STELLA DEL NORD
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PARTE: 10/?

AUTORE: Dhely

SERIE: Xmen con notevoli variazioni sul tema
. Spero che tutto sia sufficientemente comprensibile anche a chi non ha mai seguito i fumetti!

PAIRING: Robert+Jean Paul ma sono tutti un po’ strani in questo capitolo!

 

RATING: Ricordi di violenze subite in passato,e violenze presenti. Linguaggio volgare. Temi non proprio gradevoli. Angst. Un po’ di R.

NOTE: i pg non sono miei ma li amo tutti, uno per uno,  anche se appartengono alla perfidissima signora Marvel - la quale, ovviamente, non mi passa mezzo cent. per scrivere questa roba-. I pairing, le coppie, il passato di questi tizi è stato manipolato e/o mezzo inventato per riuscire a tirare in piedi una trama decente, anche se ho cercato di non cambiare troppo 'cio' che è stato'.

NOTE 2: chiunque abbia bisogno di maggiori informazioni sui pg trattati in questa fic, può tranquillamente chiedere a me, o consultare uno dei tremila siti di continuità Marvel per comprendere che è tutto un gran casino e che è forse meglio chiedere a *me* così vi dico solo le cose che potrebbero essere utili per capire di *chi* sto parlando! (adoro essere modesta.)

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Dopo la prima ora Jean Paul dovette ammettere a se stesso di essere stanco.

 

Dopo la terza ora era fradicio, sudato, sfinito.

 

Alla terza Logan aveva fatto il suo ingresso in palestra, e aveva preso ad allenarsi con lui.

 

Dopo quarantacinque minuti Jean Paul era sul punto di crollare a terra sconvolto, lasciandosi uccidere, però, prima di ammettere di non essere più in grado di reggersi in piedi.

 

Sei un maledetto testardo, lo sai, Jean?!”

 

Jean Paul sorrise appena distribuendo meglio il peso del corpo sui piedi divaricati, dondolando appena, fingendo un attacco che non venne.

 

Che non poteva venire visto che le sue forze erano davvero allo stremo. Jean Paul lo sapeva tanto quanto Logan.

 

E Logan non voleva vedere Stellina stramazzare al suolo sul punto di un collasso.

 

Bobby era seduto su una panca e li stava fissando con una strana espressione tesa, un po’ preoccupata disegnata sul viso e quello era tanto strano quanto stupefacente era il fatto che Stellina non si fosse fermato prima di rischiare di superare il limite dato dal suo corpo.

 

Jean Paul si limitò a scrollare il capo, incrociato lo sguardo con Robert. Una risposta silenziosa a una domanda muta.

 

“Vado a farmi una doccia, Logan. Tu che fai?”

 

Sfacciatamente invitante, come al solito. Logan però si rabbuiò.

 

“Vengo con te. Devo parlarti.”

 

Stellina finse, forse, di non aver sentito, o forse non gli importava.

 

Era probabile non gli importasse.

 

Stellina sapeva essere terribile ed egocentrico, sarebbe riuscito a cancellare per intero dalla sua mente l’esistenza del resto del mondo con un semplice battito di ciglia. Non che Logan fosse meno testardo di lui: si prospettava una bella battaglia.

 

Le piastrelle bianche, la luce al neon che tagliava di sbieco l’aria tra di loro, dando allo spogliatoio un’aria asettica e decisamente poco gradevole.

 

In fondo era uno spogliatoio e non c’era alcun motivo perché dovesse essere *piacevole*…

 

Jean Paul socchiuse gli occhi spogliandosi della maglietta, gettandola di lato, per poi girarsi appena in un movimento lento, così sensuale da non parer neppure vero.

 

“Sotto la doccia?”

 

“Ti devo parlare.”

 

Secco, quasi arrabbiato, in modo di esser certo che Jean Paul comprendesse bene quanto fosse importante, ora, rispondere alle sue domande.

