STELLA DEL NORD
___
PARTE: 15/18
AUTORE: Dhely
SERIE: Xmen con notevoli variazioni sul tema. Spero
che tutto sia sufficientemente comprensibile anche a chi non ha mai seguito i
fumetti!
RATING: NC-17-V Ricordi di violenze subite in passato,e violenze presenti.
Linguaggio volgare. Temi non proprio gradevoli. Angst un *sacco* di angst. Un
po’ di R. –che razza di spiegazione!!!!!! Chiedo perdono, ma non riesco a fare
meglio di così!-
NOTE: i pg non sono miei ma li amo tutti, uno per
uno, anche se appartengono alla perfidissima signora Marvel
- la quale, ovviamente, non mi passa mezzo cent. per
scrivere questa roba-. I pairing, le coppie, il
passato di questi tizi è stato manipolato e/o mezzo inventato per riuscire a
tirare in piedi una trama decente, anche se ho cercato di non cambiare troppo 'cio' che è stato'.
NOTE 2: chiunque abbia bisogno di maggiori informazioni sui pg
trattati in questa fic, può tranquillamente chiedere
a me, o consultare uno dei tremila siti di continuità Marvel
per comprendere che è tutto un gran casino e che è forse meglio chiedere a *me*
così vi dico solo le cose che potrebbero essere utili per capire di *chi* sto
parlando! (adoro essere modesta.)
___
Eppure.
Jean Paul si voltò per l’ennesima volta nel suo letto, incredulo. Incapace davvero a mettere a fuoco la faccenda. Continuava a intuire provenire da Pietro ondate di sensazioni strane. Idee e pensieri sottili a cui faticava a dare un nome. Forse non c’era alcun nome per essi, e forse non avrebbe colto nulla se non avesse posseduto quel suo potere così strano che lo faceva simile a Pietro.
Forse sarebbe stato meglio mettersi a dormire e piantarla di ossessionarsi con tutti quei pensieri stupidi e senza senso…
Le lenzuola scivolarono delicatamente sulla sua pelle, delle mani a tirarle appena.
“Sei ancora sveglio JP?”
Robert.
Robert che lo aveva aspettato, dopo una giornata snervante, nella sua stanza, in silenzio, il furetto in grembo, seduto alla sua scrivania solo per chiedergli, per favore, se poteva rimanere lì. Per quella notte. Perché non voleva stare solo. Perché faceva *male* stare solo in quel momento e non voleva nulla, se non una vicinanza fisica. Un cuore di cui essere sicuro.
E il piccolo Robert aveva scelto lui.
Forse non sentiva di avere nessuno oltre a lui.
Jean Paul mosse piano una mano fra i suoi capelli castani, morbidi, suscitandogli un pallido sorriso.
“Ho bisogno di poco riposo io, lo sai.”
JP sapeva cosa voleva dire stare soli. *Sentirsi* soli.
Abbandonati.
Senza alcuna speranza.
Calati in un eterno ticchettio che echeggiava lo scorrere del tempo, un flusso che si sarebbe voluto poter fermare, si sarebbe voluto distruggere, annientare, visto che non si poteva orientare in un’altra direzione.
Jean Paul ricordava quando il freddo era dentro il cuore, nelle ossa, nei nervi, nel cuore, più che fuori e la solitudine rimbombava come un buco nel costato, nel cervello. E ci si sentiva nulla. Non solo vuoti e senza senso ma proprio e assolutamente *niente*.
Jean Paul non doveva sforzarsi per ricordare quel particolare periodo della sua vita, durante il quale gli pareva di aver assunto un valore solo in base a chi avesse avuto al fianco. In cui era qualcuno solo quando si poteva confrontare con altri, lottando per non essere sottomesso, disperandosi per imporre la propria esistenza sui desideri altrui. Viveva quei ricordi con una costanza che faceva male, e non c’era alcuno sforzo, da parte sua, a rinfrescarli, a sentirli dentro di nuovo, come se ci fosse appena uscito.
