STELLA DEL
NORD
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PARTE: 13/18
AUTORE: Dhely
SERIE: Xmen con notevoli variazioni sul tema. Spero che tutto sia sufficientemente comprensibile
anche a chi non ha mai seguito i fumetti!
PAIRING: LoganXJean Paul
RATING: NC-17-V Ricordi di violenze subite in passato,e
violenze presenti. Linguaggio volgare. Temi non proprio gradevoli. Angst. Un
po’ di R.
NOTE: i pg non sono miei ma li amo tutti, uno per uno, anche se appartengono alla perfidissima signora Marvel - la quale, ovviamente, non mi passa mezzo cent. per scrivere questa roba-. I pairing,
le coppie, il passato di questi tizi è stato manipolato e/o mezzo inventato per
riuscire a tirare in piedi una trama decente, anche se ho cercato di non
cambiare troppo 'cio' che è stato'.
NOTE 2: chiunque abbia bisogno di maggiori informazioni sui pg
trattati in questa fic, può tranquillamente chiedere
a me, o consultare uno dei tremila siti di continuità Marvel
per comprendere che è tutto un gran casino e che è forse meglio chiedere a *me*
così vi dico solo le cose che potrebbero essere utili per capire di *chi* sto
parlando! (adoro essere modesta.)
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Pietro sbuffò, seccatissimo. Un’espressione di irritazione
velata di nessuna condiscendenza e voltò appena lo sguardo.
Jean Paul si sentì venir
meno.
Non era possibile.
Come poteva sentirsi così,
lui… le gambe molli, lo stomaco sottosopra, il respiro che si affannava su per
la gola: non era un’adolescente stupida in preda a una
cotta febbrile! Non aveva più quindici anni quando tutto quello era permesso! Perché, nonostante tutto si comportava in quella maniera
idiota? Kitty poteva farlo! Lei o uno degli altri
suoi stupidissimi compagni di scuola!
Cercò di calmarsi. Si sforzò
di farlo.
Ok, sapeva di essere un tipo
dalla cotta facile, ma non gli duravano mai più di trentasei ore al massimo. E
Pietro era schifosamente bello, e attraente e un sacco di altre
cose, ma dannazione! Lui non era…
Non poteva!
No! Aveva una dignità e un
nome da difendere. Eppoi … e poi Pietro era sposato,
e non sembrava per nulla interessato a cambiare la sua opinione sul sesso che prediligesse.
E anche se non lo fosse stato… ecco, anche se non lo
fosse stato che diavolo … cosa aveva Pietro da farlo sentire in quel modo?!
Lui!
Un playboy matricolato! Uno stronzo integrale col cambio automatico di serie, che non
s’innamorava mai, che flirtava con tutti e andava a
letto con chiunque gli piacesse senza troppe domande sui sentimenti, i legami
precedenti, ulteriori o chissà che altro!
Lui!
Bello, ricco, sexy,
intelligente… puf! Guardava Pietro e svaniva tutto! Ogni cosa: il suo mordente, la sua sagacia, la sua sicurezza.
Tutto.
A volte, come in quell’istante, gli veniva voglia di prendere quel
bellimbusto e spaccargli quel suo bel faccino infastidito dal mondo!
Lo *odiava*!
Sì, lo detestava tanto quanto detestava se stesso quando faceva il patetico in
quel modo … un suo ex collega l’avrebbe definito ‘checca isterica’ e forse, in quel
frangente, avrebbe avuto ragione lui.
Non era da Jean Paul
disperarsi per uno che non lo voleva… peggio: non era da lui non provarci
neppure che uno che gli piaceva… ma in *quel modo*!
Per non parlare della
mancanza assoluta di opportunità di quella *cosa* in
quel preciso frangente. C’era la scuola, un attentatore, i
ragazzi… era tutta una follia. Stava diventando matto, di certo c’era
qualcosa che non andava perché Pietro… Pietro non poteva avere *niente* per
ridurlo così.
Niente!
Prese un profondo respiro.
“Non sta
facendo nulla di male, mi pare.”
