Dedica semi-seria: A tutti i beta-reader e a tutti quelli che pensano prima di scrivere.

                                 E correggono dopo aver scritto.       Grazie.

Disclaimer: I personaggi appartengono al loro creatore.

Nota: Sequel di 'Sogno di una notte di piena estate'.

                                                                                Perché, prima o poi, ci si sveglia.


 

Stelle ritagliate

di N

 

Lasciami dormire ancora

Lasciami sognare ancora

Lasciami soffrire ancora

Che non so dire se sto male.

Lasciami dormire - Negrita

 

Mi infilo piano la giacca, socchiudendo gli occhi, come per scacciare il mal di testa che mi sta intontendo. È tardi, fuori è già buio.

Le luci dello spogliatoio mi paiono troppo forti per affrontarle, quindi mi precipito stancamente fuori, con il borsone su una spalla.

Fuori è freddo, la sera è calata e nasconde con il buio l’autunno.

L’aria mi ritempra per alcuni secondi e riesco ad aprire un poco di più gli occhi.

Ci sono mille luci che risaltano in maniera troppo vivida per essere vere. Il buio è qualcosa di falso, blu cupo e avvolgente interrotto dalla vita della città.

Mi sgranchisco i muscoli del collo e nel farlo alzo gli occhi al cielo. Non vedo le stelle.

Offuscate dalle troppe che splendono qui.

Mi incammino piano, non pensando a nulla, desideroso solo di una doccia e di un pasto caldo. Magari di un letto e di una lunga dormita.

Mi ricordo di aver lasciato la maglietta sopra all’armadietto. So che potrei fregarmene e prenderla domani, ma.

Ma in fondo voglio restare in questo limbo che mi permette di non essere me. Quindi mi volto e ritorno sui miei passi, mentre il pulsare della mia testa scandisce il tempo.

È una bella sera autunnale, in fondo.

I colori splendenti, il blu non così nero. La gente che passa e vive accanto a me.

Vedo già l’entrata dello Shohoku. E vedo Ru.

Mi scappa un mezzo sorriso stanco, mentre i miei occhi percorrono la sua figura, nascosta dalla poca illuminazione notturna. Come se non la conoscessi già.

Come se non potessi ricostruirla millimetro per millimetro nella mia mente, se solo chiudessi gli occhi.

Come se non sentissi il suo profumo, semplicemente ricordando il suo nome.

Ora ho voglia di stare un po’ con lui. Come mi è capitato spesso, in questi ultimi mesi. Stare con lui e non discutere. Stare con lui fuori da tutto quello che è il nostro solito noi.

Stare con lui e osservare mentre guarda la gente passare, le vetrine, le scarpe da basket. Sento che potrebbe passarmi il mal di testa.

Mentre mi avvicino, vedo arrivare un’altra figura di corsa. La vedo avvicinarsi a lui, sfiorarla con il proprio alito caldo mentre lo saluta.

Mitsui.

Rimango un poco imbambolato, come se stessi guardando un film di cui non capisco una scena.

“Scusa il ritardo! Mi sono dovuto trattenere ai corsi più del previsto! È molto che aspetti?”

“no. Tranquillo”. La sua voce è pacata. Come solo una volta l’ho sentita.

“bene! –sorride l’altro- Andiamo! Ti offro la cena!” e lo prende scherzosamente per un braccio e lo spinge ad incamminarsi. Sfiorandogli per un istante la guancia con le labbra. Lui pare esitare un attimo, come sorpreso in un momento assorto e lontano, poi lo segue.

 

Il mal di testa mi offusca la scena. Ora voglio solo perdermi nella sera.

 

Cammino senza meta, mentre nella mia testa si alternano urla e silenzio attonito.

Lui…

Lui è mio! Se Mitsui solo osa avvicinarsi ancora.. gli spacco il muso, a quello! Che diavolo è preso alla Kitsune? Come diavolo può permettergli di respirare la sua stessa aria da così vicino?

Cosa diavolo c’entra Mitsui? Cosa diavolo vuole da lui? Io lo uccido!

 

Magari.. non è come credo. Magari è che il senpai è più affettuoso con tutti, fuori dalla scuola. In fondo, tutti siamo un po’ diversi una volta usciti di lì, no?

Magari stanno solo andando a scegliere un regalo per qualcun altro e Mitsui ha chiesto a Ru un parere, perché è una cosa riguardante il basket…

 

Ma so già che mi sto mentendo. Di nuovo il mal di testa. Di nuovo questo senso di limbo. Sono arrabbiato e allo stesso tempo non provo nulla. Come se me lo aspettassi. Come se l’avessi sempre aspettato.

In realtà l’ho scelto. Scelto dal primo momento in cui ho avuto la consapevolezza di poter stringere qualcosa tra le mani e l’ho lasciata. Per paura di bruciarmi. Per paura di volerla troppo.

O, semplicemente, perché era una stella troppo luminosa per me.

 

Mi ritrovo su un dondolo. Il dondolo in cui Ryota mi ha confessato l’amore per Aya, quello dove ho passato alcuni dei momenti migliori degli ultimi mesi.

Guardo avanti, fisso.

Il sedile al mio fianco viene smosso.

“’Ao.”

Volto piano la testa e sfioro la sua pelle con lo sguardo.

“Ciao.” Dico piano. E poi inizio a dondolare.

Non parlare. Non parlare. Non parlare e lasciami dormire ancora. Lasciami sognare.

“Stasera sono uscito con Mitsui.”

Lasciami dormire.

“E lo sai. Ti ho visto.”

Lasciami sognare. Lasciami.

“E non era la prima volta.”

Non sei mai stato un Kitsune clemente, tu. Solo una volta hai finto di rispettare il mio volere, veramente. Ma era stato solo perché ancora non sapevi nemmeno tu, bene, cosa volessi.

