DISCLAMER: I personaggi sono di T. Inoue. Alcuni, invece, li ho inventati io, ma non temete: la differenza, balza immediatamente agli occhi! -////-'

 

 

 

 

 

 


Strange Family

Parte X

di Gojyina-chan

 

 

Hanamichi socchiuse gli occhi, infastidito da un raggio di quel sole di tardo pomeriggio che filtrava dalle tende socchiuse.

Il letto sul quale dormiva da mesi gli sembrava insolitamente grande e... caldo.

Spostando appena la testa udì il battito del cuore del suo materasso e il delicato respiro del suo cuscino.

 

Ok.

Era impazzito definitivamente.

 

Ora che lo notava, al letto erano anche spuntate un paio di braccia... una bocca rosata... capelli neri...?!

 

“Ru...kawa...”

 

A metà tra un sospiro e una esclamazione, Sakuragi rimase a lungo immobile, guardando il viso della persona con la quale condivideva la camera.

 

Che cavolo ci faceva la volpe lì?!

 

Pensa Hana, pensa!

 

Il tepore e il profumo del suo corpo gli erano insolitamente familiari...

Mani che lo accarezzavano delicatamente, coperte rimboccate, bevande per dissetarsi...

I due letti su cui dormivano i  fratelli Sakuragi erano stati uniti in un giaciglio unico...

 

Rukawa ad accudirlo.

 

Quando era stata l'ultima volta che qualcuno si era preso cura di lui?

 

Hanamichi tentò di ricordare e fu sommerso da immagini lontane, credute dimenticate.

 

Sua madre che cucinava, canticchiando assurde filastrocche per divertire la piccola Hikaru, lui che dalla porta osservava, geloso, tutte quelle attenzioni rivolte alla sorellina... Le risse alle elementari, le litigate dei genitori a causa sua... La mamma che se ne andava via... Il babbo che lavorava fino a tardi... Le sue innumerevoli promozioni e i traslochi in appartamenti sempre più grandi, fino ad arrivare alla villetta, dove trovò la morte... stroncato da un infarto e dall'inettitudine di quel figlio maggiore che fu la causa dell'infelicità e della distruzione della sua stessa famiglia.

 

Hanamichi strinse gli occhi, ricordando il momento in cui ritornò a casa, sanguinante e addolorato, sostenuto da Yohei e dalla signora Mito che lo avevano trovato in un vicolo a pochi passi dal loro negozio...

La porta era rimasta aperta, così come lui l'aveva lasciata poche ore prima.

Per terra, accanto al cadavere del suo papà... c'era Hiki.

Il tredicenne rossino aveva dimenticato che la sorella era a casa da giorni a causa di un brutto raffreddore...

Era rimasta per ore accanto al corpo senza vita dell'adorato genitore.

A causa dello shock, da quel momento, la bambina smise di parlare. 

 

Era tutta colpa sua.

Era un essere indegno di stare al mondo.

Non meritava nulla, tantomeno la felicità e la pace che stava provando in quel preciso momento.

 

Sollevò appena lo sguardo fissando il volto insolitamente rilassato del compagno di squadra, deciso ad allontanarsi prima che si destasse.

Provava l'assurdo impulso di scappare via, ma il suo corpo era stranamente lento e pesante; anche il minimo movimento lo affaticava oltre misura.

 

Come se avesse percepito su di sé la carezza dei suoi occhi nocciola, il volpino mugolò piano, mentre le palpebre vibravano leggermente e il tentativo di fuga del rossino andava in pezzi...

 

 

 

Il Do'hao aveva un'espressione davvero buffissima, sembrava un cucciolo smarrito.

Senza riflettere, Kaede sollevò una mano, scostando una ciocca rossa dalla sua fronte.

A quel gesto tanto delicato quanto intimo, le gote del ragazzo dalla pelle ambrata si imporporarono impietosamente.

 

“Hai fame? - domandò il corvino, facendo scorrere l'indice sulla sua guancia accaldata – C'è del sushi, un po' di dolce e...”

 

“No. Non... No, grazie...” balbettò Hanamichi, interrompendolo.

“Hn” si corrucciò Rukawa, iniziando ad innervosirsi.

 

“Devo andare a cucinare” mormorò il rossino, cercando di alzarsi dal letto.

La volpe rimase in silenzio, osservando i suoi tentativi talvolta goffi, a volte disperati.

Sakuragi si dibatteva come un delfino arenato su una spiaggia, arrotolandosi sempre più sul lenzuolo, peggiorando così la sua situazione.

 

S'era innamorato di un emerito idiota.

 

 

 

Kuso!

Da quando aveva le braccia così pesanti?!

Ansimante e sudato, il rossino fu costretto a rimanere adagiato sul corpo-materasso del compagno di squadra, maledicendosi per quella disonorevole debolezza.

 

“Hai finito?” si sentì chiedere dalla bella volpe, che lo guardava con un sopracciglio alzato.

“Hn” sbuffò lui, usando il monosillabo preferito dal ragazzo con i capelli d'ebano.

 

Hanamichi lo sentì sollevarsi e posare la schiena contro la testata del letto, per poi essere afferrato e trascinato su con lui.

Era davvero una situazione umiliante.

 

 

 

Kaede rimase a lungo in silenzio, riflettendo sul da farsi.

Desiderava che il Do'hao tornasse in forma.

Non era un semplice desiderio, ma una necessità.

 

Il ricordo lontano di un'altra persona a lui cara, si ripresentò in tutta la sua nitida tristezza.

 

Suo nonno, Kaede-san, che morì quando i gemelli avevano quattro anni, circa.