Tremò appena e un sussurro di gratitudine gli sfuggì dalle labbra a sentire Robert appoggiare il capo al suo petto, chiedendo un abbraccio che non dovette attendere.
Cercò di dargli tutto il calore che sapeva. Bastava forse un abbraccio per alleviare il peso di un cuore moribondo? Certo che no, però, forse… forse poteva essere vagamente d’aiuto. Forse poteva servire a non far sprofondare ogni cosa in un infinito, indistinto dolore.
Si sentiva in uno stranissimo stato d’animo, quella notte, Jean Paul. Non solo la pena provata per Robert, ma anche quei dubbi e tutte le domande riguardo a Pietro, che si mischiavano ai ricordi che tornavano, come ogni notte, a fargli visita e poi… poi il peso logorante d’una vita vissuta senza un qualche senso che ora potesse trovare, di cui essere fiero o anche solo conscio. Gli pareva che ad ogni respiro la sua anima si accartocciasse, bruciata da un fuoco che non illuminava, ma di cui bastava il calore per annientava tutto.
E Robert era da lui per chiedergli conforto… un conforto che non sapeva trovare neppure per se stesso…
Se stesso: Robert era disperato e lui non riusciva a far altro che a pensare a se stesso! Si odiava. Avrebbe avuto avere affetto da dare, affetto vero, e quel calore speciale che ti sanno far provare alcune persone con una sola occhiata. Avrebbe voluto sapere, se non consolare, almeno confortare un poco. Invece niente.
Niente.
Pensava, anche ora, a se stesso. E a quella cosa senza nome che si sentiva infissa nel petto, e quelle domande che non avrebbero avuto risposta perché non c’era nessuno a cui avrebbe potuto chiedere…
Pietro.
Era stato addestrato ad analizzare le persone. A guardare i loro movimenti, i loro atteggiamenti per intuirne i pensieri, le sensazioni, per mettere a fuoco ciò che erano davvero. Dopo tutto non aveva fattori rigeneranti, lui, né artigli infrangibili, non poteva manipolare le cariche elettrostatiche dell’atmosfera né leggere i pensieri degli altri. Sapeva solo andare *veloce*, sapeva fare in modo che tutto il mondo gli scorresse davanti agli occhi come al rallentatore, quindi: sapeva analizzare e pensare meglio e prima di chi solitamente lo circondava. Soprattutto aveva molto, moltissimo tempo per *osservare*.
E in quegli ultimi giorni aveva osservato Pietro, oh sì che l’aveva fatto!
L’avrebbe fatto anche se non gli fosse venuto naturale. Anche se troppo spesso la sua vita non fosse dipesa da quello per correre il rischio di non farlo. Però: aveva imparato ad analizzare gli altri per ottenere qualcosa, informazioni da utilizzare in seguito, intuizioni, errori.
Con Pietro non ci riusciva. Lo guardava e non capiva. C’era qualcosa di sottile che non riusciva a cogliere, e non riusciva a creare il puzzle della psicologia che gli stava di fronte. Su Quicksilver non aveva trovato ancora qualcosa di utile. Solo domande che facevano nascere altre domande in un cerchio senza fine. E questo lo metteva in apprensione.
Anzi, era vera e propria ansia.
Sapere è potere. Eppure di Pietro non riusciva a ‘sapere’ niente. Non sapeva che cogliere sensazioni irrazionali, un flusso di … come di energie a cui non sapeva dare nome.
Sintonia?
No, neppure. Era qualcosa di diverso, di sottilmente … alieno. Qualcosa che non aveva mai provato. E anche se poteva convincersi a non considerare l’ovvia attrazione fisica che provava per lui, le cose non mutavano.
Pietro rimaneva un mistero. Un mistero che gli faceva bollire il sangue, che lo mandava in confusione, lui, che aveva fatto della padronanza di sé uno degli scopi della sua vita!
