STELLA DEL NORD
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PARTE: 7/?
AUTORE: Dhely
SERIE: Xmen con notevoli variazioni sul tema.
Spero che tutto sia sufficientemente comprensibile anche a chi non ha mai
seguito i fumetti!
PAIRING: ahem… JpXRemyXBobby
RATING: NC-17-V Ricordi di violenze subite in passato,e
violenze presenti. Linguaggio volgare. Temi non proprio gradevoli. Angst.
NOTE: i pg non sono miei ma li amo tutti, uno per uno, anche se appartengono alla perfidissima signora Marvel - la quale, ovviamente, non mi passa mezzo cent. per scrivere questa roba-. I pairing,
le coppie, il passato di questi tizi è stato manipolato e/o mezzo inventato per
riuscire a tirare in piedi una trama decente, anche se ho cercato di non
cambiare troppo 'cio' che è stato'.
NOTE 2: chiunque abbia bisogno di maggiori informazioni sui pg
trattati in questa fic, può tranquillamente chiedere
a me, o consultare uno dei tremila siti di continuità Marvel
per comprendere che è tutto un gran casino e che è forse meglio chiedere a *me*
così vi dico solo le cose che potrebbero essere utili per capire di *chi* sto
parlando! (adoro essere modesta.)
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“Hai visto Jean Paul?”
Kitty sussurrò appena avvicinandosi a Bobby, in mensa.
“No, perché? Non è venuto a lezione?”
“E’ venuto, solo che è arrivato con dieci minuti di ritardo. – e per uno che poteva *muoversi* quasi alla velocità del pensiero era un ritardo enorme – e se ne è andato venti prima. Aveva una faccia … sembrava avesse litigato con il mondo.”
Bobby sospirò grattando il furetto, acciambellato in grembo.
“Lascialo stare per un po’, Kitty, non è… non è un buon periodo per lui.”
Lei lo fissò, curiosa. Vide la tristezza dipinta, chiara, in quelle iridi verdi, il piccolo broncio a piegargli le labbra, l’amarezza, un lieve sentimento di colpa.
“Dai? Bhè, dopo tutto, se non lo sai tu… eravate molto vicini. Anzi, eravate proprio sempre insieme. Che è successo?”
Bobby, stranamente, arrossì e distolse gli occhi.
“Nulla di grave. Abbiamo… litigato. Ma nulla di eccessivo. Deve avere problemi suoi.”
La ragazza giocherellò preoccupata, in silenzio, con il cibo che aveva nel piatto, poi sospirò, Bobby non vi fece neppure caso, troppo assorto nei suoi propri pensieri.
Era stato … bhè, per lo meno sgarbato. Eppure JP se lo meritava! Ossì che se lo meritava! Chissà cosa s’era messo in testa… Bobby sospirò di nuovo.
Non era giusto: non se lo meritava. JP non si era meritato quello che gli aveva detto, con lui non era mai stato aggressivo, neppure troppo allusivo, no gli aveva mai dato fastidio e non sapeva neppure se davvero gli piaceva… in fondo non era colpa di JP se gli piacevano i maschi, no?! E comunque … comunque gli dispiaceva. Sì, perché lui non aveva niente contro i gay, solo che non era abituato a viverci insieme. Lo sapeva che pure Remy era una cosa simile… ma lui era … poi Remy era Remy, era un suo amico, lo conosceva da così tanto che non…e poi a Remy piacevano *anche* le donne!
Se da una parte la cosa gli pareva più tranquillizzante, dall’altra era incredibile. Spaventosa. Insomma, un conto era avere una identità sessuale completamente capovolta, come quella di un gay, ma un bisessuale cosa diavolo era?!
E se pensava a Remy si ricordava di *sapere* cosa voleva regalargli, solo che Bobby non sapeva, in tutta sincerità, se avrebbe ami avuto il coraggio di darglielo. Poi magari Remy avrebbe riso, e se ne sarebbe uscito con un ‘no grazie’ con quel suo accento terribilmente suadente…
Fissò lo sguardo socchiuso e sorridente di Kitty cercandovi forse una risposta, che, ovviamente non venne. Solo un piccolo sorriso.
Cosa avrà avuto poi da sorridere, quella…
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Jean Paul era seduto, immobile, nel giardino della scuola. Accanto all’ampio stagno della tenuta, sotto un albero, appena sfiorato dal gioco di ombra e sole che le betulle disegnavano sul tappeto verde.
I ragazzi giocavano a basket poco più in là, le loro urla, la loro fatica pareva non raggiungerlo neppure.
