STELLA DEL NORD
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PARTE: 9/?

AUTORE: Dhely

SERIE: Xmen con notevoli variazioni sul tema
. Spero che tutto sia sufficientemente comprensibile anche a chi non ha mai seguito i fumetti!

PAIRING: Jean PaulXRobertXRemy

RATING: NC-17-V Ricordi di violenze subite in passato,e violenze presenti. Linguaggio volgare. Temi non proprio gradevoli. Angst. Un po’ di R.

NOTE: i pg non sono miei ma li amo tutti, uno per uno,  anche se appartengono alla perfidissima signora Marvel - la quale, ovviamente, non mi passa mezzo cent. per scrivere questa roba-. I pairing, le coppie, il passato di questi tizi è stato manipolato e/o mezzo inventato per riuscire a tirare in piedi una trama decente, anche se ho cercato di non cambiare troppo 'cio' che è stato'.

NOTE 2: chiunque abbia bisogno di maggiori informazioni sui pg trattati in questa fic, può tranquillamente chiedere a me, o consultare uno dei tremila siti di continuità Marvel per comprendere che è tutto un gran casino e che è forse meglio chiedere a *me* così vi dico solo le cose che potrebbero essere utili per capire di *chi* sto parlando! (adoro essere modesta.)

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Cercare una  persona a New York non era una delle cose più semplici da fare, soprattutto se di quella persona si conosceva pochissimo e se era un mutante che avrebbe potuto andare a piedi in Europa in venti minuti al massimo.

 

Jean Paul strinse appena gli occhi, cercando di pensare: di quel Quicksilver, Pietro Maximoff, aveva letto molto, l’aveva sempre incuriosito un mutante che possedeva un potere così simile al suo, ma non l’aveva mai incontrato di persona. Gli avevano detto che era schivo, o arrogante, a seconda delle persone con cui aveva parlato, ma poco altro.

 

Ed *etero*.

 

Sposato, con una figlia.

 

Jean Paul sospirò: non era da lui lasciarsi scoraggiare alla prima avversità ma, insieme, non era certo uno di quelli che avrebbe corteggiato un omofobo fino a farsi picchiare. In effetti non aveva avuto alcuna intenzione di provarci con Pietro se non l’avesse visto.

 

Etero, gay, bisex o qualunque cosa fosse non era certo uno che potesse passare inosservato. Sembrava una statua greca. Non erano molti quelli che avrebbero potuto vantarsi di lasciare il canadese affascinato e senza parole: Pietro era uno di quelli.

 

Jean Paul, semplicemente, l’aveva visto e aveva deciso che doveva essere suo, incurante di tutto il resto.

 

Anche ora, del matrimonio di Pietro, della sua presunta preferenza per le donne e di tutti i problemi di quel genere non gli importava poi molto. Solo che se avesse conosciuto più cose di lui magari avrebbe saputo dove cercarlo… e si ritrovò a sospirare ammettendo a se stesso che non aveva la minima idea di dove potesse essersi ficcato per scappare alla noia di una cena informale.

 

Aveva scartato tutti i locali, alla moda o no, tutti i luoghi affollati della città… sempre presumendo che ci fosse *rimasto* in città… un sospiro. Era proprio un idiota. Come si poteva pensare di trovare qualcuno di cui non si conosceva nulla in una città come New York?

 

Rallentò il passo, prendendo semplicemente a passeggiare. Dannazione! Era un mutante, poteva muoversi, vivere a una velocità impossibile, poteva volare, e non riusciva a trovare un…

 

I suoi piedi si fermarono, inchiodandosi, di fronte all’ampia struttura chiara del Palazzo del Ghiaccio. Jean Paul storse il naso: per carità, odiava il freddo, il ghiaccio non gli stava per nulla simpatico. Perché mai avrebbe dovuto entrare di nascosto in un luogo dove la gente andava per imparare a pattinare? Lui *sapeva* pattinare sul ghiaccio! E pensò a Pietro, a quegli occhi chiari come due iceberg, a quella freddezza scostante e si disse che, se fosse stato fortunato, a lui sarebbe piaciuto un posto simile.

 

Entrare nello stadio fu, ovviamente un gioco da ragazzi.

 

Le gradinate, al buio, erano illuminate solo dal riverbero della luce che proveniva dall’immensa vetrata spettacolare che dava sull’Houston, sulla skyline di Manhattan, così come la pista, che sembrava una perla, tanto era bianca e scintillante.

