DISCLAMER:
I personaggi sono di T. Inoue. Alcuni, invece, li ho inventati io, ma non
temete: la differenza, balza immediatamente agli occhi! -////-' Kei: figlio di Karen, coetaneo di Kaede e Hanamichi (Itachi=donnola)
Mayuka Odagi: amica del cuore di nonna Kikyo, era un'attrice porno Reika: nipote di Mayuka, asso del pc e di tutto ciò che è tecnologico, coetanea di Kanata Madoka: mamma di Reika, scrive romanzi yaoi. (Fukurou=gufo) Masaki: fratello minore di Reika.
Ryosuke Dori: presidente effettivo della Dorian Production
Strange Family IV parte VII di Gojyina-chan
Fu un attacco talmente veloce che sia Mito che Kaede non riuscirono ad impedirlo. L'attimo primo Sakuragi era con loro, parlava, scherzava, rideva, mentre l'istante dopo... … l'istante dopo...
Con sommo sgomento, la volpe vide il suo ragazzo accasciarsi al suolo, mentre un'ombra spariva tra gli alberi vicini al garage.
Il suo Do'hao... Il suo dolce Do'hao... Il suo piccolo, dolce Do'hao...
Era stato completamente ricoperto da Ofuda.
Passato il primo momento di shock, la volpe allungò una mano candida verso di lui e...
… Hanamichi Sakuragi si rialzò di scatto, ergendosi in tutta la sua altezza, con gli occhi iniettati di sangue e i muscoli delle braccia tesi fino allo spasmo.
“Lo ucciderò. Io-lo-ucciderò!” ringhiò fuori controllo, mentre si staccava di dosso quella miriade di fogliettini. “Ehi?” provò a chiamarlo Kaede, senza però ricevere risposta.
Lo vide correre in giardino, furioso come l'inferno, seguito a ruota dal suo migliore amico. “In quello stato Hana è capace di uccidere per davvero!” gli spiegò Yohei, tentando di raggiungere il... “Do'hao!” sbuffò Rukawa, anche lui all'inseguimento di quell'uragano rosso, insieme a Sendoh e a Mitsui.
“Dove diavolo sei? ESCI FUORI!” tuonò Hanamichi, tirando pugni ai tronchi degli alberi, certo che lo sconosciuto fosse nascosto tra i loro rami.
“Hana-chan, ma che...?!” Katy si voltò di scatto, al suono della voce iraconda del suo modello. Posando per terra album da disegno e matita, lo guardò allibita.
“Secondo me è impazzito del tutto.” commentò Kurumi, sdraiata su una panchina lì vicino. “Hn.” “Non c'è da scherzare! Poco fa è stato completamente ricoperto di Ofuda. L'aggressore si è nascosto qui!” spiegò Mito, guardandosi attorno guardingo.
“VIENI FUORI, CODARDO!” gridò Hanamichi. “Ma che vuoi che risolva così? – sospirò il porcospino – Si farà solo venire un...”
“Io ti purifico, spirito malvagio!” esclamò all'improvviso una voce sconosciuta.
Un istante dopo, il rossino cominciò a fare a botte con una piccola ombra che gli si era scagliata addosso dall'alto, lanciando Ofuda a destra e a manca. Dopo parecchi minuti, Sakuragi riuscì ad acchiappare lo psicopatico, mentre il giardino era ormai invaso dai Rukawa giunti lì attirati da quel gran baccano e da Hikaru, con la piccola Kikyo in braccio alla ricerca del suo mamma.
“Ti ho preso, dannato...! Dannato... Dannato...? Che cavolo è 'sto coso?!” si chiese allibito il Tensai, essendosi trovato in mano un minuscolo vecchietto dall'aria battagliera con in testa una girandola arancione che, in movimento, emetteva un fastidiosissimo sibilo.
“Ecco da dove arrivava quel rumore...” borbottò Hanamichi, scuotendo il capo. “Sono Bonzo Naoto e sono qui per scacciarti, malefico Oni!” dichiarò il nuovo arrivato, continuando imperterrito ad attaccargli fogliettini mistici in fronte.
“Questo è roba vostra!” sentenziò Sakuragi, lanciando il nonnetto ai Rukawa, certo che fosse un loro parente. “Mmm... No, non lo conosciamo.” disse Kyosuke, osservando da vicino il piccoletto. “Ehi, tu, sgorbio! Giù le mani da Culetto d'oro!” ringhiò la nonnina hentai, muovendo il bastone sotto al naso del monaco. “Porta rispetto, vecchia strega!” tuonò quest'ultimo, faccia a faccia con lei. I due si guardarono in cagnesco, cosa resa abbastanza facile dato che erano alti o, per meglio dire, bassi uguale. Dopo un paio di minuti, cominciarono a fare a botte ad una tale velocità che si sollevarono in aria, atterrando sui rami di due alberi.
“Mamma, per cortesia, Hisa-amore si è preso molta cura del giardino, non rovinatelo!” sospirò l'inventore, scuotendo mestamente il capo.
“Ma come?! È un pazzo furioso e voi non lo conoscete!?” domandò il rossino sbigottito. “Hn. Non è che abbiamo l'esclusiva, sai?” borbottò la volpe, arrossendo appena.
“Andiamo a prendere una tazza di the, che dite?” propose Katy, prendendo a braccetto sia il modello che il giardiniere. “Ma quei due... Li lasciamo qui?” domandò Hisashi, mentre veniva letteralmente trascinato in casa. “Ma sì! Si stancheranno, prima o poi!” trillò la donna, con un bel sorriso felice stampato sul volto.
Un'ora dopo, infatti, i due anziani si presentarono in cucina, sporchi di terra e con dei rametti sparsi un po' ovunque.
