STELLA DEL NORD
___
PARTE: 14/18
AUTORE: Dhely
SERIE: Xmen con notevoli variazioni sul tema. Spero
che tutto sia sufficientemente comprensibile anche a chi non ha mai seguito i fumetti!
RATING: NC-17-V Ricordi di violenze subite in passato,e violenze presenti.
Linguaggio volgare. Temi non proprio gradevoli. Angst. Un po’ di R.
NOTE: i pg non sono miei ma li amo tutti, uno per
uno, anche se appartengono alla perfidissima signora Marvel
- la quale, ovviamente, non mi passa mezzo cent. per
scrivere questa roba-. I pairing, le coppie, il
passato di questi tizi è stato manipolato e/o mezzo inventato per riuscire a
tirare in piedi una trama decente, anche se ho cercato di non cambiare troppo 'cio' che è stato'.
NOTE 2: chiunque abbia bisogno di maggiori informazioni sui pg
trattati in questa fic, può tranquillamente chiedere
a me, o consultare uno dei tremila siti di continuità Marvel
per comprendere che è tutto un gran casino e che è forse meglio chiedere a *me*
così vi dico solo le cose che potrebbero essere utili per capire di *chi* sto
parlando! (adoro essere modesta.)
___
Robert Iceman Drake: per tutti era solo Bobby.
Bobby faceva parte degli XMen dai primi giorni della loro fondazione. Era uno dei ‘membri storici’, aveva vissuto il tempo in cui non erano che un gruppo di ragazzini guidati da un professore matto che giocavano a fare i fuorilegge, forse terroristi, forse no, ma sicuramente pericolosi.
Erano passati anni, e Bobby era rimasto l’adolescente che era stato: il clown del gruppo. Chi non ha mai avuto a in classe uno così? Quello che organizzava gli scherzi, le feste, quello sempre pronto a ridere, che fregava sempre cinque minuti in più all’intervallo. Quello che stava simpatico a tutti, quello che tutti imparavano ad odiare quando si faceva troppo pesante, o insistente. Quello che buttava sul ridere ogni cosa, anche la più seria. Quello che non riusciva a chiudere la sua dannata bocca neppure per due secondi.
Quello era Bobby.
E quando gli XMen avevano avuto l’approvazione ufficiale dal Congresso degli Stati Uniti ed avevano fondato legalmente la Scuola per Giovani Mutanti, quando i ‘vecchi’ membri del gruppo, oltre a fare i super eroi s’erano accollati l’onere di accompagnare dei ragazzi durante la crescita, facendo loro da insegnanti, da guida, che compito poteva essere affidato a uno come lui? Bobby che sembrava non crescere mai? Non maturare mai?
Bobby che era giovane come quei ragazzi a cui avrebbe dovuto insegnare?
Nulla, lui era il loro confidente. Lui giocava, organizzava, li faceva divertire. Si preoccupava di loro stando con loro e tra di loro. E quasi non si capiva che aveva dieci anni in più quando giocava a basket con la squadra, o stava sugli spalti ad organizzare il tifo per le partite con le altre scuole.
Bobby era quello: il bimbo del gruppo. La loro mascotte. Il cucciolo.
Bobby che sorrideva sempre. Bobby che faceva ridere tutti. Bobby che sollevava il morale con la sua sola presenza. Bobby che veniva ripreso almeno quindici volte al giorno da Scott per il suo comportamento, venti da Ororo per il suo linguaggio e cinquanta da tutti gli altri per il suo atteggiamento, per quello che diceva o faceva. E il Professore e Jean Grey che si guardavano bene dal doversi preoccupare pure di quello che *pensava* se no non avrebbe mai finito di essere in punizione per qualcosa.
