DISCLAMER: T. Inoue li fa e io li accoppio ^___^

 

RINGRAZIAMENTI: a tutti i fans della nonnina hentai e ai lettori delle mie fic, che ancora non si stancano del livello della mia follia.

Un gigantesco GRAZIE a Seika per la sua  gentilezza e alla bissa per le traduzioni. Se Hana ha potuto dare i suoi soprannomi animali è merito di una Bissa! XD

Ovviamente, un enorme bacio alla mia super-omonima LilyJ!

 

NOTE: Riporto qui sotto un mini albero genealogico della famiglia Rukawa, quelli tra parentesi sono i soprannomi che ha dato loro Hanamichi.^^''

 

Kikyo-san: nonnina-hentai, madre di Kyosuke.

Kyosuke: il capofamiglia, inventore.

Katy: moglie di Kyosuke, pittrice e scultrice.

Akira Sendoh: nato dal precedente matrimonio di Kyosuke (porcospino)

Kaede: primogenito di Kyosuke e Katy (Kitsune=volpe ^^)

Kurumi: gemella di Kazuya, ama solo il denaro (Ookami=lupo)

Kazuya: gemello di Kurumi, è il più sensibile dei fratelli. È cotto di Hikaru (Kojika=cerbiatto)

Kanata: amante della lettura (Nezumi=topo)

Kikyo: l'ultima arrivata in famiglia (koala)

Karen: 'sorella' di Kyosuke

Kei: figlio di Karen, coetaneo di Kaede e Hanamichi (Itachi=donnola)

 

Altri personaggi:

 

Hikaru Sakuragi: sorella minore di Hanamichi.

Aron  Tsume: giocatore dello Shohoku (Hiyoko=pulcino)

Shane Sato: ala piccola/guardia (Kenaga=lunga coda)

Michael Kant: allenatore in seconda di Anzai (Shiro=bianco)          

     

    

          

          

       




 


 

 

Strange Family III

 

capitolo VIII

 

di Gojyina-chan

 



Incredulo, Hanamichi non trovò niente di meglio da fare se non restare impalato davanti alla porta d'ingresso ancora spalancata, continuando a guardare quel viso.

 

“Culetto d'oro, vieni a sederti.” lo invitò la nonnina, indicandogli il divano lì vicino.

 

Vedendolo immobile, Kaede lo prese per mano e si accomodò, seguito dai gemelli e da Hikaru, che fissava stupita quella signora dai vaporosi capelli rossi.

 

“Ehi! Ma tu sei quello che ci seguiva!” esclamò Kazuya, riconoscendo uno dei due ospiti.

 

“Sì... Lui è l'investigatore privato che ho ingaggiato per cercare Hana e Hiki. - rispose la donna – Mi chiamo Hélène  O'Malley Berrault.” esordì impacciata.

“Tsk! L'ultima volta che ti ho visto eri  Hélène Sakuragi.” sputò il rossino con profondo astio.

 

Passato il primo momento di stupore, cominciava a sentire tutto il rancore che provava per quella donna.

 

“Hana-chan, ti prego, ascolta solo quello che ha da dire, vuoi?” gli sorrise Katy, cercando di tranquillizzarlo.

 

“Dopo anni di silenzio, adesso si presenta qui di punto in bianco e dovrei sorbirmi le sue giustificazioni? - sibilò Sakuragi, ringhiando quasi – Non hai una sola attenuante per essere sparita nel nulla in quel modo! Ti sei pure rifatta una famiglia, no?” la accusò, tremando d'ira.

 

Kaede gli passò un braccio intorno alle spalle, accarezzandogli un braccio, con fare protettivo.

Era confuso e perplesso.

Il Do'hao gli aveva detto d'essere orfano.

 

“Io... Va bene, cominciamo dall'inizio! - sospirò Hélène cercando di fare chiarezza –  Dopo il divorzio mi sono trasferita in Francia. Volevo fare lo chef, ma qui in Giappone non ero riuscita a trovare lavoro. A Parigi, invece, la mia carriera è decollata e dopo un paio d'anni, ho conosciuto e sposato in seconde nozze Philippe Berrauly e ho avuto due bambini.”

 

“E certo! Noi non ti andavamo più bene e ci hai sostituiti!” l'accusò il rosso adirato.

“No, mai!” esclamò  Hélène, addolorata.

 

“Stronzate! Non hai mai sopportato di vivere qui! Avere due figli giapponesi t'ha sempre fatto schifo!” proseguì imperterrito il ragazzo.

“Non mi piace il Giappone, è vero. Ma voi siete le persone più importanti della mia vita!” disse lei, con gli occhi lucidi.

 

“E ALLORA PERCHE' CAZZO SEI SPARITA?” tuonò Hanamichi, perdendo definitivamente il controllo.

“NON SAPEVO DOV'ERAVATE!” gridò la madre, per farsi sentire nonostante il tono della voce del rosso.

 

Un silenzio innaturale calò nella stanza.

Sakuragi si limitò a fissarla attonito per diversi, interminabili, secondi.

 

“Cos'hai detto?!” le chiese poi, sconcertato.

 

“Quando ho divorziato da vostro padre, di comune accordo abbiamo deciso di lasciarvi qui con lui. Avevate le vostre vite, gli amici... Non me la sentivo di portarvi in un paese straniero, all'improvviso, senza avere nemmeno uno straccio di lavoro. Una volta trovato ho cominciato a telefonarvi, ma il nostro numero di casa non era più attivo. Allora vi ho scritto regolarmente, ma tutte le lettere mi sono tornate indietro. Non sapendo cosa fare, ho trovato su internet un investigatore privato giapponese e l'ho ingaggiato per farvi cercare!” spiegò la donna, passando lo sguardo dal figlio maggiore a Hikaru, rimasta scioccatamente in silenzio per tutto quel tempo.