 

Per un attimo gli parve di essere tornato indietro nel tempo: quella lastra di ghiaccio era forse troppo regolare, mostrava troppe poche asperità, e mancava il vento, ma la mezza luce, il scintillare perenne della neve e del cielo che feriva gli occhi e il freddo che poteva infilarsi ovunque, che congelava anche l’anima… ma non era più in Canada. Era in città. E le gradinate che ad una prima occhiata gli erano parsi ripidi costoni di roccia ripresero il loro aspetto usuale. Banale, tranquillizzante: cemento armato modellato a blocchi che fissavano dall’alto l’ampia superficie piatta del ghiaccio candido, solcato dai mille tagli delle lame dei pattini. Ghiaccio ferito e trafitto. Ghiaccio violentato, esposto.

 

Ghiaccio finto, artificiale, una purezza creata per una percezione superficiale…

 

Una figura scura era seduta lì, a fissare il bianco che si rifrangeva sotto le mille luci della città congestionata, che stava festeggiando, o almeno vivendo. Lì era come essere in una sorta di sospensione. Un luogo freddo e immobile, dove le figure si intravedevano appena, si intuivano i movimenti ma niente di più. Un limbo di chi fosse improvvisamente stanco di vivere.

 

Di correre.

 

Quel pensiero prese Jean Paul alla sprovvista, sbatté le palpebre e si trovò senza parole. Qualcosa, nel suo cuore prese a far male, impedendogli di muoversi. Rimase così ad assorbire ciò che aveva intorno solo con lo sguardo, come se non potesse fare o dire altro. Come se non avesse altre possibilità altre che rimanere immobile di fronte all’istante ghiacciato.

 

Furono quegli occhi a strapparlo da quell’emozione, uno sguardo che sapeva di freddo e insieme di una profondità incredibile. Solo uno sguardo azzurro, potente, sprezzante anche, che in quel momento era morbido quasi, e perduto in parte. Forse.

 

Forse.

 

Jean Paul sorrise avanzando lentamente, infilandosi coi suoi movimenti nella crepa che quegli occhi avevano creato per lui nella perfetta immobilità di quel luogo.

 

“Non immaginavo di trovar qui qualcuno.”

 

Sussurrò morbido, e la sua voce aveva un tono di sbigottito stupore e pacata scoperta che lui stesso non sapeva dove aveva fatto nascere.

 

Pietro piegò appena il capo di lato, un’espressione indifferente scolpita su quel volto appena malinconico, che pareva creato da un artista dell’antichità tanto era perfetto nei lineamenti e nelle proporzioni.

 

Armonia: tutto in lui suonava come fosse stato un’orchestra d’archi, i suoi movimenti, ora quasi inesistenti, i suoi sguardi che dardeggiavano. Una bellezza da lasciare senza fiato.

 

“Io lo speravo.”

 

Ma gli occhi negli occhi parlavano d’un fastidio più attutito, di qualcosa di diverso che un assoluto desiderio di solitudine.

 

Jean Paul gli si sedette accanto, chinandosi in avanti, tutta la sua attenzione strappata a forza da quel corpo tiepido di uomo al suo fianco per gettarla giù, nella pista vuota e ferita. Sembrava una bestia dolorante che si stesse ritemprando dalle ferite d’una giornata di caccia selvaggia: quella vista emanava una così grande ondata di stanchezza, una sensazione di tanta pacata rassegnazione che per un attimo Jean Paul si sentì a casa. Imprigionato e senza possibilità di uscire da quella vita che gli faceva solo male, che gli mostrava con una mano una quantità inenarrabile di tesori e con l’altra gli strappava tutto, non solo i sogni, ma pure la vita che possedeva.

 

Il dolore stemperato in una strana accettazione, che non era mai stata sua. Una forza nascosta nel profondo, come un nucleo d’acciaio che gl’impedisse di frantumarsi in mille pezzi come fosse stato un simulacro di ghiaccio.

 

Per un attimo il presente fu assoluto: fu dimenticare il passato, fu vivere in quella presenza tiepida e ignota al suo fianco. Fu essere lì, e in nessun altro posto, senza futuro. Solo lì.

 

Per un attimo.

 

Poi Jean Paul sorrise.