Lo sguardo di Pietro s’era
fissato appena per un attimo sulla figura di Robert che si intravedeva
oltre i vetri, seduto, abbattuto, sotto un albero in giardino.
“E’ una palla al piede. –
acre, tesissimo. – In un momento simile crogiolarsi in problemi futili dimostra
quanto siano inutili certi individui.”
Individui inutili.
Jean Paul sentì un piccolo
nodo stringergli la gola.
‘Individui inutili’: la stessa espressione che utilizzavano
gli scienziati che facevano esperimenti ad Arma X.
Inutile: lui era stato
inutile.
E Pietro aveva utilizzato lo
stesso tono algido e tagliente che Jean Paul si scoprì
a conoscere. Non c’era spazio per un vero proprio disprezzo
in quella voce, aveva solo annunciato una verità. Aveva solo affermato
un qualcosa di incontrovertibile, forse qualcosa che
lo infastidiva ma per la quale non poteva far nulla.
Eppure … Jean Paul si scoprì terrorizzato nel non sentire il
moto di fastidio che, sapeva, avrebbe *dovuto* provare. Era lì, e guardava
Pietro, e lo pensava senza cuore, e sapeva che aveva appena detto una cosa
terribile, odiosa… ma non era quello che riusciva a provare dentro.
Sentiva una punta d’invidia,
verso quella creatura che sembrava non essere mai stato sfiorato da qualcosa di
sporco, o indegno. E si sentiva attratto e … perduto.
Sì, perduto.
“Non essere troppo duro con
Robert. Ognuno reagisce a modo suo.”
In risposta a quel suo tentativo di riprendere in mano
la sua propria anima ebbe uno sguardo leggero, annoiato, come se quel discorso
si fosse già protratto fin troppo per i suoi gusti. Pietro mostrò come una
crepa sul suo viso, che lanciò ombre profonde, un guizzo di incredibile,
umana, tiepida comprensione che svanì però immediatamente, lasciando Jean Paul
col dubbio d’averla scorta davvero o d’essersela sognata per dargli un alibi.
“Robert, Remy, Warren. – un
piccolo incresparsi delle labbra- Non conosco i legami
che tengono insieme questo gruppo, e sinceramente non m’interessa neppure
molto. Sta di fatto che la tensione interna che questi tre stanno creando fa
più male che bene. Speravo fossero più maturi: almeno da sapere quando e dove
lasciarsi andare agli istinti.”
Il disprezzo ora rimase un
accenno non esplicitato. Uno scintillare indecifrabile di
quegli occhi luminosi e impenetrabili.
Jean Paul sentì freddo: gli
parve di stare sul ciglio di un burrone, chiedendosi se fosse saggio o no saltarci dentro. O forse era già
caduto e non se n’era accorto?
Stava diventando pazzo.
Chiuse gli occhi,
strettamente.
“Devo andare.”
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Andarsene. Scappare.
Era lo stesso.
Comunque: via da lì, via da quello che provava e non riusciva
a controllare. Via da quelle cose terribili che gli rinascevano dentro e non
suscitavano quello che dovevano.
Avrebbe dovuto odiare per
Pietro quel disprezzo. Avrebbe dovuto… si sentiva in
gabbia, di nuovo. Ma questa volta c’era speranza che
potesse liberarsi in qualche modo? Poteva…
Gli mancò l’aria e si sentì
stupido, infantile.
Disperato.
Quando premette con la
schiena la porta massiccia di legno mise a fuoco lo
sguardo.
Logan non faceva altro che fissarlo,
mezzo sdraiato sul suo divano com’era.
“Allora? T’ha
strappato il cuore e l’ha gettato alle ortiche?”
Avrebbe voluto dirgli di sì.
Avrebbe voluto dirgli che soffriva, che stava male, che… che … ma non era
quello che sentiva. Non era vero. E Logan se ne
sarebbe accorto.
E poteva mentire a chiunque, anche a se stesso, ma non
a Logan.
*Non* a Logan.
Cercò parole che non vennero.
Cercò spiegazioni che non
sapeva.
