragazzo ancora a letto, nonostante fosse preoccupato di poterla contagiare.

“Come sei arrivata qui?” le chiese stupito Rukawa.

“Cammino sola-sola e Kuko aiutato!” borbottò Kikyo, troppo concentrata sul suo mamma per dargli retta.

Con un gran sospiro soddisfatto, finalmente si ritrovò tra le braccia di Hanamichi.

 

“Hn. Ma allora lo sai fare il cane!” sbottò la volpe, prendendo in giro l'animale che, colto in castagna, finse uno svenimento e si abbatté sul pavimento.

“Tsk! Troppo tardi!” sentenziò Kaede, tornando dal suo Do'hao.

 

“Hana, l'aspirina!” esclamò Kanata, sbucando da sotto il letto.

Il topino si era presentato lì un ora prima con tanto di librone di medicina e aveva voluto controllare personalmente lo stato di salute del ragazzo, misurandogli la temperatura.

 

“Hn...” Kaede si limitò ad andare in cucina a prendere le medicine, rassegnato all'idea di dover dividere il SUO ragazzo con i fratelli minori.

Il Do'hao era mancato tantissimo anche a loro, perciò non se la sentiva di biasimarli.

 

Tornato in camera, trovò la piccola accoccolata sul petto del rossino e Kanata steso accanto a lui, con la testa sulla spalla del ragazzo.

 

“Se mi state così vicino potreste ammalarvi!” sospirò Sakuragi, cercando di farli ragionare.

 

“Non importa!” sentenziò il topino.

“In braccio mamma!” bofonchiò il koala.

“Ci ho provato!” s'arrese il Tensai, sorridendo alla sua volpe che gli stava passando le medicine.

 

Pochi istanti dopo, anche Kaede si rimise a letto, rimboccando a tutti le coperte.

 

Con un profondo sbadiglio, Rukawa si accorse che sia i bambini che il suo Do'hao si stavano appisolando.

Deciso a non essere da meno, posò il capo sulla spalla libera del SUO ragazzo e li raggiunse quasi subito tra le braccia di Morfeo.

 

 

 

 

“Sei pazzo!” sentenziò Michael, consegnando il menù ad un cameriere.

“Eh?!”

“Hai intenzione di farti licenziare? Che ti salta in mente di trattare in quel modo Ryosuke?! Anche se è un ragazzo, è pur sempre il presidente!” spiegò il fratello maggiore, scuotendo il capo.

“Sono solo sincero!” si difese Arthur, incrociando le braccia al petto.

“Lo stai provocando immotivatamente!”

“Anche. – ammise il fratello, seppur controvoglia – Voglio realizzare 'la foto impossibile' e ci riuscirò, anche a costo di perdere il lavoro!”

“La che?!” domandò Michael, sempre più perplesso.

Forse non era stata una buona idea quella di incontrarlo a quell'ora.

Aveva addosso solo tre ore di sonno ed erano troppo poche per riuscire a star dietro ai suoi ragionamenti assurdi.

 

La 'foto impossibile'. – ripeté l'altroVoglio fotografare il suo sorriso. Nessuno c'è mai riuscito!” fu l'annuncio entusiasta del fratello minore.

“Mmm...”

“Perché mi guardi con quel sorrisetto?” gli chiese Arthur, sospettoso.

“Sai... mi stai ricordando qualcuno...” buttò lì il biondo, mentre il cameriere arrivava con le loro ordinazioni.

“Chi, di grazia?”

“Me, lo scorso anno con Kei. Quando lo punzecchiavo per costringerlo a giocare a basket con la dovuta concentrazione.”

“Ma che sciocchezze! Ryosuke è un ragazzino! – esclamò Arthur, indignato – Il mio è solo un interesse professionale!”

 

“Perché ti scaldi tanto? E comunque ti ricordo che ha la stessa età di Kei.”

“E con questo? Io ho sempre frequentato persone della mia generazione!” lo prese in giro il fotografo, certo di farlo irritare.

 

Michael non volle cogliere la sua provocazione ma, anzi, tornò decisamente molto più serio.

“Arty, ti ho chiesto di incontrarci anche per parlarti di Kei. A causa del lavoro non riesco a stare con lui quanto vorrei. Volevo sapere da te se gli piace davvero fare il modello.”

 

“Si diverte, sì. Per lui è tutto una scoperta. Ma ti assicuro che se dovessi notare qualcosa di strano te lo farò sapere immediatamente!” gli rispose il fratello, che era a conoscenza del gemello del ragazzo e delle dinamiche della sua scomparsa.

