Nota dell’Autrice:
Sebbene i personaggi siano, come al solito, inventati e proprietà di
Dio-Joss e della ME, questa volta gli avvenimenti descritti sono realmenti
accaduti. Il 27 giugno del 1969, da un famoso locale di Greenwich Village a
New York, il Stonewall Inn, partì una vera e propria sollevazione popolare
che è passata alla storia come “The Stonewall Riot”. Da questo avvenimento,
una rivolta da parte della popolazione omosessuale newyorkese contro i
soprusi della polizia e la ghettizzazione quotidiana, nacquero una serie di
iniziative che contribuirono alla creazione del il Movimento per i Diritti
degli Omosessuali. Esiste una versione teatrale e cinematografica di ciò che
avvenne. Per maggiori informazioni:http://www.columbia.edu/cu/lweb/eresources/exhibitions/sw25/case1.html
Mettetevi seduti dunque e….buona lettura.
Stonewall
di
Carmilla
Greenwich Village (NY) 1969
Nessuno conosceva il suo nome.
E QUESTO era normale e straordinario al tempo stesso.
Normale per lo Stonewall, dove i
nomi erano un intricato balletto da decifrare e le identità scivolavano via
nella cruda luce del mattino assieme ai preservativi usati ed al trucco
sbavato; straordinario, perché
Stonewall era una grande tribù dove ciascun membro aveva i propri,
distintivi, colori di guerra.
E le proprie cicatrici.
Michelle si strofinò inconsciamente il polso sinistro dove le due sottili
linee parallele erano coperte da numerosi braccialetti tintinnanti.
Il ghiaccio si era sciolto completamente ed il
cocktail che Ronnie le aveva
preparato aveva un sapore dolciastro, quasi nauseante.
Cenere e rimpianti.
Lo sconosciuto non aveva di questi problemi. Da tre settimane entrava,
scambiava un cenno con Ronnie e si sedeva al tavolo d’angolo, quello meno
illuminato e più vicino al bancone del bar.
Ronnie gli portava una bottiglia di
Bushmills liscio ed un bicchiere.
E poi…. scompariva.
Curioso.
Vi erano persone che bazzicavano il bar da anni ed erano ancora, come dire,
di passaggio.
Camionisti, prostitute, ladri, viaggiatori di commercio che Michelle
immaginava benissimo anche FUORI.
Che potevano entrare nello Stonewall e perdere inibizioni, soldi, dignità,
sanità mentale e poi, come serpenti, cambiare pelle non appena messo piede
fuori dal locale e ritornare a curare prati, derubare vecchiette o quello
che cazzo dovevano fare.
Così, semplicemente.
Ma questa immunità, che Michelle
invidiava loro ferocemente, li rendeva al contempo fuori posto, sempre a
disagio.
Poi c’erano quelli come lei, Ronnie, Babette o Jack, il rappresentante di
collant, un omino gentile e dalla voce sottile che teneva sempre la sua
valigia da campionario accanto ai suoi piedi, come un cagnolino.
I regolari.
E lo sconosciuto era uno di loro.
Era una certezza che non nasceva da nessuna ragione apparente, razionale, ma
che affondava le radici in quelle sensazioni che non hanno spiegazioni se
non a livello viscerale.
Era così e basta.
Il Principe, l’aveva soprannominato
Babette, per il portamento elegante e quel suo distacco da tutto e tutti,
rientrava a pieno diritto nella categoria degli abituali.
Un volto finemente cesellato, che raccoglieva ogni volta sguardi invidiosi o
ammirati.
Largo di spalle e scultoreo, raro come un oggetto prezioso sottratto alla
vista.
Non sarebbe potuto entrare in un altro locale senza spegnere tutte le
conversazioni, né uscirne senza lasciare nella propria scia una sorta di
sollievo.
Apparentemente nel fiore dei suoi anni, più vicino ai venti che ai trenta se
si osservava il suo viso. Gli occhi invece… tradivano qualcos’altro.