 

Stellina sorrise di nuovo, esprimendo una soddisfazione maliziosa tramite il semplice arcuarsi delle sopraciglia.

 

“Parlare? Adesso si dice così?”

 

Logan ringhiò allungando la mano. I suoi polpastrelli strinsero con forza la spalla nuda di Jean Paul spingendolo all’indietro, facendolo andare a sbattere contro il muro, bianco e freddo. Il canadese tremò impercettibilmente al contatto non troppo piacevole.

 

Che diavolo ti succede, eh? Si può sapere che hai?”

 

“Io? – sorrise riuscendo a scivolare via da quella presa. Un passo elegante di lato, uno sguardo di fuoco, rabbia stemperata nel fastidio – Sei tu quello che s’è svegliato storto stamani.

 

Un nuovo ringhio. Jean Paul sapeva che Logan non era un tipo con cui convenisse tirare troppo la corda, ma quella mattina… bhè, quella mattina anche Logan poteva andare a quel paese!

 

Il fastidio divenne irritazione, l’irritazione rabbia fredda a mordere la gola.

 

“Se perché tu ti metta a parlare chiaro devo iniziare io, ebbene, ecco: non sono fesso sai? Hai visto che faccia ha Bobby stamattina? E tu? Per quel che mi riguarda puoi stare in giro tutta la notte, *tutte* le notti ma non mi piace per nulla l’odore che hai addosso!”

 

Jean Paul si piantò  i pugni sui fianchi.

 

“Robert avrà litigato con il suo fidanzato. Perché non vai a rompere l’anima a lui al posto di star qui a farmi menate?”

 

Logan ringhiò.

 

“Non crederai di svicolare alle mie domande in questa maniera infantile, vero?”

 

Jean Paul sbuffò.

 

“Non ho nessuna intenzione di reggere le tue insulse scenate di gelosia.”

 

E di cosa dovrei essere geloso? Non essere stupido!”

 

“Non sono io ad aver cominciato questo discorso idiota, Logan.

 

L’occhiata che gli scoccò era terribile, fredda, angosciante e angosciata insieme. Schioccò i denti, udibilmente. Se c’era qualcosa che fosse accaduto la notte precedente, non c’era nulla che Jean Paul volesse raccontare con qualcuno. Tanto meno con Logan.

 

Con un Logan irritato oltre ogni dire per un qualcosa di cui non sapeva comprendere il motivo. Gelosia. Logan geloso? Ma figurarsi. Logan non era *mai* stato geloso: c’erano stati mille amanti da parte sua, e Logan aveva avuto un buon ventaglio di donne e non c’erano mai stati problemi.

 

Problemi?

 

Perché problemi?

 

Il problema era Robert? Jean Paul non si era mai accorto che Logan avesse mai mostrato un attaccamento simile nei confronti del… ma no.

 

Jean Paul gli voltò le spalle, sbuffando.

 

“Vado a farmi la doccia.”

 

“Non te ne basteranno venti per camuffare quell’odore…”

 

Jean Paul s’immobilizzò. Per un attimo la sua mente semplicemente fece black out. Buio, vuoto, nulla. Un’unica domanda di cui non sapeva la risposta. Di cui non sapeva *nulla*.

 

“Di che diavolo parli?”

 

Ma Logan già era uscito dallo spogliatoio, rientrato in palestra.

 

Jean Paul scosse il capo, di nuovo, sbuffando.

 

Era sudato, stanco, voleva solo infilarsi sotto la doccia e lasciare che l’acqua gli scorresse indosso e dimenticare.

 

Dimenticare?

 

Dimenticare no. Perché non c’era niente da dimenticare.

 

“JP?”

 

Robert lo fissava dalla porta dello spogliatoio, un’espressione così preoccupata e tesa che il canadese sentì, fortissimo, il desiderio di mettersi ad urlare sbattendo la testa contro il muro. Ma che diavolo stava capitando a tutti quanti? Che razza di epidemia…

 

Che c’è?”

 

Seccato. Teso.

