STELLA DEL NORD
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PARTE: 3/?
AUTORE: Dhely
SERIE: Xmen con notevoli variazioni sul tema.
Spero che tutto sia sufficientemente comprensibile anche a chi non ha mai
seguito i fumetti!
PAIRING: nessuno!
RATING: NC-17 V Ricordi di violenze subite in passato,e
violenze presenti. Linguaggio volgare. Temi non proprio gradevoli. Angst.
NOTE: i pg non sono miei ma li amo tutti, uno per
uno, anche se appartengono alla perfidissima signora Marvel
- la quale, ovviamente, non mi passa mezzo cent. per
scrivere questa roba-. I pairing, le coppie, il passato
di questi tizi è stato manipolato e/o mezzo inventato per riuscire a tirare in
piedi una trama decente, anche se ho cercato di non cambiare troppo 'cio' che è stato'.
NOTE 2: chiunque abbia bisogno di maggiori informazioni sui pg
trattati in questa fic, può tranquillamente chiedere
a me, o consultare uno dei tremila siti di continuità Marvel
per comprendere che è tutto un gran casino e che è forse meglio chiedere a *me*
così vi dico solo le cose che potrebbero essere utili per capire di *chi* sto
parlando! (adoro essere modesta.)
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Jean Paul gettò di lato il plico di fogli che avrebbe dovuto correggere.. almeno *leggere*. Magari il giorno successivo, o l’altro ancora. Ma sicuramente di *giorno* col sole, perché allora era più semplice fingere d’essersi calato alla perfezione nel ruolo che si era scelto.
Era più semplice convincersi che ciò che era passato era finito, e che lui era più forte di ciò che era stato, e che poteva cancellare tutto con un semplice colpo di spugna. Che l’avevano fatto a pezzi, ma che lui s’era rimesso in piedi, da solo, e ora poteva ripensare a quei momenti ridendo. Che nessuno aveva del *potere* su di lui, che lui era tenace, che lui non aveva bisogno di nessuno. Che lui aveva accettato quello stupido incarico perché lavorare nell’alta finanza, guadagnando milioni di dollari al giorno, era noioso e lui s’era stufato e voleva dare un taglio drastico alla sua esistenza.
Già.
Perché era lì?
Perché aveva accettato l’invito del professor Xavier? Fare l’insegnante non era mai stato il suo sogno nel cassetto e poi, in tutta sincerità, detestava cordialmente qualunque essere umano non avesse superato almeno i 20 anni.
Forse perché Xavier gli aveva proposto non un lavoro, ma una ‘sfida’?
Jean Paul socchiuse appena gli occhi: non era cosa gli aveva detto, ma *come*. Il modo.
Da quando Jean Paul si ritirava di fronte a una sfida? Aveva dovuto smettere di sciare per questo: all’ultima discesa e con i legamenti del ginocchio malmessi aveva deciso di gareggiare lo stesso. Era una stupidissima garetta di allenamento: lui era sceso e gli erano saltati i legamenti crociati. E mesi di ospedale, riabilitazione. E quello tutto per una semplice sfida.
Era stato sempre così avventato, in passato, possibile che non avesse imparato nulla dagli errori? Era lì davvero solo per sfida?
*Davvero*?
Si strinse nelle spalle. No. Non era solo per quello. Riusciva ammetterlo raramente, solo di notte, quando poteva stare sognando, quando poteva dare la colpa di certi pensieri alla luna o al buio, quando poteva nascondere il volto nell’oscurità, limitandosi ad udire il suono del suo respiro senza pretendere altro.
Forse, a volte, si sentiva semplicemente solo.
Vuoto.
Intelligente, sì, e ricco e cinico. Ma solo e vuoto, come unica compagnia il suo passato: e non è che fosse molto piacevole, tutto sommato. Anzi, non lo era per nulla.