Età, esperienza. Il Principe poteva pure essere giovane, anagraficamente
parlando, ma doveva essere passato attraverso…bè Michelle non riusciva ad
immaginarlo.
I Favolosi Anni 60’, probabilmente.
Cazzo, se non lo sapeva lei che la Vita lasciava
cicatrici…
Un regolare, ad ogni modo.
Anche se era entrato per la prima volta nel locale solo tre settimane prima.
Michelle non poteva sbagliarsi sulla data.
Tre settimane prima lei e Randy avevano ricevuto la cartolina di precetto
dell’Esercito e l’ordine di presentarsi per la visita medica di
routine. Destinazione: Vietnam.
Tre settimane prima Randy se n’era andato.
Tre settimane prima Michelle si era tagliata le vene.
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In realtà, lo rammentava lucidamente, fra la corsa all’ospedale e i dottori
che le ricucivano i polsi, “non ne vale MAI
la pena, se lo ricordi”, e l’infermiere di mezza età che le sputava
addosso “la prossima volta mettici più
impegno, brutta checca”, il problema con Randy esisteva già da prima.
Come il famoso elefante rosa in cucina, che esiste ma nessuno vuole vedere,
aveva condizionato gli ultimi mesi della loro convivenza e Michelle non
poteva onestamente, “-L’onestà è la cosa
più importante, ricordatelo!- Si, Padre Flannery.”, non poteva
sostenere che fosse TUTTA colpa di Randy.
Glielo avevano detto e ripetuto tutti, le amiche, le ragazze al Blue Foxy
nelle pause tra un turno e l’altro, Ronnie.
Ed anche Babette l’aveva avvisata, con uno sguardo tra l’insofferenza e la
pietà.
-Ladri, assassini, papponi vanno bene. Anche i tossici, cara, se la scimmia
non gli sale ancora per il culo, sono okay.-
Il fumo azzurrino della sigaretta confondeva i contorni della figura ancora
piacente.- Ma gioia…un etero confuso…tieniti alla larga. E’ una scommessa
persa in partenza.-
Ma Michelle era innamorata. E cocciuta. E questa combinazione le aveva
impedito di cogliere i segnali, le occhiate inquiete, i silenzi.
Persino gli schiaffi, dapprima sporadici poi divenuti un’abitudine, come
quella di chiudere il gas prima di uscire, le erano apparsi come una prova
d’amore.
Michelle scosse la testa e trangugiò svogliatamente il resto del suo drink.
Erano rimasti solo in tre. Ora di andare a nanna.
Da sola, con la maglietta che Randy si era dimenticato di portare via.
Fu allora che si scatenò l’inferno.
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-Che posto di merda!- I tre entrarono barcollando, la donna al centro, i due
uomini ai lati. Li conosceva di vista, due poveri sfigati che campavano di
furtarelli e lavorando occasionalmente come picchiatori per Big Al, il
mafioso che controllava metà Village, dalla 19a alla Broodway.
Due nullità.
La donna invece….
Bruna, zigomi alti, con un’aria tra il selvatico e il sensuale che hanno
certe donne slave, del tipo che non sai se l’attimo successivo ti baceranno
o ti taglieranno la gola.
Denti troppo bianchi, labbra troppo rosse, viso troppo bianco e c’era
qualcosa di sbagliato in lei che
Michelle non riusciva a identificare.
Ma il Principe sì, perché rialzò bruscamente il viso “così
bello da non poter essere vero”, aveva sentenziato Babette la prima
volta che l’aveva visto, ed un’espressione singolare gli attraversò lo
sguardo prima di riassumere la consueta impassibilità.
-Fuori dalle palle, voi due.- La voce calma e stanca di Ronnie parlava di
insonnia, di troppe sigarette e di un brutto mal di testa. -Stiamo
chiudendo.-
-Fatti i cazzi tuoi, frocio. La Signora qui vuole bere e quindi questo buco
rimane APERTO.- Uno dei due buffoni si era appoggiato al bancone a distanza
di un braccio da Michelle e fronteggiava Ronnie, un ghigno che scopriva i
denti giallastri da fumatore di crack.-
Se ci fai vedere le tue mutandine, Paparino, potremmo pure lasciarti una
mancia!- Risate beluine da parte del singolare trio e un luccichio insano in
quegli sguardi.