Fermo immobile: da ore quasi, nella stessa posizione, a fissare l’identico punto di quando Remy l’aveva notato la prima volta. Poteva ben immaginarsi non stesse guardando nulla in particolare fuori di sé, probabilmente era focalizzato su un attimo del suo passato, o su una piega della sua coscienza, e la analizzava come se potesse sottoporla a test al microscopio, e spezzava l’istante, l’immagine, in frammenti più piccoli, sempre più piccoli, finché non si fosse trovato fra le dita non risposte, ma sabbia. Sabbia che scivolava via, e che portava con sé pure il flebile sussurro che dal passato arrivava. Remy lo sapeva bene, meglio di tanti altri: lo aveva fatto spesso anche lui, fino a distruggersi quasi, aveva creduto che quello fosse un modo per esorcizzare i demoni che ognuno si porta appresso. Aveva sperato di trovare un senso, o una risposta: lui non ce l’aveva fatta, e aveva imparato a vivere differentemente il passato: non qualcosa da scoprire, da svelare, ma da accettare. Utilizzare e non esserne utilizzati.
Remy non era un telepate, non entrava nella testa della gente. Remy non era un empate, non poteva ‘sentire’ le sensazioni delle persone. Remy aveva però occhi per vedere, e ora guardava qualcosa che gli pareva di aver veduto troppe volte: una domanda infelice che scava un cuore troppo provato. E un orgoglio che si rafforza dietro strati e strati di lastre di diamante, così pure e luminose… da Jean Paul proveniva luce. E freddo.
Che invito, che sfida impossibile poteva essere quella?
Un conto era riuscire a entrare nelle grazie di un dolce ragazzino confuso, che aveva solo paura di provare un sentimento per qualcuno che il mondo non gli aveva mai proposto come ‘giusto’. Un’altra cosa era colpire quella bellissima statua di ghiaccio e notte artica ammiccante e invitante, suadente nel promettere solo una manciata di neve. Remy odiava il freddo. Remy detestava la torrida vampa che s’accendeva in un corpo, pronta a svanire come una fiammella che muore al più piccolo colpo di vento. Remy non amava Jean Paul, ma amava essere amato.
Bobby poteva amarlo, l’avrebbe presto fatto. Ma Jean Paul no: e questa era una sentenza che non accettava, era una sfida…
“ … che puoi solo perdere.”
Si voltò, sobbalzando.
Ma non c’erano telepati a farsi beffe di lui, no. Solo un uomo che lo fissava con la luce d’un lupo negli occhi, e la vampa morbida di chi, da capo branco, è divenuto il saggio signore della foresta. Logan. Saggio d’esperienza antica, e di sensibilità raffinata da un potere che avrebbe dovuto renderlo bestia, e invece l’aveva fatto solo uomo più consapevoli degli animali uomini con cui aveva a che fare.
Sorrise, tranquillizzato, a Logan.
“Sei molto legato a Northstar.”
”Già.- uno sbuffo di fumo, il suo inseparabile sigaro – E penso anche
all’equilibrio di questa squadra quando ti do il consiglio di lasciarlo
perdere. Jean Paul non fa per te. Meglio: non ha ciò che vuoi.”
“E cosa vorrei mai, io? – il sorriso, sornione e tortuoso gli arricciò di nuovo le labbra, sfidò forte la sorte, mentre gli occhi rossi come braci lampeggiavano eleganti – Non certo rubarti il tuo giocattolo, Logan!”
L’uomo, stranamente, rise.
“Non è un giocattolo, ma magari di questo non te ne sei ancora accorto. Di certo però non è mio. – gli voltò le spalle ritornando ai suoi affari, con la pratica fretta di chi non possa perder troppo tempo con i giochi dei bambini – Attenzione, però, Jean Paul morde, e morde forte. Di solito punta al cuore, e strappa. Considera tu, ora, se conviene correre un rischio simile…”
“Dove vai?”
Un gesto abituale, elegante, la mano passata fra i lisci fili di seta sfumati di rosso tiziano che gli sfioravano le spalle. Altamente attraente. Logan finse di non aver visto.
“Da Jean Paul, gli devo parlare.”
“Interessante. - sorrise di nuovo appoggiandosi allo stipite della finestra, come un predatore in agguato. – per una volta nella tua vita, Remy, dammi retta: non oggi. Aspetta un paio di giorni.”
Logan scomparve dalla stanza lasciando come segno della sua presenza solo quel terribile odore di sigaro.
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Logan lo guardò con attenzione, avvicinandoglisi. Immobile, profondamente sprofondato nei suoi propri pensieri… però Stellina non era solo. I suoi occhi non erano persi in un nulla diventato luogo, e neppure vagavano senza meta.
