STELLA DEL NORD
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PARTE: 17/18

AUTORE: Dhely

SERIE: Xmen con notevoli variazioni sul tema
. Spero che tutto sia sufficientemente comprensibile anche a chi non ha mai seguito i fumetti


RATING: questo capitolo non è un gran chè… solo quel pizzichino di angst che non posso non metterci!

NOTE: i pg non sono miei ma li amo tutti, uno per uno,  anche se appartengono alla perfidissima signora Marvel - la quale, ovviamente, non mi passa mezzo cent. per scrivere questa roba-. I pairing, le coppie, il passato di questi tizi è stato manipolato e/o mezzo inventato per riuscire a tirare in piedi una trama decente, anche se ho cercato di non cambiare troppo 'cio' che è stato'.

NOTE 2: chiunque abbia bisogno di maggiori informazioni sui pg trattati in questa fic, può tranquillamente chiedere a me, o consultare uno dei tremila siti di continuità Marvel per comprendere che è tutto un gran casino e che è forse meglio chiedere a *me* così vi dico solo le cose che potrebbero essere utili per capire di *chi* sto parlando! (adoro essere modesta.)

 

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Aveva pianificato, pensato studiato. Aveva adottato tutte le misure possibili. S’era impegnato a fondo.

 

Non era bastato.

 

Non bastava mai.

 

Pietro si concesse il lusso di premere col dorso delle mani, con forza, sulle palpebre chiuse fino a che non vide scintille chiare nel suo campo visivo.

 

La stanchezza, lo stress, il dolore, la fatica era tutte cose che sapeva gestire bene. L’inadeguatezza mai.

 

Eppure essa era sempre lì a tormentarlo, a rovinargli la vita, a rendergli l’esistenza un inferno.

 

Non bastava *mai*.

 

Non amava assumere il ruolo di vittima, o tanto meno piangersi addosso: in tutto quello che era capitato non era *lui* la vittima. Lui era solo quello che non era riuscito a difendere chi aveva avuto bisogno di lui. Lui era quello che aveva guardato la vittima, impotente, e non era riuscito a muovere un solo passo, a fare un solo gesto che fosse realmente utile.

 

L’attentato non c’era stato ma non perché lui era stato all’altezza e l’aveva sventato. No. Avevano scelto un'altra data, avevano optato per un’altra soluzione, più terribile. Avevano deciso che farli vivere nell’ansia fosse più producente secondo i loro piani. Probabilmente avevano visto giusto.

 

Ora i suoi ordini erano chiari: ritornare alla base. Il suo compito lì in quella scuola era finito. Era stato mandato come esperto e consulente anti terrorismo, si presumeva che avesse attivato tutti i sistemi di sicurezza e che qualcuno avesse imparato da lui. La sua presenza non era dunque più indispensabile.

 

Forse non lo era mai stata.

 

Un ghigno amaro gli solcò il viso guardandosi le mani ricoperta dalla pelle nera dei suoi guanti, ricordando cosa significavano, il motivo per cui li portava.

 

Per quanto facesse, per quanto lottasse e si dibattesse sembrava non bastare mai. Il suo passato lo seguiva come un cane da fiuto, in esso vi era avviluppato dentro come se vi fosse legato da una maledizione.

 

Pietro *voleva* a tutti i costi non essere una vittima. Voleva essere l’artefice e l’unico responsabile del suo destino, ma quello era un desiderio sciocco. Nessuno può crearsi dal nulla. E Pietro si sentiva sulle spalle qualcosa di troppo grande che lo schiacciava giù, che lo annientava e niente aveva più senso, oltre a quello.

 

Si sentiva soffocare. Sentiva le membra legate, i pensieri obbligati: esisteva qualcosa di lui che fosse libero? Pensò a Luna, sua figlia, e si disse che, almeno, lei non aveva quei mostri da combattere. Ne avrebbe avuti altri, ma sarebbero stati solo suoi, e forse sarebbero stati grandi come lei, e l’avrebbero aiutata a crescere, non obbligata a rimanere imprigionata in un ruolo che non poteva essere suo. Avrebbe dato tutto perché Luna potesse essere libera, e se la sua inadeguatezza, il suo continuo combattere contro i mulini a vento fosse servito almeno in parte a quello, allora era da ritenersi fortunato.

 

Nonostante tutto c’era una parte di sé, della sua vita, che sarebbe stata libera dall’incantesimo ed era disposto a pagarne il prezzo, non importava quanto alto fosse.