Michelle sentì rizzarsi i peli dietro la nuca.
Perché la faccia del rottinculo era, come dire,
cambiata e c’era abbastanza luce
perché non si potesse attribuire all’alcool, al fumo o ad altro.
No, decisamente qualcosa non andava.
Concentrando la sua attenzione su Ronnie, Michelle comprese che, qualsiasi
cosa fosse stata, l’aveva vista anche il barista, che si era affrettato a
tirare fuori una bottiglia e tre bicchieri.
Uno non sopravviveva fra i fottuti Marines per dodici anni per poi finire a
gestire un gay-bar nel Village senza
avere un GRANDE istinto di preservazione.
-E TU cosa cazzo hai da guardare, dolcezza?-
Michelle si affrettò ad abbassare gli occhi, memore delle ultime notti con
Randy quando domande di quel tipo,
fatte con quel tono, erano un
preludio ad una scenata.
O peggio.
-Forse le piaci, Jay. Forse ti vuole dare un
bacetto.- E giù risate sguaiate.
Una mano molliccia, sporca di una sostanza a cui Michelle non voleva neppure
pensare, tracciò il suo viso in una
parodia di approccio.
-Ti piace Jay, carina? Fammi vedere quanto ti piaccio su…- la mano aveva
raggiunto il collo ed indugiava sul nastro di seta verde intorno alla gola,
intonato al vestito. –Ti faccio sentire una vera donna se vuoi.- Il rumore
di stoffa che si strappava risuonò nella stanza silenziosa.
-Che schifo, Bobby. Altro che donna
del cazzo. E’ uno di quelli.-
In questi casi non parlare, gioia. I
consigli di Babette le risuonavano nel cervello.
Non reagire, non piangere, non RESPIRARE
neppure, e soprattutto non dare mai a quei cripto-froci l’impressione che
siano riusciti a farti male.
Ma Michelle si sentiva nuda senza il suo collare, quel pomo d’adamo che
sporgeva oscenamente dal collo le ricordava cosa NON era, non Michelle
Williams ragazza carina, speciale,
ma Michael Williams, patetico travestito da poco abbandonato dal suo ragazzo
che si era scoperto improvvisamente uomo.
Anche se gli piaceva prenderlo nel culo.
Non fu Michael a rialzarsi lentamente dallo sgabello, ignorando le occhiate
di avvertimento di Ronnie, e che si sistemò con lentezza l’abito, stirando
pieghe immaginarie.
Non fu Michael che, con uno scatto della testa, spinse indietro dal viso la
sua parrucca color fragola, pagata 84.57$ con lo sconto da Tony giù a Hell’s
Kitchen e che tutti le avevano detto che le stava divinamente.
Fu Michelle però che, con gesto morbido, prese la bottiglia dal bancone e
fissando negli occhi lo stronzo che stava ancora ridendo, con uno scatto del
polso gli spaccò la mascella.
Le urla di dolore dell’uomo non fecero paradossalmente che aumentare le
risate della coppia.- Jay, frocio o no, ti ha dato il
benservito!!!!!-
E Cristo, il tizio si stava togliendo le schegge dalla faccia, in alcuni
punti Michelle riusciva a scorgere l’osso. Eppure era in piedi. E stava
avanzando.
-Mi hai fatto male, Troia.-, esclamò, solo che adesso la sua faccia era
cambiata, c’erano zanne e occhi gialli e le sue mani avevano artigli.- Ti
caverò gli occhi, brutto frocio. E me li mangerò come noccioline.-
-No.-
Lo Sconosciuto era in piedi ora ma, curiosamente, non fissava Michelle o il
suo aggressore, bensì la donna.
Che aveva smesso di ridere.
-Prendi i tuoi giocattoli e vattene. La vostra serata finisce qui.-
Calmo, così calmo e la voce era come
Michelle se l’era immaginata, profonda, imperiosa, terribilmente seducente.