E improvvisamente s’accorse che con Logan tutto questo
non era importante. Si accorse che era lì per una cosa, per una cosa sola, che
Logan conosceva.
E non c’era altro che avesse importanza.
Dimenticare.
Dimenticare
nelle braccia di un altro qualcuno che gli stava rodendo il cuore: era qualcosa
di nuovo per Jean Paul, non l’aveva mai fatto. Non si era mai dovuto
sottomettere a questi piccoli sotterfugi perché non era mai stato coinvolto da
nessuno al punto da averne così disperatamente bisogno. Si sentiva fragile e
disperato.
Ma Logan non l’avrebbe mandato via… Logan non lo mandò
via. Logan attizzo quella fiamma che solo lui sapeva, quel desiderio, quell’incredibile dolore che si stemperava in qualcosa di
assurdamente … piacevole. Un piacere che esplodeva, facendo
ogni cosa a brandelli, distruggendo anima e cuore. Cancellando ogni cosa.
Mani addosso. Denti.
Morsi.
Tutto quello era il suo
mondo, per un istante, almeno.
I sussurri rochi di Logan, il
suo corpo in fiamme erano il suo orizzonte.
E non gli serviva altro. Non voleva che gli servisse
altro.
Non c’era altro.
La paura. Il vuoto: tutto più
niente.
Solo Logan e il dolore e il
piacere che si mischiavano, strappandogli la pelle, crocifiggendogli il cuore.
Andava bene: essere
inchiodato lì dal corpo più pesante di Logan, essere aperto, spalancato,
attenderlo e accoglierlo insieme, concentrare tutto il suo essere in quel
punto, cancellando ogni altro pensiero, ogni altra sensazione.
Il fiato di Logan sul collo.
Il calore del suo corpo addosso.
Il suo
gemere che non riusciva a trattenere.
Che non poteva trattenere. Che
non *voleva*.
Dimenticare… non c’era più
nulla da dimenticare. Niente.
Solo galleggiare in un
presente di istinti e sensazioni e il desiderio
infinito di affogare. Di farsi avvolgere e riempire da tutto
quello: chiudere gli occhi e andare a fondo. Assorbirlo in ogni poro,
con i polmoni, la pelle, tutto.
Affondare e affogare.
Perdersi.
Non essere più niente.
La disperazione, che era
stata una compagna perduta nello scorrere del tempo, la sentì rinascere al suo
fianco. Quasi gli era mancata.
Quasi.
“Logan…”
L’altro ringhiò qualcosa,
annaspando, baciandogli la pelle, morbida e bianca, leccandola, mordendola. Gli infisse le dita nei fianchi, lo tese, tirandolo vicino,
perdendosi nel suo aroma, nel profumo della sua eccitazione, tremando sfiorando
la sua pelle, dalla grana finissima e delicata.
Perdere la testa per la sua
Stellina era così semplice… era naturale. Naturale e
semplice. Era lì, bastava allungare una mano e
stringere le dita.
E Stellina era suo.
La sua stella personale.
Sempre pronto, sempre
disponibile: era lì per lui, era *nato* per lui.
Affondò i denti con più forza
e sorrise nel sentirlo tremare, nell’affondargli le dita fra i capelli e
tirarglieli. Sorrise nel sentirlo tremare, tendendo i
muscoli, arcuandosi sulla schiena.
Era suo.
In quegli istanti era solo
suo.
C’era solo lui nel suo cielo.
Nella sua mente.
Nel suo corpo e nella sua
anima: gli colmava i sensi fino alla nausea, si fondevano divenendo uno solo,
tramutandosi in un unico grumo di piacere e lussuria.
Piacere, piacere.
Piacere senza fine.
L’odore di
Pietro qualcosa di così sottile che non sembrava neppure palpabile, un aroma
che si perdeva in mezzo all’odore del sesso e andava bene. Non voleva pensare a Pietro, ora, non con Stellina. Non
con il *suo* Stellina.
Ancora: piacere fino a
morirne. Piacere fino ad affogare.
Ancora.
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Bobby aveva la strana
sensazione di avere il cuore a pezzi.