No: occhi negli occhi. A Jean Paul era sempre piaciuto *quel tipo* di contatto diretto, che lui riusciva a far divenire molto intimo, quando voleva.
Logan non sapeva se quello era il caso, ma sapeva di aver rotto l’incanto un attimo prima di aver visto nelle iridi di chi era fisso Jean Paul. La gatta di Xavier, sottile e nervosa, si mise in piedi, con classe, stirandosi sulle zampe. Diede un miagolio infastidito, diretto al mondo in generale, e parve, suadente e silenziosa, ritornare in buon ordine nei suoi appartamenti.
Jean Paul mosse un poco il capo di lato, con la coda degli occhi intuì la sagoma di Wolverine e non disse nulla.
Logan tacque a sua volta, sedendoglisi accanto. Curioso, pensò, che un mutante dal potere di riuscire ad aumentare la velocità di tutto il suo sistema motorio e vitale potesse stare così assolutamente immobile… strano, soprattutto, che gli *piacesse*. C’era un altro mutante che possedeva un potere simile a quello di Jean Paul, e per quanto Logan trovasse fastidioso anche solo pensare a lui, sapeva che per quell’altro era una sofferenza vivere alla velocità con cui vivevano tutti loro.
Jean Paul allora era fortunato: o forse i loro poteri, che sembravano così simili, erano profondamente diversi… ma di certo a Logan di quell’altro non poteva importare un accidente.
“Va male, vedo. – sbottò. Incredibile, il solo sfiorare con il pensiero quell’altro mutante gli peggiorava l’umore in maniera drastica. Dio come lo odiava! – Come mai?”
L’altro passò le dita fra i capelli scuri distogliendo gli occhi.
“Niente di che. Sono un po’ stanco.”
Stanco?
Stellina non era *mai* stanco. L’aveva visto affrontare cinque emergenze di tipo omega *di fila* e alla fine era forse un po’ ammaccato fisicamente, ma la mente era lucida come se si fosse appena alzato dal letto e la tensione era un qualcosa che gli scivolava via di dosso come l’acqua sulle piume di un’anatra.
Cercò di stemperare la tensione.
“A cosa devo credere? Che un branco di ragazzini è peggio che una seduta di azionisti o che preferisci mentirmi piuttosto che dirmi che c’è che non va, come un vigliacco?”
Non lo vide, ma lo intuì, quel sorriso acre e asciutto, caustico che era ciò a cui aveva puntato.
“Giuro che non parlerò mai più male del mio lavoro di investitore finanziario. Tenere a bada degli adolescenti è molto più sfinente, te lo assicuro.”
“Questo avresti dovuto saperlo prima di accettare.”
“Già. Sai come si dice? Mai farsi fregare da uno psichiatra con una gatta che ti fa gli occhi dolci…”
“Bene, il problema è la gatta, allora?”
Jean Paul chiuse gli occhi, quasi rilassato, ora. Come se avesse deciso di smettere di lottare una battaglia inutile.
“Il padrone della gatta. Ma anche quello lo dovevo sapere.”
“Xavier?”
“Il Professor Xavier.”
Null’altro. Un sospiro come risposta.
“E’ uno scassapalle, ma è un brav’uomo.”
“Per ora sono solo alla prima affermazione.”
Si voltò, si guardarono.
Jean Paul rise.
Logan si mise in piedi staccandosi i fili d’erba che gli erano rimasti attaccati ai jeans, fissò quasi ridendo l’immagine di Remy che si stagliava lievemente in lontananza, e non aggiunse una sola sillaba, scomparendo da qualche parte, come chi sapesse benissimo che quello sarebbe accaduto. Temeva di sapere pure come sarebbe andato a finire, ma quella era un’altra storia.
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Tre giorni: quasi una settimana e la scena che rimaneva sempre la medesima. Jean Paul immobile sotto un albero, chiuso, distante, poche parole sussurrate a chiunque incrociasse. Il canadese stava tentando di nascondere un malessere in profondità, che voleva rimanesse sconosciuto a se stesso, ma a nessun’altro.
Il mondo, intorno a Remy, però, era cambiato radicalmente. E, dopo tutto, aveva seguito il consiglio di Logan, no? Non voleva far passare troppo tempo, era curioso. Si avvicinò in silenzio, sfiorando quella sagoma di schiena con i suoi occhi da gatto ma rossi di veleno e lava. Era attraente, Jean Paul, anzi, di più.
Era qualcosa di più che il suo atteggiamento o il suo aspetto: era come un ombra che svelava più che oscurare. Un invito nascosto in ogni suo respiro. Da dove era saltato fuori uno così Remy non lo sapeva intuire, ma era impossibile da rifiutare, era impossibile non vederlo, non desiderare giocare con lui.