 

Marito di Kikyo, era un uomo taciturno proprio come il volpino. Probabilmente il suo era anche un modo per arginare la follia della consorte...

 

Per quanto avesse voluto un gran bene a tutti e quattro i suoi nipoti, aveva una predilezione per il suo omonimo in miniatura.

Era stato proprio lui ad insegnare il basket  al piccolo Kaede e il bimbo aveva imparato ad amare entrambi.

Pomeriggi a guardare le partite alla tv, giornate al campetto...

Stavano sempre insieme.

Non si contavano le sere in cui Kikyo era dovuta andare al parco a recuperali, trovandoli addormentati sotto un albero, il nipotino tra le braccia del nonno, la stessa espressione corrucciata persino nel sonno.

 

O le risate del parentado, quando assistevano ai dialoghi dei due omonimi, fatti di soli monosillabi.

Ma quello era il  loro linguaggio, incomprensibile al resto del mondo.

 

Amici per la pelle, legati da profondo affetto e da una incredibile affinità elettiva, sempre insieme, indivisibili.

 

Fino al giorno in cui l'anziano salvò il nipotino da un auto in corsa, finendo investito al posto di Kaede-chan.

A causa dell'impatto contro asfalto, cadde in coma.

Non parlava, non si muoveva, era alimentato tramite flebo... in breve tempo, l'uomo morì.

 

Il piccolo Kaede, assistette impotente al lento declino della persona più importante della sua vita.

Da quel momento in poi, diventò ancora più silenzioso, gettandosi anima e corpo nello sport amato dal caro nonno e rifuggendo da ogni tipo di legame.

 

I lenti movimenti del Do'hao, che stava riprovando per l'ennesima volta ad alzarsi, lo riscossero da quei cupi pensieri.

 

“Se hai finito di fare il Do'hao, possiamo anche mangiare!” sbottò acidamente, aprendo un contenitore posato sul comodino. Non avrebbe permesso che Hanamichi morisse davanti ai suoi occhi.

Lo avrebbe fatto tornare come prima a suon di calci, se necessario.

 

“Ma la...?” osò replicare il rosso, confuso e smarrito.

 

“Ai pasti ci pensa tua sorella, della casa si occupa Kurumi e il giardino lo spazza Akira. Ora stai zitto e mangia!” sentenziò la volpe, iniziando ad imboccarlo.

 

 

 

La situazione stava degenerando.

 

Hanamichi, oramai bordeaux, non sapeva più né cosa dire, né come comportarsi, di fronte a quella strana Kitsune dallo sguardo sì distaccato, ma dai modi fin troppo gentili.

 

Mentre gli infilava in bocca l'ennesimo pezzetto di sushi, cercò di guardare dappertutto, fuorché il compagno di squadra, evitando soprattutto di soffermarsi sulle sensazioni che gli stavano provocando i polpastrelli candidi di Rukawa che sfioravano le sue lebbra socchiuse.

 

Era... piacere?

Sì.

Era dannatamente piacevole farsi imboccare da Kaede, stando sdraiato su di lui, immersi in quel silenzio irreale.

 

Debole. Ecco cos'era diventato.

Debole e patetico.

 

La volpe aveva di che deriderlo per il resto della sua vita.

 

Ingoiando l'ultimo boccone, sentì una fitta lancinante allo stomaco, che lo costrinse a piegarsi su se stesso, boccheggiando per respirare.

 

 

 

“Kuso!” sibilò Kaede, maledicendosi mentalmente.

Meno male che il dottore si era raccomandato di essere cauto e non forzare il Do'hao.

Lo aveva fatto ingozzare come un tacchino!

...E adesso Hanamichi stava pagando il prezzo della sua impazienza.

 

“Devo...in bagno...” ansimò il rossino, tentando disperatamente di alzarsi.

“NO! Non ti muovi da qui, Do'hao! - tuonò la volpe, iniziando a massaggiargli lo stomaco contratto – Respira piano, tra poco passa, piccolo!”

 

“Fa...male... - si lamentò il ragazzo, spaventato a morte -  Cosa succede?”

 

“Adesso te lo spiego, ma stai calmo, ok?” tentò di tranquillizzarlo Rukawa, continuando ad accarezzarlo piano.

 

Quando lo sentì rilassarli, diversi minuti dopo, decise di raccontargli tutto: l'Ini-biny, del concorso, del suo comportamento un po'... disinibito e della sua denutrizione.

 

 

 

“Ma sei scemo!? - tuonò Hanamichi, sconcertato, al termine del racconto dell'assurdo delirio della malefica volpaccia -  Io non sono denutrito, chiaro? Cosa stai insinuando, che sono anoressico? Quella è una malattia da femmine! Ti sembro una donna, Baka Kitsune?”

 

“No, il Do'hao che sei. Ma quello ormai lo do per scontato!”

 

“Deficiente!” sputò il rossino, tentando di tirargli una poderosa testata, impresa titanica, date le sue condizioni.

 

“Non ho detto che sei anoressico, imbecille! Ma solo che da quattro mesi non mangi abbastanza. Questo, sommato alla brodaglia di papà, ti ha indebolito!” sbottò il volpino, esasperato.

 

“Tua sorella mi avvelena e lo scemo sarei io?!”

“Tsk! Esagerato! Al massimo saresti impazzito...ma la differenza non sarebbe balzata agli occhi...”

 

“Appena starò meglio, ti prenderò a capate! - promise il rossino, appoggiando il viso sul suo petto – Questo non spiega perché tu sia qui. Cos'è? Ti faccio pena? Ti diverte guardare il grande Tensai che non riesce nemmeno a stare in piedi, eh?” sibilò il rosso, sputando il veleno che sentiva in corpo.