 

Era stanco, dannazione. Era solo *stanco*. Perché sembrava che nessuno riuscisse a capirlo? Perché lo tormentavano?

 

Robert avanzò, una strana forma di coraggio lucente dipinto in quegli occhi solitamente morbidi di sorrisi. Un cucciolo.

 

“Sono stato io?”

 

Jean Paul sbattè le palpebre, stupito.

 

“A fare cosa?”

 

“A farti arrabbiare. – quando Robert fu abbastanza vicino per toccarlo, allungando un braccio, si fermò e sembrò arrossire di preoccupazione. – Se è così volevo chiederti scusa, io non…”

 

“Non sono arrabbiato, Robert. – un mezzo sorriso stringendosi nelle spalle. Tese una mano e gli sfiorò il viso, delicatamente – E di sicuro non con te. Chi ti ha messo in testa una sciocchezza simile?”

 

Gli venne da ridere, ora, con forza, a sentirlo fra le braccia, stringendolo quasi tremando. Era preoccupato. Robert era *terribilmente* preoccupato di averlo offeso in qualche modo. Che sciocco bambino!

 

Era … era dolce, però. Dolce e piacevole che lo abbracciasse così. Era bello sentire la sua preoccupazione, anche se non sapeva da dove veniva.

 

Sorrise, e Robert si staccò da lui con uno sbuffo e una strana espressione a torcergli il naso.

 

Ma ti sei visto stamattina! – scosse il capo quasi furioso – Hai la faccia di uno che potrebbe incenerire l’inferno! E mi hai trattato malissimo per tutto il giorno! Hai pure il coraggio di chiedermi come ho potuto credere che fossi arrabbiato con me?! Ero *certo* che volessi uccidermi per chissà cosa!”

 

Poi rise abbracciandolo di nuovo.

 

“Andare alle feste per me è altamente stressante, Robert.”

 

“Ho notato. – rise, poi arretrò di un passo, sfilandosi la maglietta a sua volta – Non dovevi farti la doccia? Andiamo, muoviti!”

 

Un sorriso da bambino dispettoso. Con i polpastrelli sfiorò, leggero, la superficie lucida di piastrelle chiare, nel punto esatto dove, pochi centimetro sotto la copertura esterna, passavano i tubi dell’acqua. Ovviamente Jean Paul lo notò, ma non riuscì ad immaginarsene il motivo finchè tutte le docce esplosero  un terribile getto d’acqua gelida.

 

Robert rise come un ragazzino al suo sobbalzare forte, un urlo quasi strozzato dallo stupore. E dal freddo che le mille schegge d’acqua ghiacciata sulla pelle nuda facevano nascere. Poi una specie di ringhio, scherzoso anche da parte sua, e scomparve dallo sguardo di Robert.

 

Hei, fifone! Dove ti sei ficcahaahhhhhHHHHHHHH!”

 

Schizzò via, Robert, centrato da un getto d’acqua deviatogli addosso da una mano di Northstar che galleggiava a mezz’aria.

 

“Voli, non vale! Scendi giù da lì JP e vedremo chi di noi due è più furbo!”

 

Robert mosse, secco, una mano, dell’acqua si ghiacciò di colpo intorno alle caviglie e ai polsi di JP, rendendolo più pesante. Troppo.

 

Un nuovo ghigno.

 

“Giochi sporco, eh, piccolo?”

 

“Non è colpa mia se non ti piace l’acqua fredda … “

 

Non finì di dirlo. Un qualcosa di denso e di terribilmente profumato gli colò sulla testa, per trasformarsi quasi immediatamente in … schiuma?

 

Robert si imbronciò, infilando la mano in un armadietto lì accanto e schizzò contro Jean Paul una gran quantità di bagno schiuma che lo mancò, ma continuò a fare il suo dovere, riempiendo la stanza di altra schiuma, che si aggiungeva alla schiuma e all’acqua che si spargeva ovunque. E continuava a spargersi visto che entrambi ci correvano sopra, ridendo, schizzandosi, spargendo sapone e shampoo ovunque.