 

T’ho visto alla cerimonia, oggi. Quicksilver. – non si voltò, lo sentì tendersi. Quicksilver, mercurio: che bel nome in codice per uno come lui. Gli stava bene, era adatto, luminoso, pericoloso, mobile. – A un certo punto sei scomparso. Ma certo non credevo che ti avrei trovato in un posto simile.

 

“Mi cercavi? – acido e asciutto. Velenoso: il mercurio è velenoso. – E comunque non mi piace stare fra la gente, tanto meno durante una cerimonia.”

 

Cosa si festeggiava?”

 

Lo sentì voltarsi verso di lui, stupito. Il fastidio evaporato in fretta, una specie di sorriso sulle labbra.

 

“Credevo lo sapessi tu, dopo tutto eri *tu* al centro dell’attenzione.”

 

Allora l’aveva notato!

 

“Io sono solo un esperto di pubbliche relazioni che sa vendere ottimamente ogni cosa, pure la propria immagine. – una mano fra i capelli, il capo gettato indietro – Mi hanno chiesto di esserci, ma so poco altro.”

 

Pietro lo fissò con una stranissima espressione. Forse doveva essere disgusto, ma non vi riuscì.

 

“Sei decisamente bravo.”

 

“Come venditore?”

 

“Della tua immagine. Sei ovunque. In tv e nei giornali.”

 

Jean Paul tacque di fronte a quegli occhi pericolosi e così vicini.

 

“E’ un peccato tanto grande?”

 

Pietro scosse appena il capo.

 

“No, non credo.”

 

Silenzio, di nuovo. Un silenzio ghiacciato ma piacevole. Jean Paul aveva freddo, e lo odiava, ma provava anche una sorta di strano piacere in quella vicinanza. Pensò al fatto che, se fosse stato con Robert, ora probabilmente sarebbe stato a rotolarsi con lui e Remy nel letto alla Scuola, sudato dal calore e dall’eccitazione, avrebbe riso delle carezze di Robert, avrebbe goduto, e sarebbe affogato nel piacere. Oppure sarebbe stato fra le braccia robuste di Logan, sotto le sue spinte, e avrebbe ansimato e forse pianto un po’, ma ci sarebbe stato caldo, un ardore terribile a mordergli le viscere in un desiderio a cui non sapeva, non voleva sottrarsi… Invece era lì, al freddo: Pietro era bello, e attraente, ma il gelo era così connaturato al suo essere che Jean Paul si chiese cosa ci facesse lì. Eppure sapeva di non *volere* essere in nessun altro posto.

 

Cosa stava capitando?

 

Cosa significava?

 

Cosa fai qui?”

 

“Pensavo.”

 

Le ciglia si chiusero, lente, su quello sguardo azzurro e pensante, luminoso. Per un attimo Jean Paul credette di poter ritornare a respirare, ma era imprigionato, lo sapeva, lo sentiva. E non poteva ritrarsi.

 

“Non pare che tu fossi affogato in pensieri piacevoli.”

 

Un gesto seccato: una domanda che Pietro aveva trovato troppo indiscreta, eppure anche lui rispose, riluttante.

 

“Mia figlia ama venire qui.”

 

Sapeva di confessione segreta. Jean Paul sorrise: era dunque pure un padre affettuoso. Non aveva alcuna speranza…

 

“E’ brava?”

 

“Sì – orgoglio – le ho insegnato io a pattinare ma è proprio portata.

 

Lo guardò a lungo, attentamente. Il corpo lungo, elegante, le mani sottili, bellissime. E quella espressione perduta e orgogliosa insieme dipinta sul volto. Jean Paul sospirò. Toccava a lui dir qualcosa, ma non trovò nulla che potesse esser detto. Qualcosa che avesse senso dire.

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Jean Paul chinò le labbra su quelle di lui, morbide, socchiuse, invitanti nel sonno in cui era avvolto. Robert si destò di colpo, spalancando gli occhi su un universo che sapeva ancora di morbide nebbie del sogno.

 

“JP! – sussurrò – Che succede? Che ore…”

 

Non finì la domanda, di nuovo il bacio e le carezze. Rise, Robert, scostandosi appena nel letto, invitando Jean Paul ad avanzare con il suo movimento pacato mentre ne avvolgeva le spalle, tendendosi nelle sue braccia.