 

“Sei davvero un idiota!” mormorò Kaede, con voce atona.

 

“Io non ho bisogno di te! Non mi serve l'aiuto di nessuno! Non mi aggrappo alla gente, chiaro? Non l'ho mai fatto e di certo non inizierò da te!” tuonò Hanamichi, afferrando la maglietta della volpe, tirandola a sé.

 

“Ma chi ti si avvicina, Do'hao! La tua stupidità è contagiosa, andresti messo in quarantena, altroché!” gli fece eco Rukawa, acido e tagliente, mentre lo stringeva tra la braccia.

 

“Non mi serve l'elemosina!” ringhiò il rossino, accoccolandosi meglio nel suo abbraccio.

“Non voglio avere niente a che fare con te!” rincarò il volpino, coprendolo con il morbido piumino matrimoniale.

 

Sbadigliando ancora un paio di insulti, si riaddormentarono stretti l'uno sul corpo dell'altro.

 

 

 

Il giorno seguente, Mito andò a trovare i suoi migliori amici. Non era mai andato a casa dei Rukawa, ma aveva saputo del malore del rossino e volle fargli visita... cogliendo l'occasione per vincere la scommessa con quell'arpia della nuova manager dello Shohoku.

Dalla vendita delle foto di Hanamichi, aveva guadagnato novantacinquemila yen*, una cifra impossibile da superare!

 

Non vedeva l'ora di gustarsi la faccia verde di bile della sciocca ragazzina che aveva osato sfidarlo.

 

Suonò il citofono e attese di fronte al cancello.

Aveva ragione Sakuragi, quella villa sembrava la dimora di qualche star americana.

Da quello che poteva vedere, a parte l'edificio di tre piani e la dependance, avevano anche un doppio garage, un giardino immenso e...

 

Cos'era quella cosa attaccata alla porta dell'ingresso?!

“Oh! Il famoso cane-geco! Finalmente lo vedo!” rise Yohei.

Di lì a pochi istanti, il cancello fu aperto e venne accolto dalla rossina, seguita dalla sua accigliata compagna di classe.

 

“Bene, bene! Guarda un po' chi si rivede! Pronto ad ammettere la sconfitta?” esordì beffarda la ragazza dagli occhi azzurri.

 

“Tralasciando il fatto che sia qui per conoscere lo stato di salute del MIO migliore amico che TU hai quasi avvelenato... - sibilò acidamente Mito, controllando a stento l'ira crescente – Quella che perderà miseramente sei solo tu, cara! - l'avvertì sogghignando – Sai quanto ho guadagnato dalla vendita delle foto e delle magliette di Hana?”

 

“Mai quando me!” sibilò Kurumi, fronteggiandolo.

 

“Novantacinquemila yen! - annunciarono in coro i due avversari – Come?! Anche tu? - continuarono all'unisono -  Piantala di ripetere quello che dico!...Uffa!” sbottarono contrariati.

 

Ridendo sommessamente, Hikaru fece strada al loro ospite, mettendolo a conoscenza dello stato di salute del fratello maggiore, mentre risalivano il vialetto di casa.

 

“Per fortuna non è nulla di grave... Non mi ero accorto di nulla... – mormorò Mito mortificato -  Certo, è da parecchio che non vedo lui e Takamiya fare la gara a chi mangia di più, però... Non so... Non avrei mai immaginato che Hana potesse avere simili problemi... Deve essere un fatto nervoso...” concluse, varcando la soglia di casa Rukawa.

 

... E quello, fu il suo ultimo pensiero coerente....

 

 

 

Mezz'ora dopo, Yohei era seduto sul divano del soggiorno, allibito e in stato di shock: appena messo piede nell'ampia sala, una donna anziana lo aveva salutato palpandogli il fondoschiena; pochi istanti dopo, era stato aggredito da un felino volante che gli era saltato sulle spalle urlando come un ossesso; il the gli era stato servito sulla schiena del cane in versione tavolino; un uomo brizzolato lo aveva messo sotto torchio, volendo sapere da lui se l'umanità necessitava di un W.C. da passeggio oppure no; la padrona di casa munita di tela e pennelli aveva tentato a tutti i costi di convincerlo a posare nudo per lui; un indiano pellerossa con dei fiori sulla testa lo aveva salutato di fretta, correndo in giardino a fare la danza della neve, dato le pioggia gli rovinava i capelli – così almeno disse lui...- e un bimbo, sui sette-otto anni era uscito dall'armadio accanto alla porta dell'ingresso, con pila e libro sotto il braccio, andando poi a nascondersi dentro un armadietto della cucina.

 

Hanamichi aveva ragione: quella non era una casa, ma  una clinica di igiene mentale!

 

“Bene, e adesso che si fa?” glie chiese Kurumi, sedendosi accanto a lui con fare bellicoso.

“EH?!” gracchiò il moretto, stralunato.

 

“La scommessa, scemo!”

“EHI! Mmm... Non saprei... Certo è strano aver pareggiato...” borbottò il ragazzo, ancora amareggiato.

“Probabilmente abbiamo messo in vendita la stessa quantità di oggetti ad un prezzo simile...” mormorò lei, meditabonda.

 

“Probabile...” annuì Yohei.

 

Hikaru arrivò reggendo tra le mani un vassoio pieno di biscotti al cioccolato e, gesticolando, se ne uscì con una proposta shock: mettersi in società.

 

“Insieme?!” tuonarono i due contendenti.

La rossina annuì, accomodandosi su una poltrona di fronte a loro.

