STELLA DEL NORD
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PARTE: 12/18
AUTORE: Dhely
SERIE: Xmen con notevoli variazioni sul tema. Spero
che tutto sia sufficientemente comprensibile anche a chi non ha mai seguito i
fumetti!
RATING: NC-17-V Ricordi di violenze subite in passato,e violenze presenti.
Linguaggio volgare. Temi non proprio gradevoli. Angst. Un po’ di R.
NOTE: i pg non sono miei ma li amo tutti, uno per
uno, anche se appartengono alla perfidissima signora Marvel
- la quale, ovviamente, non mi passa mezzo cent. per
scrivere questa roba-. I pairing, le coppie, il
passato di questi tizi è stato manipolato e/o mezzo inventato per riuscire a
tirare in piedi una trama decente, anche se ho cercato di non cambiare troppo 'cio' che è stato'.
NOTE 2: chiunque abbia bisogno di maggiori informazioni sui pg
trattati in questa fic, può tranquillamente chiedere
a me, o consultare uno dei tremila siti di continuità Marvel
per comprendere che è tutto un gran casino e che è forse meglio chiedere a *me*
così vi dico solo le cose che potrebbero essere utili per capire di *chi* sto
parlando! (adoro essere modesta.)
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Una festa?!
Chi diavolo poteva essere così idiota da proporre una *festa* in una situazione simile?!?
Jean Paul fissò stupefatto Scott che spiegava lentamente la situazione, chiudendosi appena nelle spalle.
“E’ una tradizione dei campus americani, come i fuochi d’artificio il 4 luglio. Un giorno durante l’anno scolastico il campus viene aperto ai visitatori esterni perché si facciano un’idea di cosa possa essere …”
“Aprirete il campus *indiscriminatamente* a chiunque voglia venirci?”
Gli occhi di Scott brillarono acuminati dietro il visore al quarzo-rubino che gli permetteva di non incenerire tutto ciò su cui posava lo sguardo.
“Sei cattolico?”
Jean Paul scosse con forza il capo.
“Cosa centra?”
“Se tu fossi cattolico, eviteresti di saltare la celebrazione di Natale solo perché qualcuno ti ha minacciato? – pacato e tranquillo, sicuro di quello che stava dicendo: dovevano essere i pregi di un buon capo – Oppure non ci andresti anche se la tua fede fosse un po’ tiepida, solo per dimostrare … qualcosa?”
Jean Paul tacque un attimo, spazzando il cortile con lo sguardo, poi sospirò.
“Cosa farei io in un frangente simile non è difficile da intuire, Scott. Ma non stiamo parlando di me o di te. – uno sguardo terribile – Abbiamo forse chiesto ai ragazzi cosa vogliono fare?”
“Tu non capisci. Dobbiamo dare un segno di …”
“Vuoi sapere il vero motivo per cui non ho mai voluto essere
uno di voi? – la voce di Northstar si abbassò, diventando tagliente – Perché
quando considerate che un’idea sia giusta, significa che davvero *tutti*
possano morire per concretizzarla. E anche solo fare correre un rischio simile a
dei ragazzi non mi pare giusto, al di là di tutti i discorsi del professor
Xavier che posso sottoscrivere.”
”Se ci fossero state più persone come te, Jean Paul, ho l’impressione che
saremmo fermi ancora al 1800, senza diritti alle donne, alle persone di colore
e agli omosessuali.”
Un lieve ringhio, in risposta, quasi divertito.
“Se ci fossero più persone come me avremmo di certo meno martiri innocenti in giro per il mondo, e forse un po’ più di intelligenza media sparsa a caso! - Scott fece per rispondere ma non fece in tempo, Jean Paul rise – Per fare il matto come lo fate voi, un giorno dovrai spiegarmi perché non dovrei stare con Magneto, che mi pare puntare tutto su una causa un po’ meno persa in partenza che l’armonia perfetta da raggiungere su questa terra!”
Un sorriso acre, poi una mano alzata in un mezzo saluto e già Jean Paul stava pensando a cose più importanti: tipo a come fare perché i ragazzi fossero al sicuro, evitando pure che gli insegnati si ammazzassero.
Fuori dalla finestra vedeva Robert, nel campo di basket, che rideva e correva al seguito di una palla arancione, tutto sudato, mentre ai bordi del campo un uomo con le ali di un angelo, bianco e biondo, rideva in risposta a qualcosa che l’altro aveva urlato. I ragazzi correvano e ridevano, alternativamente, giocando.