 

“Bene. Bene... Mi sono già accordato con Karen per scambiarci gli assistiti. Io prenderò i suoi, che sono tutti giapponesi e lei gli stranieri; così potrò lavorare di giorno, quando lui è all'università. Entro un mese tornerò ad una vita più regolare.”

 

“Accidenti, lo devi amare proprio tanto!” commentò il fratello minore, avvertendo una strana fitta di invidia.

Quel genere di relazioni non gli erano mai interessate, eppure in quel momento...

 

“Quando troverai anche tu una persona che ti farà perdere la testa, allora ne riparleremo!” tagliò corto Michael, trattenendo un sorriso di scherno.

 

“Smettila subito! L'aria del fratello maggiore che la sa lunga andava bene quando avevo otto anni, ma adesso non attacca!” lo avvertì il fotografo.

“Se lo dici tu!”

“Ti odio.”

“Non è vero!”

“Sei insopportabile! Kei deve essere dotato di infinita pazienza per stare con uno come te!”

“Kei è speciale: è il mio compagno!” sentenziò orgoglioso il biondo, con un'espressione talmente buffa che fece ridere entrambi.

 

 

 

 

“Caspita!” esclamò Lamia, commentando così le parole di Arthur.

“Già.” borbottò Ryosuke, voltandosi per guardare fuori dalla finestra.

 

Aveva sempre apprezzato la sincerità, ricevendone molto poca, e adesso che aveva trovato una persona che gli parlava con una schiettezza quasi brutale non aveva alcun diritto di lamentarsi.

Dopotutto, l'appunto che gli aveva fatto Kant era stata la prima cosa che lui stesso aveva pensato, mesi prima, quando i pubblicitari gli avevano descritto quegli spot: era certo che anche loro fossero della stessa opinione, ma avevano taciuto perché lui era il testimonial ufficiale del profumo.

 

Arthur invece gliene aveva parlato immediatamente.

Cosa doveva fare?

Offendersi e licenziarlo?

Si sarebbe comportato con la stessa sciocca acrimonia della gente che tanto disprezzava.

 

“Ryosuke, cosa succede? – domandò la sua assistente – E non mi riferisco al nuovo fotografo. Non ho potuto fare a meno di notare che negli ultimi mesi c'è qualcosa di diverso in te. Se vuoi parlare io ci sono!” si offrì la donna, guardandolo preoccupata.

“Sono solo un po' stanco, tutto qui. Non ti devi preoccupare.” le disse, grattandosi la punta del naso, cosa che faceva le rare volte in cui provava imbarazzo.

 

“Va bene. Torno al lavoro allora!” gli sorrise, uscendo dalla stanza.

 

Cosa aveva, gli era stato chiesto.

Non lo sapeva bene nemmeno lui.

Da quando aveva incontrato Hanamichi e i Rukawa aveva iniziato ad avvertire un certo disagio interiore.

Aveva visto il rossino battibeccare con il suo ragazzo, lo aveva scorto mentre scherzava con Kei, o che giocava con la piccola Kikyo, circondata dall'amore di tutta la sua famiglia. Aveva trovato divertenti anche le scaramucce tra Mito e Kurumi o le manie della loro assurda nonna.

 

Tutto quello lo aveva fatto sentire vuoto, solo e ancora più finto di quanto pensava di essere.

 

Aveva imparato fin da piccolo che la gente amava spettegolare.

Quando suo padre era ancora il presidente effettivo, i suoi dipendenti si prodigavano a servirlo nel miglior modo possibile, ma alle sue spalle dicevano qualunque cosa.

Era stato allora che Ryosuke aveva capito di non dover mai mostrarsi umano di fronte a gente simile e lo aveva fatto così bene che a poco a poco era davvero diventato privo di sentimenti.

 

Non aveva mai frequentato una scuola, aveva sempre studiato con insegnanti privati mentre imparava il mestiere del padre e cominciava a fare il talent-scout.

Non poteva provare invidia per qualcosa che non sapeva esistesse.

Ma quando aveva visto il rosso e i Rukawa...

 

Ogni giorno, tutti insieme, come ogni famiglia avrebbe dovuto essere...

Aveva cominciato a sentirsi strano.

Intrappolato in quell'ufficio e in quella vita.

E il lavoro, il suo unico interesse, aveva cominciato a stargli stretto.