In effetti, lui, era un
qualcosa che conosceva bene: c’era stata Lorna, e poi
Opal e poi… bhè, non che in quel momento avesse tutta
quella voglia di fare l’elenco di tutte quelle che gli avevano dato picche,
però… però ora era diverso.
Non riusciva a capire,
davvero, se era solo perché quello che sentiva in quel momento era una ferita
fresca, appena esposta all’aria e se col passare del tempo sarebbe stato un
dolore come gli altri, un sordo battere sul fondo dell’anima ogni qual volta
pensava a quel che avrebbe potuto essere e non era stato. Oppure
se perché Remy era …
Un maschio, sì. Era indubitabilmente
un *maschio*. Ma non era di
troppa importanza. Almeno non gli sembrava.
Anche JP era un uomo, e con lui aveva fatto le stesse cose
che aveva fatto con Remy ma Remy era … era diverso: ecco tutto.
Remy era diverso.
Dentro.
Quello che
gli suscitava. Quello
che gli faceva pensare. Quello che gli faceva *sognare*.
Bobby sorrise sentendosi le
guance andare in fiamme. Era tutto … strano, impossibile. E
JP aveva ragione: doveva parlargli, doveva spiegargli tutto. Non era difficile.
No, non lo era però c’era
qualcosa che lo tratteneva: pudore, o timore?
Era uno stupido.
Ma cosa poteva dire a Remy se neppure lui aveva capito
bene cosa stava succedendo? Cosa gli stava succedendo
dentro?
Era … era *innamorato?!?
Di un suo compagno di
squadra!
Di un suo collega!
Non era …
non era eticamente corretto!
Bobby si mise a ridere da
solo per la sua idiozia.
Era ovvio che fosse
innamorato, tanto quanto che Remy fosse un suo collega.
E che fosse poco o tanto ‘eticamente
corretto’… non gliene fregava proprio niente.
Si mise in piedi scrollandosi
dai pantaloni la polvere e i fili d’erba che gli erano rimasti appiccicati.
Avrebbe parlato con Remy.
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Era stupido.
*Lui* era stupido. E tutto era assurdo.
Assurdo.
Si sentiva come fosse di
fronte a un pazzesco assurdo incubo di cui non trovava
assolutamente una ragione. Un senso.
Remy che lo guardava … così…
come se non fosse successo nulla, mai *nulla* fra di
loro. Robert si trovò a domandarsi se fosse davvero mai successo qualcosa fra di loro o fosse stato solo un sogno, un desiderio che
non avrebbe potuto esprimere.
Forse se lui fosse stato
pazzo, e quello solo un … un nulla di importante, un
niente del tutto, forse, ecco, sarebbe stato tutto più semplice. Non c’erano
mai stati sguardi lunghi e densi, occhiate che
parevano poter parlare, e carezze gentili e nascoste e giochi privati e
sussurri e risate trattenute.
Niente.
Remy lo guardava come se
fosse stato un’onda di ghiaccio: trasparente, per cui
non poter trovare alcun trasporto, un qualcosa che lui, che *odiava* tutto ciò
che era freddo, non avrebbe mai potuto voler toccare.
Non era mai successo niente.
Niente.
E se fosse mai successo
qualcosa: bhè, Remy sarebbe stato colui che avrebbe
scelto il dove, il come, il quando, il se e lui… bhè, Bobby avrebbe sempre
potuto dire di no, poteva avere un altro impegno, o mal di testa, o non essere
dell’umore giusto oppure … alla fine Robert sapeva che Remy avrebbe
semplicemente scrollato le spalle e nel giro di mezzo minuto avrebbe trovato qualcuno
di meglio, qualcuno con più esperienza, qualcuno di più bello, di più attraente
e che non si sarebbe mai fatto pregare e … Robert sapeva che non gli avrebbe
mai potuto dire di no. Non era questo che si
ricordava essere successo, fra loro, ma a pensarci, adesso, non riusciva ad
immaginare una situazione diversa. Una *vita* diversa.
Parlava con Remy, ora, ci
stava provando, eppure era quello che sentiva, nonostante le parole che si
srotolavano fra di loro, lente e pacate. Distanti.