Aveva mai lottato per qualcosa che gli stesse davvero a cuore? Quel pensiero lo prese in pieno viso, come se fosse uno schiaffo, e lo lasciò stupefatto e incredulo. S’era sempre annoiato in fretta, e gran parte della sua vita l’aveva trascorsa preda di un ingranaggio dal quale non sapeva, o non voleva, liberarsi. Tante cose, troppe e tutte insieme.
Ma aveva mai fatto qualcosa che non fosse stato immediatamente a suo vantaggio? Aveva mai fatto qualcosa per … per ‘amore’? Per quanto ampia potesse essere l’accezione della parola amore in quel contesto, Jean Paul si scoprì di non poter rispondere… di non *volerlo* fare.
La tristezza gli morse di nuovo il cuore, scura.
A volte era stanco. Forse era quello. Forse era solo un po’ stanco.
Mentre fuori c’era il sole e i ragazzi che correvano e ridevano… la rabbia era evaporata: e poi, belle parole da dire a Scott, ma un conto era declamare discorsi, un altro era fare qualcosa per rendere veri, concreti i discorsi che si facevano. Jean Paul pensò cosa volesse vivere *davvero* per un ideale, crederci, e crederci sempre, ma non solo. Vivere costantemente per vederla realizzare: bastava la bontà di questo crederci a rendere intrinsecamente buone le azioni compiute? No, certo che no.
Però…
Però che forza, pensò stupito, Jean Paul, che costanza. Che spirito. Che fatica. Era ottenere tutto, o perdere tutto a testa o croce. Ed ogni istante incominciava una nuova partita.
Aveva mai fatto qualcosa per amore? O sempre e solo per calcolo?
Che persona orribile poteva dire una cosa simile?
Osservò Pietro avvicinarglisi, scuro in volto, e dirgli qualcosa. Percepì le sue labbra muoversi, ma non udì, non comprese. Si limitò a fissare quegli occhi che si focalizzavano su di lui, ed erano così chiari e insieme densi, come il cielo al circolo polare.
Freddo ma non vuoto: l’elettricità che rendeva l’aria densa, e i colori che erano solo spettri di onde provenienti dal sole e tutto intorno, che sembrava di essere alla sommità del mondo, come su un’enorme, altissima montagna, troppo in alto per chiunque, irraggiungibile e intangibile.
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“Ciao Remy! – un sorriso che poteva illuminare tutta l’isola di Manhattan per una settimana almeno, e Bobby, sudato e allo stremo delle forze allungò il passo per accostarsi a un Remy più ombroso del solito – Oggi con i ragazzi abbiamo organizzato una specie di torneo. Sono a pezzi sai?! Mi sa che non ho più il fisico!”
Una risata dolcissima che si spense di fronte al broncio oscuro e pesante che tendeva il volto attraente di Remy.
“Che c’è Remy? Non stai bene?”
“Non. Tutto bene, petit. – mosse una mano nell’aria indicando una profonda noncuranza – Ho visto che è tornato il nostro arcangelo.”
“Oh sì, Warren è tornato e ha detto che è qui per rimanerci! Non credi sia una cosa bellissima?!”
Remy distolse lo sguardo.
“Entusiasmante.”
Robert si aggrottò.
“Si può sapere che c’è? Stai male? C’è qualche…”
”Va tutto bene, Bobby, solo non stressarmi, ok? Sei troppo appiccicoso e mi fai
mancare l’aria.”
Lo vide intristirsi, anzi, forse era più un segno di … di dolore. Come se l’avesse colpito fisicamente, direttamente nel cuore. Robert distolse gli occhi.
“Scusa.”
Inaspettatamente non disse altro. Non pregò per un perdono che non aveva senso, non uggiolò la propria insofferenza, non s’impegnò per strappargli dai denti chissà che affermazione. Niente.
Si chinò appena sulle ginocchia accogliendo tra le braccia Pulce, il suo furetto battezzato con quel nome ridicolo proprio pochi giorni prima e si allontanò in silenzio, a passi leggeri come a non voler in nessun modo dargli fastidio.
Remy non osò aprire bocca finché dalla porta d’ingresso, socchiusa, non fece il suo ingresso un’ombra alta, e una piuma bianca comparve, volando mollemente nell’aria, entrando nel suo campo visivo.