Questo lo aveva portato ad essere ancora più inespressivo del solito cosa che, paradossalmente, lo aveva fatto apprezzare ancora di più come modello.

Tutte le macchine fotografiche amavano i suoi occhi viola, soprattutto quando non mostravano il minimo sentimento.

 

Tutte tranne una, si corresse, ripensando a Kant.

 

Ryosuke guardò nuovamente le foto che gli aveva lasciato.

Quelle in cui era insieme a Kei andavano più che bene, ma quelle in cui era da solo no.

Ma come poteva fingere di provare dei sentimenti di cui non sapeva praticamente nulla?

 

 

 

 

 

“È ancora un po' caldo.”

“Rosso-rosso mamma.”

“Hn.”

“Parlate piano o si sveglia.”

“Mamma fa la ninna!”

“Hn.”

 

Svegliato dal suono di quelle tre voci, il rossino socchiuse piano gli occhi e si ritrovò oggetto dello sguardo dei tre fratelli.

Tre paia di occhi azzurri lucidi, con tanto di gote arrossate, lo stavano scrutando con attenzione.

“Lo sapevo! È venuta la febbre anche a voi!” sospirò il Tensai, cercando di alzarsi per andare a preparare qualcosa di caldo a quei tre testoni.

 

Una grande mano candida sulla fronte, lo costrinse a riaffondare la testa sul cuscino.

“Do'hao! Hai la febbre anche tu!” lo sgridò Kaede, sistemandogli le coperte sul petto.

“Adesso che si fa?” gli domandò Hanamichi, un po' preoccupato.

“Hn...”

 

 

 

 

 

“Ma che carini, ma che bellini!” trillò Katy, dieci minuti dopo, scattando loro un paio di foto.

Alla telefonata di Kaede, era arrivata in compagnia della nonna, Mayuka e Reika e non la smetteva più di immortalare il quartetto.

 

“Ru? Ricordami che, appena saremo guariti, dovremo fare di nuovo cambio con Akira e Mitsui.” disse Hanamichi, sfregando il naso sulla sua spalla.

“Hn.”

“Camminato da mamma!” trillò Kikyo-chan, orgogliosa della sua impresa.

“Sei stata fortunata perché Kuro ti ha aiutata, ma è stata una cosa molto pericolosa. Non devi fare le scale da sola, me lo prometti?” le chiese il rossino.

“Scale sola no, promesso!” disse la piccola, accoccolandosi sul suo petto caldo.

 

“Kami! Non ci siamo proprio accorti di nulla. Abbiamo appena finito di portare le tele nel mio studio, ma mai mi sarei aspettata che fosse capace di camminare e così in fretta, poi!” ammise la pittrice, accarezzandole la testolina scura.

 

“Non avete la febbre molto alta, perciò eviterei i medicinali. Basta che stiate al caldo e tra un paio di giorni sarete sani come pesci.” sentenziò la nonnina, dopo aver misurato loro la temperatura.

 

“Ti annoierai qui da solo, ti ho portato un paio di libri da leggere.” disse Reika, posando i regali sulle ginocchia di un imbarazzatissimo topino.

 

“Ah... beh... G-Grazie...” balbettò il bimbo, guardando le copertine colorate.

“Rosso-rosso Tata.” notò Kikyo-chan, osservando incuriosita il fratello maggiore.

“Guarisci presto!” si limitò a dire Reika dandogli un sonoro bacio sulla guancia, trotterellando poi via, incurante della reazione del coetaneo che andò a nascondere la testa sotto il cuscino, vergognandosi come non mai.

“Ha fatto lo struzzo, mamma!” rise la sorellina battendo le mani.

“Povero Nezumi!” esclamò Sakuragi ridendo come un matto, mentre la volpe nascondeva il viso sulla sua spalla, sghignazzando sommessamente.

 

“E un'altra coppia è sistemata!” trillarono le due vecchiette, andando a festeggiare con una buona tazza di the verde.

“I ragazzi sono tornati adesso da scuola, tra poco Hikaru vi verrà a portare il pranzo. Riguardatevi!” disse loro Katy, coprendosi la bocca con una mano nel tentativo di non ridere per non peggiorare l'umore del figlio più piccolo.

 

 

 

 

Arthur ritornò agli studi per ultimare il book di Kei.

Il ragazzo era già pronto e stava ridendo come un matto nel vedere Kazuya che tentava di arginare i sogni di gloria della gemella.

“Ma quali tazze?!” stava esclamando il suo assistente.