E poi l’hai saputo, oh se l’hai saputo.

Sono io che ancora mi perdo in questo limbo. Che mi perdevo. Di nuovo ci hai pensato tu a sbattermi davanti alle scelte. Tu. Ti dovrei odiare per questo.

Anche per questo.

 

“Gli piaccio.”

Mi volto a guardarlo. Ma non negli occhi, no. In un punto indefinito dove il candore della sua pelle mi sembra in un certo modo rassicurante. Semplicemente perché non pare reale.

Una domanda muta -che non ha voglia né coraggio di uscire- resta tra noi.

Lui si volta e inizia a dondolare in modo asincrono rispetto al mio. Non riusciremo mai ad essere nello stesso secondo nello stesso posto, vero?

“è simpatico. E mi trovo bene con lui. Anche se.

Ci uscirò ancora.”

E il silenzio ancora ci culla. E ci divide.

“Bene. Mi fa piacere.”

È tutto quello che riesco a dire. Tutto quello che devo dire.

So di averti fatto male. Lo so, perché ne ho fatto pure a me. Ma non ci riesco.

“Ok. Volevo solo dirti questo.” alza le spalle, ma resta lì a dondolare.

Il brivido che corre lungo la mia schiena è di paura e riconoscimento insieme.

“Io non ti aspetterò più. Avevi ragione tu. Non era possibile. Non poteva essere. Contento? Mi hai sconfitto.”

Sconfitto? Ti ho sconfitto?

No. Ho solo deciso di essere il mio personaggio. Non volevo sconfiggerti. Non volevo…

Avrei voluto solo te, se avessi potuto. Ma non ho potuto, Kitsune.

Non ti dico tutto questo. Perché lo sai e perché vedrei solo la rabbia nei tuoi occhi. E quella potrò vederla ancora spesso. È questo colore, che si confonde nella notte, che mi mancherà. Il colore dei tuoi occhi pieni di cose che ancora non so definire. Che non saprò mai definire. Che non vorrò mai definire, perché definirle sarebbe solo tentare di afferrarle, non riuscendoci.

 

“Hana, io.” Ma si blocca. Perché non sa cosa dire. Perché non c’è più nulla da dire. Non c’è mai stato. O forse sì. Ma non sono parole che dovrebbe pronunciare lui, quelle che potrebbero cambiare qualcosa.

E mi accorgo che mi ha chiamato per nome, come poche volte è accaduto. E io invece non l’ho mai chiamato con il suo nome proprio. Altra cosa che non sono mai riuscito a fare. Tensai degli incapaci.

“In bocca al lupo, Kitsune.”

Mi limito a rispondere, per poi voltarmi, a contemplare il paesaggio buio di un giardinetto d’autunno deserto.

Lo sento alzarsi. Se ne sta andando. È finita. Lasciatemi dormire.

È finita. Lasciatemi sognare ancora.

“Mi dispiace.” È la mia voce, questa? Continuo a guardare la notte attorno a me e sento la sua schiena irrigidirsi.

“Mi dispiace non essere mai riuscito a chiamarti con il tuo nome. Mi dispiace non essere mai riuscito a. … Vorrei solo continuare a dormire e a sognare. Ma non si può, vero? Vorrei solo … sognarti e potermi svegliare al mattino e continuare a saperti…

ma sarebbe troppo doloroso.

Scusa.”

Non credo abbia capito quello che volevo dirgli. Non l’ho capito nemmeno io. Ma so che vorrei restare su questa altalena per sempre ed ho paura di farlo.

“mi piacerebbe tornare al mare.”

“do’aho. Non è la stagione adatta.”

Già, non è la stagione adatta.

Si riavvicina, lento. Mi guarda, lo sento nonostante io –imperterrito- continui a mantenere lo sguardo ovunque, tranne dove vorrei che fosse.

La sua presenza al mio fianco è come ali di farfalle. Mi sfiora con un dito la guancia gelata. E finalmente ritrovo il mio coraggio e lo guardo.

“Dillo ora.”

Respiro e chiudo gli occhi.

E quando li riapro decido per entrambi. Perché solo io lo posso veramente fare.

“Sii felice con Mitsui, Kaede.”

I suoi occhi si allargano un poco e la notte vi si perde dentro. Poi si abbassa e mi sfiora le labbra.

Il nostro secondo bacio. Il nostro secondo addio.

“Ciao” mi sussurra sulle labbra.

“Addio” gli rispondo io. E se ne va senza mai guardarsi indietro.

 

Rimango lì a dondolare. Poi la stanchezza è troppa per continuare a non pensare e mi accorgo che è molto tardi. Che devo tornare a casa. Che devo tornare ad essere il Tensai.

Stanco, mi avvio.

Devo tornare, sentire mia madre sgridarmi per l’ora, cenare….

Solo due ore più tardi riesco di nuovo ad essere solo. Intontito, accendo il computer e scarico la posta. Leggo i messaggi con un occhio chiuso dal sonno. Fino all’ultimo.

 

Quando non sarai più parte di me, ritaglierò dal tuo ricordo tante piccole stelline, allora il cielo sarà così bello che tutto il mondo si innamorerà della notte.
                             (William Shakespeare)

 

 

Guardo fuori, ma il cielo è solo scuro. Spengo tutto e mi getto sul letto.

E mentre mi ritrovo a fissare il soffitto, penso. Ai tuoi occhi, alle tue mani.

Alla tua assenza.

E che domani andrò a comprare delle stelle da attaccare al soffitto.

 

Buona notte Kaede, lasciami dormire. Questo posso farlo. Potrò sempre farlo.

Potrò dormire. E sognarti.

 

Owari

 

 

Thanks to: Elyxyz


 

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