 

“Abbiamo traslocato. Molte volte. - precisò la rossina, lasciandosi abbracciare dal suo ragazzo – Per via del lavoro di papà. Ma siamo sempre rimasti a Kanagawa! Come ha fatto a non trovarci in tutti questi anni?!” chiese sconcertata.

 

“Perché  non vi ha mai veramente cercati! - sospirò la madre, passandosi una mano sugli occhi –  Mensilmente gli spedivo un assegno e lui mi telefonava inventandosi progressi e nuove tracce. Quell'uomo mi ha solo spillato soldi e niente di più. Poi, sei mesi fa, mi ha detto che eravate morti tutti e tre in un incidente stradale. Non ci ho voluto credere... non potevo! Dopo aver sospeso ogni altro impegno lavorativo e spiegato la situazione a Philippe e ai bambini, ho preso l'aereo, sono venuta qui di persona e ho ingaggiato il signor Makino.” disse, voltandosi verso l'uomo.

 

“Ho cercato i vostri nomi nei licei di tutti il Giappone e vi ho trovato. Ovviamente, prima di avvertire la signora ho voluto sincerarmi che foste davvero voi. Non volevo darle altre illusioni e sciocche speranze. Mi dispiace averti allarmato.” si giustificò con un sorriso di scuse.

 

Hanamichi rimase in silenzio.

L'unica cosa che riusciva a sentire era il tocco delle carezze della sua volpetta.

Non poteva credere a quello che era successo.

Aveva passato quasi tutta la vita a odiarla e adesso...

 

“Io... vorrei darvi il tempo di parlare tra di voi. Ho lasciato alla signora Rukawa l'indirizzo dell'albergo in cui alloggio. - mormorò  Hélène, comprendendo il bisogno dei figli di assimilare tutte quelle notizie. Sulla porta, si voltò un istante, guardandoli con infinito amore -  Siete cresciuti davvero tanto. Sono felice di... avervi rivisto.” sussurrò con voce tremante, prima di scappare via in lacrime seguita dall'investigatore.

 

Hanamichi restò immobile a fissare un punto imprecisato del pavimento, senza dare segni di ripresa.

“Ehi?” lo chiamò Kaede, preoccupato.

“Non adesso, Kitsune.” sbottò il rossino sconvolto, alzandosi all'improvviso e uscendo di casa.

 

 

 

Kei era rimasto in palestra per l'allenamento supplementare.

Di quel passo avrebbe battuto persino Kaede.

 

Si divertiva e non pensava a nient'altro e questo, per ora, andava più che bene.

Anzai era una compagnia piacevole.

Sorrideva bonario, era gentile e paziente.

 

Di solito era contento di stare lì anche quando i compagni di squadra erano andati via.

Di solito riusciva a concentrarsi abbastanza da ricordare quello che aveva imparato all'allenamento normale.

Di solito era attento e scrupoloso nel fintare e andare a canestro.

Di solito.

 

Perché, in quel momento, gli stramaledetti occhi di Michael Kant lo stavano studiando con fastidiosissima attenzione.

 

Era l'anniversario di matrimonio di Anzai e il mister era andato via un'ora prima, gli occhi illuminati da un ingenuo entusiasmo, mentre si  scusava con la squadra.

Doveva essere bello.

Sposato da mezzo secolo, amava la moglie come il primo giorno.

 

“Rukawa, aspetta un attimo! - esclamò Michael parandosi davanti a lui – Ti serve per forza un avversario per imparare queste finte.” gli spiegò, facendogli segno di andare in attacco.

 

Giocarono a lungo, senza litigare o deconcentrarsi.

Fatto più unico che raro.

Ma probabilmente entrambi percepivano l'avvento del campionato nazionale quasi fosse un essere fisico.

 

Attacco, finta, salto, canestro.

Attacco, finta, consiglio, salto, canestro

Attacco, finta, salto, canestro.

Consiglio, attacco, finta, salto, canestro.

 

Quasi meccanicamente, barricati ognuno nel proprio silenzio, sembrarono aver trovato un modo di convivere senza litigare.

Ignorarsi reciprocamente.

 

Ancora un attacco, ancora una finta, ancora un salto, ancora Michael che cercava di fermarlo e...

 

Caddero sul lucido parquet, senza riuscire a capire cosa fosse andato storto.

 

L'uno sull'altro, avvinghiati quasi, ansanti, sudati... stupiti.

Avevano ripetuto le stesse mosse per tre volte, permettendo così a Kei di memorizzarle ed era sempre andato tutto liscio.

 

Cercarono di rialzarsi e si trovarono con i visi a pochi centimetri, l'uno affondando lo sguardo in quello dell'altro...

... E si sentirono persi.

Profondamente uniti e attratti, ma proprio per questo persi e dannati.

 

Lo sentivano serpeggiare dal bassoventre, farsi strada nello stomaco e poi salire ancora, imbottendo il cuore di adrenalina.

 

Occhi lucidi, gote arrossate, respiro ansante...

... E l'assoluta certezza di non poter fermare tutto quello.