Almeno lui non sapeva, non poteva farlo. Remy per un attimo non seppe cosa dire, anche se era lì con un discorso preparato da esporre. Eppure non c’era nulla da pensare, nulla da comprendere. Tutto era semplicemente immobile, incredibile. Tutto era semplicemente lì, di fronte a quel lago, Jean Paul fermo e lontanissimo, e insieme così umano: così inaccessibile e vulnerabile allo stesso tempo. Come la neve, così fredda che può uccidere ma che si può sciogliere a un semplice tocco. Il fiato mancò in un istante in cui il mondo intero parve stare immobile, com’era stato il canadese a fissare gli occhi d’un gatto… e poi Jean Paul incrociò le mani dietro al capo e crollò, coricato, sull’erba fresca.
Nessuno, solo lui al mondo: questo era quello che sembrava.
Bellissimo, attraente, invitante in un silenzio immenso.
Questo era quello che Remy sentiva. E si sentì improvvisamente felice di condividere un istante simile, e folle di desiderio… Il desiderio si accese di nuovo e prese forza, e vigore. Gli infiammò il cuore, inondandogli le vene.
Un buon segno. Sorrise, e si decise a socchiudere le labbra, tastando il terreno, cercando di indovinare fin dove avrebbe potuto osare.
“Stai male?”
Un pacato sorriso pallido gli rispose, e da quell’angolatura Remy non poté supporre altro.
“Solo un po’ di cefalea.”
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Mal di testa: la sua maledizione, quasi quotidiana. Non gli piaceva lamentarsi per quello, non lo faceva mai. Anche se era come avere una lama di luce ghiacciata conficcata nelle orbite, anche se a volte prendeva i muscoli del collo e si irradiava giu’, come una lunga, sottile ragnatela che avvelenava i muscoli, e faceva contrarre lo stomaco in un grumo acido di succhi gastrici e spasmi, anche se poteva diventare una terribile tortura, fino a renderlo quasi incapace di tirare un respiro dietro l’altro: non era niente.
Niente che non potesse sopportare.
Niente che non potesse tenere a bada con un po’ di sana irritazione.
Niente che non potesse passare … in *quel* modo.
Due paia di mani addosso, la luce assente, o quasi, essenze lievi diffuse nell’aria, note avvolgenti, non penetranti che si mischiavano alla musica. Un cd di musica classica: chi fosse non ne aveva idea, Jean Paul non era mai stato un cultore del genere, però…però riconosceva l’essenza resinosa del pino misto al legno di limone e qualche altro aroma che non sapeva identificare ma che sapeva di mare aperto, ventoso, spumeggiante.
Un paio di mani fresche e leggere, che gli disegnavano piccoli cerchi sulle tempie, premendo appena, seguendo la linea del naso per poi ritornare su, gli zigomi, perdendosi appena a sfiorargli l’attaccatura dei capelli. Gesti lenti e misurati, all’inizio quasi goffi, carezze pulite, ritmate, il fiato quasi trattenuto fra i denti dalla preoccupazione di fare male, di fare troppo, o troppo poco.
Avventurarsi, a volte, in punta di polpastrelli, giù lungo il collo, sfiorando i tendini tesi, raggiungendo appena le spalle, per poi risalire e di nuovo giungere alle tempie che pulsavano, ma non più così tanto, che dolevano ma non con un sordo battito che offuscava ogni cosa.
Un altro paio di mani, sul corpo, bollenti come bracieri, a impastargli i muscoli, tutti, sciogliendo i nodi, le ansie, facendo evaporare, al semplice tocco, il dolore e la fatica innominabile fin anche dai pensieri. Sul cuore, sullo sterno, a premere, sgrovigliando flussi di energia, creando vampate d’un dolore nuovo, diverso. Equilibrio.
Era un super eroe, Jean Paul dovette sforzarsi di ricordare. Doveva essere forte, doveva sopportare… era stato *addestrato* a sopportare. Ma quello era vivere un attimo di paradiso, e non voleva pensare se non al piacere che ne stava traendo, e non voleva che spremere *piacere assoluto* da ogni singolo istante.
Era quello che lui voleva, ed era quello che volevano dargli.
Sentì distintamente Remy sorridere, un attimo prima di far seguire, al percorso delle sue mani, il tocco delle labbra che accendevano e scioglievano insieme, ancora e ancora.