 

Scosse il capo, sospirò. Lo sentì arrivare ma non fuggì perché non poteva, non doveva fuggire. Non era un vigliacco. Non aveva nulla da dirgli.

 

Sollevò il viso in modo che la luce proveniente da fuori lo colpisse in pieno, rendesse gli occhi chiari lucidi come ghiacciai innevati e i capelli sembrassero neve. Una neve che non era data dagli anni, e la saggezza era lontana a venire. Ma non aveva paura. Logan poteva odiarlo, ma Pietro non aveva paura di incontrarlo. Non aveva paura di essere ciò che era.

 

Un ringhio.

 

“Sei ancora qui? Non te ne sei ancora andato a essere inutile da qualche altra parte?”

 

S’era anche sforzato d’essere gentile. Pietro sapeva riconoscere l’impegno altrui quando lo incontrava. Gli rispose con una stretta nelle spalle.

 

“Fra un paio di giorni.”

 

Erano gli ordini.

 

La luna scintillò sugli artigli sfoderati. Sentiva il gelo provenire da essi esattamente come percepiva il marchio di calore del corpo di Logan vicino al suo. Più basso di lui ma più forte. Furioso.

 

Se tocchi Northstar sei morto!”

 

Fu preso alla sprovvista, realmente. Pietro corrugò la fronte. Northstar? Jean Paul? E cosa mai centrava lui con il canadese? Avevano lavorato insieme, ma non in maniera tale da mettere in pericolo al sua posizione alla scuola. Era solo una soluzione di comodo, transitoria e poco utile. Anche se aveva un suo senso.

 

Si ritrovò a sorridere, ferino, nonostante le armi che aveva puntate alla gola e quella belva a pochi centimetri da sé, pronta a colpire per strappargli il cuore.

 

“Non ho intenzione di vederlo, figurati se ve lo tocco!”

 

Il rumore sordo degli artigli che si ritraevano rimbombarono nel silenzio intorno a loro.

 

“Vedremo.” grugnì Logan.

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Jean Paul si chiese fra i denti perché mai si era ficcato in quella dannata storia. Non era da lui fare il pacificatore di faccende di cuore. Lui non ne sapeva *nulla* di faccende di cuore!

 

Scopare era un conto.

 

Flirtare spudoratamente, o meno, conquistare, desiderare, imbrogliare, ok, erano tutte cose che poteva fare. Ma Robert era innamorato e questo rendeva tutto… inconcepibile. Assurdo. Ridicolo.

 

Lui a cercare di sistemare una situazione seria… ci rifletté un poco e gli venne da ridere. Robert doveva essere disperato se mandava lui.

 

E lui doveva essere proprio in un periodo nero per accettare!

 

Prese un respiro e maledì la sua incapacità di intuire, settimane addietro, che quella situazione non poteva portare a nulla di buono e spedì all’inferno il suo dannato cuore, cinico e bastardo finché si voleva, ma che si scioglieva come il gelato fuori dal frigo davanti a un paio di occhioni da cucciolo stile: o fai qualcosa o mi butto giù dal primo dirupo che trovo.

 

Mannaggia a Robert!

 

Bussò, si passò una mano fra i capelli e, senza aspettare l’invito, spinse la porta.

 

La stanza di Remy era placidamente un caos. In essa non imperava il disordine distratto e allegro di quella di Robert, ma denotava una forte tendenza al ‘vivi e lascia vivere’. Jean Paul arricciò il naso: non si stupiva mai abbastanza da quello che si imparava a guardare il modo in cui viveva una persona.

 

“Che vuoi?- gli occhi rossi lampeggiarono appena appena seccati da dietro una cortina di capelli castani illuminati da forti riflessi color rame. – Non ti hanno insegnato l’educazione, lassù in Canada?”

 

“Posso?”

Arricciò le labbra e intrecciò le labbra sul petto. Attese che Remy lo guardasse, a lungo, che qualcosa si accendesse nel suo sguardo, che la sua mente percorresse infinite volte tutti i pensieri che volesse, gli permise di credere ciò che gli faceva più comodo, ciò che desiderava che fosse. Non aveva fretta.

 

Oui.”