 

L'ineluttabilità della situazione, permise però a Michael di ricordare il posto in cui si trovavano e da lì alla differenza d'età e a tutte le altre validissime motivazioni che lo costringevano a star lontano da quel ragazzo, fu un passo molto breve.

 

“Io ora... dovrei...” ansimò Kei, soffocato dal bisogno di mettere più spazio possibile tra loro.

“Anch'io sì... devo...” mugugnò Kant alzandosi velocemente, correndo, quasi, verso la panchina.

 

Rukawa andò negli spogliatoi e si cambiò in un lampo, desideroso di fare la doccia a casa sua.

Dieci minuti dopo era già per strada, ma il cuore non voleva proprio saperne di calmarsi.

 

Non doveva.

Non era giusto nei confronti di Kim.

Non poteva rincorrere la felicità o pensare al proprio futuro.

Non senza di lui.

 

 

 

Kaede salì le scale dell'appartamento ed entrò in casa quasi in punta di piedi.

Erano le nove passate e il Do'hao non si era ancora fatto vedere.

Aveva rimandato il più possibile, per non disturbarlo, ma la preoccupazione per lui era diventata insostenibile.

 

Lo trovò rannicchiato sul loro letto, con gli occhi fissi sulla finestra.

Si stese accanto a lui, abbracciandolo da dietro e lo sentì teso come una corda di violino.

Gli accarezzò piano i capelli, posando una guancia sulla sua.

 

Dopo mezz'ora lo sentì sospirare profondamente e voltarsi verso di lui, puntandogli addosso uno sguardo insolitamente vitreo.

 

“E adesso che faccio?” si chiese angosciato.

“Non lo so.” ammise la volpe, massaggiandogli la schiena.

 

“Ho passato tutta la vita a odiarla. Credevo ci avesse abbandonato, che se ne fregasse di noi e... della morte di papà. Invece ha passato tutto questo tempo a cercarci!” mormorò, profondamente scosso.

 

“Mi ha fatto molta pena.” mugugnò Kaede, distogliendo lo sguardo dal viso del suo ragazzo.

“Anche a me! - gli confidò Hanamichi, distrutto – Ma come posso dimenticare tutto il mio odio? Kami! L'ho disprezzata così tanto! Attingevo dal rancore che ho per lei la forza di cui avevo bisogno nei momenti difficili. Adesso... non mi rimane più niente.” constatò avvilito.

DO'HAO! Hai me, tua sorella, gli amici, la squadra e la mia famiglia!” lo rimproverò, accigliandosi contrariato.

 

“Hai ragione, scusami. È che... non so bene come dire... È come se il mio mondo fosse andato in pezzi!” sospirò Sakuragi, cercando un po' di calore tra le sue braccia.

 

Kaede gli rimboccò le coperte, creando un bozzolo solo per loro, fatto d'amore e di silenziosa comprensione.

 

Purtroppo non sapeva davvero che cosa fare o dire, senza sembrare falso o banale.

Poteva solo stargli vicino e sostenerlo.

Era davvero frustrante.

 

 

 

Dopo una notte in bianco, Hikaru decise di impiegare il tempo in modo più fruttuoso e scese al piano inferiore a preparare la colazione.

Non vedeva suo fratello dal pomeriggio precedente e si augurò che Kaede si stesse prendendo cura di lui.

 

Non sapeva bene cosa pensare di tutta quella situazione.

Non ricordava affatto sua madre, era molto piccola quando i suoi avevano divorziato.

Non poteva dire che le fosse mancata come persona, ma forse aveva sentito più di una volta la mancanza di una figura materna, quello indubbiamente sì.

 

Ma per Hanamichi era diverso.

Lui se la ricordava bene e il dolore par la sua scomparsa era stato enorme.

 

“Ciao Hiki-cara! Già sveglia a quest'ora?” la salutò Katy, entrando in cucina con la piccola Kikyo tra le braccia.

“Le manca Hana. - le spiegò per giustificare il pessimo umore della bambina – Ma non lo posso certo disturbare in questo momento!”

 

“Mi dispiace per tutto questo trambusto!” mormorò la rossina, dando un biscottino alla piccola, che perse una parte del suo broncio.

 

“Tu come stai?” le chiese la pittrice, guardandola con tenerezza.

“Confusa e attonita, credo. Non so... Io quella donna non l'ho quasi mai vista!”

 

“Non mi va di esprimere un giudizio sulla faccenda, ma una cosa la so di sicuro. - mormorò Katy, parlando con serietà – Se mi avessero allontanato dai miei figli, o  mi avessero detto che uno di loro era morto, non so davvero come avrei reagito! Deve essere stato terribile per lei!”

 

“Non lo metto in dubbio è solo che... Non so come dire... Non c'è spazio per lei nella nostra vita. Noi stiamo benissimo così!” esclamò la ragazza, riscaldando le brioche nel forno.

 

“È tua madre. Troverai di certo un posto per lei, ammesso che tu lo voglia!” precisò sorridendole.

“Io forse... ma Hana...” sussurrò preoccupata.

 

“Culetto d'oro è forte. Supererà anche questa!” sentenziò la nonnina, entrando nella stanza alla ricerca di zuccheri.

 

“Forse sì. Lo spero davvero... Ha così tanta rabbia dentro e se la porta dietro da tanto di quel tempo...” sospirò Hikaru, scuotendo il capo.

 

“Volevo darti l'indirizzo dell'albergo che mi ha dato tua madre. C'è anche il numero di telefono... Se vuoi...” disse la pittrice, incerta, passandole il pezzo di carta inchiostrato.