Si tese per un istante, come un riflesso condizionato, la sua pelle si arricciò a quel tocco, il piacere lo avvolse come un morbido manto. Le mani di Robert tremarono, ma soffocò il suo stupore in uno sguardo avvolgente, incredulo e, insieme, deliziato.
Jean Paul non dovette aprire gli occhi per sentirlo arrossire violentemente, come un’unica vampa ardente che li legò, facendoli affogare tutti e tre insieme.
Robert singhiozzò qualcosa, una parola, una frase, Remy si tese verso di lui, comprensivo.
“Sht, Bobby, mon coeur, non aver paura. - sfiorò le mani del ragazzo, le linee del viso e gli baciò delicatamente le labbra - Jean Paul non morde… però tu devi chiedergli scusa…”
Quegli occhi grigi e chiari, chiarissimi come l’acciaio si aprirono su di lui, ed erano improvvisamente morbidi, e rimandavano una luce strana che non faceva sembrare poi tanto sbagliato baciare un uomo, anche quando quell’uomo non era quello che si amava.
“Non sei obbligato a baciarmi, Robert.”
Il ragazzo lo guardò, sbatté le lunghe ciglia con una malizia estenuante, meravigliosa nella sua spontanea artificiosità, si lasciò carezzare dalle lunghe dita sensibili di Remy e tremò, leggermente.
“Ma lui vuole farlo, non è vero mon coeur? - sorrise, terribile, Remy. In esso riecheggiò il brillio ferino delle iridi di Jean Paul che rimase immobile: troppo forte era piacere che si era abbattuto su di lui, troppa era la pacata dolcezza con cui l’avevano avvolta. Troppo incantevole era osservare Robert dibattersi dal desiderio e dal timore insieme, languido e curioso. Troppa la stanchezza e …in fondo, perché no?, anche la curiosità, e la lussuria. Robert era bello, Remy attraente. Perché non giocare con loro? Perché tirarsi indietro quando tutti e tre desideravano *quello* in maniera tanto terribile? - Forse non solo baciarti. Bobby?”
Il ragazzo arrossì, di nuovo, chinando il capo, e la voce era un sussurro roco che gli usciva a fatica, quasi dalle labbra.
“Posso fare…possiamo… - prese un piccolo respiro - quello che abbiamo fatto noi … con lui?”
Remy rise.
“Bacialo, Bobby, prova a vedere se gli piaci, prima.”
Il bacio arrivò. Piccolo, titubante, dolcissimo, estenuante nel suo promettere qualcosa che andasse oltre quel suo essere acerbo.
Il bacio arrivò, immaginato freddo, di ghiaccio, e invece fu come lava e desiderio, piccoli tremiti sulla pelle che sfiorava la sua e il volere dei polpastrelli a cercare altra pelle con cui fondersi, da cui trarre calore, e tocchi e sfioramenti.
Il bacio arrivò, e sapeva di timore e di fame, insieme. E gli occhi di brace di Remy che scintillavano nel buio e rendevano tutto così attraente … intossicante…
Jean Paul sorrise, sollevando le mani, affondando le dita fra quei capelli troppo corti, stringendo Robert a sè, lasciando che i loro corpi aderissero, sentendo il ragazzo gemere appena cercando di azzannare altra aria da ficcarsi nei polmoni, e insieme le carezze di Remy, che si inseguivano le una con le altre, avvicinando i corpi, intrecciando i profumi, mischiando i calori e facendo affogare, affogando anch’esso.
Remy sorrise di nuovo, allo sguardo freddo di Jean Paul, ed era un’occhiata che diceva molte cose, troppe.
“Ero io che dovevo baciarlo…- sussurrò all’orecchio di Bobby- Non tu. Gli devo … un favore.”
Jean Paul si lasciò stringere da altre braccia gettando indietro il capo in un gesto di forza e sfida tutt’insieme.
“Andiamo, ho solo dato un consiglio a un amico!”
Robert sbuffò.
“Non mi hai detto proprio nulla!”
“A volte non è il ‘dire’ - sussurrò il canadese- ma il ’come si dice’ che cambia tutto. Ma hai ragione - si tese, piegandosi sugli addominali, posando le labbra affamate su quelle di Remy: un nuovo bacio, ora profondo, che pareva senza fine, intossicante, esperto. Di chi ha fame e conosce il modo di sfamarsi. - Ti ho solo dato una piccola spinta…”
Robert aprì bocca per rispondere ma le labbra di Remy addosso lo fecero desistere immediatamente.