“Oni maledetto!” sibilò il vecchietto, tirando al rossino un altro paio di Ofuda. “Ma la smetti o no, scimunito!” sbuffò Sakuragi, strappandosi di dosso quei dannati foglietti.
“Perdoni la domanda ma... cosa ci fa qui?” domandò l'inventore, passando al suo ospite una tazza di the fumante. “Sono stato ingaggiato dai coniugi Yoshimoto per estirpare il male dalla loro abitazione e l'ho trovato! Ecco l'Oni” esclamò, indicando Hanamichi col ditino.
“No noni! È mamma mio!” replicò Kikyo-chan, tornata in braccio al suo rossino. “Giù le mani da Culetto d'oro!” intimò minacciosamente la sua omonima. “No cu-hetto! È mamma mio!” sbuffò la bambina, accigliatissima. “Tsk! Do'hao. Tutti quanti!” mugugnò la volpe annoiata. “Uffa! No Do-da-do! È mamma!!!” gridò la bimba, voltandosi verso Hanamichi per avere il suo appoggio morale.
“Va bene! VA BENE!!! Manteniamo la calma!” sentenziò Akira, alzando le mani per far cessare quel baccano infernale.
“Lei è convinto che il nostro Hana-chan sia un demone?” chiese gentilmente Katy, mostrandosi interessata all'argomento. “Ovvio! Ha i capelli rossi!” sentenziò il vecchio, senza dubbio alcuno. “Scusi, ma anche io li ho rossi!” gli fece notare Hikaru. “Ma cara, tu hai un sorriso dolcissimo e dei modi gentili! – replicò Naoto sorridendole educatamente – Mentre quello lì... Quell'essere violento e iroso... Quello è un Oni!!!” dichiarò con tono melodrammatico.
“Ma sentitelo! IO, violento!? IO, iroso!? Non è...! Mmm... Perché nessuno parla?” si chiese Sakuragi, sentendo attorno a sé un tangibile silenzio imbarazzato. “Hn.” “Ok, a volte sono un po'... Ma non... Non è che... Non sempre però!” balbettò il rosso, imbronciandosi quasi subito.
“Naoto-san, mio fratello sarà anche un po' irascibile, ma non è un demone! Scusi, ma quando sono apparsi i fantasmi?” gli chiese Hikki, cercando di farlo ragionare. “Settimana scorsa.” borbottò il vecchietto. “Ecco! Noi eravamo al mare! Come avrebbe potuto mai essere in due posti contemporaneamente?” “I demoni si sdoppiano.” sentenziò il bonzo, con una certa sicurezza. “Tsk! Un Do'hao basta e avanza!” “Kitsune...” ringhiò Sakuragi, digrignando i denti. “Così peggiori solo le cose.” gli fece notare la volpe, sbadigliando sonoramente. Adesso che sapeva che erano tutti al sicuro, iniziava ad avere un po' di sonno e anche un certo appetito... “A proposito! – sobbalzò, ricordandosi una cosa importante – Io non perdono chi mi ruba i dolci!” sentenziò, tirando un cazzotto in testa al vecchio.
“Kaede! È un ospite!” lo sgridò la mamma. “Tsk! Ha rubato le torte fatte dal Do'hao!” “ARGH! Mi volevi avvelenare! – esclamò il vecchietto, saltando sul tavolo – Sai che la mia forza spiritica è troppo forte per te! Tu, subdolo...!”
“A te serve la 'camicia' di forza, altroché!” sbuffò Sakuragi per nulla impressionato. “Senta, che possiamo fare per convincerla che Hana-pucci non è un demone?” domandò l'inventore, mentre teneva a freno sua madre che stava inveendo pesantemente contro il coetaneo. “Nulla! È il tempo che decreterà la reale natura di questo mostro!” dichiarò l'ultimo arrivato. “Va bene allora! Sarà nostro ospite!” trillò Katy.
“EH? Mamma, ma sei impazzita ancora di più?” sbottò Kurumi, per nulla contenta di avere un estraneo in casa. “La ringrazio, ma non ce n'è bisogno! Ho la mia tenda nel giardino degli Yoshimoto. Starò lì fino a quando non lo coglierò in flagrante! Proverò che sei un demone!” giurò il monaco, brandendo i suoi Ofuda a mo' di clava.
“Taci, vecchio rimbambito!” tuonò Kikyo-san, liberandosi dalle grinfie del figlio.
Mentre i due vecchietti ricominciavano a menarsi in giro per casa, Hanamichi trasse un profondo sospiro, scuotendo il capo sconsolato. “Ma perché? Non bastavano i pazzi con cui già convivo?” si chiese affranto. “Hn...” ammise la volpe, accarezzandogli la testa a mo' di scuse.
Da quando stava insieme ad Hanamichi ne stavano capitando di tutti i colori. Di quel passo prima o poi lo avrebbe lasciato, pensò la volpe, spaventata all'idea di separarsi dal suo Do'hao.
“Ru!” mugugnò il Tensai, cercando rifugio sulla sua spalla. “Mi dispiace, piccolo.” ammise Rukawa.
“Baka! Mica è colpa tua!” lo sgridò il rossino, guardando poi l'orologio appeso al muro. “Hn?” “Dovrei preparare il pranzo...” mormorò Hanamichi, prontamente fermato dai familiari. “Fermo lì! Ci pensiamo noi! Tu occupati solo dei dolci, finché non avremo imparato anche noi a farli!” sentenziò Hisashi, mettendosi ai fornelli insieme a Michael e alle due ragazze. “Questa storia che debba sempre cucinare tu per tutti, non va bene!” sentenziò la rossina, cominciando ad armeggiare con pentole e padelle.