 

Hikaru se lo rigirò tra le mani, per poi infilarselo in tasca udendo i passi dei gemelli che venivano a fare colazione.

 

“Tu a lui siete due persone distinte. Le sue scelte non possono influire anche sulla tua vita.”

 

Fu quello l'unico consiglio che le diede Kikyo-san, prima di affondare il cucchiaio nel suo budino alla vaniglia.

 

La rossina ci pensò seriamente e prese la sua decisione.

 

 

 

Il giorno seguente, Michael andò a parlare con Anzai.

 

Quanto accaduto con Kei, oltre a non avergli fatto chiudere occhio per tutta la notte a aver quasi distrutto la propria autostima, lo aveva portato a un'importante e difficile decisione.

 

Intuendo la serietà del momento, il mister lo fece accomodare nel proprio ufficio, per potergli dedicare tutta la sua attenzione senza essere disturbati da nessuno.

 

“Anzai-san, la ringrazio tantissimo per l'opportunità che mi ha dato chiedendomi di lavorare qui, con lei. Averla come maestro è stato un onore, ma non posso più continuare!” annunciò Michael, posando sul tavolo la sua lettera di dimissioni.

 

Il mister rimase a lungo in silenzio, preparando un the per entrambi.

Dopo avergli passato una tazza fumante, si accomodò sulla propria poltrona e lo guardò dritto negli occhi.

 

“È per via di Kei?” chiese tranquillamente.

“Già!” sospirò affranto il più giovane.

 

“Lo ami?”

“Già!” ripeté Kant, arrossendo furiosamente

 

“Capisco.”

 

“Non so come sia potuto accadere. Ho fatto di tutto per non alimentare questi insani sentimenti ma... non ci sono riuscito. - ammise, disgustato da se stesso – Andarmene è l'unica soluzione possibile!”

 

“Michael, se scomparirai dalla vita di quel ragazzo, non vedrà il nuovo anno.” dichiarò Ryu, con tono terribilmente serio.

 

“Che cosa...?! Ma...?” balbettò il giovane, spaventato da una tale evenienza.

 

“La situazione è delicata, non lo metto in dubbio. Ma ti chiedo questo: è più importante un regola dettata dai costumi di un paese o una vita umana?”

“Mi conosce bene e sa già la risposta. Mi rendo conto che non stiamo parlando di un bambino, ma di un ragazzo che in America e in Europa sarebbe considerato maggiorenne, tuttavia...”

 

“So perfettamente che sarebbe uno scandalo, ma Kei sta morendo dentro e ogni giorno che passa si spegne sempre di più. Aiutalo. Se poi il destino vi dovesse unire anche nella vita privata, allora e solo allora, io accetterò le tue dimissioni.” annunciò Anzai, riconsegnandogli la lettera con un sorriso incoraggiante.

 

“Mister, io...”

“Lo so, è difficile. Ma sono una persona romantica, spero sempre che l'amore possa vincere su tutto! - rise allegramente l'uomo – Ma ricorda che da solo non basta. Ci vogliono coraggio e determinazione!”

 

Anzai lo vide combattuto.

Diviso tra la voglia di aiutare Kei e la paura di commettere qualche atto sconsiderato.

 

L'allenatore comprese che il suo vice aveva bisogno di rassicurazioni che poteva dargli una sola persona.

 

“Andiamo adesso, l'allenamento sta per cominciare!” gli sorrise, tornando in campo con la solita serenità.

 

 

 

Kei si allenò con il resto della squadra, provando finte e marcature strette, senza tuttavia giocare bene come nei giorni precedenti.

 

Era distratto, nervoso, deconcentrato tanto da commettere di nuovo sciocchi falli e tiri sbilenchi.

 

Nonostante quelli da tre fossero la sua specialità, non riuscì a segnarne neppure uno.

 

All'ennesimo passaggio sbagliato, Anzai lo richiamò a sé, sorridendogli comprensivo.

 

“Prenditi mezz'ora di pausa. Negli ultimi tempi ti sei allenato duramente, ogni tanto fa bene staccare un po'!” consigliò, trasmettendogli fiducia e serenità.

 

Kei annuì grato e si rifugiò negli spogliatoi.

 

Una volta chiusa la porta alle sue spalle, la guardia dai lunghi capelli scuri si afflosciò sulla panchina, puntando lo sguardo sul soffitto.

 

Era diventato così sensibile alla presenza di Michael da non riuscire a pensare a nient'altro che non fosse lui.

Quell'assurda attrazione gli scaldava il cuore e leniva le ferite della sua anima con troppa intensità, per essere solo un banale impulso fisico.

 

Aveva paura.

 

Non voleva provare quei sentimenti anzi, a dirla tutta non voleva provare proprio niente.

 

Tornare a vivere senza di... lui.

Come avrebbe potuto?!

 

Erano nati insieme e inconsciamente, aveva sempre creduto che sarebbero anche morti nello stesso momento, invece...

 

Scosse il capo, tentando di scacciare quei ricordi dolorosi.

Rannicchiandosi sulla panchina, continuò a fissare un punto imprecisato della stanza con gli occhi tristemente spenti.

 

 

 

Karen sorrise al suo bel preside.

Gli piaceva tanto quell'uomo così timido e cortese.

 

Voleva essere sincera con lui, ma non aveva mai trovato il momento adatto per confessargli il suo piccolo difettuccio.