Era un classico che iniziasse a colazione, appena sveglio, a far danni: ghiacciava il latte nella tazza di Piotr, faceva scivolare Kitty di corsa nel corridoio, rendeva imbevibile il caffè di Logan. Una volta aveva addirittura ghiacciato la torta che Jean aveva impiegato tutto il pomeriggio a cucinare: era san Valentino e il suo regalo per Scott era andato distrutto…
Nonostante le urla, le liti, le furibonde scazzottate che nascevano dal suo comportamento, in tanti anni Bobby non aveva mai avuto addosso quell’espressione.
*Mai*.
Non era mai capitato che si sedesse al tavolo, fissando con sguardo assente il suo piatto vuoto e stesse in silenzio per interi minuti, senza toccare cibo. Senza muoversi, o recriminare perché voleva cambiare il canale tv, o prendere in giro qualcuno a caso, o lamentarsi perché voleva il latte e invece c’era il te, oppure il caffè e invece lui aveva voglia di succo di frutta…
Il loro cucciolo, il loro fratellino piccolo quella mattina non alzò gli occhi da terra. Non disse che lo stretto indispensabile, e si defilò dalla cucina il più in fretta possibile con l’aria di chi stesse fuggendo dal mostro nero.
Ororo e Jean si guardarono stupefatte l’un l’altra. Il loro istinto materno era già sulla soglia di una crisi di nervi per il pericolo della minaccia alla scuola, ma Bobby era…
Bobby era il *loro* ‘fratellino’.
Jean corse da Scott, preoccupatissima, condividendo la sua ansia con il suo futuro marito. Ororo ne parlò con Logan, lo fece presente a Warren e andò a consultarsi col Professore a riguardo. Poi Warren, cercando Bobby, finì nel laboratorio, e già che era lì, mise al corrente della situazione pure Hank, che lo disse a Kurt il quale, sulla strada per la sua classe incontrò Piotr che lo riferì dubbioso a Kitty che poi si presentò da Jean Paul alla soglia delle lacrime.
Nel giro di dieci minuti tutti quelli che potevano essere informati della cosa lo furono. Nel giro di quindici lo seppero *tutti*.
Warren giurò che quando avesse trovato Remy, lo avrebbe ammazzato di botte.
___
Jean Paul guardò Kitty con fare dubbioso e non poté che passarle un pacchetto di fazzoletti di carta. Poteva sopportare il fatto di fare l’insegnante. Poteva passare il fatto che fosse un insegnante assediato da ammiratrici e ammiratori vari. Poteva reggere con un come Pietro, bello come il sole e costantemente arrabbiato con il mondo, al fianco. Ma pure mettersi a consolare i drammi adolescenziali di una ragazzina!
“Kitty? – sospirò affranto – Piccola, non è che, qualunque dannata cosa sia successa, tu la stia lievemente sovrastimando?”
Lei sollevò gli occhini gonfi e lucidi cercando di darsi un contegno.
“Non sto cercando di farti sentire un … un insensibile, prof, ma … “
Soffocò un singhiozzo delicato, e si asciugò gli occhi con meticolosa attenzione, cercando di tamponare al meglio il rimmel colato insieme alla matita. Provò un gesto stranamente maliardo per una ragazzina della sua età e Jean Paul non poté che sorridere.
“Lo so di esserlo, Kitty. Che succede, me lo spieghi?”
“E’ Bobby che…”
Non riuscì a terminare. Passi veloci lungo il corridoio poi una voce conosciuta.
“JP? Dove sei!?”
Robert lo fissava dalla soglia, col fiatone, e un’espressione preoccupatissima sul viso che pareva segnato da una notte insonne.
“Qualcuno sarebbe così gentile da spiegarmi…”
“Dopo! – Robert lo prese per un braccio, trascinandolo via – Mi devi aiutare, JP! Ti prego!”
“Ma che succede?!”
“Warren! E Remy… - Robert arrossì violentemente. Warren e Remy. Warren *e* Remy?!? Quei due insieme in una semplice frase volevano dire solo dei guai. Sperando che non fossero stati insieme in qualche altro senso… - Warren ha detto che … che vuole ammazzare Remy! E tu devi aiutarlo!”