In piedi sembra torreggiare su tutti loro.
-Tu chi cazzo saresti, stronzo?-
Lo sconosciuto lo ignorò continuando a fissare la donna. -Non voglio
problemi.-
-E’ la tua riserva di caccia personale,
liebling?- La donna accarezzò il viso del suo compagno con un dito.
Una traccia di sangue apparve e lei portò alla bocca il dito succhiandolo
oscenamente.
Michelle sentì rivoltarsi lo stomaco mentre accanto a lei Ronnie
sussurrava:- Gesù, Giuseppe e Maria…-
-Pensa quello che vuoi. Il locale mi piace. E’ tranquillo e voglio che
rimanga tale. Dillo anche agli altri, questo.-
-Chi ti dice che ci siano degli altri?- Il tono sempre indolente ma la
postura del corpo era cambiata, più tesa, e anche i due compagni dovettero
avvertire qualcosa perché si concentrarono sullo Sconosciuto.
-Ce ne sono sempre di quelli come te.-
-Quelli come me, liebling?-
Il Principe si strinse nelle spalle, un movimento casuale, le mani ancora
nelle tasche del giaccone scuro.
-Abbastanza forte da trasformare due cadaveri freschi. Non abbastanza furba
da capire quando è il momento di ritirarsi.-
-Fammelo spezzare, baby.- Uno dei due, Bobby, non aveva gradito il lampo di
indecisione nello sguardo della donna.
-Te lo sbudello e poi ti regalo il cuore come
souvenir.-
Il Principe rise, una bella risata, maschia, aperta.
Completamente insultante.
-E’ proprio vero che la stupidità non conosce limiti. Neppure quello della
Morte.- In un batter d’occhio fu accanto all’aggressore di Michelle.-
Vediamo di capirci….un cuore come questo?-
E Michelle ebbe solo un attimo per vedere lo sguardo di sorpresa del
coglione che l’aveva aggredita e qualcosa di
rosso colare dal pugno del Principe
prima che tutto si sbriciolasse davanti a lei.
E diventasse polvere.
-Oh, merda!-, esclamò l’altro con lo sguardo spalancato ed incredulo dei
bambini che vengono picchiati per la prima volta dai genitori. -Gli ha fatto
un buco nel petto, hai visto? Gli ha
strappato il cuore.-
Non lo fanno tutti gli uomini prima o poi?,
si chiese Michelle stolidamente, mentre in sottofondo sentiva Ronnie
respirare pesantemente e l’odore acre della sua paura impregnare l’aria.
La donna aveva perso la sua aria sfacciata e si umettava nervosamente le
labbra, gli occhi rivolti verso il basso e un atteggiamento sottomesso.
-Perdonaci. Non sapevamo che tu fossi qui. Lo dirò agli altri.-
Lo sconosciuto si limitò a fissare la testa reclinata e lo sguardo attonito
dell’altro sopravvissuto, rimasto a bocca aperta durante lo scambio,
spiazzato probabilmente dal nuovo sviluppo degli eventi.
Sorpresa, sorpresa Coglione. Hai appena
scoperto di non essere al vertice della catena alimentare. Michelle
dovette dominare l’impulso di ridere istericamente.
Non era proprio il caso, ora.
-Fuori.- Il Principe voltò loro le spalle e si risiedette al tavolo.
Come se non fosse successo nulla.
Sulla porta l’altra indugiò.- Master,
quando passerò il messaggio agli altri..che nome devo dire?-
La pausa durò alcuni battiti del cuore di Michelle.
-Angelus.- Un soffio.
E Michelle vide il terrore puro negli occhi della donna.
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Cosa si dice in questi casi?
Grazie di averlo sventrato mi era antipatico e, già che ci siamo, vorrei
supplicarti di non fare altrettanto con me?-
Allontanati da lui.- Ronnie la prese per il braccio ma Michelle si liberò
dalla sua stretta.