 

E ridevano, entrambi.

 

Schiuma ovunque.

 

E Jean Paul si sentiva un ragazzino. Stupido. Ma leggero e felice. Nonostante l’acqua gelata, la schiuma dai troppo profumi diversi che si mischiavano, il pavimento che scivolava sotto i piedi e Robert e la sua fissa a creare lastroni lisci di ghiaccio su cui non si potesse correre!

 

“Si può sapere che diavolo…”

 

Scott non trovò il fiato per terminare la sua sfuriata. Si bloccò a fissare i suoi due compagni di squadra cosparsi di bolle, di *pochi* vestiti, che ridevano come due pazzi.

 

Forse erano davvero impazziti…

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Crederci.

 

Non era tanto quello che si faceva, quello che si otteneva. Contava *crederci*.

 

Crederci, oltre se stessi, oltre il mondo, oltre il giudizio del prossimo, oltre qualunque buon senso. Crederci e basta, perché la realizzazione dell’utopia non è di questo mondo. Perché la perfezione non è qualcosa di umano. Perché l’unica cosa che è a nostra portata è il volere. Volere sempre oltre, sempre di più: e fermarsi alle cose materiali era squallido, era inutile e indegno. E allora: mirare a qualcosa che non si poteva ottenere, perché in quel modo il volere diventava assoluto e perfetto. E in quello si misurava il valore di uno spirito, la sua grandezza. Con quel metro si misurava davvero la vittoria o la sconfitta.

 

Non vincere una battaglia, o *una* guerra. Ma crederci. Ed essere sconfitto, e cadere e rialzarsi, sempre, con una costanza assurda, con una caparbietà demoniaca. Senza risparmiarsi mai, senza concedersi una minima tregua.

 

Rialzarsi ad ogni colpo.

 

Resuscitare ad ogni morte.

 

E se per sempre si fosse stati sconfitti, per sempre si sarebbe dovuto riprendere le armi, e ricominciare. Ancora e ancora. Da capo ogni volta. Appena scrollarsi da dosso un po’ il fango e la polvere.

 

Null’altro che questa testarda ostinazione a tenere insieme un’anima, nel dargli una direzione, una impronta decisiva, e a darla alla storia stessa.

 

Null’altro oltre a tenere gli occhi sempre fissi sulla meta scelta e andare avanti. Avanti. Sempre. A ogni costo.

 

Era una pazzia: lo sapeva.

 

Lo sapeva bene perché quell’”a ogni costo” contemplava anche la vita di innocenti, comportava dolore, sofferenza, distruzione di chi non poteva reggere quel peso che solo uno spirito forgiato nel diamante poteva. Il mondo diventava un niente, si parlava con le persone, ma non si vedevano, diventava tutto trasparente, tutto insignificante, di fronte alla *meta*.

 

Pietro lo sapeva, sapeva il dolore, sapeva la follia nascosta sotto quelle parole di fuoco che sapevano accendere i cuori, di passione o di timore.

 

Suo padre era pazzo.

 

Era un terrorista, un fanatico. Peggio di tutto, era un *lucidissimo* pazzo che credeva fermamente in quel che predicava. E aveva la forza di rialzarsi dopo ogni sconfitta. E continuava a tenere gli occhi fissi a ciò che voleva ottenere, disposto a sacrificare ad esso i suoi amici, i suoi figli, la sua stessa vita.

 

Era pazzo. Pietro lo sapeva, e provava disgusto per provare una strana sorta di… ammirazione, nonostante tutto. Lui non avrebbe mai posseduto una tale saldezza d’intenti. Non era certo che, al posto di suo padre, sarebbe riuscito a reggere alla pressione infernale che lui stesso aveva creato.

 

Per questo se ne era andato, per questo aveva ‘tradito’.