Con la preoccupazione per Kei, poi, il suo intento era ulteriormente slittato.

 

“Tuo figlio è migliorato tantissimo. -  esclamò Toshi, mentre il ragazzo si allontanava verso gli spogliatoi – Si sta allenando parecchio in vista del campionato nazionale. Sarai fiera di lui, immagino!”

“Molto. Sì, davvero tanto!” sorrise la donna, arrossendo imbarazzata.

 

Stava diventando più comunicativo e questo era un bene.

La presenza di Michael stava dando i suoi frutti, per fortuna.

 

“Karen, perdonami, ti dovrei parlare...” le disse Anzai dalla panchina, facendole segno di scendere.

Fu il suo sguardo serio e deciso che le mise le ali ai piedi.

Scusandosi con Ikeda, corse dal suo vecchio amico, preoccupata.

 

 

 

Karen, dopo il breve colloquio con Ryu, attese il momento più opportuno per trascinare via Kant.

Appena il mister concesse una pausa di dieci minuti ai ragazzi, afferrò il suo vice per un braccio, allontanandosi vicino alle fontanelle accanto alla palestra.

 

“Mi avevi fatto una promessa!” sibilò accigliata.

“Non posso mantenerla!” rispose Michael con il medesimo tono astioso.

 

“Perché?”

“Mi sono innamorato di tuo figlio!”

 

“Bene! Avere un genero per socio non ha mai ucciso nessuno! - borbottò la donna, fulminandolo con lo sguardo – Non accampare scuse! Amarlo ti potrà solo facilitare le cose!”

 

“Karen, ho sedici anni più di lui! Sono anormale!” gemette lui, coprendosi il volto con entrambe le mani.

“Michael, stai parlando a un uomo con le tette. - gli ricordò la biondona, sollevando un sopracciglio – La vita e il futuro di mio figlio sono più importanti di qualsiasi altra cosa. Te lo chiedo di nuovo, puoi fare qualcosa per lui? Io credo che... davvero tu sia l'unico che riesca ad avvicinarsi a lui. Nemmeno con i cugini parla molto e... fin da piccolo aveva sempre avuto un rapporto speciale con Akira. - mormorò lei, sospirando dispiaciuta – Ascolta i suoi consigli, ma non si apre neanche con lui. Michael...”

 

“È difficile per me!Avrei dovuto aiutarlo, invece mi sto comportando come un adolescente in amore! Sono mostruoso!” continuò Kant, adirato con se stesso.

 

“Michael, dannazione! Capisco i tuoi dubbi e... Ok! - sbottò la Karen, folgorata da un'idea geniale – Ti do ufficialmente il permesso di corteggiare mio figlio!”

 

“Karen, non scherzare!” la pregò lui, stanco e depresso.

“Non ci siamo capiti. Ti sto alleggerendo la coscienza. Sappi che se mai dovesse capitare qualcosa tra di voi, avrete la mia benedizione. Capisco anche che dovrai lasciare il lavoro e nessuno si opporrà a questa scelta né io, né Anzai. Adesso la situazione è completamente cambiata, non si tratta più di mio figlio o di un tuo giocatore. La domanda che ti pongo è un'altra: cosa sei disposto a fare per salvare la persona che ami?”

 

“Qualunque cosa!” dichiarò Michael, forte di una nuova energia.

 

Abbracciò Karen, grato per il suo aiuto e tornò in campo, giusto in tempo per vedere Kei riprendere gli allenamenti insieme al gruppo.

 

Avrebbe usato i suoi sentimenti come fonte di inesauribile forza, evitando di mostrarli apertamente.

Aveva una promessa da mantenere e il suo grande amore da salvare.

 

 

 

Hanamichi aveva passato tutta la mattina tra la braccia della sua volpe.

Non lo aveva lasciato nemmeno per andare agli allenamenti e lui gli era davvero grato per la sua presenza al suo fianco.

 

Non sapeva cosa fare.

 

“Non mi hai mai detto che era ancora viva.” si sentì dire da Kaede, che lo stava guardando sorridendogli con gli occhi.

 

“La consideravo morta, dopo quello che aveva... che credevo avesse fatto. - si corresse a fatica – Non ho più pensato a lei... come se non fosse mai esistita.”

 

“Non credo sia vero.” gli disse la volpe, incominciando ad accarezzargli i capelli.

“Hn?!” chiese il ragazzo, usando per una volta il suo monosillabo preferito.

 

“Ti piace cucinare e quando lo fai hai un'espressione così serena... sono quasi geloso.” borbottò, riuscendo finalmente a farlo sorridere.

 

“Mmm... Mio padre lavorava tantissimo e dovevo pensare io alla cena e... No, forse non è del tutto vero. - ammise confuso, cercando di ricordare un tempo ormai lontano -  È stata lei a insegnarmelo.”

 

“Non posso sapere cos'hai provato in passato o cosa stai provando adesso... È difficile mettermi nei panni di un Do'hao...” borbottò la volpe.

“EHI!”

 

“...Ma secondo me, ti è mancata più di quanto credi.” concluse serio, guardandolo negli occhi.

“Ho compensato la sua assenza cucinando?”

 

“Forse. - ipotizzò il corvino – Se io scomparissi nel nulla, cosa faresti?” gli chiese all'improvviso.

“Che domande fai, Baka!? Ti cercherei anche in capo al mondo, è ovvio!” sbottò il rosso, accigliandosi.

 

“E se ti dicessero che sono morto?” continuò la volpe, imperterrita.