“Da the e da caffè con impressa la faccia di Kei, naturalmente! – proseguì Kurumi, con gli occhi a forma di Yen – E anche da latte, ovvio!”

 

“Ok, ok! La porto via!” sentenziò Mito, accorso alla vista del fotografo.

A fatica riuscì nell'impresa, permettendo l'inizio del lavoro.

 

“Ascoltami Kei. – esordì Arthur, andandogli vicino – Oggi faremo solo primi piani con qualche espressione del viso. L'importante è che tu sia naturale, perciò non badare alla macchina fotografica e parla con me, ok?”

 

“Sono pronto!” esclamò il più giovane, prendendo posto sotto i riflettori.

“Si comincia!” dichiaro Kant alla troupe.

 

Qualche minuto dopo, cominciò a colloquiare con il modello.

“Bravissimo! Era carina l'idea delle tazze, non trovi? – gli chiese, riuscendo a farlo ridere di nuovo – Quando ti dicono che stai con un vecchio ti incavoli parecchio, vero? – il giovane lo fulminò con un'occhiataccia al vetriolo – Dimmi, ti piace stare con Micky?”

 

“Sì, certo! – arrossì Kei – A volte sa essere davvero insopportabile, ma... – chiuse gli occhi, sorridendo dolcemente – Con lui sto bene... e poi lo amo tanto.” bofonchiò rosso come un peperone.

 

Divertito, truce, imbarazzato, sorridente e innamorato.

Perfetto.

 

“Abbiamo finito!” annunciò il fotografo, guadagnandosi uno sguardo stranito da parte del ragazzo.

“Di già?!” gli chiese infatti Kei.

“Sei stato bravissimo! Vai pure a cambiarti, poi passa di qui prima di andare via, così ti mostro le nuove foto!” gli disse Arthur, passando la sua macchina all'assistente che scaricò tutto sul pc.

 

Kazuya sistemò le nuove foto nel file 'Book Kei', dando loro una nuova numerazione.

“Vanno bene in quest'ordine?” domandò al suo capo.

 

Prima serio, poi truce, imbarazzato, innamorato, divertito e sorridente.

“Ottimo lavoro!” sentenziò Kant, scompigliandogli i capelli.

Al suo ritorno, Kei visiono i nuovi scatti.

“Non sembro nemmeno io! – commentò, non riuscendo a credere che quel modello fosse davvero lui – Wow! Sono davvero bell...!”

 

Kei si bloccò immediatamente alla vista dell'ultima immagine.

Gli occhi chiusi e quel sorriso...

Quel maledetto sorriso.

Kim.

“Ehi, tutto bene?” domandò Arthur, vedendolo farsi pallido e tremante.

“S-Sì... io... Devo andare a casa!” balbettò Rukawa, scappando dal set.

 

 

 

 

 

 

Hanamichi controllò che i due bambini finissero di mangiare tutto quello che Hikaru aveva portato loro, prima di voltarsi verso la volpe, per accertarsi che anche Kaede lo avesse fatto.

Non fece in tempo ad abbassare lo sguardo sul suo piatto che si ritrovò in bocca un pezzo di sushi.

“Zitto e mangia!” sibilò il suo ragazzo, con un tono che non ammetteva repliche.

Sakuragi borbottò qualcosa di umanamente incomprensibile ma obbedì, dato che aveva lo stomaco vuoto da giorni.

Hikaru andò in cucina a pulire i contenitori, sollevata nel constatare che il fratello si era ripreso quasi del tutto.

Aveva passato dei momenti davvero orribili al pensiero di un suo possibile ricovero, anche se aveva sempre mostrato una serenità che non provava per tranquillizzare la famiglia Rukawa.

Meno male che Kazuya le era stato accanto, nonostante i suoi impegni lavorativi e scolastici.

Con un sorriso dolcissimo, si rese conto di quanto fosse migliorata la sua vita negli ultimi due anni: aveva ricominciato a parlare, aveva trovato un bel lavoro e frequentava la scuola dei suoi sogni.

Aveva un ragazzo meraviglioso, il calore di una famiglia e aveva anche ripreso i contatti con sua madre.

Non avrebbe potuto davvero chiedere di più.

Tornò in camera, dai quattro malati, portando il dessert.

“Non sono brava come te, fratellone, ma ho fatto il tiramisù.” scherzò, porgendo ai due ragazzi i piattini.

“Cucini benissimo! Che peccato che i bambini si siano già addormentati!” mormorò, rimboccando le coperte a Kanata e al piccolo koala, che ronfavano beatamente stesi su di lui.