Gli venne da ridere. Una di quelle risate strane che fanno male il cuore inficcandosi con artigli affilati nel petto. Pietro era un mistero di cui non riusciva a venirne a capo. Forse era un bene: quante infatuazioni svanivano al primo tocco di una qualsiasi spiegazione simil-razionale? Ciò che era attrazione fisica stemperava drammaticamente in un gorgo ben più complesso che, in un altro momento, con un altro soggetto, Jean Paul non avrebbe perso neppure mezzo secondo a liquidare, cancellando tutto quello dalla sua vita.
Ci riusciva sempre, lui non era uno di quelli che si fissavano su una persona, su una sensazione, e tanto facevano e dicevano che, prima o poi ne avrebbero avuto l’orgoglio a pezzi, o l’amara conferma di essere stati vittime di una malia senza fondamento. Lui sapeva dominare i propri sentimenti, perché sapeva sempre e perfettamente cosa fossero: attrazione, simpatia, desiderio.
Sempre.
Tranne ora.
Ora che consolava Robert come il cucciolo che era, ma come non aveva mai fatto prima, e come, forse, non avrebbe mai pensato di poter fare. Ora che si preoccupava di come si stavano complicando le cose tra Robert e Remy. Ora che si faceva prendere da una cosa che poteva somigliare all’ansia per dei ragazzini che studiavano in una diavolo di scuola in cui capitava che lui fosse un insegnante. Ora che si sentiva sciogliere di fronte allo sguardo indifferente di Pietro. Ora che … che se Logan l’avesse ascoltato l’avrebbe guardato allucinato, domandandogli cosa avesse mangiato per alteragli in quel modo la sua capacità intellettuale.
Lui, Jean Paul, il cinico. L’arrogante. Lo *stronzo* che non si preoccupava mai di nulla che non fosse se stesso, di nessuno, quello che non si innamorava mai, che si invaghiva a ore alterne di persone diverse e che, di solito, se le portava tutte a letto sommergendole di promesse, giuramenti, frasi zuccherose e ‘ti amerò per tutta la vita’, e ‘sei la luce dei miei occhi’, e ‘non esisterà mai nessuno di più importante di te’, e ‘non posso esistere separato da te’, per poi stancarsi immancabilmente della sceneggiata che lui stesso aveva allestito e sparire per non farsi più vedere.
Neppure una telefonata.
Né un saluto.
Né una spiegazione.
No: lui spariva semplicemente, indifferente a tutto il resto del mondo. Lui poteva fare a meno di tutti quelli che lo circondavano. Lui otteneva ciò che desiderava, spegneva la curiosità, in un modo o nell’altro e basta. Non lasciava mai che le cose diventassero un po’ più complesse, un po’ più profonde.
E adesso era ingarbugliato in quel… disastro da cui non riusciva a uscire. Di cui non capiva *nulla*.
Solo per i begli occhi di Pietro?
Solo per l’espressione dolce e sperduta, e, insieme, colma di dignità di Robert?
Solo per … per Kitty, le sue infinite paranoie, e gli altri ragazzi?
Quello costruito lì, quella scuola, era la realizzazione di un sogno. Il professor Xavier aveva lottato per decenni per arrivare a quello, a dimostrare che si *poteva* convivere, uomini e mutanti, che dei ragazzi potevano essere educati a venir inseriti nella società, che non necessariamente chi nasceva con un qualsiasi potere sarebbe divenuto un criminale, un pericolo per gli altri, o per se stesso.
Charles Xavier aveva lottato per ottenere quello che aveva sognato. E a quel sogno aveva sacrificato tutto. Famiglia, amore, amici, una vita agiata, normalmente agiata, la sua posizione, la tranquillità e chissà che altro.
Jean Paul ora stava lottando per preservare in vita l’incarnazione di un sogno che *non* era il suo. Suonava ridicolo, impossibile. Eppure era lì e non sapeva darsi neppure una mezza spiegazione.