“Non ci crederei assolutamente! Non prima di... averlo appurato... di persona...” mormorò, intuendo dove volesse andare a parare.

 

“Esattamente ciò che ha fatto lei. Deve aver vissuto un vero inferno, non sapendo che fine avessero fatto i suoi figli.” gli fece notare, baciandogli delicatamente la fronte.

 

Se la Baka Kitsune fosse sparita dalla sua vita, Hanamichi sarebbe di sicuro impazzito o morto di dolore.

Sua madre doveva aver sofferto all'inverosimile, non riuscendo ad avere loro notizie.

 

“Ti amo.” sorrise il rossino, con un sorriso che era zucchero allo stato puro.

“Ovvio, sono un genio!” borbottò la volpe arrogante, guardandolo di sottecchi.

 

“EHI! Non rubarmi le battute!” sbottò Hanamichi, alquanto contrariato.

“Prima hai usato il mio Hn.” gli fece notare l'altro, sfidandolo a smentirlo.

 

“Sì, va bene, ma è stato solo per.... OOOHH! - sbuffò indispettito Sakuragi  – Ma che importa! Zitto e baciami!” gli ordinò sensualmente, desiderando ringraziarlo per il suo prezioso aiuto.

 

 

 

Karen tornò accanto a Toshi, salutandolo con la mano.

 

“Tutto bene?” le chiese con la sua solita discrezione.

“Non ne sono ancora...”

 

“MUOVI QUELLE CHIAPPE E SALTA!” tuonò Michael, da bordo campo, dando il via all'ennesimo scontro verbale tra lui e la guardia.

“STO SALTANDO, VAI DALL'OCULISTA!” ringhiò il ragazzo, con gli occhi illuminati di vita.

 

“Va tutto benissimo! - trillò la donna, prendendolo sottobraccio – Dovrei dirti una cosa.” mormorò incerta.

 

“Sono qui!” le sorrise l'uomo.

“Io... ecco, non sono nata esattamente con questo aspetto...” esordì, arrossendo vistosamente.

 

“Non sei bionda naturale, vero?” tirò a indovinare il preside.

“No, ero moro, alla nascita... Io... Uffa! Non so come dirtelo, quindi, lo faccio e basta! Io ho il cosetto!” affermò lei, abbassando il tono della voce.

 

“Il cosetto quale?” chiese lui, confuso.

“Quello...”

“Quello quale?!”

 

“Quello... che hai anche tu!” sibilò la bionda, paonazza.

“Oh, Kami!” sobbalzò il preside, sconvolto.

 

“Non possiamo! - sentenziò affranta, dopo un lungo e imbarazzato, silenzio – Ho il coso, non è il caso!”

“Se non ti spiace, questo lo dovrei decidere io! - sbottò Toshi, stranamente grintoso – Si da il caso...”

 

“Sì, caro?” pigolò Karen, affascinata dal suo sguardo determinato.

“...Che ho un lato femminile abbastanza spiccato! Saremmo perfetti insieme!” affermò con un certo orgoglio.

 

“Dici?”

“Dico!”

 

Karen lo abbracciò di slancio, con gli occhi pieni di lacrime.

Ikeda era un uomo abbastanza strano da poter sopravvivere alla sua famiglia e che le voleva bene a prescindere dai dati anagrafici.

 

Dopo tanti e tanti anni, si sentiva nuovamente felice.

 

 

 

Il ragazzo dai lunghi capelli scuri, dopo l'ennesima discussione con Michael, incominciò a ideare un paio di modi per levarselo dai piedi in modo molto, molto doloroso.

 

All'improvviso il secondo allenatore sembrava essere diventato più stronzo e pedante di prima.

Era proprio vero che al peggio non c'era mai fine.

 

Udendo l'argentina risata di sua madre, si voltò verso di lei, piuttosto stupito.

 

Erano anni che non sentiva quel suono così allegro.

Certo, l'aveva sentita ridere a qualche follia della nonna o delle invenzioni assurde di Kyosuke, ma mai con quella nota di pura felicità, almeno da quando...

 

Kei la vide in compagnia del preside e... il mondo che si stava faticosamente ricostruendo, andò definitivamente in pezzi.

 

Sembrava essere riuscita a tornare alla vita, nonostante il suo tragico passato.

Perché solo lui non ne era capace?

 

Sprofondando in una cupa depressione, proseguì l'allenamento come un automa, smettendo persino di raccogliere le provocazioni di Kant, fatto più unico che raro.

 

La cosa non sfuggì a Michael, che prese a studiarlo con grande attenzione.

 

 

 

Hanamichi si crogiolò nell'abbraccio di Kaede, rimanendo in sospettoso silenzio.

 

“A cosa pensi?” chiese la volpe curiosa con grande tenerezza.

“Stiamo perdendo un sacco di allenamenti. - sospirò dispiaciuto – Almeno tu, potevi...”

 

“Do'hao! Ne avremo persi due o tre e poi, come potevo lasciarti da solo?!” sbottò Rukawa, estremamente contrariato.

 

“Sì, ma...”

“Forse hai voglia di uno...one on one, Do'hao?” domandò la sensualissima volpe, sorridendogli sorniona.

“Mmm... adesso che me lo fai notare...” rise Sakuragi, lasciandosi baciare.

 

Bastò il semplice sfregamento dei loro corpi ad accendere la miccia.

 

Kaede si avventò sulle labbra carnose del rossino, iniziando a duellare con la sua lingua.