“La vuoi smettere e preoccuparti per te, Do'hao?” sbuffò la volpe, guardandolo con aria truce.

“Baka Kitsune!” s'imbronciò il Tensai, schioccandogli subito dopo un sonoro bacio sulla guancia a mo' di scuse.

Kaede spazzolò il dolce, in palese crisi d'astinenza da saccarosio, sotto lo sguardo divertito dei due rossini.

“Adesso cercate di riposare anche voi. Torno più tardi con la cena. Per qualunque cosa telefonatemi!” li salutò la ragazza, congedandosi alcuni minuti dopo.

 

Sakuragi si adagiò sul cuscino, con la testa della volpe sulla spalla libera.

Kaede gli baciò le labbra e si addormentò pensando che, tutto sommato, anche avere la febbre poteva essere piacevole se era in compagnia del suo Do'hao.

 

 

 

 

 

Michael si presentò agli studi nel pomeriggio.

Voleva fare una sorpresa al suo ragazzo e andarlo a prendere per fare un giro in centro e poi portarlo fuori a cena.

 

Oltrepassato l'ampio cancello, proseguì per la via di sassi rossi circondata da un bellissimo giardino fino a raggiungere la piccola scalinata che conduceva al portone dell'edificio della Dorian.

 

“Buongiorno figliolo!” trillò un uomo di mezza età che stava potendo un cespuglio, sorridendogli gioviale.

“Take-san! Buongiorno anche a lei!” lo salutò Kant, riconoscendo il tuttofare che aveva incontrato le uniche due volte che aveva accompagnato in macchina il suo ragazzo.

Indossava sempre degli assurdi grembiulini molto eccentrici e colorati e di certo non passava inosservato.

 

“Kei è un gran bravo ragazzo ed è anche tanto sensibile!” borbottò l'uomo, tornando al suo lavoro.

 

L'ex allenatore rimase alcuni istanti in silenzio, limitandosi ad osservarlo allontanarsi, prima di decidersi ad entrare finalmente in quell'edificio, che aveva visto sempre e solo dall'esterno.

 

Incrociata Lamia-san nell'atrio, fu invitato ad andare a conoscere sia Ryosuke Dori che lo staff che si prendeva cura del look di Kei.

 

Rimase profondamente colpito dal colore degli occhi del giovane presidente, iniziando a comprendere sempre di più lo strano atteggiamento del fratello.

Quel ragazzo era davvero affascinante e non si riferiva solo alla sua oggettiva bellezza.

Possedeva un carisma fuori dal comune, che lo rendeva una calamita per gli occhi.

Un soggetto perfetto per un fotografo, si disse Michael trattenendo un sorriso.

Era certo che, a breve, avrebbe dovuto dispensare parecchi consigli da fratello maggiore.

 

“Rukawa è già andato via un paio di ore fa.” mormorò Dori, conducendo l'ospite fino al set dove il ragazzo aveva lavorato.

“Che peccato!” si rammaricò Kant, andando a salutare il fratello e Kazuya, che stavano ultimando la stampa di alcune fotografie.

 

“Ehilà! – lo salutò Arthur, con un cenno della mano – Vuoi vedere il tuo bimbo in tutto il suo splendore?” lo prese in giro.

“Non chiamarlo in quel modo!” rabbrividì il fratello maggiore guardandolo torvo.

La sua attenzione venne subito catturata dal suo Kei, che lo guardava dal tavolo lì vicino.

Quelle foto erano spettacolari.

Lui era spettacolare.

Anche Lamia e Ryosuke approvarono gli scatti.

“Ah... Micky, ascolta...” mormorò Arthur, visibilmente imbarazzato.

“Cosa succede?” domandò subito il biondo, facendosi serio.

“Stavo per telefonarti... Oggi Kei ha visto alcune di queste foto ed è impallidito. Poi credo che abbia iniziato a tremare, ma forse è stata solo una mia impressione.”

“Quali erano? Lo sai?” gli chiese Michael, cominciando a temere il peggio.

“Le ultime. Ma mi sembra strano, forse sto esagerando! Magari aveva solo freddo. Capita dopo essere stati troppo sotto i riflettori. Vedi? In una sta ridendo e nell'altra sorride e basta!”

 

Quel sorriso.

Michael si ricordò la descrizione del viso del gemello di Kei, quando quest'ultimo lo aveva trovato privo di vita.