Forse solo perché si era annoiato, di nuovo, della sua vecchia vita.
Forse solo perché voleva provare qualcosa di nuovo, di diverso. Perché, per una volta, voleva fingersi interessato a qualcosa che non gli avrebbe portato un vantaggio diretto. Perché, magari, in quella situazione, avrebbe potuto divertirsi, e …
Non si stava divertendo. E non riusciva ad andarsene.
Forse.
O forse quella volta non aveva voglia di voltare le spalle a una situazione che non gli piaceva, come se non gli interessasse di come potesse andare il mondo senza di lui. Forse, per una volta, gli *interessava* del resto del mondo. E non aveva mai avuto sogni per sé, figurarsi se avesse mai potuto combattere per uno di essi. Ora poteva farlo: non ne era obbligato, gliel’avevano chiesto e non poteva, non voleva negarlo, negarsi. Il sogno di Xavier: non era certo che fosse un sogno ‘giusto’, o ‘degno’. Non credeva che sarebbe mai stato suo, quel sogno di pace e integrazione, quel sogno di tolleranza e di pacatezza, ma era un sogno dignitoso, e pesante da portare. Era una sfida, sì, ma di un’arroganza diversa da quella di cui, di solito, si ammantava.
Sentì il respiro placido di Robert al suo fianco e si trovò a sorridere, scivolando fuori dalle coperte. Aveva bisogno di muoversi, e di stare solo, ma non avrebbe mai abbandonato ora quel ragazzino se non fosse stato più che sicuro di lasciarlo in buone mani. Potevano esserci, per Robert, ora, braccia più confortevoli e confortanti di quelle di Morfeo?
I corridoi erano troppo ampi, visti nella luce pallida della notte che entrava a fiotti dalle vetrate enormi. Fuori il giardino si stendeva placido, appena sfiorato da un alito di vento freddo. Tutto portava a una morbida sensazione di tristezza, e i suoi precedenti pensieri non potevano predisporlo a cose molto diverse.
I pavimenti sgombri e silenziosi, lisci e lucidati a cera sembravano poter rispecchiare i muri chiari su cui la sua silhouette sembrava tremolare appena, come se il mondo che lo circondava non lo riconoscesse parte di sé.
Era vero: stava vivendo all’interno di un sogno che non era il suo. Quanti avevano sacrificato tanto, troppo, per quello? E lui avrebbe dovuto semplicemente stare sulla soglia: quello sarebbe bastato per proteggerlo, non c’era bisogno che ci vivesse dentro. Lui non era nato per stare lì. Non ne aveva alcun diritto.
Jean Paul si guardò intorno, e tutto quello lo faceva sentire vuoto, inutile. Non aveva mai sognato, lui. O, se l’aveva fatto, erano stati sogni destinati a svanire al primo apparire pallido dell’alba. Forse perché non erano sogni che valessero la pena di essere tenuti in vita. O forse perché lui non aveva la forza di dar loro vita. Di tenerli vivi nel volgere dei giorni, delle settimane, delle stagioni e degli anni. Farli vivere, e renderli concreti: aveva la forza, lui, di sacrificare sé stesso per un pensiero? Per una visione? Per un qualcosa che credeva ‘giusto’?
E non importava se quel ‘giusto’ fosse considerato tale da tutti, no. Importava solo che quel sogno avesse affondato le radici nel suo proprio cuore e che lottasse per uscire alla luce. Ma lui aveva un cuore che potesse nutrire una cosa simile? Sapeva sacrificarsi?
Cosa poteva voler dire amare, essere *innamorato* di qualcuno e abbandonare tutto quello per un sogno? Era una follia?
Non lo sapeva.