 

“Però... potrebbe essere la soluzione migliore... Evidentemente alla gente piace sia l'Hana-impacciato che l'Hana-sexy...  Accostandoli, risalterebbero ancora di più...” mormorò Kurumi, accigliandosi.

 

“Sono complementari – annuì Mito – Mmm... Sì. Potrebbe essere un'idea... Certo, devo dare il cinquanta per cento degli incassi a Hiki, ma...”

 

“Anche tu?!” chiese la giovane Rukawa, sgranando gli occhi chiari.

“Sì... Perché?! Anche tu...?” balbettò Yohei, meravigliato.

 

I due neo soci si voltarono verso Hikaru che, sorridendo, porse loro il vassoio pieno di dolci.

 

“Sei la nostra Guru!” esclamarono in coro.

 

 

 

Rukawa uscì dal bagno della dependance, dopo una doccia veloce.

Aveva sentito le voci di Mito e Kurumi provenire dal giardino.

 

Avvicinandosi alla finestra dell'angolo cottura, vide il migliore amico del Do'hao in compagnia delle due ragazze di casa.

 

Certo, il rosso non era in condizione di ricevere visite, ma forse Yohei avrebbe potuto fornirgli un paio di spiegazioni...

 

No, decise la volpe, quelle risposte le voleva solo da Sakuragi.

 

Si rivestì in fretta, indossando un paio di boxer e una maglietta a maniche corte, tornando poi dal compagno di squadra che dormiva in camera da letto.

 

Prima di tornare a letto, armeggiò con i dvd che gli aveva portato Akira.

Una volta scelti i migliori, ritornò accanto ad Hanamichi, in procinto di risvegliarsi.

 

 

 

“Ancora qui, Kitsune? Non hai proprio di meglio da fare?” chiese il rossino con voce roca e involontariamente sexy.

 

“Evidentemente no!” sbuffò Kaede, zittendo un Eddy nuovamente desto.

 

Contro ogni previsione del numero dieci dello Shohoku, la volpe non gli chiese se avesse fame, limitandosi ad accendere la televisione, rimanendo sdraiato al suo fianco.

 

Ogni frase sarcastica, morì nella gola di Sakuragi, ammaliato dalle immagini provenienti dallo schermo.

L'N.B.A.

Il primo dei dieci dvd che raccoglievano le partite più spettacolari del basket americano.

 

Hanamichi si rizzò a sedere, passando l'intera mattinata a guardare la tv, senza rendersi minimamente conto delle dita dell'astuta volpe che lo imboccavano ad ogni giocata memorabile.

 

 

 

Era o non era una Kitsune?

 

Reprimendo un sorriso di trionfo, Kaede posò sul comodino l'ultimo contenitore finalmente vuoto.

 

“Quella la potremmo fare contro il Kainan! Anche questa qui! No...meglio lo Shoyo, sono più alti!” borbottò il rossino, osservando quei giocatori stranieri.

 

Rukawa si ritrovò a sbuffare divertito.

“Le partite non durano duecento minuti, Do'hao!” gli fece notare, passandogli un integratore all'arancia.

 

“E se le facessimo velocemente?” s'imbronciò il ragazzo, ridendo poi dell'assurdità della cosa.

 

 

 

Stavano... parlando.

 

Sakuragi si zittì, trovandosi a pochi centimetri dal viso della volpe.

 

“Kitsune...” esordì, sospirando imbarazzato.

“Dopo, Do'hao. Non c'è fretta.” rispose l'altro, togliendolo d'impaccio.

 

Annuendo grato, il rossino riportò la sua attenzione sull'ennesima partita, visibilmente più rilassato.

 

 

 

Era pur sempre un inizio, pensò Rukawa, continuando a guardare la tv tenendo il compagno di squadra tra le braccia.

 

 

 

Chiuso in camera sua, Kazuya si rigirava tra le mani la busta trasparente caduta dalle tasche di Mitsui, indeciso sul da farsi.

 

Non sapeva nemmeno cosa fossero, di preciso, quelle pillole colorate.

Prenderle sarebbe stata una mossa troppo avventata, rifletté il giovane scendendo in cucina.

 

Appena giunto al piano inferiore, udì la voce allegra di Akira che stava ragguagliando Kurumi circa le condizioni di Hanamichi, mentre Hikaru preparava la cena.

 

“...Kaede mi ha chiesto altro cibo. Da non crederci! Finalmente quel testone s'è deciso a mangiare! Oggi aveva ripreso il suo solito colorito sano, non è vero? - stava dicendo il fratello maggiore, sorridendo alla rossina – Vedrai, si rimetterà presto! Non devi più preoccuparti per lui, adesso ci penserà Kaede!” rincuorò la ragazza, passandole un braccio sulle spalle.

 

Hikaru annuì, commossa, ricambiando il suo abbraccio.

 

...In quel momento, Kazuya prese la sua decisione.

 

 

 

I giorni seguenti, Hanamichi continuò a mangiare normalmente, 'distratto' grazie alle geniali tattiche dell'onnipresente volpe.

 

Ma anche se fisicamente stava ormai benone, psicologicamente il rosso era a terra.

Quel senso di indeterminatezza nel loro rapporto lo stava logorando nel profondo.

Dormivano insieme, mangiavano insieme, commentavano le partite insieme...Come se fossero una coppia di giovani sposi.

 

Assurdo, ma dannatamente piacevole e rilassante.

 

Essersi venuto a trovare in una condizione così precaria, proprio davanti al suo acerrimo rivale – che tra l'altro non aveva in alcun modo fatto cenno alla cosa, comportandosi come al solito – lo faceva sentire fragile e insicuro.