“Non fare il coglione, Remy.”
Non si voltò verso Warren.
“Non hai bisogno di farmi da baby sitter, angioletto.”
“A te no di certo. – un ghigno – Vorrei solo che prestassi più attenzione ai bisogni di chi ti sta intorno.”
“Sei appena tornato! – scatto Remy – Cosa ne vuoi sapere di cosa è successo? Di cosa diavolo sta succedendo? E’ facile svolacchiarsene via, lontano, e poi tornare e, come un guru, spargere perle di saggezza in giro, vero? E magari ti dovrei pure ringraziare.”
“Sono solo preoccupato per Robert.”
Lo sguardo di Remy, dalle pupille rosse come il cuore dell’inferno, fiammeggiò davvero, per un attimo parve terribile e pauroso.
“Talmente preoccupato che te ne sei andato via dicendogli ‘ciao’ e poco altro, no? Se fossi davvero preoccupato per lui, avresti dovuto stare qui, non andartene in giro con la tua ultima ragazzetta da rotocalco rosa! Se gli volessi tutto il bene che dici non dovresti mollarlo come una giacca usata ogni volta che ti stufi di giocare al super eroe!”
“Sei tu che non sai quello che stai dicendo. – le ali fremettero d’un’ira che non riusciva a trattenere – E offendere me non ti servirà a tenere a bada la tua coscienza… se ne *hai* una…”
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Luce e sole.
Caldo.
Tepore.
In breve: una meraviglia.
Jean Paul si guardò intorno con fare circospetto come se temesse di vedere, tutt’intorno, fiorire ogni pezzo di legno fosse nel raggio di qualche metro da lui.
Cosa diavolo gli stava capitando?! Di colpi di fulmine, di testa e di capocciate varie ne aveva avute a bizzeffe nella vita, ma sentirsi *così* era dannatamente una novità! E tutto quello perché Pietro l’aveva guardato con un po’ meno… insomma, con qualcosa di lievemente diverso che la solita irritata condiscendenza … non che fosse andata proprio così visto che gli aveva pure rivolto la parola…
Jean Paul si impedì di sospirare visto che già camminava ad almeno tre metri da terra e non riusciva neppure ad essere irritato dal perenne chiacchiericcio di Kitty. Avrebbe voluto apparire meno patetico. Meno stupido. Meno … due secondi prima si stava crogiolando beatamente in una stupida autocommiserazione, il capo cosparso di cenere, pronto a porgere il collo al primo folle assassino che volesse la vita di uno di loro e ora?!?
Ora era elettrizzato e al settimo cielo.
Oh dio!
E’ che non si poteva stare così vicino a Pietro e guardarlo e ascoltarlo, con lui che lo guardava proprio e lo chiamava per nome … insomma, che si rivolgeva *proprio* a lui e… e … che occhi.
C’era anche tutto il resto, ed era una menzogna far finta che non esistesse, ma era stato per mezzo minuto, *immobile* a fissarlo negli occhi. E stava bene così. Avrebbe voluto continuare a farlo per un altro mezzo minuto, almeno.
Insomma, per uno con il metabolismo accelerato, mezzo minuto poteva essere davvero un’eternità, e Pietro … da quel che aveva letto il suo cuore, a riposo, batteva 25 volte al secondo … cosa poteva essere per Pietro mezzo minuto?
Più ci pensava più sentiva il *suo* cuore fargli le capriole in petto e forse gli tremavano pure un po’ le gambe: fosse stato una ragazzina adolescente, e pure un po’ scema, avrebbe potuto accettarlo, così invece …
“Hei prof? – una voce giovane riuscì a far breccia fra i rovi tortuosi dei suoi pensieri – Ma sei sicuro di stare bene?”
Jean Paul sbattè le palpebre mettendo a fuoco lo sguardo su quella ragazzina … ah, sì, Kitty. Cos’è che voleva questa volta? Anche se si sforzava non riusciva assolutamente a ricordarlo.
“Mhpf. - doveva suonare come un sì. Un’ottima risposta, per qualunque cosa volesse. Così, con la coscienza più leggera, girò sui tacchi. - Adesso ho da fare, Kitty. Ci vediamo.”
Pietro gli aveva appioppato fra le mani un pacco di scartoffie dicendogli di occuparsi del ‘lato burocratico della faccenda’. Dopo tutto era lui il diplomatico dei due, no?!