“Forse dovremmo rimandare l'invito a cena di Arthur... “ azzardò Kei, indicando con la mano i vecchietti che ancora si stavano menando.
“Scusate, voi due?” esordì Katy, attirando l'attenzione dei due anziani. “Sì, cara?” risposero prontamente in coro. “Potreste continuare in giardino? Qui ci sono i mobili, potreste farvi male!” disse sorridendo, come se il loro comportamento fosse assolutamente logico. “Va bene!” trillarono i due, ricominciando a guardarsi in cagnesco solo una volta fuori di casa. “Adesso non ci sono più problemi! Non vedo l'ora di conoscere il futuro capo di Yayu!” pigolò l'artista, dimostrando una volta di più il livello assai basso della sua sanità mentale.
Verso le sei, Arthur si presentò a casa Rukawa. Varcato il cancello, fu aggredito da un oggetto che non identificò immediatamente. “Oh, Kami! Arty, stai bene?” domandò il fratello maggiore, correndo ad aiutarlo. “Ma quanto pesa 'sto gatto?!” bofonchiò il fotografo, mentre Kazuya dava mentalmente addio alla sua carriera. “Non è Kato, è un bonzo.” gli spiegò Kei, prendendo il vecchietto sottobraccio. “Avete anche un monaco in casa?!” domandò l'ospite, sistemandosi i capelli. “Da oggi sì. Ma non lo ha fatto apposta, sta litigando con Kikyo-san e... e... è una storia lunga!” tagliò corto il biondo, tentando di portarlo in casa. D'improvviso, una donna anziana cadde da un albero e squadrò il nuovo arrivato per alcuni secondi in religioso silenzio.
“TIME OUT! – gridò all'improvviso, chetando l'ira funesta del monaco – Ohhh!!!! Tu sei il fratellino!!! Ma che carino, ma che bellino!” canticchiò lanciandosi a peso morto sul suo sedere sodo. “S-Signora!” sobbalzò il giovane Kant, che nel frattempo aveva anche subito l'assalto di Kato, appostato sul mobile del soggiorno più vicino alla porta. “NONNA!” tuonarono i nipoti in coro, staccandola a forza dai jeans del malcapitato. “Accidenti! È proprio vero che certe cose le devi vivere per poterle capire fino in fondo! – borbottò il ragazzo dagli occhi verdi – La descrizione che mi avete fatto non rende loro giustizia!” “Scusa.” sospirarono in coro Michael e Kei, chinando mestamente il capo.
“Ohhh!!!! Ma che carino, ma che bellino! – trillò Katy, facendolo accomodare su un divano – Ti andrebbe di farmi da modello?” “La ringrazio, ma preferisco fotografarli i modelli!” borbottò a disagio, fingendo di guardarsi attorno interessato al mobilio. Però! C'era da dire che avevano un ottimo gusto. Quella villa era meravigliosa. “Prego.” gli sorrise Hikaru, passandogli una tazza di caffè. “Grazie. Katy-san, lei è davvero una scultrice fantastica. Quella statua è meravigliosa!” si complimentò Arthur, indicando il piccolo quadrupede nero poggiato sul tavolo. “Quello è Kuro, il nostro cane!” rispose la donna con un gran sorriso. “Ha imbalsamato il cane?! – le chiese sbigottito – PER LA MISERIA!” sobbalzò, quando vide l'animale sdraiarsi sul dorso, cominciando a muovere le zampe in aria. “Hai visto che bravo? È un attore nato! Prima faceva il soprammobile, adesso è una tartaruga cappottata, la sua preferita. Lo sta facendo in tuo onore. Credo che tu gli piaccia!” trillò l'artista battendo le mani, ignorando il principio di infarto che stava colpendo il giovane Kant.
“Scusa!” sospirarono nuovamente in coro Michael e Kei, continuando mestamente a tenere il capo chino.
“Scusate? Prima che roviniate del tutto la mia vita, potreste cercare di comportarvi in modo più decente?” chiese esasperato Kazuya, che ormai stava seriamente mettendo una pietra sopra alla sua carriera di fotografo. “Ha ragione lui, siete vergognosi!” sentenziò Kanata, uscendo da un mobile con un libro sottobraccio e una torcia in mano. “Comincio a capire perché ti nascondi lì.” mormorò Arthur, sperando di uscire indenne da quella casa.
Era sconcertato. In cuor suo, era convinto che il fratello avesse un po' calcato la mano nel descrivere quella gente, invece la realtà aveva superato di gran lunga tutte le sue più ardite fantasie. Ma c'era dell'altro. Nonostante le loro stranezze e una distorta scala delle priorità, della decenza e persino della morale, avevano qualcosa di particolare. Osservandoli attentamente, arrivò a svelare l'arcano: amore. Era l'amore. Quello che leggeva negli occhi di quelle coppie, nei due bambini coccolati da tutti, nell'affetto che provavano l'uno per l'altro. E sembrava essere contagioso, dato che anche il fratellone era decisamente cambiato. Era più dolce e 'umano'. Quando era un giocatore professionista aveva a che fare con giornalisti rompiscatole, compagni di squadra strafottenti, presidenti e allenatori isterici e aveva imparato a usare il cinismo e l'ironia come armi di difesa. Adesso invece sembrava assolutamente in pace con se stesso. Provò una piccola fitta di gelosia, pensando che l'unico ad aspettarlo a casa era il vuoto del suo appartamento.
Ma da tempo ormai aveva scelto la carriera alla vita privata ed era un tipo di decisione che non permetteva di tornare indietro.