Era arrogante, e snob. Poteva divenire terribile, sapeva essere spietato e senza cuore. Negli affari era implacabile, nella vita privata elegante e capriccioso, volubile e assolutamente incostante, infedele. Era un mutante che non usava i suoi poteri, si faceva riprendere dalle telecamere, parlava ai giornalisti, era famoso e ricco e idolatrato: era bello, e telegenico, era un ‘personaggio’ e che avesse o meno dei poteri strani non importava a nessuno, anzi, pareva l’ennesima eccentricità di chi, semplicemente, poteva permettersi tutto. E gli piaceva essere tutto quello, si divertiva, si sentiva a suo agio in un mondo in cui certe qualità potevano venir messe in luce e ammirate perché non erano considerati difetti, o cose di cui vergognarsi, atteggiamenti per cui essere ghettizzati. Ma quando i riflettori s’abbassavano, quando ritornava a casa, o in una stanza d’hotel affittata per l’occasione, quando doveva semplicemente spogliarsi per essere se stesso, e guardarsi in uno specchio, ecco che tutto quello che era, che aveva, non valeva più. Accanto, e dentro, sentiva solamente il peso di quel passato che non se ne andava, che gli scavava dentro mille gallerie, ampliando il vuoto e la solitudine.
Si poteva guarire da quello? Dal passato? Logan c’era riuscito? E se sì, come aveva fatto?
Ma non avrebbe mai potuto chiederglielo, perché di certe cose non si poteva parlare, con nessuno, neppure con chi era stato compagno di una tale esperienza. Jean Paul sapeva che non avrebbe trovato le parole per dire.. quello che andava detto, e se le avesse trovate non avrebbe avuto la voce o la forza per formularle. Di scriverle, poi, per avercele sempre davanti, nero su bianco.. no, no! Mai!
Era lì per quello, allora?
Era davvero certo non ci fosse altro?
Perché era tutto così difficile, poi? Perché non poteva ammettere d’aver semplicemente seguito l’istinto, quell’istinto che tante volte lo aveva tradito, ed aveva accettato perché.. perché sì? Perché aveva trovato più semplice, più attraente accettare che non rifiutare.
Semplicemente : perché sì.
Perché gli andava.
Non era una risposta, tanto meno una spiegazione, ma era la cosa più simile alla verità che riuscisse a dirsi, e non poteva che accettarla.
Non poteva che..
I suoi pensieri s’interruppero al suono ovattato di qualcuno che bussava alla sua porta. I suoi occhi si spostarono sull’orologio: le tre del mattino.
Qualcuno che veniva da lui a quell’ora? Lui non aveva bisogno che di dormire due o tre ore per notte, per cui era ovvio che fosse già in piedi, ma non era *normale* che qualcuno lo cercasse nel cuore della notte. A meno che non fosse capitato qualcosa di grave.
Aprì la porta di scatto, con talmente tanta fretta che la figura che attendeva in piedi, nella penombra del corridoio, sobbalzò visibilmente.
“Ehy, JP, piano! O scardinerai la porta!”
Robert?
Alle tre del mattino, Robert che bussava alla sua porta in *pigiama* con un’espressione così.. così .. terribilmente sexy che Jean Paul, se avesse potuto, l’avrebbe trascinato in stanza di peso e..
Jean Paul si impose di calmarsi. Robert non aveva nulla che di solito trovava attraente in un uomo. *Nulla*. E poi era un ragazzino, e non era così certo che si sarebbe mostrato entusiasta di fronte a una sua proposta. Non voleva mandare tutto a rotoli solo perché trovava carino un ragazzo.
Il mondo era pieno di ragazzi che avrebbe potuto trovar carini, uno in più o in meno nella sua personale collezione non faceva alcuna differenza, no?
Eppure Robert sembrava così.. indifeso, in quel momento. Era tutto stropicciato, pure il viso portava addosso i segni del sonno, come se si fosse svegliato di soprassalto, e la maglietta sgualcita che segnava appena i bicipiti torniti, le spalle, troppo larga a causa di troppi anni di vita, troppi lavaggi, e di troppi sonni. I capelli un po’ arruffati e gli occhi verdissimi, leggermente segnati da ombre scure, ma luminosi, spalancati, le labbra perennemente piegate in un sorriso..
“Robert, che fai qui?!”
Non riuscì a trovare nulla di più intelligente da dirgli. L’altro tentennò un poco.