Jean Paul fissò il ragazzo che parlava mentre, imperterrito, lo stava trascinando con sé. Era così concentrato sulla strada da fare che non notò lo sguardo a metà fra il divertito e lo scioccato che gli rivolse il canadese.
“Aiutare Warren ad ammazzare Remy?”
Robert si piantò in mezzo al corridoio con un’espressione allucinata, quasi.
“Certo che no! E piantala di scherzare! Devi far ragionare Warren! Io non so cosa gli sia preso… oh ti prego! Non può fare del male a Remy!”
“Robert, ma… “
Avrebbe voluto dirgli che era assurdo, che lui non conosceva per nulla questo Warren se non di vista, e che non aveva assolutamente alcun potere di persuasione che si potesse esercitare su di lui. E poi, dannazione! Erano nella *sede* degli XMen, lì dentro c’era gente che Robert, e pure Warren, conoscevano da *anni*! Perché diavolo era andato da lui?! Lui non centrava con questi casini, di qualunque tipo fossero! E da quando Remy aveva bisogno che qualcuno lo difendesse?
E perché mai nessuno gli spiegava cosa ca##o era successo?!?
Non fece in tempo: e si stupì della cosa perché, dopo tutto, non era semplice prendere alla sprovvista uno con un potere come il suo.
Eppure sentì chiaramente il ringhio di Logan, e il rumore di mobilia che andava in frantumi. Urla. Vide lampi scarlatti scintillare sul filo di artigli di adamantio e una manciata di piume bianche sparse per la sala d’ingresso.
Un uomo biondo, con le ali, volteggiava a mezz’aria, con l’espressione furibonda dell’arcangelo che aveva scacciato Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre. Mentre Logan era giù, ovviamente coi piedi ben piantati sul pavimento, a fronteggiare l’angelo, e a fare da schermo per un corpo mezzo coricato sul pavimento.
Remy si mise in piedi con un movimento elegante.
“Mes amis… - sussurrò passandosi una mano fra i capelli – questa credo sia una faccenda privata…”
“Già! – ringhiò Warren – Togliti di mezzo, Logan! E’ un affare tra me e quel bastardo! E tu, esci allo scoperto, vigliacco che non sei altro!”
“Warren! Scendi immediatamente da lì! – Jean Paul cercò di assumere il tono più imperioso che seppe trovare. Forse perché era lievemente snervato da tutta quella situazione, forse perché Robert, al suo fianco, sembrava davvero a un passo dal farsi venire un attacco di cuore, ma riuscì, per lo meno, ad attirare l’attenzione di tutti. Sperava che gli altri si muovessero ad arrivare… - E tu, Remy, sei matto?! Lanciare le tue carte *cariche* in giro per casa?! Logan! Rinfodera quei cosi! Ci sono in giro i ragazzi, qui, lo sapete o no?! Volete farla voi la strage? Immaturi egocentrici che non siete altro!”
Terminò la sua sfuriata nel momento esatto in cui fecero il loro ingresso Scott e Jean e Ororo. La situazione si faceva lievemente più distesa e Jean Paul fu ben felice di mettere nelle loro mani la questione.
Volarono ancora parole grosse, un paio di tentativi di mettersi le mani addosso, mentre Kurt e Hank cercavano di disperdere i ragazzi che, all’udire tutto quel trambusto, s’erano ovviamente fiondati a vedere cosa stesse capitando, ma le acque parevano stare calmandosi. Anche Robert, al suo fianco, sembrava aver ripreso a respirare.
Lo guardò di sbieco.
“E allora, si può sapere che è successo? O devo aspettare di venirlo a sapere dai pettegolezzi dei miei alunni?”
Robert si strinse nelle spalle.
“Niente. – sospirò muovendo un passo, titubante – E’ solo che … ho lasciato Remy. Non credevo che la cosa facesse nascere tanti problemi…”
Jean Paul rimase di stucco.
Robert aveva lasciato Remy?!
Da quando *lui* sbagliava a giudicare le persone?!