“Mamma, chi è?” domandò Kikyo-chan, guardando incuriosita il giovane ospite. “Si chiama Arthur ed è il fratellino di Michael.” le spiegò Hanamichi. “Allora io presento!” trillò la piccola, tirandogli la maglietta per fargli capire di sedersi accanto allo sconosciuto. “Dimmi!” le sorrise il giovane Kant.
“Allora: nonna è uguale-uguale a bimba! – esordì, per fargli sapere che avevano lo stesso nome – Lei è mamma mia. – proseguì la piccola, indicando Katy – Lui invece è cane brutto.” borbottò guardando malissimo suo padre. “Bau non me lo perdonerà mai!” guaì l'inventore, intristendosi in un angolo del soggiorno.
“Poi c'è Aki capelli punta – continuò Kikyo – C'è Butt... Dede. – rettificò, sorridendo al suo mamma, per non farsi sgridare – Lui dorme sempre!” “Brava cucciola!” approvò il rossino, facendole cenno di continuare. “Hn...” “Yayu e Kumy uguali-uguali e poi Tata che legge sempre!” concluse impettita, aspettando l'applauso che non tardò ad arrivare. “Come vedi, lei invece ama stare al centro dell'attenzione!” scherzò Sakuragi, suscitando l'ilarità del fotografo.
“Ohhh!!! Ma che carino, ma che bellino!” trillò Karen, arrivando alcuni minuti dopo, sottobraccio al preside dello Shohoku. “Mamma, per favore, non ti ci mettere pure tu! È già traumatizzato abbastanza!” la pregò Kei, in totale imbarazzo. Era certo che Arthur sarebbe scappato via a breve, correndo a denunciarli per aggressione, molestie e un'altra serie interminabile di reati.
“Karen-san! Finalmente ho il piacere di conoscerla.” le sorrise il giovane Kant, esibendosi in un inchino. “Suvvia, suvvia! Cosa sono queste formalità! Sei di famiglia!” replicò la donna, dandogli una pacca sulla spalla. Era stata decisamente un uomo in passato, si disse il fotografo, notando la potenza assurda del colpo appena ricevuto.
“Hn... Ehi, tu!” si sentì chiamare dal cugino di Kei che più gli somigliava. “S-sì?” “Niente nudo per lui!” gli intimò, indicando il rossino accanto a sé. “Ovviamente! Non temete... e questo vale per tutti!” li tranquillizzò, guardando suo fratello negli occhi. “Hn!” “Kitsune, lo vuoi lasciare in pace? Guarda che mi so difendere da solo!” borbottò Sakuragi, giusto per nascondere il pizzico di imbarazzo che provava.
Gli scaldava il cuore sapere di avere un angelo custode tutto per sé... “Tsk! Sei Do'hao, è ovvio che debba controllarti!” ...Se solo avesse imparato a stare zitto, quel... “Baka Kitsune!”
“Bene, bene! Che ne dite di metterci a tavola? Ho un certo appetito!” esclamò Kyosuke, facendo strada al giovane ospite.
A fine pasto, Arthur si complimentò con se stesso per aver mantenuto il sangue freddo. Nonostante i due vecchietti che si lanciavano addosso il cibo, il gatto che provava ad assalirlo da dietro, il cane in versione saliera e la miriade di domande e proposte allucinanti che gli erano piovute da più fronti, era rimasto calmo e tranquillo.
In realtà si era divertito da morire. Forse se ci avesse convissuto insieme non avrebbe resistito a lungo, ma restavano comunque una compagnia più che piacevole.
“Sei un bastardo fortunato, lo sai vero?” scherzò, guardando storto il fratello maggiore. “Hai ragione! – ammise Michael, sorridendo imbarazzato – Allora? Che ne pensi?” “Kazuya ha un'ottima attrezzatura e le sue nuove foto mi piacciono parecchio. Impara in fretta ed è una dote che apprezzo molto, lo sai. Hanamichi e Kei hanno un viso davvero interessante, sono affascinanti. Soprattutto i loro sguardi sono davvero particolari... mi divertirò ad immortalarli e poi la piccola Kikyo è una sagoma ed è anche parecchio sveglia!” “Ne sono lieto!” “Tranquillo, fratellone! Non ho mai avuto problemi sul lavoro. Cosa vuoi che capiti?!” lo rincuorò, con un tono di voce da cui traspariva una certezza granitica.
Dal suo ritorno dalla vacanza al mare, Hanamichi continuava ad essere pedinato da quell'assurdo vecchietto ribattezzato Same, ossia squalo: il rumore e il colore della girandola che aveva in testa annunciavano il suo arrivo come facevano pinna e musichetta, per il pericoloso predatore, nel famoso film americano.
Al mattino lo scorgeva appostato sulle fronde di un albero intento a spiarlo e la sera, quando chiudeva le finestre dell'appartamento, lo beccava sempre lì, con la faccia spiaccicata contro il vetro tanto che al rossino non restava altro da fare se non chiudere anche le tende. Altre volte, invece, lo sorprendeva a fare a botte con il gatto o, ancora più spesso, con la nonnina hentai, tirandosi l'un l'altro oggetti ed improperi irripetibili.
Ma la cosa peggiore per Kaede, era che il rosso non riusciva più a fare l'amore per paura di essere spiato dal vecchio bonzo, cosa che faceva irritare ancora di più Kikyo-san. Come in quel momento: Sakuragi e la volpe si stavano apprestando ad uscire di casa per andare all'università, accompagnati dalle voci dei due vecchi litiganti.
“Tu, brutto scimunito! Ma lo sai quanto ho impiegato a farli copulare? Non rovinerai la mia grandiosa opera!!!” ringhiò ad un certo punto la vecchietta, tirando il suo bastone in testa al bonzo.