“Mi spiace di averti disturbato, JP, solo che dovrei parlarti.. – prese un respiro abbassando lo sguardo – Forse avrei dovuto aspettare domattina, ma mi pareva una cosa urgente e poi.. poi la mattina mi addormento e non riesco mai a incontrarti prima che vai a lezione, e .. ma non volevo disturbarti..”
“Non mi disturbi. – l’educazione avrebbe detto di invitarlo ad entrare, ma Jean Paul, in un istante, meditò sull’opzione, e la scartò. Tutti sapevano che lui fosse gay, e lui *sapeva* benissimo di avere un debole assurdo per Robert. Inoltre aveva avuto esperienza diretta di quanto, in certi casi, si potevano fraintendere azioni assolutamente ingenue. L’ultima cosa che voleva, in quel momento, era far saltar fuori un disastro per .. per nulla. Lasciò che fosse Robert a decidere. – Dimmi pure. Mi devo vestire, andiamo da qualche parte?”
Robert scosse il capo, il suo sguardo interdetto era dolcissimo, pensò Jean Paul, e pure un po’ comico. Gli sorrise, conciliante.
“Non posso entrare? Nella tua stanza, intendo.. io non ..”
Jean Paul si spostò di lato. Un ‘prego’ appena sussurrato, un invito discreto, come si fa tra amici abituati ad essere fra i piedi l’uno dell’altro.
“Allora?”
Robert si sedette pesantemente sul letto con un sospiro. Jean Paul prese posto sulla sedia della scrivania e si limitò ad attendere che sputasse il rospo. Si ritrovò improvvisamente a pensare che era così carino che avrebbe pure passato tutta la notte a guardarlo.
“Tu conosci bene Logan, vero? – gli chiese, non osando ancora sollevare lo sguardo su di lui – Ho visto come ti tratta. Siete molto in.. in confidenza.”
Jean Paul sollevò appena un sopraciglio. Di tutti gli argomenti che poteva mettergli di fronte, il suo legame con Logan era proprio uno degli ultimi che si fosse aspettato.
“Sì. Abbiamo lavorato insieme, anni fa. Ma non è un segreto, Robert. E’ solo questo che ti preoccupa tanto?”
Era un meraviglioso attore, dovette ammettere tra se e se. Se non fosse stato così schifosamente portato per gli affari sarebbe potuto andare ad Hollywood e sarebbe diventato ricco e famoso, proprio com’era ora, senza alcun problema.
“No, è che.. – Robert sollevò il capo e con forza puntò gli occhi nei suoi, con un’ombra battagliera e decisa nelle iridi. – lui lo sa che sei gay?”
Jean Paul non era un tipo modesto, non aveva alcun motivo per esserlo. Però in quel momento dovette ammettere di non riuscire assolutamente a comprendere dove Robert volesse andare a parare. Era.. *geloso*?! Una parte di sé lo voleva con tutte le sue forze, ma .. ma no, era qualcos’altro. Qualcos’altro che ancora non capiva, e non sapeva.
Cercò di assumere il tono più distaccato che la situazione permettesse.
“Robert, credo che questo piccolo particolare, per quanto non dovrebbe importare assolutamente nessuno, sia ormai di dominio pubblico. L’ho annunciato in mondovisione durante le Olimpiadi. E credo che qualcosa sia dovuto giungere alle orecchie di Logan, no?”
“Bhè, ma tu gliel’hai detto, vero?”
Jean Paul sospirò.
“Chiaro e tondo? No, non gli ho mai battuto su una spalla dicendogli ‘hey, Logan, lo sai che sono gay?!’ ma lo *sa*, senza alcun dubbio. Ne abbiamo parlato.”
Robert prese un respiro, mordendosi coscienziosamente un labbro. Jean Paul, da parte sua, iniziava a sentire decisamente troppo caldo. Robert doveva assolutamente andarsene in fetta da lì, o, per lo meno, piantarla con tutti quegli atteggiamenti di innocente invito! Non *poteva* prenderlo e sbatterlo al muro e strappargli di dosso quei tre stracci e..
“Oh. – sussurrò appena – Senti, lo so che non sono fatti miei e che se lo conosci da tanto la mia preoccupazione è inutile e tutto il resto, ma.. “
“Ma?”