Le mani sue e di JP che gli scivolavano addosso, che lo assaggiavano e mordevano, e i denti e le dita.. tutte quelle dita che conoscevano tutti quei modi per accarezzarlo e lui … gemette senza pudore, seppe che era un rantolo di puro godimento, uno di quelli che non credeva avrebbe mai saputo, o potuto…
Ma Remy gli aveva già posato le mani sulle spalle facendolo voltare, baciandogli lentamente la schiena, seguendo la linea sinuosa della sua spina dorsale. Di nuovo ricominciava quel gioco e Bobby non riusciva più a pensare, o a capire se ci fosse qualcosa da comprendere, se quelle cose che sentivano dentro … come tutto quello potesse esplodergli dentro senza ucciderlo, e perché gli si risvegliava dentro un abisso simile, un bisogno così prepotente, un qualcosa di così profondo che …
Remy e la sua lingua a seguire i fasci tremanti dei muscoli, le dita infisse nei glutei a tendere ed aprire, piccoli baci lievi tra le natiche, e il fuoco che gli cresceva dentro nel ventre, un desiderio che non era più semplice desiderio, era altro, di cui non conosceva il nome..
Ma per sé, ora, non aveva più solo il suo proprio corpo e i desideri e i pensieri che lottavano per venire a galla nel melmoso marasma di ciò che provava.
No.
Bastava allungare una mano e sentiva pelle fredda sotto le dita, e occhi come specchi d’argento ossidato che lo guardavano e lo guidavano. Quell’uomo che si lasciava toccare e gli diceva come fare, per avere di più. Per ottenere di più ancora.
E ancora.
Bobby si sentì tremare e si leccò le labbra quando quei denti da predatore, scivolato sotto di lui, gli si chiusero su un capezzolo, gemette, e chiese clemenza. La clemenza non arrivò, ma giunse una domanda.
“Cosa desideri, Robert? - un sussurro sulla pelle delicata del collo, mille brividi lungo la schiena - puoi chiedermi tutto. Posso darti tutto. Puoi *prenderti* tutto ciò che vuoi…”
Vizioso e giovane, non conosceva Robert il nome dei suoi desideri ma il suo corpo si muoveva da solo e JP, al contrario, *sapeva*…
“Dammi …dammi te …”
JP sorrise, gentile, mordendogli il petto, avvolgendo le dita intorno al suo sesso gonfio e lucido dove già la mano di Remy aveva iniziato il suo lento movimento sinuoso.
Robert tremò chiudendo gli occhi con forza.
“No, non ora. Dopo ci sarà tempo. Ora però vuoi prendermi…- abbassò la voce, scivolò via da sotto Robert, si mise in ginocchio accarezzandogli il capo- vuoi assaggiarmi?”
Il ragazzo di nuovo tremò, puntando i gomiti sul materasso, ma sorrise ora, e affondò il capo fra le sue cosce bianche, famelico e goloso.
Vorace, timido all’inizio, ma non completamente inesperto: una miscela incredibile che poteva lasciare Jean Paul piacevolmente soddisfatto anche solo a pensarci. Ma non doveva solo pensare, e sognare: no, non ora.
Robert fra le sue gambe leccava e succhiava e lo sentiva tremare e insieme gemere, muovendosi con il ritmo che le mani e tutto Remy gli imponevano.
Essere posseduto da due uomini: quale ragazzo che si scopre improvvisamente attratto dal proprio compagno di stanza non avrebbe voluto provare un’esperienza simile? Con Remy e Jean Paul? Si arcuò sulla schiena, Robert soffocò il suo orgasmo sull’eccitazione del canadese mentre Remy gli esplodeva dentro.
Jean Paul rise.
“Per essere amanti da pochi giorni siete già in notevole sintonia.”
Remy scivolò fuori dal ragazzo, crollandogli al fianco, non smettendo di accarezzarlo e baciarlo, e toccarlo.
“Pochi giorni, mes amis - sussurrò sornione - ma molte scopate…”
Jean Paul rise di nuovo, bloccando Robert che stava per riprendere il suo lavoro, faticosamente in deficit di ossigeno: sudato, stravolto, bellissimo. Violato, sporco del proprio sperma, lussurioso e lucido.
“Robert, sei un invito esplicito al peccato, lo sai?”
Lo voltò sulla schiena lasciando che i suoi occhi castani si mettessero di nuovo a fuoco sul mondo che lo circondava. Socchiuse le labbra ma non disse nulla mentre JP gli scostava le ginocchia, sollevandogli una gamba per avere un accesso più facile. Poi rise piano, un suono gorgogliato in gola, e una luce splendente negli occhi.
“Allora muoviti a peccare, JP!”