 

Per questo aveva rifiutato di macchiarsi ancora in quel modo le mani, aveva preferito voltare le spalle a suo padre e alle sue pazzie, per collocarsi dall’altra parte dello schieramento: Magneto era pericoloso. Perché era *troppo*. Troppo deciso, troppo forte, troppo determinato, troppo potente. Avrebbe annientato tutto, anche se quello non era ciò che voleva: cosa avrebbe potuto sopportare uno spirito simile?

 

Che differenza, dunque, passava tra suo padre e un terrorista, uno di quelli che si vedevano ogni giorno in tv, che si facevano esplodere insieme a un tram affollato di civili inermi?

 

Nulla, se non il grado occupato in un’associazione.

 

Suo padre probabilmente non era meno fanatico di loro, e se preferiva non sprecare i suoi subordinati in attacchi suicidi, non avrebbe di certo pianto se uno di loro fosse caduto sul campo durante una qualche missione. E di certo se morivano dei civili non poteva importargli nulla.

 

Aveva *vissuto* all’interno di una struttura terroristica, quindi, suo malgrado, era un esperto dell’argomento. Per quello era lì.

 

Non per deviare un attacco di suo padre, no, perché allora lui solo non sarebbe servito a nulla, ma per cercare di evitare il realizzarsi di una minaccia terroristica rivolta ad una scuola strapiena di adolescenti.

 

Bestie senza cuore! Ragazzi inconsapevoli al centro del mirino solo perché ‘diversi’. Solo perché mutanti, e forse pericolosi, forse.

 

No, non era nulla di nuovo, non c’era nulla di diverso rispetto a quello che blaterava suo padre sulla superiorità dei mutanti rispetto agli umani normali. E in effetti, lui era un *esperto*.

 

Il sorriso che gli contrasse appena un angolo della bocca apparve come il fantasma di un ghigno amaro. Amarissimo.

 

Il professor Xavier si era mostrato genuinamente soddisfatto di essere riuscito a vedere che il governo aveva preso sul serio l’ennesima lettera minatoria, promettendogli, e poi inviando, alla sua scuola unesperto di antiterrorismo’.

 

Si era aspettato *lui*?

 

Pietro non lo sapeva, voleva credere … gli sarebbe piaciuto credere che la cosa riuscisse a gratificarlo in uno strano modo contorto ma come poteva essere certo di cosa potesse mai provare un *telepate*?

 

“… ovviamente ti daremo tutto l’appoggio che necessiti. – continuò Charles Xavier muovendo appena una mano – Credo che potremmo affiancarti a un paio di persone che hanno già avuto a che fare con attentati ed attentatori in passato.”

 

Il sopraciglio di Pietro si arcuò leggermente.

 

“Non dubitavo che ne foste sprovvisti. – acido e diretto come sempre – Sono consapevole di essere stato invitato semplicemente come… garanzia di ‘buona volontà’ da parte del nostro governo.

 

“Può darsi, ma tendo a considerare la tua presenza qui davvero come un’ottima cosa. Noi, comunque, siamo tutti troppo coinvolti. E tu sai essere freddo a sufficienza per gestire una situazione pericolosa.

 

Pietro si stupì a pensare che, se fosse stata un’altra persona, probabilmente l’avrebbe preso come un insulto. Invece sapeva benissimo che era … un immeritato complimento espresso in maniera consapevole.

 

Charles sapeva benissimo che di solito Pietro agiva puramente d’istinto. Che avrebbe dato un braccio per potersi definire ‘freddo’ e ‘razionale’. Invece era istintivo, caldo, rapido, poco razionale, lunatico: forse il peggior soggetto per gestire una situazione simile. Di certo l’esperienza lo metteva al riparo di svariati errori, e sapeva comportarsi davvero come se *fosse* freddissimo… bastava quello?

 

“Vorrei analizzare la lettera di minacce. Ho fatto un paio di ricerche sui gruppi collegati alle sigle che potrebbe nascondersi dietro l’atto dimostrativo della settimana scorsa. Ma se davvero esiste la possibilità che qualcuno che possa schermarsi ai tuoi poteri telepatici e che possa avvicinarsi abbastanza alla scuola per mettervi una bomba, ho bisogno di accedere ai vostri database. Hai dubbi, Charles?”