Era certo, certissimo che quei due non si sarebbero più staccati neppure se… e poi era stato Robert?! Ma era una immane sciocchezza! Doveva aver bevuto! Doveva essere successo qualcosa che…
Scott era furibondo, s’era messo a litigare con Logan solo per non dover affrontare quei due dementi che avevano buttato all’aria tutta la stanza e stavano per ammazzarsi per … per … fortuna che c’era il Professor Xavier che riusciva a mantenere sempre il controllo sulle proprie reazioni perché, se fosse stato per Scott, avrebbe preso entrambi, Warren e Remy, li avrebbe chiusi in una stanza e avrebbe gettato via la chiave. Stupidi irresponsabili senza cervello! Idioti matricolati!
Jean s’era avvicinata, protettiva, a Robert che, per un attimo rimase perfettamente al centro della linea di tensione che correva fra i due contendenti: fulcro ideale e reale di un odio che lui, in cuor suo non poteva che disprezzare, di cui aveva paura. Non ebbe la forza di dir nulla ma sollevò il viso prima verso Remy, come per assicurarsi che stesse bene, poi su Warren, e gli sorrise appena.
Un sospiro, nient’altro.
S’accucciò, facendo uno strano suono con le labbra: da un angolo una scheggia di pelo lucido gli corse incontro, arrotolandosi nel suo abbraccio. Il furetto, terrorizzato, era corso immediatamente dal suo padrone, fra le cui braccia cercava un rifugio sicuro a tutto quel finimondo di cui lui, piccola creatura, non aveva compreso l’origine. Robert grattò lentamente la bestiola sul capo, fra le orecchie, stringendolo al petto e in quell’istante si sentì tranquillo anche lui.
“Siete due stupidi!”
Si stupì nell’udirsi ma non guardò più nessuno dei due. Robert girò sui tacchi e si allontanò senza guardare più indietro.
___
Pietro non era uno stupido. Sapeva che al mondo esistevano un sacco di persone che avevano miriadi di problemi. Forse non seri come quello che lo faceva essere uno dei ‘buoni’ e, allo stesso tempo, figlio primogenito del peggior terrorista mutante pazzo che l’intero pianeta avesse mai avuto il piacere di incontrare, però pareva che ognuno, nel proprio piccolo, si arrangiasse come poteva.
Forse non tutti erano portati, dai sovracitati problemi, a uno stato costante e perenne di depressione e irritazione e inaridimento sentimentale e varie altre cose, però era vero che pure gli umani sapevano crearsi da sé la loro buona dose di malattie psicosomatiche più o meno debilitanti.
D’alto canto Pietro, più conosceva il resto del mondo, più si rendeva conto che era popolato da una massa di idioti cerebrolesi, mutanti o genezero che fossero.
Che schifo… certe cose gli facevano chiedere se non avesse avuto ragione suo padre, che voleva sterminare un buon 70% della popolazione. Ovviamente suo padre non *poteva* avere ragione perché, del restante 30% facevano pur sempre parte elementi come quelli che aveva sotto gli occhi in quel momento e per i quali non riusciva a trovare un insulto che rendesse l’idea in maniera adeguata.
Si chiese se essere caustico e corrosivo sarebbe mai servito a qualcosa. Se, dopo tutto, esisteva qualcuno di tanto intelligente da comprendere la sua acredine perfettamente calibrata.
“Cos’è che dicevi ieri? Che ognuno affronta le tensioni a modo proprio?”
Jean Paul, quello strano canadese che aveva un potere dagli effetti così simili al suo e, insieme, dalle basi così aliene, si limitò a stingersi nelle spalle.
“Dicono che anche il suicidio sia un modo di affrontare dei problemi.”
“Modo poco costruttivo, direi.”
“Mha. Io non ho capito nulla: sembrano tutti matti.”