 

Non un gran che come inizio, ma era un qualcosa. Jean Paul si sedette sul letto sfatto, proprio di fronte a Remy, in piedi, appena appoggiato alla scrivania. Il silenzio in quella situazione giocava contro di lui, Jean Paul lo sapeva, ma non dovette escogitare chissà che mossa perché Remy sbottasse.

 

“Sei qui per Bobby?”

 

“Dipende da che intendi. – socchiuse appena gli occhi, sorrise – Se vuoi chiedere se m’ha mandato lui: no. Non sono ambasciatore di nessuno. Se invece vuoi chiedermi se Robert centra in qualche modo, bhè, questa non è una domanda da te. Lo sai che centra, sia con me che con te.

 

Silenzio, il viso di Remy divenne chiuso, inespressivo.

 

“Hai poco da fare in entrambi i casi. Hai saputo cosa mi ha detto Bobby, no? Se non mi vuole non sarò certo io…”

 

Jean Paul rise. Sollevò le gambe sul materasso, incrociandole, poggiandosi le mani sulle ginocchia.

 

“Andiamo, non è per quello che hai mollato, no?! Puoi far fesso chiunque con questa storia ma non *me*. – il sorriso divenne un ghigno, qualcosa di lievemente doloroso ma distante. – L’ho usata troppe volte come scusa per allontanarmi da chi mi stava troppo addosso per non sapere come vanno queste cose. Sbaglio?”

 

Remy fece per rispondere, poi chiuse le labbra di colpo. Distolse gli occhi.

 

Non.”

 

“Se vuoi dirmi qualcosa mi dici la verità altrimenti mi sbatti fuori, Remy. Non mi frega un accidenti di essere ammansito con belle storielle buone per chiunque. Voglio sapere la verità.”

 

E che te ne farai? La userai per consolare Bobby? Non credo che basterà.”

 

Bene. Jean Paul lo aveva aspettato al varco, lo avrebbe aspettato per ore se fosse stato necessario ed ora eccolo: si leccò le labbra. Prendere la mira era un gioco da ragazzi con uno come Remy che gli diceva esattamente dove colpire.

 

“Robert si fa già consolare, e non ha bisogno della verità per godere, lo sai.

 

Giocava sempre a quel gioco, Jean Paul, gli piaceva e gli veniva bene a scommettere su quanto in là si poteva spingere, su quanto poteva premere prima di vedere il sangue sgorgare e la rabbia e … e la *gelosia*. Gli piaceva da matti.

 

Ora la gelosia era lì, dispiegata di fronte ai suoi occhi, incarnata in un Remy suo malgrado furente, le mani lungo i fianchi, le mani strette a pugno. Inghiottì un paio di volte a vuoto prima di riuscire a trovare un’inflessione neutra con cui rispondergli.

 

“E allora *tu* cosa te ne fai?!”

 

“Sono curioso.”

 

Di nuovo, un altro colpo andato a segno. Lo stupore di Remy aprì un varco ulteriore, Jean Paul mosse il capo di scatto  per farsi scivolare dalla fronte una ciocca fastidiosa di capelli. Sexy ed attraente come sempre: Remy poteva rifiutargli qualcosa? O peccava di eccessiva sicurezza?

 

“Curioso? E’ tutto qui?”

 

No, no poteva rifiutargli nulla, lo si capiva dall’inflessione della voce, dallo strano riverbero che si perdeva dietro al cortina scintillante che erano i suoi occhi.

 

“Già. Cosa c’è che non puoi dirmi?”

 

L’altro si scosse.

 

“Nulla, hai visto: è semplicemente finita. Non è così complicato!”

 

“Non ti credo.”

 

“E che mi importa se tu non mi credi?! E’ quello che è successo!”

 

“Pensi che sia uno scemo che non vede e non sente niente Remy? – chinò appena il capo di lato, abbassando il tono di voce, un sussurro da cospiratore, o da amante. Remy lo sapeva: in quell’istante Jean Paul vide che Remy s’era accorto del gioco in cui l’altro l’aveva cacciato, ma era tardi. Non poteva scappare ora come una libellula non può scappare dalla ragnatela. Non poteva negare, perché non sarebbe servito. Non poteva nascondersi perché non c’erano posti dove andare. Non poteva mentire perché Jean Paul sapeva. *Sapeva* e voleva sentirlo dalle sue labbra. – Non sono Robert, io. O il professore. O *Logan*. – rise, appena, nella gola – Non mi serve avere sensi sviluppati o una mente da telepate per sapere cosa ho visto.

 

E cosa hai visto?”