“Per quel che ne so potresti benissimo conoscerlo ben più tu di quanto lo conosca io. O di quanto lo conosciamo tutti noi. Solo che volevo dirti di .. di stare attento.”
“Con Logan? E perché mai? Al massimo mi strapazza un po’durante gli allenamenti, ma non credo possa farmi troppo male. Temo ti stai preoccupando per nulla.”
“Forse. Però Logan è.. è speciale. Sai, io sono figlio unico ma se avessi avuto un fratello maggiore lo vorrei proprio come lui. Insomma, per me è.. è strepitoso! E’ troppo figo, è forte, sicuro, è ‘grande’, se capisci cosa intendo.”
“Capisco, Robert. Ma non ho ancora messo a fuoco bene il problema.”
“Il problema è che Logan *è* un po’ strano, a volte. Sai, non ha alcunissimo problema col fatto che tu preferisci portarti a letto degli uomini piuttosto che delle donne. Solo che.. non so se la prenderebbe bene se tu.. ci provassi.”
Robert tossicchiò appena. Jean Paul lo fissava, allibito.
“Io? Provarci.. con .. con chi?”
“Con lui. Con Logan.”
Il silenzio cadde fra di loro. Per un istante che parve infinito l’aria fu piena solo del ticchettare leggero dell’orologio appeso al muro, e null’altro, se non il suono di due sguardi che si perdevano, sciogliendosi, l’uno nell’altro.
Poi Jean Paul iniziò a ridere.
A ridere, il capo chinato, preso fra le mani per non fare troppo rumore, per non disturbare nessuno, per soffocare la voce. Cercò di frenarsi ma era come se qualcosa dentro di lui fosse scattato: Robert era preoccupato che lui ci potesse *provare* con Logan! Robert era in camera sua nel cuore della notte, in pigiama, a riempirgli al testa di pensieri sconci, per metterlo al corrente del fatto che forse Logan non l’avrebbe presa bene se si fosse sentito al centro di un’attenzione ‘particolare’! Era per lo meno comico.
Era assurdo.
Dolorosamente assurdo.
Jean Paul ebbe chiaro, di fronte agli occhi la linea dei pensieri che aveva portato Robert lì, di fronte a lui, a dirgli quelle cose, e ringraziò di stare ridendo come un matto, così poteva dare a quello la colpa delle lacrime che sentiva pungergli negli occhi.
Robert lo fissava lievemente offeso.
“Bhè, che c’è di tanto buffo, canadese?!”
Nulla, avrebbe voluto dirgli. Proprio nulla. Gli aveva parlato di Logan, e forse Robert era davvero convinto di essere preoccupato per Logan, ma Jean Paul non era uno stupido, e in certe situazioni era già passato. Tutte dolorose, tutte assurde, ma chiare. Così limpidamente lineari da essere banali.
Non : ‘non so se Logan la prenderebbe bene se tu ci provassi con lui’.
Ma: ‘non so se la *prenderei* bene se tu ci provassi con *me*’.
Semplice, abbastanza diretto da essere comprensibilissimo: meglio così, si disse, meglio saperlo prima che rischiare troppo, che rischiare tutto per qualcosa che non avrebbe mai potuto essere. Meglio così, aveva trovato una bellissima scusa per il fatto che, comunque, non ci avrebbe *mai* provato direttamente con Robert.
Non era mai iniziata, e dentro quello gli pesava come un addio.
Era stupido, ma clamorosamente vero. E doloroso. E pesante. Ma non sarebbe morto per quello, sarebbe sopravvissuto, era inutile, ora, pensarci troppo. Gli dispiaceva, però, gli sarebbe mancato quel sogno da ‘e se riuscissi a..’.
Ma ne avrebbe trovati altri, ce n’erano così tanti, di sogni ancora non sognati!
Si premette con forza le mani sul viso, poi sollevò la testa, sorridendo uno dei suoi soliti ghigni caustici, che potevano essere dolorosi, se si fissavano troppo a lungo.