I loro occhi s’incontrarono. Per una frazione di secondo quelli scuri e lucidi, grigi come il mare in tempesta e lucenti come una notte d’estate di Jean Paul si ficcarono in quelli ampi, luminosi, duri come schegge di un diamante appena azzurrato, e altrettanto trasparenti, di Pietro. Le labbra di entrambi s’incresparono un poco, anche quello per un attimo, per un momento solo. Ma fu una sensazione strana a correre nelle vene del canadese. Un sentirsi… accettato? Gli pareva d’aver appena sostenuto un esame a sorpresa, e d’averlo passato, anche se null’altro oltre quel contrarsi guizzante d’un muscolo poteva avergli dato quell’impressione.
Null’altro.
Pietro chiuse gli occhi, voltandosi verso lo studio ricolmo di dati, tabelle, piani, schemi, grafici. Mosse una mano, elegante, nell’aria.
“Abbiamo tutto, qui. Planimetrie, punti deboli, luoghi d’accesso, possibili soluzioni se qualcosa ci sfuggisse. Ma…”
Tacque, lasciando che il silenzio gli scorresse sulle labbra.
“Ma per il giorno della festa siamo scoperti.”
Annuì alla continuazione assolutamente logica di Jean Paul. Non era poi così male lavorare con quel canadese strambo.
“Assolutamente. Io e te, per quanto veloci, potremmo tener d’occhio tutto, ma di certo non *tutti*. Mi chiedo se mai il laboratorio riuscirà a darci delle indicazioni più precise su chi è stato qui, a recapitare il messaggio.”
“Sarebbe un passo avanti.”
“In parte, almeno. Almeno non sarebbe lavorare sul nulla, come stiamo facendo ora. Non si può combattere una minaccia che non ha corpo, né spirito, né pensiero.”
“Credi che Hank abbia elementi a sufficienza?”
“Non so, lo spero. In tutta sincerità, però, ho consigliato a Charles di spostare la data di apertura del campus. Ci serve più tempo, e se proprio non può fare a meno di farla, questa dannata festa, almeno farla quando saremo più preparati.”
Jean Paul si trovò a sorridere acido.
“Posso intuire che ti abbia risposto di no.”
Pietro sospirò seccato oltre ogni dire.
“No, ovviamente! Quel testardo egocentrico ha detto che non farà il gioco degli attentatori, perché non vuole che i ragazzi continuino a vivere nel terrore come ora. Gli ho fatto presente che potrebbero morire…”
“Così non vivrebbero nel terrore di niente …”
“Esattamente le mie parole, Jean Paul. Esattamente. Lui mi ha detto che sono cinico senza speranza.”
“Almeno qualcuno con un po’ di buon senso ci deve essere.”
“Lo credo anche io.”
Rimasero entrambi in piedi,a fissare quel tavolo pesante di carte, ognuno calato nei propri pensieri.
“Dobbiamo addestrare i ragazzi. – un tono strano, lievemente rauco, qualcosa che grattasse sul fondo della gola di Pietro. Jean Paul si ritrovò stupito dal non avere il suo sguardo addosso, come quello di un predatore, caustico e tagliente. – Io, te, gli XMen e loro. Non abbiamo altra scelta.”
Jean Paul scosse il capo.
“I ragazzi? Possono…”
“Devono sapere cosa potersi aspettare. – tagliò corto Pietro – Devono imparare a guardarsi intorno. Devono essere addestrati a stare attenti e a proteggersi. Sé stessi e gli altri.”
“Non credo sia questo quello che voglia il professore.”
“Non m’importa quello che vuole Xavier! – brusco, Pietro sollevò il viso di scatto, ma si rifiutò di nuovo di guardare il suo interlocutore. Le braccia ancora strettamente incrociate sul petto, voltò il viso verso la finestra, fissando qualcosa di inconsistente, lontano. – Sono qui per evitare una strage e visto che non mi danno gli strumenti di cui ho bisogno, mi devo arrangiare con quel che c’è. E non trovo altra via.”