 

“Tu e Warren.”

 

Silenzio.

 

Silenzio: come se un macigno rovinasse sul fragile castello di carte che con tanta dedizione Remy aveva costruito, tutto divenne cenere, e poi nulla. Fino a che non rimasero esposte che le ossa, lo scheletro calcinato dell’anima di Remy. Lì, nudo, di fronte allo sguardo lucido e sprezzante di Jean Paul.

 

Tutto finito. Oppure era l’inizio… era difficile dirlo, ora, col dolore e lo stupore, la vergogna dell’essere esposti e la confusione e quegli occhi piantati addosso senza pietà a strappare via, velo dopo velo, le innumerevoli menzogne con cui s’era protetto.

 

Cosa vuoi saperne, tu.”

 

Una frase buttata lì, senza convinzione. Remy era troppo orgoglioso, non avrebbe mai alzato bandiera bianca così, su due piedi. Non era un nemico che si arrendeva: o moriva o riusciva a fuggire. E forse Jean Paul non voleva nessuna delle due cose.

 

Forse.

 

“Ne so abbastanza per intuire ciò che non viene detto. Ciò che tu non dici e che Warren, probabilmente, non vuole neppure *sapere* in maniera conscia.

 

Lo sguardo di Remy ora era furioso. La rabbia di chi è sul punto di morire e non può fare altro che odiare il suo assassino, senza forza di fare altro. Sviare le tracce non era servito, fingere non era servito. Non era servito niente di ciò che lo aveva tenuto in vita fino a lì.

 

Remy sospirò, sedendosi al fianco di Jean Paul, sconfitto.

 

Che vuoi sapere allora?”

 

“I particolari, ovvio! Non avrai buttato tutto all’aria con Robert solo perché l’angioletto, quando ti eri preso una cotta per lui, non t’aveva degnato d’uno sguardo, vero?!”

 

Di nuovo silenzio. Ma questa volta fu un silenzio colmo d’imbarazzo e stupore.

 

“Te l’ho già detto – mugugnò Remy – che ne vuoi sapere, tu?!”

 

Jean Paul rise.

 

“Sei un emerito idiota!”

 

“Mon dieu! – sbottò irato Remy. Jean Paul vide lampi di furia in quegli occhi così strani e ne fu soddisfatto. Una reazione era qualcosa di positivo, una reazione violenta lasciava supporre un interesse, quella reazione poteva portare a qualcosa di buono. Anche perché i pensieri di Remy parevano aver preso del tutto una piega inaspettata. – Sei per caso cieco? Hai visto Warren?! Mister Miliardo?! Bello, biondo e con le *ali* che definirlo un angelo è riduttivo?! Sbatte per sbaglio una palpebra e si trova tra i piedi una decina di creature innamorate di lui! E’ successo con *me*, e a me non piaceva per niente! Giuro! L’hai visto?! Quello snob arrogante schifoso… bhè, a me *non* piaceva e mi ha fatto girare come una trottola per mesi prima di… ma sì, che importa, se non lo sai già lo verresti a sapere comunque! – si passò una mano fra i capelli, nervoso, scuotendo il capo - Remy qui, Remy là, e io mi sentivo un adolescente alla mia prima cotta. Ero fuori, ma di brutto, e Warren, impassibile, che sorrideva, e passava oltre. Buttava l’amo e poi faceva come se niente fosse. Ma proprio come se *niente* fosse! Insomma, non sono proprio cretino! So come vanno certe cose! Un giorno prendo il coraggio a due mani e vado da lui. Gli faccio un discorso di mezz’ora, ero quasi – ma solo *quasi*- pronto a giurargli fedeltà eterna e sai ‘sto stronzo come reagisce?! Non è che mi ride in faccia dicendo che stava scherzando! Non è che mi sputa in un occhio e mi dice: ma figurati se io mi metto con uno schifo come te! No! Mi guarda orripilato, peggio se fossi stato un rospo e mi fa: ‘non sono un deviato come te, io’. Un *deviato*! Io ero un deviato! Non quel … - chiuse gli occhi per non mostrare troppo il suo dolore, strinse i pugni, per trattenere la rabbia. Jean Paul ne sentiva bene la presenza, lì, una bestia viva e palpitante fra di loro – Se ne va, ed io ero felice. Davvero. Non volevo più vederlo. Aveva giocato… ma non era tanto questo, uno può giocare, io lo faccio spesso… ma poi il deviato ero io?! E no, bello! E se ne va impegnato in non so che affare che lo deve far diventare più ricco di quel che è, ed ero dannatamente contento. L’avrei ucciso se me lo fossi trovato tra i piedi… e poi… e poi Bobby, lì lo sai.. – prese un respiro, sembrava tremasse ma forse era solo la foga del racconto – Ma quando l’ho visto tornare ed andare da Bobby e fare il fratello maggiore gentile e comprensivo e dirgli che gli voleva bene e… e tutte quelle stronzate lì io non ci ho visto più…”

 

“Gli hai parlato?”