Sospirò di nuovo un mezzo singhiozzo: avrebbe preferito di molto occuparsi di qualcosa che lo obbligasse a un consulto più serrato con Pietro e … santo cielo, era proprio … uno svergognato, ecco! Eppoi prima iniziava quella roba noiosa, prima finiva.
Ottima teoria. Il problema era che Jean Paul si trovò un po’ troppo fra le nuvole per riuscire a lavorare come si dovesse.
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Fragranza di tabacco fresco, stagnante dentro una custodia di legno, porosa.
L’odore delle mattine gelide d’inverno, sulle Alpi, la vista di vette lontane, così aguzze che paiono voler addentare il cielo, appena intraviste fra rami di boschi densi di verdi cupi e marroni carichi, e cime così bianche che sembrano punte di diamante e non giaccio.
L’aroma del pane appena sfornato, il legno crepitante in fondo alla bocca d’un forno profondo, di pietre bianche.
Odori: la sua vita Pietro può classificarla in base a ciò che il suo naso ha percepito, e non sbaglierebbe d’un giorno a far risorgere al presente una netta, distinta sensazione ad essi singolarmente legati.
Ci sono gli odori piacevoli, a cui son legati anche ricordi pesanti, e poi gli odori disgustosi. Il sangue, la polvere pirica, la carne che si consuma in una vampa di fuoco, l’olio per macchinari così avanzati a cui probabilmente non serve neppure del lubrificante ma lo si mette lo stesso che non si sa mai … e l’ozono. L’aria croccante di elettricità, crepitante di ossigeno, e pulita e chiara e fastidiosa, mille piccole scosse che torturano il corpo: l’odore della vicinanza di suo padre.
Lo ricorda, sì, anche quello: ed è un odore che, sa, forse non tanti assocerebbero a cose spiacevoli. Sa dell’aria d’alta montagna, nelle giornate terse in cui pare di poter fissare direttamente il cuore di dio, lassù fra le poche nubi o delle notti infinite sopra il Circolo Polare Artico, quando sono gravide di infinite aurore. Sa di pulito, unico, elevato, inavvicinabile.
Questo, e altro: un lieve sentore che lo rende l’odore tipico di un uomo e non di una cosa, una tonalità che è tipicamente ‘lui’, che Pietro potrebbe riconoscere fra un miliardo, più e meglio di qualunque altro odore.
Pietro lo sa, e ricorda: che ricordare è l’unica cosa che può fare, che deve, per tener vivo se stesso, dentro, e sotto, l’immagine che non può che dare di sé. Somiglia a suo padre, lo sa. Gli somiglia eppure è certo di non avere il suo stesso odore: questo deve bastare a renderlo unico.
Ma è poco, a volte, il mutare appena, fragile, d’un sentore così deciso. Dopo tutto Logan che ha il naso sottile d’una belva predatrice, in lui riconosce chiaro il legame con suo padre. Lui si odia per questo: per questo legame che non può essere spezzato. Per questa discendenza ingombrante. Per quel suo aver accettato, e per anni, prima di comprendere…
Comprendere cosa? Che le idee di suo padre potevano essere follie? O, peggio ancora, *sbagliate*? Che tutto ciò per cui loro rischiavano era solo un mucchio di sciocchezze?
No. Per altri, forse, quello sarebbe stato un buon motivo per andarsene, per voltargli le spalle, ma non per lui. Pietro l’aveva sempre saputo che era sbagliato, dentro di se, quel che faceva. Ma in lui la tensione verso l’inarrivabile incarnato da suo padre era divenuta un’ossessione tale da render vana ogni riflessione simile.
Lui se n’era andato perché … perché doveva essere se stesso. Perché aveva bisogno di vivere una vita propria. Perché Magneto era una presenza troppo ingombrante, assorbiva ogni minima stilla di energia, di entusiasmo, di volontà, e per lui non rimaneva nulla.
E Pietro un giorno aveva semplicemente compreso che non sopportava di annullarsi in quel modo. Che non poteva essere utilizzato come … come un pozzo d’energia, come una cosa sacrificabile all’altare dell’orgoglio di suo padre.
Era solo stanco di essere una ‘cosa’.
Era ritornato ‘persona’. Faticosamente. Ci aveva messo anni, e forse non lo sarebbe mai stato del tutto. Ma almeno il primo passo era stato fatto e anche se il legame non era infranto – perché *quel* legame, ciò che unisce, attraverso le generazioni un genitore a un figlio non può essere mai sciolto- ebbene, almeno era lì, ora. E cercava di decidere. Di fare del suo meglio.