 

Era giunto il momento di mettere le cose in chiaro, assumendosi le proprie responsabilità o non sarebbe più riuscito ad andare avanti.

 

Sakuragi aveva passato quelle 'notti in compagnia della volpe' a sviscerare lo strano rapporto che lo legava a Rukawa.

 

Lo aveva detestato fin da subito, prima ancora di conoscere il suo nome e scoprirlo essere la cotta della dolce Haruko.

Il suo istinto lo aveva messo in guardia.

 

Ma perché?

Cos'aveva Rukawa di così speciale?

 

Non lo aveva mai visto, prima di quel giorno sulla terrazza, non sapeva nulla di lui, nemmeno della sua fama come giocatore di basket dato che all'epoca Sakuragi odiava quello sport, eppure... aveva provato un brivido di terrore incrociando lo sguardo con quegli occhi azzurro cielo.

 

Era...Lui.

 

Era 'quel' lui, che il rossino aveva sempre temuto di incontrare.

 

La persona che avrebbe mandato in frantumi la facciata che Hanamichi si era costruito faticosamente nel corso degli degli anni, colui che lo avrebbe costretto a fare i conti con il lato più intimo del suo stesso essere.

 

Quella era la verità.

 

Ne era stato attratto fin da subito e il suo istinto animalesco si era messo in allarme, avvertendo l'imminente pericolo.

 

“Io... sono... un bugiardo...” mormorò Sakuragi nel bel mezzo di un'azione di Michael Jordan.

“Hn?!” s'accigliò Kaede, guardandolo confuso.

 

“Ho mentito a tutti, persino a Yohei. Davvero, faccio schifo...” sospirò mestamente il ragazzo, voltando le spalle al volpino che spense subito la televisione, preoccupato da quel repentino cambio di umore.

 

“Ehi?” provò a chiamarlo, posandogli una mano sulla spalla.

Sakuragi si rannicchiò ancora di più in se stesso, nascondendosi sotto il piumino.

Pochi istanti dopo, il rossino iniziò a pensare ad alta voce, coinvolgendo il compagno di squadra.

 

“Ho cercato di evitarlo... C'ero quasi riuscito ma poi... ti ho visto e... ho capito che non sarei mai più stato capace di nasconderlo. Non potevo, capisci? Non posso! Ho cercato una mamma per Hikaru... dovevo darle una famiglia... Kami, che deficiente che sono! Pretendere che una ragazzina di quindici-sedici anni facesse da madre a mia sorella... Sono un Do'hao, me lo dici sempre anche tu...Ti ho detestato fin da subito, non sapevo neppure il tuo nome e già ti odiavo... In seguito, anche il tuo silenzio mi irritava. Tu che potresti parlare non lo fai mai e Hiki che vorrebbe tanto, non può farlo... Ecco, vedi? L'ho fatto di nuovo!- sospirò affranto –  Non riesco nemmeno ad essere sincero con me stesso!Proietto sempre sugli altri le mie colpe, cercando un capro espiatorio o una motivazione, una spiegazione a...” Hanamichi si interruppe, rimanendo in silenzio.

 

“Dove sono i tuoi?” domandò infine la volpe, rimasto ad ascoltare quell'insensato sproloquio senza batter ciglio.

“Non ci sono... - sospirò il rossino - ...più.”

 

Sakuragi gli parlò, confidandogli cose che non aveva mai  raccontato nemmeno suo migliore amico.

 

Della gelosia che provava per la sua sorellina, delle risse a scuola per attirare l'attenzione dei suoi, dei litigi dei genitori, sempre a causa del suo comportamento violento. Il divorzio, la partenza della madre, i traslochi, la morte del padre, la rissa e Hiki trovata seduta accanto al cadavere del papà e del suo conseguente mutismo.

 

Kaede era rimasto in silenzio ad ascoltare quel racconto straziante e all'improvviso il suo senso di colpa per la morte dell'adorato nonno divenne sempre più piccolo, arrivando quasi ad annullarsi.

 

“Sei.. proprio... un Do'hao!” ammise la volpe, sospirando rassegnata.

“C...Che cosa?!” balbettò confuso il rossino, guardandolo stralunato.

 

“Penso di esserlo un po' anch'io... Sarai contagioso.” continuò il corvino, corrucciandosi preoccupato.

“Ehi!”

 

“Ascolta... mio nonno morì salvandomi la vita. Lo amavo profondamente. Mi aveva insegnato tutto, basket compreso... Per anni mi sono sentito responsabile ma... non è stata colpa mia, riesci a seguirmi? Come non è colpa tua se i tuoi hanno divorziato. Se due persone hanno problemi di coppia, si separano. I figli non c'entrano nulla! Tuo padre, poi, ha avuto un infarto, sarebbe deceduto comunque. Se vogliamo trovare un colpevole, allora lo sono i teppisti che ti hanno aggredito in dieci, così come è stato vile il pirata della strada che ha travolto il nonno e non si è neppure fermato!”

 

Hanamichi si voltò verso di lui, ammaliato.

Da quanto tempo aspettava che qualcuno gli dicesse tutto quello?

Anni.

 

Quel senso di colpa che sentiva quasi 'doveroso', date le circostanze, aveva alterando la sua percezione della realtà impedendogli di analizzare la situazione con lucidità, ma in cuor suo... aveva sperato che qualcuno smentisse le sue convinzioni.

 

...E forse lo aveva trovato.

 

“... Quanto a tua sorella, poi, se è forte anche solo la metà di quanto lo sei tu, riuscirà a superare lo shock e a tornare quella di un tempo!” concluse il Kitsune, ignaro di aver fatto il discorso più lungo della sua vita.