“Non sta succedendo a me, non sta succedendo a me, non sta succedendo a me...” continuava a ripetere il Tensai, fingendo di non sentirli né vederli. “Hn...” La volpetta lo prese per mano, incamminandosi verso la stazione.
“Ma guarda! Una ditta di traslochi – sussurrò il rossino, passando davanti al cancello dei vicini – Non pensavo che gli Yoshimoto l'avessero già venduta. Tanto i nuovi vicini non dureranno a lungo!” sbuffò con un'incurante alzata di spalle. “Hn!” ammise la volpe, sistemandosi meglio il borsone sulla spalla.
Quella mattina avevano solo un corso e poi gli allenamenti, dopodiché il suo Do'hao sarebbe andato a fare un servizio fotografico che lo avrebbe impegnato quasi tutto il pomeriggio. “Tranquillo Kitsune. Ieri sera ho cucinato tre torte al cioccolato per oggi, contento?” sorrise il Tensai, la cui vita si era notevolmente semplificata da quando usava la golosità della volpe per tenerlo buono. “Hn!” scodinzolò infatti Rukawa, varcando con lui il cancello dell'università. A piedi impiegavano un quarto d'ora ad arrivare ed era quello il momento in cui organizzavano la loro giornata anche se, il più delle volte, Kaede sfruttava quel tempo per fargli la lista dei dolci che voleva.
Era davvero un pozzo senza fondo. Nonostante stessero insieme da quasi due anni, Sakuragi ancora non si capacitava della quantità di dessert che quel volpino psicotico era in grado di fagocitare.
Finita la lezione, i due si recarono in palestra. Il profondo sbadiglio della volpe fu interrotto dal coordinatore scolastico, che li raggiunse in giardino.
“Ragazzi miei, che passo veloce avete!” ansimò il piccolo uomo, sbuffando come un treno a vapore. “Hn?!” “Volevo avvertirvi che probabilmente il rettore presenzierà ai vostri allenamenti. Vuole incontrare te, Sakuragi!” “Hn...” “Ehi! Non ho fatto niente! – sbottò il rossino, indignato dall'occhiata accusatoria del suo ragazzo – Per ora...” aggiunse fingendo di tossire. “Hn?” “Non mettere limiti al Tensai.” “Tsk! Do'hao!”
Entrati in palestra, furono accolti dalla voce di Sorio-san, il loro allenatore, che come suo solito cantava una canzone Heavy Metal. “Forza, ragazzi! Tra poco iniziano gli allenamenti!” trillò il vecchietto, sorridendo gioviale. Barba e baffi bianchi e lunghissimi, un berretto rosso perennemente sulla testa, il loro Mister non passava di certo inosservato, soprattutto fuori dal campo, dato che girava per la città su una potente Harley-Davidson. Era magrissimo e con le gambe storte, messe in risalto ancora di più grazie ai sempiterni pantaloncini corti e maglietta bianca: il suo abbigliamento preferito.
“Ma nella mia vita, una persona normale riuscirò ad incontrarla?!” si chiese il rossino, dirigendosi a passo spedito negli spogliatoi. “Hn...”
Una volta in campo, i due ragazzi spazzarono via ogni pensiero che non fosse il basket e continuarono ad allenarsi fino a quando il vecchio allenatore non fischiò la fine.
“Troppo presto!” mugugnò il Tensai, che avrebbe preferito giocare ancora un po', invece che andare a farsi fotografare. “Hn?” “Niente, niente! – sbuffò il ragazzo dai capelli rossi – Devo sbrigarmi, c'è già la macchina degli Studios qua fuori che mi aspetta.” borbottò correndo a rivestirsi. Quel lavoro gli fruttava molti yen e, cosa più importante, gli dava la possibilità di controllare in prima persona le sue bambine, Kikyo-chan e Hikaru: perciò non lo poteva proprio lasciare.
“Kae? Facciamo altri due tiri?” chiese il porcospino, lanciando la palla al fratello minore. “Hn!” annuì prontamente la bella volpe, posizionandosi in campo tra Akira e Mitsui.
Era talmente concentrato che non si accorse nemmeno della presenza in palestra del preside Ikeda. Fu Hisashi a riconoscerlo, fermando il gioco. “Ma che ci fa qui?” si domandò, mentre l'uomo si avvicinava con passo deciso.
“Voi dovete essere i Rukawa, giusto?” esordì l'uomo, lasciando i tre ragazzi palesemente sbigottiti.
“Ha perso la memoria? Dov'è la zia?” chiese Sendoh, guardandosi attorno. “Hn. Non è lui.” mugugnò Kaede, osservando con più attenzione quell'uomo. Aveva uno sguardo troppo serio, non poteva essere il preside dello Shohoku.
“Io sono il rettore dell'università, Tomo Ikeda. Immaginavo che quello svampito del mio gemello non vi avesse parlato di me!” sospirò, scuotendo il capo con disappunto. “Già. Non ci aveva detto che avesse un fratello, tanto meno gemello.” ammise Mitsui.
“Ciao ragazzi! Il Tensai scappa via!” trillò Hanamichi, uscendo di corsa dagli spogliatoi con il borsone a tracolla.
“SAKURAGI! VIENI SUBITO QUI!” tuonò Ikeda, posando le mani sui fianchi, accigliatissimo. “Hn?!” “Preside? Che ci fa qui? – domandò il rossino – Ma soprattutto: che si strilla, scimunito?!” ringhiò con fare bellicoso.
“Non è Toshi-san, ma Tomo Ikeda, il gemello nonché rettore dell'università, perciò stai buono!” lo ammonì Hisashi.