-Non essere stupido. Se avesse voluto farci del male, pensi che saremmo
ancora qui?- Il commento le valse un’occhiata indagatrice da parte del loro
inquietante salvatore e un sospiro da parte del barista.
-Ho sempre pensato che tu fossi pazza. Ora ne ho la prova.- Ronnie si passò
una mano sul volto.- Cristo, ho voglia di bere. Qualcosa di forte,
possibilmente. E con del Valium sul
fondo.-
-Fallo per due.-
-Forse dovrei sbarrare l’ingresso. Cioè se quei due dovessero ritornare…-
-Non ritorneranno.- La voce del Principe conteneva una nota definitiva. –Lei
non è stupida e pensa per entrambi.- Sembrò soppesare Ronnie. – Ma nel caso
qualcuno come loro si rifacesse vivo..- Da una delle tasche del giaccone
tirò fuori un oggetto lungo ed appuntito e, avvicinandosi, lo posò sul
bancone. Dopo qualche istante di esitazione il barista lo prese in mano
soppesandolo.- Un paletto?-
L’altro curvò le labbra versò l’alto al tono di incredulità. -Nel cuore.
Un classico. Altrimenti fuoco o
decapitazione. Sospetto però sia difficile
tenere un lanciafiamme sotto il bancone e farlo passare per un
accendino.-
-Amico, quasi quasi ti preferivo silenzioso e scostante.- Prese un respiro
profondo. – Dimmi solo una cosa. Mi devo aspettare altre visite come
quella?- Michelle apprezzò il fatto che l’altro non rispondesse
immediatamente.
–Non credo.- Rispose lentamente.-Sanno che sono qui ed ora sanno chi sono.-
Le implicazioni di quello che il Principe NON disse riportarono una patina
di sudore freddo sulla fronte stempiata di Ronnie e Michelle sentì
nuovamente un dito gelido ed immateriale accarezzarle la spina dorsale.
-Devi avere un diavolo di reputazione, amico. Quelle
cose…-
-Vampiri.-
Michelle inspirò profondamente.
Lo sconosciuto si allontanò dal bancone e si risiedette al suo tavolo e la
scena assunse una strana, irreale domesticità.
Il tono del Principe era vuoto ora. – Vampiri. E’ quello che sono. Demoni
senza coscienza e pietà. Sono più forti degli uomini. Più resistenti. Non
hanno paura di niente e di nessuno. Mostri.-
-Come mai siamo ancora vivi, allora?- Michelle si ritrovò a parlare prima di
rendersene conto.
Il nero degli occhi dello Sconosciuto si fece più sfocato per far posto a
schegge d’oro e d’ambra che invasero l’iride e Michelle sentì confusamente
un fruscio secco come di foglie calpestate o di rametti spezzati e la
pesante bestemmia del barista.
Gli occhi della belva, incorniciati da un volto non più umano, non
abbandonarono i suoi neppure un istante.
-Perché esistono cose peggiori. Ed io sono una di quelle.-
Ronnie deglutì.
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Nei giorni successivi nulla cambiò nella routine dello Stonewall.
O tutto, ma questo dipendeva dai punti di vista.
Lupe era in città. Lupe era venuta a trovarla allo Stonewall e Lupe si era
leccata le labbra quando aveva visto LUI.
Era partita in quarta, nonostante Michelle avesse tentato di avvertirla.
Ma Lupe era un bambina, sarebbe sempre rimasta tale, una bambina con la
quinta di reggiseno ed un corpo da cartone animato, larga di fianchi ed
allettante come una mela, capace di attirare chiunque con una semplice
strizzatina d’occhio.
-Se non è un finocchio e non è uno sbirro, forse vuole una bella puledra. E
cazzo, da quel cowboy mi farei montare
tutta la notte!-, aveva concluso ancheggiando mollemente verso la sua
preda.
Per poi ritornare al tavolo da Michelle e Babette con una strana espressione
sul volto.
Confusione.