Non era un quadro consolante, non erano, certo, di quei pensieri nei quali indulgere per autocelebrarsi, però … però era qualcosa, era un inizio, come gli aveva detto, ormai anni prima, il professor Xavier.
Sollevò gli occhi e di nuovo se lo trovò di fronte: lui e Magneto, suo padre, erano stati amici. Strinse appena le labbra. Lui somigliava *davvero* così tanto a Magneto?
“Erich era … speciale. – il professore cercò di sorridere ma gli scappò dalle labbra appena un sussurro – e ti guardo, Pietro e a volte sono terrorizzato dal trovare in te così tanto di lui. Ma non quello che tutti dicono: non il tuo aspetto fisico, che quello non ha poi così importanza. – Pietro sentì come se l’aria intorno a loro fremesse: Xavier gli stava mentendo, ora. Ma non voleva indagare, e forse non voleva neppure dar peso a questa intuizione che non sapeva da dove veniva … e che non aveva alcunissimo valore – La tua amarezza, Pietro. Il tuo odio. La tua forza. La tua corazza lucente, dietro alla quale ti nascondi. La tua testardaggine. Le tue sfide: tutte contro te stesso, con l’idea che spezzandoti, liberandoti dai vincoli che la contingenza ti ha stretto ai polsi tu possa davvero raggiungere ciò che desideri. Questo è quello che hai ereditato da tuo padre.”
Un sorriso, stentato, come una crepa che si aprisse su uno specchio d’argento.
“Nulla di buono, come sospettavo.”
“Non è così … semplice, Pietro. Perché nessuno ha le risposte alle domande che tu poni a te stesso, e a tutti noi, con il tuo semplice esistere. – una pausa di riflessione, Xavier distolse lo sguardo, e il suo volto era triste, grave – Forse bisognerebbe davvero convincersi che la felicità completa non è di questa terra, o per lo meno, non è con l’azione che si giunge ad essa. Forse l’unica strada è l’atarassia…”
“La mancanza di passioni. – Pietro parve riflettere a lungo – Vorrei esserne in grado.”
“Se tutti gli sforzi che compiamo per plasmare la realtà li incanalassimo verso … verso una pratica ascetica, almeno spirituale, magari …”
“Magari, Charles. E magari no. Magari semplicemente la felicità, la pace, la tranquillità sono cose che non esistono, sono solo chimere che gli uomini si sono inventati per render meno pesanti i propri giorni. Non ho tempo per questo, e neppure tu, non in un momento così delicato. Anche se, in effetti, mi pare di non aver *mai* tempo.”
Charles sorrise.
“Sei cinico, come tuo padre, e mostri una maschera algida al
mondo, ma sotto la scorza brucia un vulcano.”
”Eri tu quello che lo conosceva bene. – uno sguardo di sbieco, un’arricciarsi
quasi sdegnoso delle labbra – Io ero solo suo figlio.”
“Tu *sei* suo figlio, Pietro.”
Il silenzio li ricoprì entrambi. Xavier abbassò di nuovo lo sguardo, immerso in suoi pensieri, forse ricordi. Pietro semplicemente si alzò, piano, dalla poltrona che aveva occupato fino a quel momento.
Era sul punto di andarsene, ma invece di sparire com’era solito si limitò a fissare il professore, con una lenta fiamma che covava sul fondo di quello sguardo troppo liscio e appuntito.
“Una cosa mi incuriosisce da sempre, Charles. – il suo annuire in risposta fu un lieve movimento del capo e da lì riprese. – Ogni volta che ci incontriamo, ogni volta che… parliamo, io e te, finisce sempre che mi lasci con la sensazione di non aver udito tutto quello che volevi dirmi. Sbaglio?”
“No. – Charles si umettò le labbra. Forse arrossì lievemente ma Pietro non vi fece caso - Ci sono cose che, forse, è meglio non dire.”
“Forse.”
Pietro si stinse nelle spalle. Era tardi: aveva molto da fare. Il tempo per le chiacchiere sarebbe venuto, forse, dopo.
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“JP?”
Jean Paul si voltò lentamente, incredulo che quel tono appartenesse alla voce chiara di Robert. Eppure era lui, lì, gli occhi bassi, in una posa che lo faceva sembrare un bimbo che avesse appena fatto una marachella e, colto sul fatto, biascicasse delle scusse smozzicate senza troppa convinzione.