“Tu sei Sakuragi, giusto?” domandò l'uomo, guardandolo in cagnesco. “S-Sì!” balbettò il rossino, sempre più stupito. “Quel Sakuragi?” insisté l'altro. “Il Tensai, unico e solo!” proclamò orgoglioso il ragazzo. “Do'hao!” “Taci tu! Baka Kitsune!” “Sei quel Sakuragi che fa l'idol?” proseguì il rettore, scrutandolo con attenzione. “S-Sì, sono io!” “Me lo fai un autografo?” pigolò Ikeda, rosso in viso, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni una foto promozionale di Hanamichi, tra lo sbigottimento generale.
“C-Certo! – balbettò il Tensai, firmando velocemente – O-Ora dovrei andare...” “Va' e fatti onore!” trillò il rettore, accompagnandolo fino alla macchina.
“Hn...” “Sono proprio gemelli!” sentenziarono in coro Akira e Mitsui, ricominciando a giocare. “Hn...” Era assediato da pazzi furiosi. Pazzi e fissati con il suo Do'hao. Forse avrebbe fatto meglio ad imparare le arti marziali per difendere meglio la sua proprietà privata. Magari recintare il rosso con del filo spinato ad alta tensione... … oppure rispolverare quei suoi vecchi piani di distruzione di massa...
“Ehi Kae? Giochi?” si sentì chiedere dal fratello, che stava palleggiando a bordo campo. “Hn!” annuì la volpe, correndo a rubargli il pallone.
Ryosuke Dori andò agli studi un paio di ore prima del necessario. Aveva un gran da fare in quel periodo, tra il lancio promozionale degli album di due gruppi musicali, le riprese di cinque telefilm che pullulavano di idol e alcuni servizi fotografici degli emergenti. Anche se ufficialmente era suo padre a gestire l'azienda, il vero e unico presidente della Dorian Production era solo e soltanto lui. Era un talent-scout nato. Tutti i più famosi attori e cantanti giapponesi sotto i vent'anni li aveva scoperti lui. L'ultimo in ordine di tempo era stato Sakuragi, che aveva visto sulla copertina di una rivista scolastica mentre realizzava una poderosa schiacciata. Aveva un viso particolare e degli occhi unici, per questo aveva chiesto a suo padre di metterlo subito sotto contratto. Poco tempo dopo, invece, Ryo aveva incrociato per i corridoi il cugino del rosso, o un amico, non ricordava bene. Occhi azzurri, capelli neri e dei lineamenti praticamente perfetti. Kei Rukawa avrebbe esordito sulle più importanti riviste di moda entro un paio di giorni e lui aveva il suo gran bel da fare con tutti quegli artisti per le mani.
“Signorino! Buon giorno!” trillarono in coro i membri del suo staff. Una massa di lecca culo, servili e viscidi, completamente privi di spina dorsale buoni solo a spettegolare. Sapeva bene di essere temuto da tutti loro e conosceva le falsità che dicevano su di lui. Fin da subito era stato bollato come un capriccioso figlio di papà pieno di boria e vanità.
Ryo amava il suo lavoro e quando non era fatto bene questo lo irritava molto e lo costringeva a redarguire i colpevoli, tutto lì. Mai aveva urlato, mai aveva platealmente mandato a quel paese nessuno, ma nonostante questo si era visto addossare la nomea di attaccabrighe. Era semplicemente un professionista che non ammetteva di farsi mettere i piedi in testa, soprattutto dai manager dei suoi assistiti, di cui era l'incubo per eccellenza. Ogni volta che ottenevano un successo professionale, orde di agenti accorrevano da lui per far aumentare i cachet dei loro assistiti, ma Ryo non cedeva e questi andavano via con le pive nel sacco.
Ad alimentare la sua pessima fama, forse erano anche i suoi occhi viola, così rari e particolari, che sapevano tingersi di sfumature quasi innaturali quando era furibondo, ma ai lacchè con cui aveva quotidianamente a che fare faceva paura persino la propria ombra, perciò non facevano testo.
Dicendo che aveva un caratteraccio, i membri del suoi entourage potevano suscitare comprensione e stima da parte dei colleghi delle altre sezioni. La verità non era importante in quell'ambiente. Contavano solo i risultati.
Che noia! Avrebbe potuto uccidere uno qualunque di quei lacchè e gli altri si sarebbero addirittura scusati con lui, per l'impiccio del cadavere.
Noia. Noia. Noia.
Tutto era così dannatamente noioso. Falso e vuoto. Ma quello era il suo mestiere e lo faceva dannatamente bene, si ricordò il ragazzo sedendosi sulla poltrona del presidente, pronto a dare inizio ad una nuova, proficua, giornata di lavoro.
“Oggi hai un servizio fotografico insieme al giovane Rukawa. – gli ricordò Lamia la sua efficientissima assistente personale, l'unica autorizzata a dargli del tu, dato che lo conosceva da quando era nato – Poi vorrei avvertirti che lo spot del borotalco, con Hanamichi e la piccola Kikyo, ha vinto il premio come migliore pubblicità dell'anno... c'è una premiazione ufficiale e...” “Mandaci mio padre. Andiamo avanti!” tagliò corto il giovane, con la sua solita voce atonale.
Detestava la mondanità ma, paradossalmente, le macchine fotografiche amavano il suo viso totalmente inespressivo; era stato quasi costretto a fare lui stesso il fotomodello. Ed era anche uno dei più richiesti, dannazione.