 

“Maledizione! – ringhiò il biondo – Posso prenderla?” chiese al fratello, indicandogli la foto fresca di stampa.

“C-Certo!” rispose l'altro, stupito dalla sua reazione.

 

Con un sorriso colmo di gratitudine, l'ex allenatore salutò i presenti scapicollandosi fuori per raggiungere la macchina.

 

“Nemmeno il cambio di look è servito. Peccato.” mormorò Ryosuke a poche centimetri dall'orecchio di Lamia-san.

Arthur guardò i due allontanarsi pochi istanti dopo, con la netta sensazione di aver perso qualche passaggio.

“Per la miseria!” sobbalzò Kazuya, osservando con la dovuta attenzione l'ultima foto sullo schermo del pc.

“Cosa succede?” gli chiese il fotografo sempre più allibito.

“Un disastro!” sospirò il ragazzo, dandosi mentalmente dell'idiota per non aver fatto caso ad una cosa tanto importante.

 

 

 

 

“Kei è stato male?” domandò Hanamichi, cercando di moderare il tono della voce per non svegliare i due bambini che stavano ancora riposando.

“Non ne sono certo. Kazuya al telefono mi ha solo detto che è uscito di corsa dagli studi. Ho provato a bussare da lui ma non ha risposto nessuno, forse è con Michael.” spiegò Akira, andato a trovarli insieme al suo ragazzo.

 

“Se davvero è successo qualcosa sarebbe meglio non interferire e lasciare fare a Kant. Magari potremmo chiedere prima a lui e poi cercare di aiutare Kei.” propose la guardia, ricevendo il consenso generale.

 

“Mi sento un po' in colpa. – ammise il rossino – Forse ho insistito troppo nel fargli provare a fare il modello. Se non avessi chiesto a Kei di venire con me... Se...”

“Se, se, se! Se nonna avesse avuto le ruote sarebbe stata una carriola, Do'hao!” borbottò la volpe stizzita.

“Cosa che l'avrebbe resa felicissima, dato che è una posizione del Kamasutra. – gli fece notare Akira, rendendosi oggetto di un tripudio di occhiatacce – Era per spezzare la tensione.” si giustificò accigliato.

“L'unica cosa che stanno per spezzarsi sono le tue ossa se non taci.” lo avvertì Hisashi.

 

“Informatevi e fatemi sapere!” ordinò il Tensai, mordicchiandosi il labbro inferiore.

“La vuoi smettere?” sbuffò Kaede, sfiorandogli la bocca con il pollice per tranquillizzarlo.

Hanamichi si sciolse sul suo petto e rimase lì a farsi coccolare dalla sua dispotica volpaccia.

 

“Per il resto va tutto bene. Sembra che stiano per arrivare anche i nuovi vicini e sono partite le scommesse sulla loro resistenza, dovreste partecipare. Ovviamente l'ha organizzata Kurumi, perciò dovete chiedere a lei...” li informò il porcospino.

“Guarite in fretta, che tra pochi mesi inizia il campionato universitario! Poi ci organizziamo per scambiarci gli appartamenti. Adesso che Kikyo cammina sarebbe meglio che venisse a cercarti nella dependance.” disse Mitsui, prendendo per mano il suo compagno.

“E non fate follie, che ci sono dei bambini!” scherzò Akira, ottenendo un corale “Hentai!”

“Andiamo via, stupido!” sussurrò Hisashi, con un'insolita dolcezza nella voce che incuriosì i due convalescenti.

 

“Hn?”

“Siete strani... è successo qualcosa tra voi?” indagò il Tensai, scrutando con attenzione i due senpai.

“Qualcosa dici?” sorrise il tiratore da tre, guardando di sottecchi il porcospino.

“Ci amiamo!” trillò Sendoh, abbracciandolo stretto.

 

 

 

 

 

Michael rincasò il più velocemente possibile e corse alla Baita.

Appena entrato in casa, fu accolto da un pungente odore di marijuana.

Seguendolo arrivò fino in bagno, dove trovò Kei seduto per terra, con lo sguardo vuoto e le braccia poggiate sulle ginocchia piegate.

Gli si avvicinò in silenzio, posandogli un braccio dietro le spalle.

Buttato nel water il mozzicone che aveva in mano, lo prese in braccio, facendolo stendere a letto insieme a lui.

Kei non oppose la minima resistenza, perso com'era in un mondo pieno di ricordi dolorosi.

Michael si maledì mentalmente per la propria stupidità.