 

Nel frattempo, Hanamichi avvicinò i loro bacini, lasciando che i loro sessi si accarezzassero, nonostante la prigionia delle stoffe dei boxer che torturavano piacevolmente entrambi.

 

Rukawa, pur continuando a leccargli le labbra, sfilò quei due ingombranti indumenti, amplificando le sensazioni dovute a quell'intimo contatto.

 

“Ru... ti voglio... sentire...” riuscì ad articolare a malapena il rosso, sorridendo al tocco delle lunghe dita di Kaede che gli sfioravano i glutei sodi.

 

Ancora pochi attimi di dolorosa attesa e poi sentì... Eddy, percorrere il sentiero da lui stesso creato all'interno del suo intestino fremente.

 

Spinte, gemiti, baci e sudore.

 

Poi la tensione divenne insostenibile e deflagrò nella luce accecante dell'orgasmo.

 

Passarono il resto del pomeriggio avvinghiati l'uno all'altro, nella loro tana fatta di lenzuola, cuscini, baci a fior di labbra e carezze leggere.

 

Quando la sera si affacciò timidamente sulla prefettura di Kanagawa, Hanamichi parlò.

 

“Domani vorrei...”

“Hn.” annuì la volpe, con il viso premuto sul suo caldo petto ambrato.

 

“È pur sempre mia madre, no?” gli sorrise, accarezzandogli qualche ciocca d'ebano.

“Hn.”

 

“Grazie, Kitsune!” sospirò, baciandolo con sincero affetto.

“Hn. I Do'hao vanno guidati nella giusta direzione!” sbottò saccente, con gli occhi azzurri che gli sorridevano rassicuranti.

 

“Baka, oggi il Tensai è magnanimo... Ma domani...” borbottò, lasciando la minaccia in sospeso.

“Chiamerai tua madre e comincerete a frequentarvi!” tagliò corto la volpe assonnata, usandolo come cuscino.

 

Ancora un paio di baci leggeri e i due si assopirono sereni e rilassati.

 

 

 

Nelle settimane seguenti, i due Sakuragi iniziarono a frequentare Hélène.

 

In principio, si davano appuntamento nell'atrio dell'albergo dove alloggiava, parlando della loro vita   e di qualche argomento un po' più frivolo.

Col passare dei giorni, invece, andarono insieme in giro per il centro, come tanti anni prima.

Parlarono dei propri gusti personali in fatto di abiti, di film, di ragazzi.

 

A Hélène non importava affatto che Hanamichi fosse omosessuale.

Lo aveva visto accanto al giovane Rukawa, il modo in cui quei due si guardavano grondava amore e lei non poteva che essere felice per lui.

Anche il ragazzo di Hikaru era davvero molto gentile, carino e per bene.

 

Mentre i due rossini ritrovavano una madre, Kei ebbe la sensazione di aver perso la sua.

Ovviamente era felice per lei, la relazione con Ikeda la faceva brillare di luce propria... ma si sentiva lasciato indietro, incapace di trovare un appiglio nel baratro in cui era sprofondato anni prima.

 

Chiuso in se stesso, non riusciva a trovare una via di salvezza.

 

 

 

Hélène era seduta in un bar in compagnia dei figli.

Stava mostrando loro le foto dei suoi bambini e stavano ridendo delle somiglianze sia fisiche che psicologiche che avevano i quattro rossini.

 

“Hanako ha quattro anni. È una furia scatenata! - sorrise lei, guardando Hanamichi – Ha la stessa fissa per le tende che avevi tu! Ci si aggrappa e tenta di strapparle!”

 

“È una bimba molto carina. - sorrise Hikaru, osservando quel visino sorridente – Ha gli occhi grandi e scuri e i capelli rossi come i nostri!”

 

“Hiroki invece è più calmo e riflessivo rispetto alla sorella. Ha quasi tre anni, ma già riesco a vedere le somiglianze che ci sono tra te e lui!” sorrise Hélène, per poi sospirare dispiaciuta.

 

“Qualcosa non va?” le chiese Sakuragi, guardandola serio.

 

La donna si passò una mano sugli occhi e poi tornò a posare lo sguardo su di loro.

 

“Sono tanto felice di avervi rivisto e di poter parlare con voi... Siete cresciuti tanto e siete diventate due persone forti e generose, con tanti amici e due ragazzi meravigliosi...”

 

“Ma?” chiese la rossina, accigliandosi.

“Sono qui da mesi... I bambini sono piccoli e...”

 

“Devi tornare in Francia?” azzardò Hanamichi, facendo centro.

“Sì. - ammise la donna, affranta – Non so come fare... Vorrei tanto che li conosceste. So che qui c'è la vostra vita, ma... Provo a chiedervelo lo stesso! - disse lei, guardandoli con assoluta serietà – Vi andrebbe di venire in Francia con me?”

 

I due fratelli si guardarono a lungo negli occhi, troppo stupiti e confusi per poter proferire parola.

 

 

 

Alla fine di un altro, banale, allenamento supplementare, Kei uscì dagli spogliatoi con il borsone su una spalla.

Ripeteva gli stessi gesti e i medesimi movimenti come un automa.

Le stesse frasi sciocche con i suoi pochi amici, ai quali si era inaspettatamente aggiunto anche Aron,  ascoltava le solite lezioni in classe e in famiglia c'era sempre il normale tasso di follia che la faceva da padrone.

 

Era così stanco...

 

“Sta piovendo, dovresti metterti il giubbotto o ti ammalerai!” gli fece notare Michael, ancora in palestra a scribacchiare sul registro.