Se qualcuno gliel’avesse domandato lui avrebbe riso e avrebbe detto che, comunque, innamorarsi era sempre una finzione, era solamente convincersi che ci fosse una persona ‘speciale’ nel mondo, per la quale valesse la pena di soffrire le pene dell’inferno. E ovviamente lui non era così stupido da crederci. Non era così idiota da *provare* un sentimento tanto annichilente. E no, non gli dispiaceva di non averlo mai provato. E no, non ci teneva per nulla. E la gente avrebbe dovuto imparare cosa fosse l’autocontrollo, così forse si sarebbe evitata tanti dolori…
Ma lì, da solo, nel buio, vuoto di una notte che pesava come un macigno, non poteva che accogliere quella domanda e ridargli vita, di nuovo e di nuovo, domandando la stessa cosa a se stesso per mille e mille volte. Non trovava risposta, forse non ce n’era. Era una follia?
Non era forse ancor più folle provare quel sentimento dentro il cuore e insieme, negarsi la felicità che si poteva raggiungere per qualcosa che si considerava ‘giusto’?
Non gli stava simpatico il professor Xavier, per nulla, però lo ammirava. Lui avrebbe mai avuto una forza simile? Lui che non aveva mai sacrificato nulla di se stesso per qualcosa? Lui che…
Lo intuì prima di vederlo. Seppe che era lì prima di accorgersene davvero.
Solo con Pietro gli capitava di essere preso quasi alla sprovvista.
Solo la sua presenza, anche non intuita, dietro un angolo, aveva il potere magico di fargli rotolare il cuore da una parte all’altra della gabbia toracica e di ingarbugliargli i pensieri.
Quella *era* una follia.
Eppure era lì, una sensazione concreta e reale, così come lo era quel corpo che camminava lentamente, salendo le scale che portavano al corridoio centrale della scuola.
Pietro camminava in silenzio verso di lui, le mani infilate pesantemente nelle tasche, una giacca appena appoggiata sulle spalle con una noncuranza tanto attraente che, se fosse stata di un’altra persona, Jean Paul avrebbe pensato fosse costruita.
Ma non Pietro.
Pietro aveva sempre l’espressione di chi fosse tanto concentrato, preso, perso nei suoi propri pensieri, da non dare peso a quello che mostrava di sé all’esterno. Poteva essere una finzione: ma, se lo era, si comportava come il più consumato degli attori.
Rallentò appena il passo, guardandolo a metà fra lo stupito e il dubbioso.
“Ancora in piedi?”
La sua voce suonava un po’ roca, sembrava tesa e stanca. Un paio di ciocche più lunghe delle altre gli scivolavano sul viso, intralciandogli, ogni tanto, lo sguardo azzurrissimo che schioccava sguardi come fossero saette assassine. Ah, quanto avrebbe voluto massaggiargli la schiena, affondati entrambi in una vasca da bagno colma di acqua bollente e schiuma profumata! Bagno schiuma al muschio bianco: un profumo che su di Pietro doveva stare benissimo…
Si concesse un sorriso che doveva somigliare più a un ghigno che ad altro, ma nelle ombre lunghe di quella notte Pietro non l’avrebbe notato, neppure se si fosse dato la pena di preoccuparsi della sua espressione.
“E tu, da dove sei di ritorno? Lavoro?”
Lo vide prendere un respiro più profondo degli altri e fermarsi. Era lì, a pochi passi da lui, e lo fissò con una strana luce sul fondo degli occhi: era così palese che fosse stanco, non poteva stupirsi che non avesse capito che era *stato* da qualche parte, no? Forse rifletté su quello, o forse pensava ad altro, comunque Pietro in risposta si strinse nelle spalle.
“No. Questioni di famiglia.”
Per un attimo fu come se un sole incredibile avesse preso a brillare su loro. Vento fresco, il profumo di risate giovani e di un cuore leggero, una trasformazione radicale del mondo che svanì un istante dopo … Pietro socchiuse gli occhi e Jean Paul rimase sbigottito. Aveva imparato da anni a ‘sentire’ le persone oltre a quello che dicevano con le parole, ma quella sensazione era così strana. Era stato come qualcosa che vibrava sul fondo della voce di Pietro: era un po’ come quando Kitty lo chiamava, ma c’era tutto un universo, dietro, un universo alieno…
Amore?