 

“Non.. so che cosa...” mormorò Hanamichi, sopraffatto da quelle parole.

 

“Siamo solo esseri umani, Hana, e in modo o nell'altro, ci dobbiamo bastare!” sbuffò Rukawa il quale, sentendosi improvvisamente sciocco, si ritrovò a nascondere il viso tra i capelli purpurei del compagno di classe, stringendolo a sé sotto la coperta.

 

Era l'abbraccio che Hanamichi stava aspettando da tutta la vita.

Qualcuno che camminasse al suo fianco.

Qualcuno da sostenere e da quale essere sostenuto a sua volta.

 

Rimase a lungo in quel surreale silenzio, carico di implicazioni e di frasi non dette, fino a quando Sakuragi non sbottò un imbarazzato:”Sia chiaro che non ti lascerò vincere lo stesso!”

 

“Do'hao!” sbuffò Kaede, trattenendo un sorriso.

“Baka Kitsune!” rise il rossino, tornando totalmente se stesso.

 

 

 

“Hana-pucci! Finalmente stai bene!” lo salutò Katy, andando ad abbracciare il rossino appena questi varcò la soglia della casa padronale.

 

“Hai mantenuto alto l'onore dei Rukawa?” volle sapere la nonnina-hentai guardando di sottecchi suo nipote.

 

“NONNA!” tuonarono i parenti, esasperati.

 

“Che c'è?! Non si può nemmeno fare una domanda qua dentro! - s'imbronciò l'anziana donna, andando a salutare il suo rossino preferito – Culetto d'oro, è stata la settimana più lunga della mia vita, senza di te!” pigolò, tentando di palpargli il di dietro.

 

Kaede riuscì appena in tempo ad afferrare Sakuragi, trascinandolo in cucina.

 

“Uffa! Ormai è diventata proprietà privata!” sospirò Kikyo-san, ridendosela sotto i baffi.

 

 

 

Dopo aver salutato Hiki, confermando il suo ottimo stato di salute, Hanamichi iniziò a cucinare, spiato dal piccolo Kanata, appostato dentro un mobiletto.

 

“Nezumi, se mi vuoi salutare, fallo per bene!” rise il ragazzo, guardandolo uscire dalla tana per saltargli addosso.

 

“Hn” borbottò il volpino, incrociando le braccia al petto.

“È il mio amico!” bofonchiò il bambino da dietro la spalla di Sakuragi, facendo la linguaccia al fratello maggiore.

 

“Mi spiace Kae, ma lo devi dividere con tutti noi! - rise Akira entrando in cucina trascinando con sé Kurumi – Hana, c'è una persona che ti deve parlare!”

 

“Mmm... Ma lasciamo stare! - finse di ridere la ragazza - Siamo finalmente tutti riuniti e...!”

“Hn”ringhiò minacciosamente la volpe.

“Ecco.. dunque... balbettò la giovane, iniziando a sudare freddo.

“Quello che Kurumi sta cercando di dirti... – intervenne Sendoh, sorridendo bonario -  ... È che, per scusarsi dell'accaduto... Kurumi si è offerta di pagarti il guardaroba nuovo!”

 

“Il mio guardaroba?! Cos'ha che non va?” chiese Hanamichi, guardando prima sua sorella, poi la volpe.

 

“Suvvia, Hana! Ti servono abiti nuovi e Kurumi te li comprerà tutti!” rise il porcospino.

 

“T...Tutti?!” ripeté la Rukawa, mortalmente pallida.

“Tutti?!” le fece eco Sakuragi, incredulo.

 

“Hn” annuì la volpe.

“Già-già!” rincarò Sendoh.

 

“Tutti...” mormorò Kurumi poco prima di  svenire tra le braccia della sua migliore amica.

 

“Come siete crudeli! - borbottò il rossino, iniziando ad armeggiare con i fornelli – Non ho bisogno di nulla, io! Mi basta che Hiki stia bene!” mormorò quasi tra sé.

“Se lo merita!” sentenziò Kaede, guardando il suo Do'hao che preparava il budino al cioccolato.

 

Prima o poi avrebbero dovuto parlare anche di quel suo comportamento, pensò la volpe, rabbuiandosi.

 

 

 

La sera, a cena, Hanamichi si ritrovò seduto al solito posto, tra Kaede e Akira, lontano dalle grinfie della nonnina assatanata.

 

Era inquieto.

 

Aveva ritrovato l'atmosfera distesa e familiare che aveva lasciato ma, in cuor suo, tutto era irrimediabilmente mutato.

 

Una famiglia...

 

Anche lui e Hiki ne avevano passati di momenti simili, un tempo...

 

Quel pensiero molesto, gli chiuse lo stomaco, rendendolo nuovamente inappetente.

Sovrappensiero, prese a giochicchiare con il cibo, senza ingoiare nemmeno un boccone della parmigiana che aveva cucinato insieme alla sorella.

 

“Do'hao? - si sentì chiamare dalla voce della volpe, a pochi millimetri dal suo padiglione auricolare – Vuoi che ti imbocchi qui, davanti a tutti?” chiese maliziosamente, facendolo arrossire d'imbarazzo.

 

Con un piccolo sforzo, il rossino riuscì a ripulire quasi tutto il piatto, stupendosi dell'allegria di Kazuya.

 

Non lo ricordava così spigliato.

 

Il giovane Rukawa si era lanciato in una serie di imitazioni dei suoi professori, divertendo tutta la famiglia, soprattutto i ragazzi, che conoscevano i docenti dello Shohoku.

Persino le labbra di Kaede si piegarono impercettibilmente in una smorfia simile ad un vago sorriso.