“Sì, dicevamo... Oggi arriva il nuovo fotografo per...” “Nuovo? Quello vecchio che fine ha fatto?!” chiese Ryo, togliendo il naso dalla pila di contratti che inondavano la sua scrivania. “Temo sia scappato. Sai com'è... Ha incrociato la nonna di...” “Capito.” la interruppe Dori, sapendo bene di chi stesse parlando. Kikyo-san era l'ottuagenaria più allucinante che avesse mai incontrato in vita sua. Anzi, no: era l'essere umano più allucinante che avesse mai incontrato. Da quando i nipoti lavoravano lì, ogni scusa era buona per intrufolarsi nei camerini dei fotomodelli. Non erano mai girate così tante guardie del corpo in quell'edificio da quanto suo padre aveva fondato la società. Tutto a causa di quell'assurda vecchietta.
“Ho assegnato ad Arthur Kant il tuo servizio fotografico, così potrai valutarlo di persona.” “Perfetto. A che punto sono le scenografie delle nuove serie televisive?” domandò il ragazzo, ultimando di firmare le sue scartoffie quotidiane. “Quasi finite. Lunedì sarà tutto pronto. – disse la donna, con un sorriso sicuro – Oggi finiamo le riprese del nuovo spot di Kikyo-chan, mentre Hanamichi fra un'ora ha le foto di un profumo. Proprio adesso Kartioca si sta occupando della nuova pettinatura di Kei e Hikaru ha finito ieri di incidere i jingles che volevi, perciò siamo a buon punto!”
“Bene. Andiamo a vedere questo Kant.” dichiarò Ryo, uscendo dal suo ufficio per recarsi alla sala trucco.
Kei si guardò allo specchio ancora un paio di volte, stentando a credere che fosse sua l'immagine che vi era riflessa. La parrucchiera o Hair Stylist, come preferiva essere chiamata, gli aveva scalato ai lati i lunghissimi capelli corvini, spuntandoli dietro di un paio di centimetri. L'aveva infine pettinato con la riga di lato, in modo tale che le ciocche scure andassero ad accarezzare un occhio ad ogni movimento, facendolo intravedere. Ma a stupirlo maggiormente erano le punte delle ciocche di un eccentrico azzurro intenso.
“Wow!” fu il commento di Hanamichi, entrato in sala trucco giusto in tempo per vedere l'amico in procinto di andare sul set. “Già!” borbottò Kei, ancora incredulo. Non riusciva a riconoscersi.
“Michael avrà una piacevole sorpresa stasera!” scherzò il rossino, sedendosi al suo posto. “Vero!” ammise il giovane Rukawa, accarezzandosi i capelli.
“Ti stanno aspettando sul set: va' e divertiti!” gli consigliò il Tensai, facendogli l'occhiolino. “Ok, grazie!” sorrise l'altro, andando a raggiungere Arthur, già pronto dietro la macchina fotografica.
“Wow! A mio fratello verrà un colpo!” commentò sorridendogli. “Scemo!” arrossì il più giovane, notando in quell'istante la presenza di un altro ragazzo.
Capelli neri con riflessi viola, corporatura aggraziata... dove lo aveva già visto? Quando si voltò, Kei finalmente lo riconobbe: Ryosuke Dori, il figlio del presidente. Era la prima volta in vita sua che incontrava una persona con gli occhi viola e, quelli del ragazzo, avevano una sfumatura davvero unica. Lo aveva incrociato solo un paio di volte, ma quel viso gli era rimasto impresso.
Non solo per l'oggettiva bellezza, ma per lo sguardo freddo. Forse non era l'aggettivo giusto, si disse, andando a salutarlo educatamente. Suo cugino Kaede era freddo, ma nei suoi occhi si poteva leggere sfida, fame, amore e altri sentimenti. No: Ryo era completamente inespressivo. Che ti salutasse o ti mandasse a quel paese, aveva sempre la stessa identica espressione. O, almeno, così dicevano tutti, dato che lui non ci aveva mai praticamente parlato.
“Le luci sono a posto. Siete pronti?” chiese loro il fotografo, facendo cenno a Kazuya di accendere la ventola a pochi metri dai due modelli. “Cominciamo.” sentenziò Ryo, mettendosi in posa, subito imitato dal giovane Rukawa.
Una volta tornato a casa Sakuragi fu accolto dai bambini, seduti per terra ai piedi del divano, insieme a Kaede, semi addormentato sulla sua poltrona preferita.
“Ho fatto brava bimba tutto tempo!” esordì Kikyo, salutando il suo mamma. “Sono fiero di te, piccola! Ti meriti un dolce grandissimo!” le disse il rossino, posando il borsone accanto alla porta dell'ingresso. “Hn?” gli domandò Kaede, vedendolo da solo. “Kei non ha ancora finito, perciò Kurumi e Yohei sono rimasti con lui. Era un po' nervoso. Sai, il primo giorno... – spiegò Hanamichi – Piaciuta la torta?” “Hn.” “La panna montata te la potevi mettere da solo.” gli fece notare, cercando di non ridere di fronte alla sua espressione contrariata. Che volpetta viziata che gli era capitata! “Tsk!” “Baka!” “Do'hao!”
“In braccio mamma!” sbuffò la bimba, annoiata dal solito battibecco tra i due. “Forza, vieni qui!” la esortò Sakuragi, inginocchiandosi ad un paio di metri da lei. “In braccio!” ripeté la piccola, tendendo le manine verso di lui. “Prova a camminare fino a qui!” la incitò sorridendole. “Mamma fa brava bimba, promesso!” “Ma non è una punizione, cucciolo!” sospirò il ragazzo, prendendola in braccio. “Tì è puzione! È uguale-uguale!” replicò la piccola, imbronciatissima.