Fredde.
Niente.
Robert sapeva che non gli
avrebbe mai potuto dir di no e quello faceva paura. Perché non poteva più dir
di no a quelle mani addosso, a quei baci, a quegli occhi, non più: anche se tutto ora gli sembrava un’enorme farsa, una di quelle cose
che il vero Robert Drake non avrebbe mai potuto
accettare, perché aveva una dignità anche lui, perché non era così inutile e
stupido come credevano, perché … Robert sospirò: avrebbe voluto, ora, che Remy
lo desiderasse davvero, con forza, avrebbe voluto essere meno debole, avrebbe
voluto essere non solo una zoccola a poco prezzo ma qualcuno che non lo
supplicava in silenzio per un sorriso, per la sua dolcezza, per un suo sorriso.
Ora era tutto finito: mezza
giornata e tutto era crollato. E Robert non capiva il
motivo, non sapeva il perché. Non capiva da dove questo finale era cominciato,
cosa l’aveva causato.
Avrebbe fatto di tutto, ora, per una carezza per … però magari, era quello
che Remy voleva: essere insieme a uno che lo amava, che lo adorava in quel
modo, e non sentirsi in obbligo di ricambiare. E
Robert lo amava, disperatamente.
Disperatamente.
Abbandonò la conversazione,
dai toni surreali, correndo in bagno prima che Remy
s’accorgesse che stava per mettersi a piangere e a vomitare anche l’anima.
Strano, perché quello gli capitava di solito solo prima
di un esame, al primo giorno di scuola, quando doveva andare a trovare i suoi
genitori… eppure Remy non venne a bussare alla porta del bagno per chiedergli
come stesse, non si preoccupò. Niente.
E Remy non chiese neppure nulla quando guardò Robert
uscire dal bagno, pallido come uno straccio, dopo una doccia che, in tutta
sincerità, nessuno dei due aveva bisogno.
Robert si piantò in mezzo a
quella stanza, la stanza di Remy. Sconvolto, distrutto. Socchiuse appena le labbra.
“Non lo farò mai più… io e te
”
E si obbligò a fissare Remy negli occhi, quegli occhi
di brace che non lasciavano possibilità d’appello. Avrebbe voluto aggiungere
altro, molto altro, ma alla fine si ritrovò ad avere ancora troppo orgoglio per
dire quello che lo uccideva dentro: ‘non ne ho a
sufficienza di te, ti voglio ancora, merito di più o, almeno voglio di più,
voglio te, voglio che tu non guardi mai nessun altro, voglio uccidere ogni
persona con cui ti metterai a flirtare spudoratamente sotto il mio naso, voglio
inginocchiarmi qui, di fronte a te e pregarti di perdonarmi, voglio chiederti
di baciarmi, come ultimamente non mi baci più, di baciarmi come se io potessi
essere tuo per sempre, o semplicemente vorrei che mi chiedessi di rimanere, che vuoi che io rimanga con te…, e io ci
starei con te, sai? Ci starei qui! Ci starei!’
Remy gli voltò la schiena , scrollando le spalle.
“D’accord.
– sussurrò – Come preferisci.”
Perché..
s’aspettava una domanda… magari forse non indignazione perché conosceva la
distanza con cui trattava Remy i suoi ‘amori terminati’
ma almeno … un dubbio. Una richiesta.
Qualcosa.
Parole acri, terribili gli
sorsero alla punta della lingua ma non disse nulla. Robert inghiottì tutto: il
dolore, il panico, la sofferenza, la mancanza.
JP aveva avuto torto.
Lui non aveva capito che Remy
s’era stancato di lui e ora … ora nulla.
Ora ne pagava il prezzo.
Con Remy era stato felice:
avrebbe dovuto ringraziare il cielo per questo ma non ce la fece. Non aveva
abbastanza forza.
Non poteva
crederci, non voleva!
Eppure…
Remy si chiuse la porta alle
spalle con la sua solita grazia, con un’espressione vuotissima, indifferente al
mondo.
Robert avrebbe voluto morire
in quel preciso istante.
Non morì, ovviamente.
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