 

La voce pragmatica di Jean Paul permise a Remy di riprendere fiato, e forse anche di calmarsi un po’.

 

“In parte. Abbiamo parlato di Bobby. O meglio: lui è venuto da me a dirmi di non far soffrire Bobby. Come se lui avesse da insegnare qualcosa sul *non* far soffrire la gente!”

 

Affondò il viso fra le mani prendendo lunghi respiri. Jean Paul gli posò cauto una mano su una spalla. Non era ancora finita, lo sapeva, e lo sentiva, ma non era lì per fare del male a Remy, qualunque cosa poi Remy si fosse sentito di dirgli.

 

“Remy…”

 

Bien! – scattò Remy, serissimo e freddo, una rabbia che, adesso, poteva davvero far male. – Adesso che sai la storia patetica puoi anche andartene! Immagino che ti ci farai due risate con Bobby e gli tirerai su il morale più di quanto…”

 

Piantala di fare l’idiota che sei.”

 

Bastò quello. Forse fu il tono, o il modo. L’espressione del suo viso, il calore della mano sulla spalla o il suo non muoversi. Il suo essere lì, al suo fianco, non intimorito, senza nessuna intenzione di andarsene, senza pietà gratuita sul volto o derisione. Remy non si ricordava che qualcuno fosse mai riuscito a farlo sentire così, in un momento in cui era così fragile… in effetti di solito non si mostrava *mai* fragile.

 

Per paura.

 

Paura di come gli altri avrebbero reagito?

 

Paura delle ferite che avrebbero potuto portargli?

 

Paura di affrontare ciò che faceva davvero male?

 

Remy non lo sapeva ma Jean Paul, in quegli occhi rossi come il peccato vide una parte di se stesso che, forse, poteva essere salvata. Gli sorrise, rassicurante.

 

“Robert ha bisogno solo di una scusa. – Remy sbatté le palpebre, confuso – Puoi raccontargli quel che vuoi, che eri stanco, che avevi paura, che eri in ansia per tua nonna sul letto di morte. Puoi anche non dirgli nulla, a lui non interessa, sai? Lui vuole solo una scusa per riprovarci con te. E credo che anche tu, se non fossi il cerebroleso che sei, dovresti stare mangiandoti le mani per aver lasciato andare uno come Robert.”

 

Ma…”

 

“Per Warren, poi! – rise, mettendosi in piedi – Tu non hai visto con che faccia andava in giro Robert quando ha saputo che *tu* stavi per tornare! Te lo ricordi quando gli hai regalato il furetto? E com’era sempre impacciato quando doveva chiederti qualcosa? E il modo in cui rideva quando c’eri tu? Con Warren non ha mai quell’espressione, o quella risata, te l’assicuro. – scosse un poco il capo passandogli una mano fra i capelli – Robert è un benemerito idiota, proprio come te. Ti sta aspettando. Ti assicuro che per lui, per ora, non c’è nessuno che possa prendere il tuo posto nel suo cuore. Neppure io, figurati quel pollo troppo cresciuto di Warren! Robert è infantile, ma concedigli almeno il buon gusto nello scegliersi gli amanti!”

 

Un sorriso, di nuovo, e Jean Paul pose termine in quel modo al loro contatto fisico. Non era certo di sapere come si trattavano certe faccende, sperava di aver fatto bene. Sapeva di aver fatto tutto il possibile, e questo era già qualcosa.

 

“Non so. Non è così facile…”

 

“Almeno provaci. Lo devi a lui, prima che a te stesso, no?”

 

Remy chiuse gli occhi.

 

Oui. – sospirò piano – Grazie.”

 

E poi si chiese se Jean Paul avesse fatto in tempo ad udirlo o se, invece, come sempre, era già troppo lontano per lui e per tutti loro.

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