 

 

 

“Prima che mi dimentichi! - sbottò Kyosuke, nel bel mezzo del dessert – Domani andiamo a Tokyo, la mamma si ricovera!”

 

“Così presto?!” domandò Hanamichi, preoccupato.

“Tutti i miei figli sono nati settimini! - sorrise la donna, accarezzandosi il ventre – Hanno fretta di venire al mondo!”

 

“Mi raccomando a voi, soprattutto tu, Kaede! - esclamò Kikyo-san, con fare solenne – In nostra assenza, fai tutto quello che farei io!”

 

“NONNA!!!”

 

“E-ehm... va a Tokyo anche lei, signora?” balbettò il rossino, con le guance dello stesso colore dei capelli.

 

“Già! - rise Akira, voltandosi verso di lui – Devi sapere che il babbo si ostina a voler entrare in sala parto. Puntualmente sviene e nonna lo deve trascinare fuori, alla ricerca di un infermiera. Ormai lo conoscono, però. Sicuramente l'ostetrica sarà già pronta con i sali!”

 

“È che sono una persona sensibile, io! - arrossì l'inventore – Nessuno capisci i geni!” si lamentò indignato.

 

“Vangelo!” sospirò Sakuragi, annuendo gravemente.

 

“Do'hao!”

“Baka Kitsune!”

 

“Quanto vorrei avere vent'anni di meno!” sospirò Kikyo, guardando il rossino con gli occhietti a forma di cuore.

 

“Solo venti, mamma?” le chiese Kyosuke, sogghignando divertito.

“Taci, figlio degenere! Ti lascio sul pavimento e ti calpesto, sai?” lo minacciò l'anziana donna, brandendo il pesante bastone.

 

“No, no! Sto zitto...” borbottò l'uomo, alzando entrambe le mani, in un chiaro gesto di resa.

 

 

 

Dopo cena, Kazuya si offrì di ripulire la cucina.

Con la scusa della salute di Hanamichi, riassettò la stanza senza suscitare particolare clamore.

Aveva una tale energia in esubero, che doveva sfogarla in qualche modo.

 

Il cuore batteva troppo forte, le mani gli tremavano e stava iniziando a sudare freddo.

 

Almeno era riuscito ad attirare l'attenzione di Hikaru, anche se solo per pochi istanti, notò il ragazzo osservando il soggiorno.

 

La rossina si era seduta accanto a Sendoh, discutendo a gesti delle loro impressione sui professori della nuova scuola.

 

Pasticche o no, la normalità veniva sempre battuta dal talento...

Non esistevano scorciatoie.

 

Adirato, gettò lo straccio nel lavello, correndo in bagno, colto da un'improvvisa nausea.

 

Fece appena in tempo a chiudersi la porta alle spalle, che rimise nel water tutto quello che aveva mangiato.

 

Non avrebbe più preso quella roba, giurò a se stesso, tra un conato e l'altro.

 

 

“Noi andiamo a dormire, domani sveglia presto!” disse Kyosuke, congedandosi insieme alla consorte.

 

“Andiamo, Do'hao!” sbadigliò Rukawa, prendendolo per mano.

“Ah! S...sì...” balbettò il rossino, bordeaux, mentre veniva trascinato verso la dependance.

 

“Ho sonno... - lo rassicurò la volpe, sollevando un sopracciglio color liquirizia – Perché, cosa avevi pensato?” lo provocò, trattenendo un sorriso.

 

“Non...Non è che... Cioè... BAKA KITSUNE! MI STAI PRENDENDO IN GIRO?!” tuonò Sakuragi accigliandosi.

 

“Sì”

“Mmm... Almeno è sincero!” ammise il ragazzo, dando la buona notte alla sorellina.

 

“KAEDE!” esclamò Kikyo-san dalle scale, con un teatrale gesto della mano.

 

“H...Hn?!”

 

“Dagli una botta anche da parte mia!” lo pregò 'gentilmente'  la nonnina.

 

“NONNA!!!”

 

 

 

Steso sul letto, spalle alla porta, Sakuragi attendeva l'arrivo di Rukawa.

Si sentiva davvero un idiota.

Avevano dormito insieme per giorni, eppure non era mai stato imbarazzato come in quel momento.

 

Il motivo era semplice: non erano più costretti a farlo, oramai lui stava bene.

Da quel momento in poi sarebbe stata una libera scelta.

 

La volpe arrivò pochi minuti dopo, sdraiandosi al suo fianco.

Sentì la fronte di Kaede posarsi sulla sua spalla, mentre con un braccio gli circondava la vita.

 

“Ehi, tu! Mi hai scambiato per un cuscino!” borbottò il rossino, più per scaricare la tensione che per altro.

 

“Ho passato quasi una settimana a farti da materasso e hai il coraggio di lamentarti, Do'hao?” mugugnò la volpe assonnata.

 

Hanamichi rise sommessamente, finalmente rilassato, voltandosi poi verso il compagno di squadra.

 

“Eri comodo, sai?” lo provocò facendogli una linguaccia.

“Hn...Adesso fai provare me!” mormorò Kaede, posando il capo nell'incavo tra il collo e la spalla ambrata.

 

 

 

Il mattino seguente, la famiglia al gran completo si riunì per salutare Katy.

“Akira, ti raccomando l'allarme antincendio! Fallo scattare alle cinque in punto, ok?” disse Kyosuke, passando l'ultima valigia al tassista.

 

“Lo so, lo so! Non ti preoccupare!” sorrise il porcospino, abbracciando la nonna.