Era di quello che l’amore vero, quello forte, profondo, deciso, senza scampo, sapeva?
E Pietro era *innamorato*?
… sua moglie …
Che stupido!
Stupido!
Idiota!
Jean Paul si rabbuiò, muovendo un passo indietro, avvolgendosi in un malumore appena nato, terribile e tempestoso. Gelosia, forse… lui che non era mai stato geloso di nessuno! Ma chi diavolo gli dava il diritto di sentirsi geloso della *moglie* di Pietro?! Erano sposati, dopo tutto! Era ovvio che andasse a trovarla, ogni tanto, no?
“Ah sì? – cercò di essere il più leggero e indifferente possibile. Aveva una reputazione da difendere, anche se avrebbe tanto voluto infilarsi in qualche angolo a rompere qualcosa tanto per sfogare la frustrazione in qualcosa che non fosse sterile come piangere – Crystal come sta? L’ho incontrata a …”
Se gli avesse dato un pugno non l’avrebbe sconvolto di più.
Se gli avesse versato una secchiata d’acqua gelata addosso non sarebbe stato più rapido a mordersi la lingua.
Se gli avesse fatto uno sberleffo proprio lì di fronte non ci sarebbe rimasto più di sasso.
Pietro rise.
Una *risata*. Da Pietro.
E no, Pietro non rideva come Robert. Non era un suono pulito, giovane, ma non era neppure una di quelle cose che ti aspetti potesse venire da uno come lui. Era un suono pacato, profondo, che pareva sgorgare da una parte nascosta, che aveva fatto in modo di celare, con cura e costanza. Era un qualcosa che pareva avesse sempre voluto imbavagliare, negare, rifiutare. Eppure ora era lì: una risata onesta, franca. Non era acre, non sapeva di offesa o di scherno.
Era … bellissima.
Pietro si ricompose lentamente, scrollando appena il capo, tentando di aggrottare la fronte. Ma non riusciva a smettere di sorridere.
“No, non Crystal. Luna.”
Luna?
Jean Paul sorrise in risposta, ma il suo era un gesto di *sollievo*. Luna. Sua figlia.
Certo che aveva sentito amore!
Certo che aveva visto orgoglio!
Certo che attaccato a Pietro aveva percepito solamente quelle incredibili vibrazioni positive!
Sua *figlia*. La sua bambina. Il suo *amore*.
Lo sapeva. Lo aveva sentito e ora… ora aveva capito.
Jean Paul si sentiva incredibilmente, schifosamente egoista. Eppure era felice. Sapeva che Pietro e sua moglie s’erano lasciati da anni ma … e sapeva pure che era tutta una sciocchezza, perché se pure aveva lasciato Crystal non voleva dire che Pietro fosse attratto dagli uomini, però era qualcosa di sopportabile, quello.
E poi quella risata.
Quello svelarsi incredibile. Quel condividere con lui un momento così… forse era solo perché Pietro era stanco, e si vedeva. Dopo un paio d’ore di sonno sarebbe stato tutto diverso. Probabilmente la mattina dopo non si sarebbe più neppure ricordato di quel particolare così assolutamente ininfluente. Però era stato *bellissimo*.
Jean Paul non riuscì a staccarsi la lingua dal palato, dove pareva essersi incollata. Pietro semplicemente lo guardò per un altro istante, poi gli lanciò un distratto ‘buonanotte’ prima di infilarsi nel corridoio che portava alle sue stanze.
Per un attimo non desiderò assolutamente null’altro. Si sentiva scemo come un adolescente alla sua prima cotta. Eppure si limitò a non pensare e a respirare.
L’aria ferma.
Il rumore della porta che, delicatamente, Pietro si era chiusa alle spalle.
Il silenzio che pareva riempire ogni oggetto, ogni pensiero.
E il ricordo di quella risata che gli vibrava ancora nelle orecchie.
___