Una risata, di nuovo, un sussurro sensuale, da gatto che faccia le fusa, e ben poca attenzione a quel corpo caldo e lucido e lubrificato che aveva sotto di sé. Robert non aveva bisogno di attenzioni, ora, perché il dolore, se c’era stato, era stato portato via da Remy. Per lui rimaneva solo un involucro caldo, deliziosamente ardente e ancora incredibilmente stretto.
E quello era tutto ciò che potesse desiderare.
Vide Robert arcuarsi di nuovo sulla schiena, ad ogni suo affondo, e le mani di Remy che seguivano le labbra, infuocandogli il petto e l’addome, mordendogli i capezzoli, inframmezzando i gesti a piccole parole sussurrate che non erano per lui…ma non gli importava.
Quel piccolo corpo delizioso gli si strinse addosso con la ferrea volontà di strappargli via ogni singola stilla di energia, e piacere, ed era meraviglioso vedere Robert, sotto di sé, e Remy che si toccavano come amanti ardenti e casti, quasi, ai primi baci, ai primi sfioramenti lievemente timidi. Nonostante tutto era quella che la scena gli appariva: Robert non aveva perso quella patina da vergine che aveva intuito scintillargli intorno il primo momento che l’aveva visto e Remy …ah, Remy, strana bestia in cui si mischiavano tante cose, troppe, per nascondere, come il telo di un sipario, un abisso incontenibile.
Delizioso miscuglio, quello, intossicante che lo fece esplodere subito, di un piacere che non doveva contenere, che non doveva ritardare.
E, come se nulla fosse successo gli altri due continuarono i loro giochi fatti di dita che toccavano la pelle e baci e ancora carezze con le labbra e lingue a seguire le linee dei corpi accesi e poi si tendevano verso di lui e le mani, le labbra.. assaggiare ed essere assaggiato, ancora, e ancora affondare le dita nei capelli, gemere a carezze, soffocare in baci di cui non conosceva l’origine. Di nuovo contro di lui corpi a strusciarsi, chiedendo, implorando tocchi ampi e lunghi, pregando per un contatto, per un sorriso: Remy e Robert, entrambi affamati di lui, come se lui fosse divenuto improvvisamente il centro vivo e pulsante del loro desiderio, come prima era stato Robert. Si contesero le sue labbra, litigarono per avere il suo corpo da stringere in esclusiva, per un attimo solo, si rotolarono sorridendo fra le lenzuola finché Remy non riuscì ad ottenere ciò che voleva.
“Mon coeur - sorrise, sussurrando - tu hai già avuto quel che volevi, ora tocca a me…”
Robert mise il broncio poi guardò Jean Paul e lo baciò, dolce, sulle labbra spingendolo giù, la schiena contro il materasso.
“JP, ma se ti piacesse di più Remy… mi vorresti bene lo stesso?”
Difficilmente un altro uomo avrebbe potuto suscitargli dentro tanta dolcezza quanto Robert, ma Remy aveva altre armi dalla sua, oltre all’età: esperienza. E una innata, profonda propensione al piacere, sia da prendere che da dare.
E dalla prima volta in cui aveva posato gli occhi su Northstar aveva saputo che voleva essere posseduto da un uomo così, che voleva sentire cosa si provava ad avere il suo marchio, a sentire il bruciore del seme ardente dentro…perché, sì, Jean Paul per quanto sembrasse gelido, doveva essere bollente come il cuore di una stella e lui a quel calore voleva ustionarsi, in quel calore voleva affogare, voleva essere suo per una volta almeno, e possederlo essendone posseduto. Pochi erano stati gli uomini che avevano risvegliato in lui un desiderio simile e aveva sempre fatto di tutto per poterlo soddisfare. *Sapeva* fare di tutto. Ma non ce n’era bisogno, non doveva conquistare nessuno, non doveva mentire, giurando qualcosa ce non provava per far capitolare il soggetto dei suoi desideri. Jean Paul non era uno che si potesse far capitolare, ma voleva, tanto quanto Remy, quello.
E *quello* avrebbe avuto.
Remy gli morse la pelle tesa del ventre un attimo prima di sistemarsi sopra di lui. Scoprì in quell’istante che gli occhi di Jean Paul non si scioglievano d’aspettativa come una polla d’argento fuso, ma parevano diventare più lucidi, più cristallini ancora, come se quello lo facesse scintillare, come se il piacere annientasse ogni singola ombra che potesse avere dentro. Erano occhi da predatore.