Perché lo sconosciuto non l’aveva rifiutata o snobbata ma improvvisamente,
fissandolo negli occhi, come avrebbe poi ripetuto a Michelle una volta
tornate a casa, Lupe aveva pensato che se
l’avesse toccato una volta non era più certa che avrebbe poi potuto smettere
di toccarlo. Pensieri più grandi di lei sembravano lottare per
trovare una via d’uscita e rivestirsi di parole.
Si era chiesta – aveva continuato a
parlare lentamente, in un raro guizzo di profondità-
se non doveva almeno BUSSARE prima.
Fu una frase che rimase impressa nella mente di Michelle, quando la sera
successiva salutò il non-più-sconosciuto con un cenno della mano.
Il sorriso luminoso di lui si ritrasse con la stessa repentinità con cui era
apparso oltre le linee severe del suo carcere.
Ma c’era stato.
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C’era la solita trafila di gente che andava e veniva, i poliziotti
continuavano ad infestare il locale ma dopo una bottiglia, due pompini ed
una mazzetta da duecento dollari erano più che felici di lasciare questa
Sodoma di terz’ordine alle cure di un’Entità Superiore.
Dio o la fottuta commissione Municipale che controllava le licenze dei
locali, probabilmente.
Michelle continuava a vivere, lavorare, piangere nelle pause caffè
ripensando a Randy, portarsi a casa qualche gatto randagio che la mattina
dopo scompariva lasciandole un po’ di spiccioli sul tavolo del cucinino ed
un odore differente sulle lenzuola.
Ma ora tutto le appariva, sfocato come visto attraverso un vetro oppure
sotto la superficie dell’acqua dove i rumori sono attutiti e le immagini
distorte.
Il Principe era ritornato alla sua apparente incomunicabilità, Ronnie a
servire cocktail con l’ombrellino a
pelosi camionisti di mezza età e Michelle pregava ogni notte di poter
rimanere così, con i pensieri confusi e la testa ovattata piena della
novocaina più pura.
Contenta di non vivere i vari, infelici, patetici aspetti della sua
esistenza ma di passarci solo attraverso.
Come un fantasma.
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Si sorprendeva talvolta a studiarlo, ad osservarlo con una concentrazione
che non aveva nulla di sessuale, come un dipinto astratto che si vuole
imparare a conoscere.
Era tutto ciò che lei aveva immaginato nella persona che attendeva con ansia
di conoscere da una vita.
Era tutto ciò che avrebbe voluto essere.
Ma nel frattempo da Michelle si sprigionava una vibrazione, un’energia che,
col passare dei giorni, si trasformò in una collera, malsana, continua
solitaria, che si comunicava immediatamente al suo pubblico, avventori,
amici, marchette di una notte.
Il piacere giungeva solitario e violento e i sogni erano popolati di occhi
dorati e muschio.
-Si sta meglio?-
Il vampiro sollevò lo sguardo dalla bottiglia.
-Come sei tu….intendo è meglio?-
Il liquido ambrato del bicchiere roteava lentamente, in larghi cerchi
ipnotici.
-Abbiamo il potere. Siamo immortali. Ed eterni. Possiamo fare tutto quello
che vogliamo. Sfidiamo continuamente le leggi degli Uomini e di Dio.-
-Se è così fantastico essere un vampiro perché non ti vedo sulle pagine di
Newsweek a fare proselitismo?-
Il dolore aveva un colore, scoprì lei, fissandolo negli occhi.
Caramello e cioccolato.
-Perché darei tutto quello che possiedo per poter ricordare solo una volta
il ritmo del mio respiro.-
Quella notte Michelle buttò il Seconal e le lamette nella spazzatura.
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Greenwich Village. 27 giugno.
L’umidità ammantava New York. Le ondate di caldo conferivano un aspetto
malsano alle strade dove l’asfalto sembrava sciogliersi come i copertoni
delle gomme.
Persino le pale del condizionatore del locale giravano più lentamente,
schiacciate dalla calura incessante.
E lo Sconosciuto, Angel, come aveva detto di volersi far chiamare, indossava
ancora quel giaccone pesante.