Jean Paul non era entusiasta di coinvolgere in quella maniera i ragazzi. Non che loro non sarebbero stati entusiasti della cosa, anzi. Solo che… l’idea, da sola era infastidente oltre ogni dire, e anche la reazione di Pietro, il suo strano, stranissimo atteggiamento di fronte a quell’ipotesi, impensabile per uno cinico e arrogante come lui …
Jean Paul, nonostante l’incidente tra Robert e Remy, era ancora convinto di saper giudicare le reazioni delle persone. Sapeva guardarle, ed ascoltarle. Sapeva comprendere ciò che pensavano dal modo in cui il loro corpo si atteggiava, da quello strano linguaggio fatto di gesti ed espressioni che non si poteva decifrare se non a livello emotivo. E Pietro, nonostante quello che diceva, e come lo diceva… Pietro voleva *proteggere* i ragazzi.
Proteggerli, sì. Stranamente non solo dall’attentato in sé, ma anche da … altro. Era come se avesse voluto difenderli per un po’ dalla *responsabilità*. Di essere mutanti. Di essere accusati e sotto assedio. Di essere in pericolo.
Jean Paul si accorse solo ora che Pietro considerava i ragazzi solo *dei* ragazzi. Non futuri supereroi. Non futuri possessori di poteri strabilianti, che potevano distruggere l’intero pianeta in un secondo. Voleva che fossero ragazzi per un altro po’: era un peccato, forse?
No, non lo era. Ma era di certo stupefacente. Pietro non sembrava quel genere di persona.
Lo guardò più attentamente: che genere di persona sembrava, allora? Jean Paul rise della sua stessa stupidità. Nessuno poteva essere *davvero* così cinico e indifferente, così arido ed emotivamente menomato come Pietro voleva far vedere di essere. O per lo meno nessuno poteva essere così e insieme dedicare la propria vita a … salvare gli altri. Già, perché era questo che Pietro faceva. Salvava gli altri. Metteva a rischio la propria vita per ottenere quasi nulla in cambio.
Detta così sembrava che facesse una cosa tipo il pompiere.
Ma Pietro era un mutante. Era *potente*.
L’Uomo Ragno diceva, nelle sue interviste, che grandi poteri danno grandi responsabilità. Non sapeva se valesse la stessa cosa per Pietro, o per i mutanti in generale. Di certo i poteri aprivano la strada, volenti o nolenti, a una vita ‘diversa’. Loro *erano* diversi.
E questa diversità Pietro la sentiva con forza. Era…
Curiosamente il flusso dei suoi pensieri fu interrotto bruscamente da un particolare ridicolo: i guanti. Pietro portava i guanti.
Jean Paul aggrottò la fronte: che cosa stupida da notare solo ora! Facevano parte della divisa! Esattamente come gli stivali. Anche nella *sua* divisa c’erano guanti, e in quella di Scott pure e… però lui non li metteva mai, o almeno non quando non c’erano, come in quel momento, pericoli in vista. Anche se raramente andavano in giro vestiti da ‘civili’ questo non significava che stessero tutti impalati come dei manichini con l’alta uniforme sempre cucita addosso!
Però non aveva mai visto Pietro senza guanti.
Non in cucina, a pranzo. Non i palestra, durante gli allenamenti. Non nello studio, mentre lavorava. Senza maglietta l’aveva visto, a piedi nudi, e pure, una volta, *spettinato* - che era così carino che per poco non l’aveva baciato!-. Anche appena uscito dalla doccia che si stava rivestendo di fretta perché doveva andare chissà dove… ma *mai* senza guanti.
Che cosa strana da notare proprio ora.
Che cosa *idiota*!
Jean Paul si riprese in silenzio, scrollando le spalle.
“Probabilmente – sospirò recuperando il filo del discorso – hai ragione. Non vedo altra alternativa.”
Pietro sbuffò.
“Non *c’è* alternativa. Anche se odio ammetterlo.”
Dolore.
Jean Paul lo sentì, chiaro, nascosto ben a fondo in quelle parole. Amarezza. Tristezza.
Vuoto dentro.
Pietro non sembrava *quel* tipo di persona.
Eppure.
___