E ora Remy voleva sentirlo, quel predatore, affondare dentro di lui, possederlo, marchiarlo, stringergli la gola fra le zanne…gorgogliò, abbassando il bacino contro quello di Jean Paul, Robert che guardava quasi stupito, ma curioso e affascinato…le mani di Jean Paul lo afferrarono per le anche, obbligandolo a fermarsi, obbligandolo a sentirlo, ad assaporarlo lentamente dentro. Remy lasciò che i capelli gli cadessero di fronte al viso, socchiudendo gli occhi: Jean Paul dentro di lui era qualcosa che gli dava emozioni a sufficienza senza dover farsi pure sommergere da ciò che vedeva, da quanto fosse sexy quel canadese, di quanto fosse eccitante Robert che gli si strusciava addosso, la sua bellezza, le loro carezze… dentro di lui, Jean Paul lo obbligò a muoversi, in fretta, vorace e Remy si ritrovò a sorridere.
Era come si era aspettato.
Era quello che voleva.
Jean Paul era… non trovava parole, forse non c’erano. Si morse un labbro sentendo la lingua di Robert che era scesa a tormentare entrambi, e le sue dita, e le spinte furiose dentro di lui.
“Mon Dieu, Jean Paul - singhiozzò - prendimi…prendimi…”
Jean Paul ubbidì.
Semplicemente esplose di nuovo, di nuovo si sentì svuotare in un corpo che trovava attraente e che lo desiderava così tanto da far quasi male. Quasi, però, perché non c’era nulla a obbligarlo a un rifiuto, non c’era nulla che potesse impedirgli di prendere ciò che voleva.
Robert: l’aveva desiderato, ed era stato suo.
Remy: era stato suo un attimo prima di iniziare a desiderarlo.
Lo accolse gentilmente fra le braccia quando quasi gli cadde addosso. Robert lo aiutò a sorreggerlo, scivolando delicatamente fra i due uomini, desideroso di calore, come un bambino che voglia sempre essere al centro dell’attenzione.
Jean Paul si trovò a sorridere sfiorandogli i capelli castani che aveva appoggiati al petto mentre Remy era premuto contro quel corpo giovane che li divideva e li univa allo stesso tempo.
Poi chiuse gli occhi.
Robert soffocò appena uno sbadiglio, si voltò delicatamente verso Remy e l’uomo lo abbracciò, dolce.
“Piaciuto mon coeur?”
Udì il fruscio della pelle contro la pelle, un’affermazione silenziosa e il suono ovattato del sonno che scivola sulle membra, tra i pensieri.
Remy si tese per avvolgerlo nel lenzuolo stropicciato, finito in un angolo del letto.
“Mhm …- un sussurro - posso stare qui, vero?”
Remy sorrise.
“Ma certo Bobby. Non devi neppure chiedere.”
E il tono fu come un pungo diretto nello stomaco.
Le parole furono come una rivelazione, fu come strappare un velo da qualcosa che aveva voluto, con cura, cancellare e dimenticare.
‘Non sei mai stato innamorato?’
Jean Paul strinse i denti.
‘Non sei mai stato innamorato.’
Una domanda che diveniva un’affermazione. una domanda che non aveva alcuna necessità di una risposta.
No, lui non era mai stato innamorato.
Si alzò dal letto delicatamente, mettendoci un’attenzione quasi eccessiva, come se l’aria che lo circondasse fosse fatta di cristallo e lui non volesse infrangerlo.
Gli occhi rossi di Remy lo fissarono, curiosi, interdetti.
“Dove vai? - chiese- puoi rimanere, se vuoi, anzi…”
Non glielo fece dire, non ce n’era bisogno.
“No, vado.”
Lui non dormiva mai nello stesso letto con qualcun’altro, soprattutto se con questo qualcuno aveva fato sesso. Nella sua vita aveva avuto molti amanti e pochissime relazioni. Ma le sue notti non terminavano mai in compagnia di qualcuno che non fosse, esclusivamente, se stesso.
E quello non era certo il tempo, né il luogo di fare un’eccezione alla regola: lì lo sentiva, forte e strano. Lì lo percepiva, contorto e particolare. Molti non l’avrebbero riconosciuto, tanti l’avrebbero definito in un altro modo, ma Jean Paul aveva imparato a riconoscere quel qualcosa che sbocciava dentro una persone e si poteva chiamare affezione, affetto… amore. Era sempre scappato dagli amanti che rischiavano di innamorarsi di lui.
E non si sarebbe messo in mezzo a due amanti che si amavano, a modo loro. Non così, non dopo. Non quando loro due dovevano essere *loro due*, non quando dovevano sentirsi insieme, una coppia.
Non lì, dove, ora, non c’era posto per lui. Lo sapeva, lo sentiva, anche se né Remy né Robert parevano essersene accorti.
“JP…”
Lo chiamò, Robert.
Jean Paul chiuse la porta della stanza alle sue spalle.
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