Eppure c’era una nota di tristezza così forte che lasciava senza fiato, davvero, e che avrebbe intenerito un cuore ben più duro di quello del canadese.
“Che succede, Robert?”
“Lo so che con quello che c’è in ballo i miei problemi dovrebbero essere gli ultimi di una certa importanza, ma …”
Jean Paul cercò di sorridere, avvicinandoglisi nello sfiorargli una spalla.
“Sei triste, ghiacciolino. Cosa è successo? Hai litigato con Remy?”
Un annuire rapido, poi un cenno indeciso.
“In effetti non so di preciso… ho una brutta sensazione. – sollevò gli occhi che parevano d’oro, ora, tanto erano spalancati e asciutti – E se volesse lasciarmi?”
Era così sicura, decisa quell’affermazione che Jean Paul per un attimo non seppe cosa dire. Era come se Robert avesse già analizzato la situazione e fosse giunto alla soluzione che quella era l’unica possibilità da prendere in considerazione. ‘Come se’, già, perché Robert non era uno che per indole analizzasse così a fondo le situazioni e, soprattutto, perché Remy *di sicuro* non aveva nessunissima intenzione di lasciare Robert.
O era così scemo e non se n’era mai accorto?
Jean Paul sospirò scuotendo il capo: no. Aveva imparato a fidarsi del suo istinto in certi frangenti, e ora che non poteva fare affidamento su null’altro non trovava alcun motivo per pensare di essere caduto in fallo.
“Cosa t’ha fatto credere che Remy possa pensare una cosa così… senza costrutto?”
Robert si morse un labbro.
“Nulla, in effetti. – poi si scosse, e la scura ombra che gli segnava il viso gli scivolò via, lentamente, come una foglia portata dalla corrente. Qualcosa di malinconico gli rimase comunque appiccicato addosso, ma era un qualcosa di troppo sottile, quasi impalpabile, perché si potesse cogliere e nominare. – Perdonami, ti ho disturbato fin troppo, me ne rendo conto.”
Jean Paul lo afferrò con forza, le unghie infisse nella sua spalla. Modulò lo sguardo più duro e deciso che seppe creare.
“Remy non ti lascerebbe mai. Parlagli, vedrai che è come ti dico io.”
Robert non rispose. Inaspettatamente non si ritrasse. Non assunse la sua solita posizione di difesa come se volesse scappare, allontanarsi e tacere un’affermazione che non poteva essere contestata. Lo fissò non modulando un solo, nuovo respiro.
E Jean Paul si accorse che Robert era *grande*, era più grande di quanto avesse mai sospettato. Forse più di chiunque avesse anche solo immaginato. Era abbastanza maturo per affrontare un dolore e superarlo, prima o poi. Non era una persona alla quale bisognasse raccontare una menzogna per timore di farla a pezzi: non più. Forse non lo era mai stato.
Quella sensazione chiara sparì, velocissima tra le pieghe di quegli occhi castani punteggiati da macchie di sottobosco dorato, un pallido sorriso accese riflessi impossibili da decifrare in fondo a quell’atteggiamento sempre troppo aperto e pulito.
“Può darsi che abbia ragione tu, JP.”
Uno sbuffo fasullo, artificialmente sottolineato da un muoversi leggero della mano.
“Io ho *sempre* ragione, Robert!”
L’esclamazione, densa di una buffissima sicurezza riuscì nel suo intento, Robert rise e Jean Paul si sentì come se avesse appena compiuto un piccolo miracolo. Come se fra le sue dita fosse appena nato un piccolo sole. Una fragile fiammella di speranza all’interno della guerra che gli stava sibilando intorno.
Per un attimo il semplice sorriso pulito di Robert bastò a dare al mondo la patina luminosa di pacata felicità che pareva aveva perduta, e una lieve convinzione infantile: che nulla potesse andar male se nell’aria esistevano ancora risa così, se degli occhi si illuminavano in quel modo. Se esisteva, in un cuore, un calore simile, un tepore in grado di scaldare un altro cuore fin nell’ultima fibra allora si poteva aprire gli occhi al futuro e non temerlo troppo nero. O, comunque, si sarebbe potuti uscire vivi da quella notte nera che si stava approssimando.
Chissà se Robert era consapevole di cosa riusciva a suscitare?
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