Aveva pensato che il ragazzo si fosse ripreso, tanto da averlo lasciato quasi da solo negli ultimi mesi a causa del suo stupido lavoro.

“Mi dispiace piccolo! È tutta colpa mia!” sussurrò baciandogli una tempia.

Al suono della sua voce Rukawa sembrò riprendere coscienza di sé, tanto da voltarsi per nascondere il viso contro il suo petto caldo.

 

“N-Non servo a niente!” bofonchiò il ragazzo, mentre silenziose lacrime cominciavano a scorrere lunghe le sue guance pallide.

“Non è vero! Sei bello, dolce e pieno di talento! Ma io non faccio testo, perché ti amo!” borbottò l'uomo, riuscendo a farlo sorridere.

“M-Mi dispiace per... ti avevo promesso che avrei smesso, ma...”

“Non importa. Ci pensiamo dopo. Un passo alla volta, ok? Adesso riposati.” si limitò a dire, accarezzandogli la schiena contratta.

“Sono un piantagrane! Stava andando tutto così bene ma poi... quel maledetto sorriso mi fa sempre stare male!” singhiozzò Kei, stringendolo con più forza.

Kant lasciò che si sfogasse, limitandosi ad accarezzarlo per fargli sentire la sua presenza.

 

“Sapevamo che non sarebbe stato facile. Stai andando benissimo, ma non devi né avere fretta né pretendere troppo da te stesso.” gli disse l'uomo, giocando con una ciocca di capelli azzurra.

“Ma io...”

“Le ferite dell'anima sono più difficili da rimarginare. Forse non ci riuscirai mai del tutto, ma già sarebbe una vittoria se riuscissi a conviverci. Vedrai che un giorno sarai capace di ripensare a tuo fratello senza provare dolore, ma solo nostalgia.”

Rukawa rimase in silenzio alcuni istanti, ripensando alle sue parole e alla foto che tanto lo aveva sconvolto.

“Ti va se la guardiamo insieme?” gli propose il compagno, attendendo il suo cenno di assenso prima di andare a prendere la foto che si era fatto dare.

 

Tornato al suo fianco gliela mostrò.

Il corpo di Kei smise a poco a poco di tremare e il giovane cominciò a rendersi conto, per la prima volta in vita sua, delle piccole differenze tra il suo volto e quello di Kim.

Strano che non ci avesse mai fatto caso, ma la linea del sopracciglio sinistro era diversa come anche quella della mascella.

 

“Quando me l'ha scattata Arthur, stavamo parlando di te.” gli confessò il ragazzo, arrossendo miseramente.

“Mi ha dato del vecchio, per caso?” indagò il biondo, conoscendo il pessimo umorismo del fratello.

“Anche! – rise il suo ragazzo – Ma in quel momento gli stavo dicendo che con te sto bene... e che ti amo. Devo accettare il fatto che Kim ha trovato la serenità che cercava nel suicidio. Mentre io l'ho trovata con te... anche se a volte sai essere davvero insopportabile!” concluse, giusto per rendere meno importante ciò che aveva appena detto e che lo stava facendo vergognare tantissimo.

 

“Non vi somigliate molto. Ricordo le foto che mi aveva fatto vedere tua madre. Le sopracciglia sono diverse.” commentò Michael, guardando la fotografia.

“L'ho notato anch'io. Siamo proprio diversi! – sorrise Kei, che finalmente smise di avere paura – C'è stato un momento in cui ho temuto di potermi suicidare anche io. Dato che eravamo gemelli, pensavo che avrei fatto anche io la stessa cosa, prima o poi. Ma anche se fisicamente eravamo quasi identici e siamo nati insieme, siamo sempre state due persone ben distinte, con caratteri decisamente diversi.”

 

“Dovevi essere un bimbo davvero carino.” mormorò Michael, baciandogli le labbra.

“Sono bello anche adesso, cosa credi! Dopotutto, faccio il modello! – scherzò Kei, mettendosi in posa – La mamma ha conservato tutte le nostre foto, magari un giorno di questi te le faccio vedere. Davvero... non ci somigliamo un granché!” si ripeté, sorridendo con serenità e una punta di malinconia.

 

Kant passò il resto della serata a tenerlo stretto a sé certo che, da quel momento in poi, Kei sarebbe stato meglio.

 

“Non devi lavorare?” gli chiese il ragazzo, sbadigliando contro la propria mano.