 

L’uomo parve riflettere un attimo, poi sospirò.

 

Se devo fare l’elenco di chi ci ha minacciato, o anche solo ‘pensato’ di fare una cosa simile, fra una settimana non ho ancora finito, Pietro. Non stiamo vivendo una bella situazione, lo sai, ma il fatto che sia schermato è stato quello che mi ha messo in allarme. Qualcuno che può accedere a una tecnologia simile… solo l’idea mi terrorizza, davvero. Se non potessi più garantire la sicurezza ai miei ragazzi…”

 

“Non drammatizzare, non è il caso. Prima di sgomberare la scuola abbiamo ancora un margine in cui lavorare. Poi non credo che un centinaio di ragazzini sparpagliati e indifesi per il mondo siano più al sicuro che qui. Per lo meno se questi pazzi vogliono davvero uccidere tutti i mutanti ‘giovani’ per far saltare una generazione e per lavorare, al contempo, a una legge sulla soppressione obbligatoria di mutanti alla nascita.”

 

Un brivido sottopelle. E un pensiero osceno, oscenamente tentatore: suo padre stava combattendo contro *queste* persone. Anche.

 

Xavier chiuse gli occhi, dolorosamente.

 

“Una legge simile non può essere approvata in un paese civile! Non voglio e non posso crederci. – poi un respiro pesante e lento, per calmarsi – Dobbiamo dar tempo per scegliere e giudicare con coscienza, e questo non può avvenire in un clima di attentati e recriminazioni. Temo che ci sia in ballo qualcosa di più grosso della vita di alcuni ragazzi.”

 

La vita di alcuni ragazzi non era mai una ragione considerata sufficiente buona da un pugno di burocrati. Mai. Per muoversi, alle spalle c’erano sempre interessi diversi da delle semplici vite: questo l’aveva imparato da suo padre, e in *questo* aveva sempre avuto ragione. Terribilmente, amaramente ragione.

 

“Non sono qui per parlare di politica.”

 

Un sospiro.

 

“Ragionevole. Adesso uno dei miei studenti ti indicherà la tua stanza, e appena sarai pronto puoi chiedere ad Hank l’accesso ai database. Non posso far altro che augurarti buon lavoro, per il bene di tutti noi.

 

Odiava i martiri, Pietro. Odiava quelli che non vedevano chi li circondavano, che li trapassavano come se fossero fantasmi di vetro, o li utilizzavano come cose. Era aberrante sapere che un pugno di morti fossero utilizzati come zavorra sulla bilancia che regolava una decisione governativa.

 

E odiava, ancor di più, anche la pacata indifferenza con cui formulava quei pensieri, come se fosse normale. Come se non potesse che essere *così*.

 

Non aveva mai smesso di essere il figlio primogenito di Magneto, dunque. Per il quale uccidere era normale, anche ‘banale’, quotidiano.

 

Il che era peggio, forse, di essere un assassino.

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Anni, decenni trascorsi a lottare, cambiare, crescere, migliorare. *Controllarsi*.

 

Anni in cui aveva sputato sangue, aveva fatto a brandelli il suo cuore, aveva divelto la sua anima dalle radici senza pensarci due volte per essere sempre il migliore in quel che faceva. Sempre.

 

E lo *era*!

 

Rifiutava qualcosa?

 

Rimpiangeva qualcosa?!

 

No, cazzo, no! Non era un ipocrita, non poteva non dire che gli piaceva cosa era diventato, e gli piaceva pure, senza darlo troppo a vedere, ovviamente, stare lì con quei ragazzini, quella squadra di idioti. Con il Professore e Scott pure e gli altri. Erano tutti matti: combattevano per il bene dell’universo… roba più idiota non potevano trovarla e l’avevano pure accolto. Non come il figliol prodigo tornato all’ovile, ma non si poteva aspettare di più. E in anni era cresciuto con loro, ed aveva imparato il rispetto, e aveva imparato ad amarli, ed erano una *famiglia*.