 

“Mi scusi, signor Rukawa... -  s'intromise l'autista, palesemente sconvolto – Devo caricare in macchina anche... lui??!!” chiese, indicando il cane nero, piegato su se stesso, in versione ventiquattro ore.

 

“No,  no! - sorrise l'uomo, passando l'animale al piccolo Kanata che lo riportò in casa – È troppo scomodo! Non ci sta dentro niente!” s'imbronciò l'inventore, mentre la mascella del tassista andava a schiantarsi sul marciapiede.

 

“Arrivederci, signora!” mormorò Sakuragi, inchinandosi educatamente di fronte alla pittrice.

 

“Ma quante cerimonie! Chiamami Katy e vieni ad abbracciarmi! Sia tu che la piccola Hiki fate parte della famiglia! - esclamò lei, stringendolo a sé – Abbi pazienza con mio figlio. Fa tanto l'imperturbabile, ma è un tipo sensibile!” gli sussurrò all'orecchio, prima di lasciarlo andare.

 

“Certo sign... Hm?! - Sakuragi sobbalzò voltandosi di scatto verso il sopraccitato volpino – Brutto porco! Palpi pure il sedere, adesso!?” sibilò adirato.

 

“Hn?!” mugugnò Kaede a due metri di distanza da lui.

“Ma se non sei stato tu, chi mi ha...?!” balbettò il ragazzo, disorientato.

 

“NONNA!”

 

“Che c'è?! Era una palpatina d'arrivederci!” si schernì l'anziana, prendendo posto in auto, felice e soddisfatta.

 

Un'infinità di baci e abbracci dopo, i tre adulti  - o presunti tali – della famiglia, partirono alla volta di Tokyo.

 

 

 

“Uffa! Finalmente sono andati! - sospirò Kurumi, prendendo a braccetto la sua migliore amica – Noi andiamo a comprare i croccantini del gatto, torniamo subito!” disse, salutando i fratelli maggiori.

 

“Prendete anche latte e uova, così vi faccio lo zabaione per colazione, ok? - sorrise Hanamichi, guardandosi attorno – E Geronimo? È da stamattina che se ne sta seduto vicino alla fontana, con gli occhi chiusi... Non dovrebbe andare in ospedale anche lui?”

 

“Parte domani. Adesso è in meditazione! Una specie di rituale indiano... non so... - gli spiegò Akira – Ehm... Già che siamo qui... Vorrei chiedervi un paio di cose sulla... squadra...” bofonchiò, una volta tanto imbarazzato.

 

“Hn?” mugugnò Kaede, sorpreso. Era la prima volta che vedeva arrossire il suo fratellone.

 

“Preoccupato per l'amichevole contro il Ryonan?  - azzardò Hanamichi, incamminandosi verso la dependance – Mancano ancora tre settimane! Vieni, ti faccio un caffè!” sorrise il ragazzo, seguito dai due ragazzi.

 

 

 

Rimasto solo, Kazuya tornò in casa, sbattendo il giubbotto in jeans sul tavolino del soggiorno.

 

Tutti avevano impegni e necessità, mentre lui era il fallito di sempre.

Nemmeno impasticcandosi era riuscito a farsi notare.

Corse in camera sua, chiudendo la porta a chiave... ignaro della busta di pillole colorate, cadute dalla tasca superiore della sua giacca.

 

 

 

Kanata, seduto sul divano, attendeva l'arrivo dei fratelli per fare colazione.

In tutto quel trambusto, tra valigie e borsoni, si erano tutti dimenticati di mangiare e il bimbo aveva voglia di dolci.

 

Sbuffando irritato si alzò in piedi per andare a chiamare il rossino.

Posò il tomo sul tavolino, notando solo in quel momento una busta trasparente, contenente una decina di caramelle.

 

Decise di accontentarsi, in attesa dell'arrivo di Hanamichi.

 

 

 

“... Sì, in effetti il Kainan e il Ryonan si sono notevolmente indeboliti rispetto all'anno scorso...” ammise il rossino, passando al porcospino una tazza fumante.

 

“Hn. Ma ce ne sono altre altrettanto forti!” sentenziò il volpino, meditabondo.

 

“Ma noi siamo messi bene, no? Ci siamo noi tre, le matricole e... Mitsui... - buttò lì senpai – Mi sembra in forma smagliante, ultimamente...”

 

“Hai ragione! Caspita, ha una resistenza quasi pari alla nostra, che è tutto dire, vero Ru?” domandò Hanamichi, usando quel nomignolo con inconscia naturalezza.

 

“Hn” annuì il numero undici dello Shohoku.

Si era accorto anche lui dello stato di forma della loro guardia.

Probabilmente, durante il periodo estivo, Hisashi aveva svolto un allenamento particolare.

 

In quel momento, qualcuno bussò alla porta della dependance.

“Siete ancora qui?! - tuonò Kurumi, che teneva tra le braccia una busta colma di cibarie -  Hana, mettiamo la spesa in cucina. Stiamo morendo di fame!” piagnucolò la ragazza, incamminandosi verso casa insieme alla rossina.

 

“Arrivo subito! -  rispose Hanamichi, alzandosi – La bocciatura deve essere stata un brutto colpo per Michy. È normale che si sia lanciato a capofitto nel basket! Anch'io avrei fatto lo...”

 

La sua frase, fu interrotta da un grido di donna, che gelò i tre giocatori.

 

“Ma..Chi...?!” balbettò Akira, balzando in piedi seguito dal fratello.

 

“Hiki... HIKARU!!!” tuonò Sakuragi  correndo a perdifiato verso la casa padronale.

 

 

-FINE DECIMA PARTE-

 

 

*95.000 yen= 604 €  (circa)