“Non stasera e comunque io e Karen abbiamo deciso di scambiarci i clienti, così finalmente la smetterò di vivere come un vampiro!” borbottò Michael, andando a prendere dal frigo qualcosa da mangiare per entrambi.

 

“Non lo fai per me, vero?” gli chiese Kei, al suo ritorno, guardandolo mortificato.

“Assolutamente no! Lo faccio per me, perché non mi va di stare lontano da te. Tenerti stretto tra le braccia mentre dormi non mi basta!” sentenziò l'uomo, imboccandogli un pezzo di sushi.

 

“I vampiri sono molto sexy...” si lasciò sfuggire Kei, guardandolo di sottecchi, con gli occhi lucidi e le gote deliziosamente arrossate.

“Mmm... interessante!” commentò Michael, chinandosi per baciarlo appassionatamente.

 

 

 

 

 

Un paio di giorni dopo, la nonna annunciò la completa guarigione dei quattro nipoti.

Kaede pretese che al Do'hao venisse controllata tre volte la temperatura per essere certo che stesse davvero bene, dopodiché tirò fuori dal cassetto del comodino un elenco di dessert.

“Hn!” mugugnò posando il foglio in mano ad Hanamichi.

“Mi fai fare almeno la doccia, schiavista?” brontolò il rossino, dirigendosi verso il bagno.

“Solo se è veloce, Do'hao!” concesse la volpe, decisa a non cedere.

“Baka Kitsune!”

 

Fresco, sano e pulito, il rossino poté finalmente uscire di casa insieme al suo ragazzo e ai due bambini.

“Adesso che rivedrai Reika cosa farai?” domandò a Kanata, mentre scendevano le scale.

“Ho un piano!” disse il topino, mostrando una certa sicurezza.

 

Giunti nella casa patronale furono accolti da tutta la famiglia, compresa quella Odagi, decisa a festeggiare la loro guarigione.

Hanamichi fu lieto di vedere anche Kei, sorridente e tra le braccia del suo compagno.

“Palpatina di bentornato!” trillò la nonnina, puntando verso il sedere del rossino, che Kaede difese col proprio corpo, fulminando la vecchietta con un'occhiataccia.

“Antipatico! E io che vi ho pure curato!” si offese l'anziana, facendo l'occhiolino al suo Culetto d'oro.

 

“Do'hao: dolci!”ordinò la volpe, trascinandolo in cucina. Il rossino ebbe appena il tempo di adagiare Kikyo-chan nel seggiolone, mentre Kanata, dopo aver salutato frettolosamente, correva a chiudersi in camera sua, cosa che stupì non poco il rossino, dato che il bimbo lo aveva sempre aiutato nella preparazione dei dessert.

 

“Spero che non si metta nei guai! – commentò il Tensai, prima di prestare la sua completa attenzione al suo strampalato compagno – Allora volpe, che vuoi?”

“Hn!”

Sakuragi prese la lista e cominciò a leggere quel papiro che si srotolò raggiungendo il pavimento, mentre i suoi occhi nocciola andavano spalancandosi sempre di più.

“Stai scherzando, vero?! Tra l'altro un paio di nomi non credo nemmeno siano cibi...” provò a protestare.

“Ospedale.” si limitò a dire Rukawa, incrociando le braccia al petto.

“Va bene, ma non te ne approfittare troppo!” lo avvertì il ragazzo, iniziando a preparare la cioccolata calda, al primo posto di quell'interminabile lista.

Alcuni minuti dopo si udì il suono del citofono, un evento più unico che raro dato che nessuno osava avvicinarsi a quella casa.

Hikaru fu sospinta in cucina da Kurumi, che poi chiuse la porta alle sue spalle.

“Hn?!”

“Non lo so! – rispose la rossina, alzando le mani – Ti aiuto, fratellone!” disse ad Hanamichi, che stava ultimando di versare la cioccolata nelle tazze, permettendogli così di prendere in braccio la piccola Kikyo, che stava iniziando ad agitarsi nel seggiolone.

 

“Ragazzi, potreste venire un attimo in soggiorno?” li chiamò Katy, aprendo piano la porta.

“Hn?!”

Stupito da quel comportamento, insolito persino per la sua famiglia, la volpe uscì dalla stanza.

 

Dopo un attimo di smarrimento, i due Sakuragi lo seguirono fino in soggiorno, dove si ritrovarono faccia a faccia con...

“Mamma!” esclamarono i due fratelli, davanti al viso sorridente di Hélène che era in compagnia del marito e dei due figli più piccoli.

 

 

FINE NONA PARTE