 

Era bello JP, era attraente, sensuale. Non lo colpiva al cuore come sapeva fare Remy, era diverso… ma era bello, e gli piaceva. Gli piaceva tanto da provare forte la sensazione di ridere tutte le volte che lo abbracciava, e amava giocare con lui, e ogni volta era una scoperta, era come sporgersi su di un pozzo e guardare giù, i giochi che la luce riusciva a creare sulla lontana superficie lucente. Era vedere qualcosa di incantevole senza poterlo toccare: il bello era che a volte era l’incanto a toccare lui, e la cosa lo lasciava stupito, senza fiato. Un gioco che avrebbe giocato per l’eternità.

 

Era stupefacente l’idea che JP provasse il desiderio di andare da lui. Che lo cercasse. Che lo *desiderasse*. Eppure era lì, e lo desiderava tanto quanto avveniva il contrario. Bobby lo abbracciò, baciandolo, fissandolo negli occhi lucidi che potevano essere tanto freddi e cattivi quanto intossicanti, arguti. Come ora. Così sensuali…

 

“Non c’è Remy?”

 

Bobby lo baciò leggero sulle labbra, appoggiando delicatamente la schiena sul materasso. JP avanzava sul letto come un sinuoso predatore che gli fu sopra, a cavalcioni, con una strana, splendida espressione tirata sul viso, negli occhi. La domanda suonò fra di loro con la consistenza dell’ultima neve di primavera che ricopre le gemme spuntate troppo presto sul legno nodoso: mortale e suadente, ghiacciando la vita sul nascere, bruciando un amore che avrebbe potuto vedere la vita come per non correre rischi. Bobby se ne accorse, ma non vi diede peso, dopo tutto non gli interessava.

 

“E’ in punizione. Sta scontando con una sessione d’allenamento supplementare.

 

JP arricciò le labbra in qualcosa che sembrava un sogghigno.

 

“In *punizione*? Non siamo dei ragazzini.”

 

Bobby rise.

 

“Si vede che non conosci Scott!- si tese, allungandosi verso di lui. Fece correre le mani lungo il petto duro, sbottonando di fretta la camicia chiara, baciando leggero la pelle tiepida che spuntava da sotto la stoffa.- Ma questo non è un problema vero? Puoi aspettarlo qui, se vuoi.”

 

JP rise, ed era un bel suono, così come era piacevole il sapore della sua pelle sotto le labbra. Freddo e pulito. Vento.

 

“Non avevo intenzione di andare proprio da nessuna parte…”

 

Sorrise, di nuovo, le labbra bollenti che sapevano assumere solo posizioni lievemente tirate come se ci fosse sempre indifferenza, o altri significati che si sommavano ai significati e il desiderio non fosse mai chiaro e diretto come voleva far pensare. JP era bello, speciale: anche Remy aveva nell’atteggiarsi qualcosa di misterioso e costruito, ma in lui la sua anima spirava in onde più decise, tutto era frutto d’un animo differente, di chissà che piccolo segreto prezioso da non dire mai, neppure a se stesso.

 

Bobby socchiuse gli occhi, accettando le carezze e i baci come fossero una grazia, come un regalo, un dono in cui crogiolarsi, di cui non chiedere spiegazioni. Perché preoccuparsi di qualcosa che non avrebbe mai potuto essere per lui? Perché pretendere ciò che gli era in definitiva sempre troppo lontano? Bobby aveva scoperto che gli piaceva quello: essere al centro dell’attenzione, coccolato e strapazzato, accarezzato, blandito, amato. Fosse per una notte o per tutta la vita non importava. Era bello *quello*, e non voleva negarsi il presente per un futuro che magari poteva non esserci.

 

Gli avevano insegnato a sognare una famiglia, ilgiorno più importante’ in smoking, passato ad attendere, in piedi, nel mezzo di una navata di una chiesa, un sogno fatto carne e abito bianco di raso e tulle, con i fiori e gli amici e i parenti, e la marcia nuziale, e poi il pranzo e gli anelli col prete che faceva una predica che non finiva più… Remy gli aveva fatto vedere che c’era altro. Che ci poteva essere altro. Qualcosa di altrettanto importante, anche se forse nessuno avrebbe giurato di fronte a testimoni che sarebbe stato per sempre. E Bobby sapeva quello che sentiva dentro per Remy, e sapeva che era diverso da ciò che provava per JP, ma erano due cose belle, entrambe, e se poteva coltivarle insieme non vedeva cosa ci potesse essere di male.