 

Erano la *sua* cazzo di famiglia!

 

Tutti loro!

 

Tutti quelli che, anche solo per un fine settimana si ficcavano su quella dannata tuta con una X stampata sul cuore. Non l’avrebbe ammesso neppure sotto tortura, ma …

 

E ora eccolo!

 

*Lui*.

 

La persona che odiava più al mondo. Che gli faceva più … schifo, che detestava con tutto il cuore. Quante volte era stato sul punto di inficiargli un palmo di acciaio nelle budella?!

 

QUANTE CAZZO DI VOLTE?!?

 

Ma quello stronzo: no.

 

Quello stronzo cascava e si rialzava. Non si riusciva a scavargli una tomba abbastanza fonda perché poi non si tirasse su comunque! E cos’era? Non doveva forse provare una sorta di rispetto supremo per questo nemico così determinato e forte? Non doveva forse mostrarsi superiore, come a quel demente del Professor Xavier riusciva benissimo, e fermarsi tutte le volte in infinite blatere falso filosofiche sulla giustezza intrinseca della superiorità mutante?

 

A Logan di queste cose non ne fregava un accidente.

 

Non importava se Magneto avesse avuto torto o no.

 

Se fosse un nemico magnifico, che non si arrendeva mai, che credeva in quel che faceva, che era furbo e bastardo. Non gli fregava un accidente di quel modo da pazzo con cui ti guardava e quei suoi fottutissimi occhi che sembravano fuochi elettromagnetici!

 

Doveva fregargliene qualcosa se, tutte le volte che Magneto compariva di fronte a loro, c’era un esubero di feromoni sparsi nell’aria e Charles, l’idiota, s’illuminava come un albero di Natale?!

 

Che si sfottessero tutti quanti!

 

Magneto era pazzo ed un pazzo pericoloso!

 

E lui lo *odiava*.

 

Punto.

 

Odiava il suo odore, odiava anche solo pensare di lui.

 

Odiava lui, i suoi figli, sua nipote.

 

Avesse potuto…

 

Logan prese un respiro profondo che gli sibilò fra i denti serrati.

 

Non aveva alcuna importanza se quel decerebrato di Charles si fosse preso una cotta adolescenziale per Magneto e che a cinquant’anni suonati non gli era ancora passata: sapeva bene quanto fosse cretino.

 

Ma ospitare uno dei *suoi* alla Scuola… e non importava se il figlio prediletto di Magneto avesse mollato suo padre anni prima ed aveva ampiamente dimostrato di non pensarla come lui! E non gli fregava neppure un accidente della storia riguardo ai peccati dei padri che non devono cadere sui figli!

 

Pietro aveva un odore troppo simile a suo padre per poter essere *diverso*.

 

E Logan odiava Magneto. Odiava quell’odore. E non sopportava quando lo sentiva addosso a persone che … che riteneva vicine, persone che erano importanti.

 

Stellina aveva ‘toccato’ Pietro. Ne era certo, lo sentiva bene, e chiaro. Avrebbe dovuto ucciderlo a mani nude, là nelle docce, quell’altro idiota!

 

Un altro incantato dal fascino degli occhini azzurri e dall’atteggiamento di imperatore interplanetario!

 

Ringhiò infilandosi le mani nei jeans.

 

E ora quell’altro idiota cerebroleso rincoglionito aveva *chiesto* a Pietro di lavorare con loro?!

 

Avrebbe dovuto ucciderli *tutti*.

 

Nessuno escluso: un branco di idioti… ma Pietro, se fosse stato così stupido da accettare, quando avesse messo piede nella Scuola avrebbe dovuto fare i conti con lui per ogni occhiata non autorizzata… l’avrebbe fatto a pezzi…

 

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