 

Kei mugugnò qualcosa di incomprensibile e posò  il borsone per terra.

Sfilandosi la giacca che aveva solo allacciato in vita, gli cadde da una delle tasche una bustina trasparente.

 

Mentre indossava il giubbotto, ignaro dell'accaduto, Michael raccolse l'oggetto da terra.

Dopo averne annusato il contenuto, afferrò il giocatore per un braccio, costringendolo a voltarsi verso di lui.

 

“Che cazzo ci fai con questa merda?” sibilò, furioso.

“Non sono affari tuoi! Ridammela!”ringhiò il ragazzo, tentando di recuperare l'erba.

 

“Tutto quello che fate è affar mio! Cazzo! Ti devi sempre fare del male eh?” sbottò Kant ironico, strattonandolo ancora un po'.

 

Riuscendo a liberarsi dalla sua presa, incapace di trovare una risposta adeguata, Kei cercò di battere in decorosa ritirata.

 

“Se ti potesse vedere, Kim non sarebbe fiero di te.”

 

Quel nome paralizzò il giovane dai lunghi capelli scuri, accendendolo di una rabbia cieca.

 

“Non lo devi nominare.” sibilò, tremando di collera.

“È ora di finirla, Kei. Adesso, stasera stessa. - sentenziò Michael, segretamente contento di vederlo reagire dopo giorni di totale apatia – Kim è morto, non tu!”

 

“Stai zitto!” esclamò la guardia, strizzando gli occhi con forza.

“Mi dispiace per quello che gli è successo, ma te ne devi fare una ragione!” continuò impietosamente l'allenatore in seconda.

 

“TACI!” urlò Rukawa, coprendosi le orecchie con le mani, in un gesto tanto infantile quanto disperato.

 

“Torna tra noi!” lo pregò, quasi, l'uomo dai capelli biondi.

DEVI TACERE!” tuonò Kei, perdendo definitivamente il controllo di se stesso.

 

Si avventò sul suo nemico, desideroso di colpirlo con tutta la forza che aveva in corpo.

 

Michael lo lasciò sfogare per qualche istante, poi lo afferrò per le braccia, bloccandogliele dietro la schiena.

 

Tornando a guardarlo in viso, capì che non avrebbe mai dimenticato quegli occhi arrossati, furiosi e frustrati, che avevano iniziato a lacrimare in disperato silenzio.

 

“Ti odio, ti odio, ti odio!” cantilenava Kei, poggiando la fronte sul suo ampio petto.

 

Lasciandosi cadere sul lucido parquet, Michael lo abbracciò con forza, trasmettendogli tutto il proprio affetto e il proprio sostegno.

 

Incapace di sostenere ancora quel peso che aveva nell'anima, Kei si nascose in lui, tremando come una foglia.

 

“È colpa mia. - mormorò affranto – Ero il suo gemello! Come ho fatto a non capire che stava male? Come ho potuto lasciarlo morire così!”

 

“Non potevi leggergli nella mente. - sussurrò Kant, massaggiandogli la schiena per calmarlo – Si è chiuso in se stesso e non ti ha permesso di aiutarlo. È stata una sua scelta, non tua!”

 

“Non so... nemmeno perché... s'è ammazzato e non so il perché!” ripeté il ragazzo, stringendo forte i pugni.

 

“Kei, lui ha scelto la propria strada. Adesso devi seguire la tua!”

“MAI!” sentenziò il più giovane, alzando di scatto la testa per guardarlo con rabbia.

 

“Puoi recitare la sua parte, ma non ti puoi sostituire a tuo fratello. Non sei come lui. Tu hai avuto la forza di sopportare anni di dolore, lui no. Non sarai mai debole come Kim, per questo non potrai mai sostituirti a lui!” sentenziò con sincera fermezza, tanto che Rukawa si ritrovò a credergli, senza che nessun dubbio gli sfiorasse la mente.

 

“Sono più... forte?” chiese in un soffio.

 

“Kim è sempre stato quello più impetuoso tra voi, ma l'aria da spaccone che aveva era solo una facciata. Era fragile, Kei. Tanto. Al posto tuo, non avrebbe retto nemmeno un quarto di quello che hai sopportato, a causa sua. Mi devi credere, perché è la verità!” esclamò Michael, scostandogli dal viso una ciocca scura.

 

Quante volte aveva desiderato sentirselo dire?

Che il suo desiderio di tornare alla vita non era egoismo, ma spirito di sopravvivenza.

Ma era sempre stato frenato dall'affetto che provava per il suo gemello.

Si era aggrappato al suo ricordo nel tentativo di non dimenticarlo mai, di punirsi per non averlo saputo salvare, di realizzare i desideri di Kim facendolo, in questo modo tornare, in vita ma uccidendo se stesso.

 

Ma la nuda e cruda verità era che suo fratello non sarebbe mai più tornato.

La sola cosa che sentiva come reali erano le forti braccia di Michael, che lo proteggevano, sorreggendo il suo corpo e il senso di colpa, alleviando la sua pena.

 

Incredulo ed emotivamente svuotato, Kei si lasciò abbracciare per ore, per poi farsi riportare a casa senza opporre nessuna resistenza.

 

Percepiva l'arrivo di un grande cambiamento.

Una svolta importante, che avrebbe mutato per sempre il corso della propria esistenza...

... E ne ebbe paura.

 

 

- FINE OTTAVA PARTE -