 

Non c’era nulla di male. A parte forse il fatto che, se sua madre fosse venuta a saperlo… sorrise a un morso lieve fatto sul collo dove la pelle era sottile, e si contorse allo sfiorare leggero dei polpastrelli lungo il fianco. Si tese contro il corpo di JP, lo aiutò a spogliarsi, spogliandolo.

 

Bello JP lo era sempre stato, non era una sorpresa, ma quella notte lo trovava incantevole, qualcosa di impossibile… era l’ardore che ci metteva a toccarlo, a baciarlo. Era come se davvero avesse fame e sete, come se avesse bisogno del piacere, dell’orgasmo come ossigeno, come qualcosa di vitale. Era incredibile sentirsi l’oggetto di un simile bisogno, era assurdo vibrare per un tale piacere infinito.

 

*Voleva* esserlo… quando arrivarono le mani di Remy, e il suo corpo, anche, addosso, Bobby era sul punto di urlare e piangere. Era così forte, violento ciò che JP gli aveva acceso dentro che non si poteva spiegare, che non capiva… non aveva fatto nulla di strano, niente di diverso, eppure…

 

Sotto quelle mani si sentiva non solo toccare, ma pure tendere, e aprirsi. Carezze stilavano desiderio purissimo misto a un dolore strano, la tensione a una completezza che non poteva esserci.

 

E la pelle, il calore, la lingua che sfiorava un sapore, un piacere urgente. Quell’afrore sudato, quel desiderio che si gonfiava, sempre sul punto di esplodere e mai soddisfatto… era un incubo, o un sogno, non era altro. Non poteva essere altro…

 

Bobby si torse, scivolando sul petto di JP, tenendolo giù col suo proprio peso. Gli baciò il petto, il collo, le mani di Remy se le sentiva sulla schiena, sulle gambe e labbra e lingue tocchi addosso, ovunque, a vestirlo di sensazioni di fuoco.

 

“Scopami, JP.”

 

Ringhiò un singhiozzo, fu morbido, poi, sotto la sua spinta che capovolgeva le posizioni e lo inchiodava sul materasso. Chiuse gli occhi per non vedere lo sguardo, i baci e le carezze che JP si scambiava con Remy, allacciò le gambe intorno al suo torso spingendosi contro il suo bacino.

 

JP lo prese, di fretta, con la bocca e le mani impegnate su un altro corpo. Ma non importava: Bobby urlò comunque, godette lo stesso e venne, gli parve di venire infinite volte tanto forte era il nodo che sentiva dentro. Mani di un altro, poi, e labbra e lingua. Sussurri rochi  che accendevano il desiderio anche solo a udirli.

 

Remy lo strinse con forza, abbracciandolo, violento quasi, tenendolo contro di sé mentre le sue membra tremavano. Bobby gli affondò una mano fra i capelli, lunghi e rossastri anche nel buio della stanza e li trovò bellissimi… trovò lui bellissimo, posseduto da JP, tremante per un orgasmo violento che gli aveva squassato le viscere. Proprio com’era successo a lui.

 

Che fame.

 

Che sete.

 

Che desiderio.

 

Che *disperazione*.

 

Le palpebre si facevano pesanti, e il corpo svuotato era come reso pesante da… da qualcosa di cui Bobby non sapeva il nome. Udì altre parole volare nell’aria sopra di lui, il silenzio, e le braccia di un uomo, del *suo* uomo a stringerlo, avvolgendogli addosso lenzuola e coperte.

 

“Remy…”

 

Sussurrò.

 

Lo sentì sorridere, baciandogli piano la fronte.

 

“Tutto bene mon coeur?”

 

Annuì delicatamente, sfiorando il naso contro il petto nudo dell’altro. Poi un sorriso appena trattenuto, una domanda di cui conosceva già la risposta.

 

“E’ andato?”

 

“Già.”

 

Bobby chiuse gli occhi e si sentì improvvisamente triste.

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Un cobra reale.

 

Il cacciatore dei cacciatori: un suo morso conteneva tanto veleno da poter uccidere anche un centinaio di uomini, eppure non attaccava mai altri animali se non per difendersi. Il cobra reale si nutriva solamente di altri serpenti. Regale, bellissimo e pericoloso.

 

Un qualcosa di sensuale e perfetto.

 

Jean Paul osservava il documentario quasi rapito, nel cuore della notte.