“Ma come? Io pensavo volessi stare con me sempre!” pigolò il rossino, fingendosi triste. “Tì mamma! Sempre-sempre tutta vita bimba. Tutta-tutta senza pezzettino via!” confermò il koala senza esitazioni. “Se camminassi da sola, potresti venire da me tutte le volte che vuoi, senza dover aspettare che qualcuno ti porti da me...” buttò lì il Tensai, accarezzandole la testolina scura. “Hn...” “Kitsune: taci!” “...” “Brava volpetta.”
“Tutte-tutte, mamma?” indagò la bimba, interessatissima all'argomento. “Tutte-tutte!” confermò Sakuragi, sperando di ottenere qualche risultato con quel testardissimo koala.
“Cammino sola-sola cerco mamma... Cammino sola-sola trovo mamma... Cammino sola-sola in braccio mamma...” stava borbottando la bimba, meditabonda. Sì: si poteva fare, decise alla fine. E fu in quel momento che Kikyo Rukawa imparò un valore importantissimo: l'indipendenza.
“Abbiamo le anteprime?” domandò Arthur al suo neo-assistente, che stava trafficando con il pc. “Eccole!” fu la pronta risposta di Kazuya, porgendole all'uomo.
Ryo si avvicinò ai due, non prima di aver mormorato un semplice “Hai fatto un buon lavoro. Vieni a guardarle.” all'indirizzo di Kei, che stava per andare in camerino a cambiarsi. Il coetaneo lo ringraziò, ancora un po' spaesato, prima di raggiungere titubante i tre.
“Sei davvero fotogenico.” commentò Arthur, sorridendogli per fargli capire che era andato tutto bene. Il giovane Rukawa osservò quelle foto come se il soggetto fosse un estraneo. Decisamente non riusciva a riconoscersi con il trucco, gli abiti non suoi e la nuova pettinatura. Forse però era un bene, si disse alla fine. Il suo viso gli ricordava troppo quello del gemello prematuramente scomparso.
“Ragazzi, potete andare adesso.” li congedò il fotografo, salutandoli con garbo. Mentre i due Rukawa si allontanavano soddisfatti, Ryo diede un'ultima occhiata alle fotografie.
“Stampale in bianco e nero.” sentenziò con la solita voce atonale. “No.” “Bene, a doma... Cosa hai detto?!” chiese, voltandosi verso Arthur. “Ho detto di no. Le ultime due pubblicità le avete fatte in bianco e nero, una terza sarebbe inaccettabile. – gli spiegò pazientemente – Sarebbe più opportuno una serie monocromatica sul blu o il viola.”
Davvero ne avevano fatte già due? Ryo rifletté alcuni istanti e infine ricordò: sia quella del profumo che quella dell'orologio erano state fatte in bianco e nero. Dannazione! Lo aveva dimenticato.
“Bene! Farò alcune prove e te le porterò domani. Ciao!” tagliò corto il fotografo, allontanandosi fischiettando. “E-ehm... Mister Kant?” lo fermò uno dello staff. “Mi dica!” “Vede... sarebbe opportuno che si rivolgesse a Ryo-san dandogli del lei... sa com'è...” “Sciocchezze! – tagliò corto Arthur – Non si può dare del lei ad un ragazzino!” borbottò, salutando l'uomo con una pacca sulla spalla.
“Si nota che è americano, eh? – commentò Lamia, sorridendo al suo giovane presidente – Ehi? Stai bene?” gli chiese preoccupata dalla sua immobilità. “Vado in ufficio, non voglio seccature.” si limitò a dire Ryo, allontanandosi a passo spedito.
Non gli era mai capitato prima. Essere contraddetto. Davvero, non gli era mai capitato. Adesso doveva decidere se fosse una cosa positiva o no.
Hisashi uscì dal negozio di umore nero. Possibile che, nell'era della globalizzazione, i semi di girasole fossero irreperibili? Aveva girato ben quattro negozi del centro alla ricerca di quegli stramaledetti semi, ma niente da fare. C'era un angolo del giardino troppo spoglio, avrebbe voluto piantarli prima che...
“Ma guarda un po' chi si rivede!” Una voce dolorosamente familiare interruppe le sue elucubrazioni. “P-Papà?!” balbettò il ragazzo, trovandosi faccia a faccia con l'uomo che gli aveva fatto così tanto male. “Non chiamarmi in quel modo! Io e te non abbiamo più nulla a che spartire l'uno con l'altro – sibilò, lanciandogli un'occhiata colma di disgusto – Mi sono arrivate le scartoffie dal tuo avvocato e ho firmato tutto senza esitazioni. Ora sono i tuoi amici depravati a farti da tutori. Però! Un minimo di intelligenza ce l'hai, dopotutto! Almeno ti fai inculare da gente parecchio potente. Addio per sempre, schifoso finocchio!” sputò l'uomo, allontanandosi a passo spedito, non prima di avergli lanciato un altro sguardo carico di disgusto. Mitsui lo vide sparire tra la folla e provò un improvviso senso di nausea.
Gli sembrava di essere tornato indietro di un anno, quando era stato cacciato di casa. L'odio, le parole di scherno, tutto lo schifo che gli era stato tirato addosso da quella che era la sua famiglia. Tutto. Ricordava perfettamente tutto. E faceva un gran male. Ma non si sarebbe mai vergognato o scusato, per essersi innamorato di Akira. Ma, in fondo, Sendoh non c'entrava nulla. Era lui ad essere inadeguato, burbero e scontroso. La vergogna di quella che era stata la sua famiglia.
Sopraffatto dai ricordi e dal dolore causato da quell'incontro inatteso, Hisashi rientrò a casa, passando per il parco.
FINE SETTIMA PARTE |