-Dovresti girare con un cartello: “Sono strano, guardatemi.” appeso al
collo. Daresti meno nell’occhio.-, gli sibilò Michelle, roteando gli occhi,
allo sguardo di assolutà incomprensione che l’altro le lanciò.
Creatura soprannaturale e misteriosa con
ovvi problemi di stupidità.
-Accadrà qualcosa stanotte.-
Perfetto.
Ci mancava pure questo.
-Hai avuto qualche premonizione o visione o che so io?-
Chissà quali straordinari poteri doveva possedere….
-
Ho visto molte auto della polizia per le strade.-
….tra cui ovviamente una vista normale e
l’INCREDIBILE capacità di guardarsi in giro.
Michelle scosse la testa sorridendo amaramente.
-Significa che avremo più lavoro da fare. Talvolta penso che avrei dovuto
prendere i voti. Passo metà della mia vita
in ginocchio.-
Il vampiro le scoccò un’occhiata strana.
-Perché?-
Lo fissò, confusa. -Perché cosa?-
-Perché accetti di farlo?-
L’inquietudine, la rabbia si cristallizzarono, diventando una cosa viva e
Michelle ebbe finalmente uno scopo.
La sua voce è sabbia. Ruvida ed abrasiva.
-Forse è quello che mi merito. Forse è questo il motivo per cui sono così,
come continuano a ripetermi. Sbagliata.
Come te del resto, giusto?-
E’ un impulso suicida ma ora non riusciva a fermarsi. -Invece di startene
qui potresti andare in giro a fare qualcosa. Salvare gattini su alberi,
catturare criminali o intrattenere al Bingo vecchiette. Invece non fai un
cazzo. E non tutti i bar hanno il loro buttafuori-vampiro, giusto? Negli
altri locali quelli entrano tranquillamente e la frase “offre la casa”
assume tutto un altro significato, non è vero?-
Avanti. pensò Michelle, sentendo
scricchiolare pericolosamente il bicchiere.
Prova a te ed a me che ho ragione.
Il vampiro si immobilizzò completamente.
Michelle non ha mai avuto tanta paura nella sua vita.
Le parole uscirono pesanti come pietre. –La gente non vuole essere salvata.
Io ci ho provato. E ne ho ricavato…- La voce si affievolì.
-Ed hai rinunciato dopo la prima volta. Cristo,- Michelle scosse la testa
pesantemente, la collera evaporata completamente, -sei più
morto di quanto tu ti renda conto.-
Buttò giù d’un fiato la sua vodka.- E forse hai ragione tu. Non ne vale la
pena.-
Nel modo in cui l’altro prese la bottiglia Michelle lesse una misteriosa
brutalità.
Ebbe la ridicola sensazione di averlo irritato più con la sua acquiescenza
che con l’attacco di poco prima.
Voltandosi con la coda dell’occhio vide Babette, che le fece un cenno.
E sentì le sirene.
Cazzo.
La coppia di poliziotti entrò con aria indolente, roteando i manganelli e
gettando un’occhiata distratta agli avventori. Il più anziano rimase al
centro della stanza mentre il compagno più giovane si guardava in giro con
aria schifata.
-Stasera è la vostra serata fortunata, Signori. Scomparite da questa topaia
mentre noi facciamo un po’ di pulizia. Tu, tu e tu…- indicando anche
Michelle, -vi farete un viaggetto in Centrale.- Poi si diresse da Ronnie a
battere cassa.
Mentre i clienti si affrettarono ad uscire, sentì una mano sulla spalla.
-Andrai?-
Una strana calma discese su di lei. –Non credo.- Sorrise ironica. -Stasera è
la serata dedicata alla pulizia del viso.-
E mentre lo disse si sentì libera per la prima volta da…sempre.
-Io devo andare.-
-Dove?- Ma già conosceva la risposta.
Il sorriso era nella voce di lui, ora.-
Qualcuno mi ha fatto notare che ci sono moltissimi alberi infestati
di gattini.-
Quando lei si voltò lui non era più lì.
In lontananza Michelle sentì il rombo di un tuono.
Il vento stava cambiando.
Fine
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