 

Era… stanco, quasi. Un caffè in una mano, rannicchiato sul divano nella grande sala e il suo mondo che era divenuto quell’India che un satellite trasmetteva in televisione. Molti trovavano i rettili creature disgustose, Jean Paul ne subiva il fascino: la silenziosità di quei movimenti sinuosi, la leggerezza nel portare l’attacco.

 

Il furetto di Robert gli si arrotolò sul grembo, fissandolo con i suoi occhietti scuri e morbidi e Jean Paul perse le dita in quella pelliccia morbida, folta e chiara.

 

Assurdamente era un istante dolce, in cui poteva quasi sentirsi in pace col mondo, soprattutto perché il mondo, fuori, stava dormendo o, per lo meno, non gli stava fra i piedi. Aveva imparato in anni di addestramenti, di prove in cui veniva posto di fronte al pericolo più inaspettato, e con le armi meno adatte per affrontarlo che c’era sempre da imparare, e che molto poteva essere assimilato guardando: osservando il ritmo della natura, sentendo il respiro del cacciatore che si tendeva un attimo prima di serrare i denti sulla preda.

 

E guardare i movimenti di un cobra reale era qualcosa di ipnotico.

 

Ora avrebbe voluto essere… nell’oceano, su una nave, nel bel mezzo di una tempesta. Era consapevole che non centrasse nulla con il cobra che vedeva intrappolato nello schermo della televisione, e neppure con il tepore dolce che la palla di pelo di Robert gli trasmetteva, eppure aveva imparato a dare nome ai propri desideri, anche a quelli che non poteva realizzare.

 

“Questa è una menzogna, Jean Paul.”

 

Sorrise, il canadese, mentre il furetto sibilò appena il suo disappunto.

 

Jean Paul si passò una mano tra i capelli spostandosi il ciuffo chiaro, posandolo tra i capelli neri.

 

“Credevo dormissi a quest’ora Xavier. Non ti ho mai visto in giro.”

 

Non aveva bisogno, né voglia, di sollevare gli occhi su di lui: che avrebbe visto che non conosceva? E poi, comunque, Xavier sapeva già tutto così.

 

Un piccolo sospiro che pareva realmente amareggiato.

 

“I tuoi pensieri erano così forti che non ho potuto non udirli, appena mi sono svegliato. E il resto, le ultime cose, le ho immaginate. – venne avanti lentamente, come a chiedere un silenzioso permesso, che non venne – Di solito a quest’ora ti stai allenando. Scott mi ha detto che passi molte ore ad addestrarti. Molto più di quanto ti viene chiesto. Non me l’aspettavo, sinceramente.”

 

“E’ solo la mia iperattività che si deve scaricare in qualche modo.

 

“Non ci credi neppure tu.”

 

Un sorriso acre.

 

“Non sapevo mi sarebbe stato richiesto pure di credere in ciò che dicevo, purché fosse in linea con la politica della scuola.

 

Un sospiro seccato, quasi deluso, in risposta.

 

Perché mi provochi? Se credevi davvero che questa scuola fosse… una trincea scavata in nome di una guerra ideologica che ti chiedeva di calpestare i tuoi ideali, perché sei qui?”

 

Non avendo attivato i suoi poteri, Xavier non intuì il suo movimento, né avrebbe potuto vederlo. Se lo trovò di fronte in un batter d’occhio, in piedi, un’espressione così amara incisa su quel volto che era quasi impossibile sostenerlo.

 

Dove avei potuto essere?”

 

Ti immaginavo più sincero, Northstar. Almeno con te stesso.”

 

Un ghigno di scherno.

 

“Non sempre possiamo permetterci di essere perfettamente sinceri con noi stessi, non credi?”

 

Silenzio.

 

Le labbra di Xavier si dischiusero per rispondere, forse, o per difendersi istintivamente da quell’attacco velato. Non poté farlo, non trovando in gola fiato a sufficienza.

 

“Non volevo farti sentire… attaccato, o in pericolo. Continuo a dirti che non amo intrufolarmi nella testa dell’altra gente e, per quel che mi riguarda, non ci tengo a violare l’intimità sacra dei tuoi pensieri.

 

Un sospiro, l’irritato squittio del furetto, poi quello che parve semplicemente un refolo d’aria entrata da chissà dove.

 

E Jean Paul non era più lì.