“Andiamo, Robert! Mi consideri davvero dotato di così cattivo gusto, e di una così misera possibilità di scelta da provarci con Logan? – i suoi occhi scintillarono, stranissimi, incantando, per un attimo, Robert, lasciandolo senza fiato. Com’era possibile che qualcuno avesse degli occhi così.. mobili? E vivaci? E pieni di .. dolore, allo stesso tempo? – Non ci proverei mai con un compagno di squadra.”
Bugia. Era una delle bugie più clamorose che avrebbe mai potuto dire, però Jean Paul doveva prima confortare Robert, convincerlo ad andarsene, con lo spirito più leggero, e sereno e lasciarlo finalmente in pace. Poi, dopo, ci sarebbe stato tempo per se stesso. Dopo avrebbe potuto dispiacersi, e commiserarsi, per una frazione di secondo. Ma dopo, non ora.
Ora Robert doveva ricevere ciò che era venuto a chiedere: la sicurezza che mai nessun uomo avrebbe cercato di infilarglisi nel letto. Allora avrebbe potuto continuare ad essere amico, ad essere vicino, ad essere il Robert che Jean Paul aveva imparato a conoscere, altrimenti avrebbe negato ogni possibilità, tagliato qualunque legame, seppur inconsistente,
Tutto qui.
Jean Paul sorrise, facendo ciò di cui Robert aveva bisogno. Per quella volta andava bene così.
E non c’era un perché.. era solo .. era solo: ‘perché sì’.
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Jean Paul appoggiò poco delicatamente i fogli sul tavolo enorme della cucina e sbuffò. Ororo, ai fornelli, si voltò appena e gli sorrise conciliante.
“Caffè, Jean Paul?”
“’azie.”
Rispose lui, appena, scontroso e irritato.
“Abbiamo dormito male, bimbo?!”
Logan.
Jean Paul ringhiò qualcosa di poco decifrabile. Che non ci si mettesse pure lui, quella mattina! Cosa diavolo voleva da lui, il mondo?! Dio, quanto avrebbe voluto torcergli il collo e..
Ororo lo fissò un po’ perplessa, posandogli la tazza di caffè di fronte.
“Sei sicuro di star bene, Jean Paul? Se non te la senti puoi anche saltare un paio di lezioni. I tuoi studenti non moriranno, anche se sentiranno di certo la tua mancanza.”
Quella strana, delicata attenzione non invadente lo fece rilassare un poco.
“No, non preoccuparti. Ho solo dormito male, ma un po’ di caffeina sistema ogni cosa..”
Logan si appoggiò in silenzio alla spalliera della sedia mentre la donna ritornava alle sue faccende. Jean Paul allungò la mano verso il giornale, lo aprì e ci sprofondò dentro.
Non voleva parlare con *nessuno*.. solo dio solo, poi, sapeva perché diavolo fosse così sottosopra quella mattina. Non era cascato il mondo, non si era appena schiantato al suolo, in mille pezzi, il World Trade Centre – milioni di dollari investiti negli uffici ficcati in quelle due torri, e tutto era andato in fumo in.. in dieci minuti! Se ci pensava gli veniva ancora da piangere-. Non era scoppiata una nuova guerra mondiale. Tutti quelli che conosceva, e di cui gl’importasse qualcosa, stavano bene, o per lo meno non gli erano giunte notizie che lo facessero dubitare della cosa.
E allora..
Sentì Logan sporgersi verso di lui, per metà conciliante, per metà aggressivo: una buona miscela per evitare che Jean Paul non si crogiolasse troppo nella propria sofferenza, impedendogli di scivolare nella depressione.
“Quando un ego borioso viene ferito fa sempre male, vero?”
“Chi ne può sapere più di te sull’argomento? – un sorriso ironico, asciutto. Un ‘pussa via’ scritto a chiare lettere in faccia – Cosa ti fa sospettare, poi, che ho qualcosa che non va?”
Logan sghignazzò.
“E’ da cinque minuti che fissi la pagina dei programmi tv, e tu non la guardi mai, a meno che non ci sia una qualche tua intervista messa in onda. E, ho controllato, non c’è.”
Jean Paul dischiuse le labbra, su cui erano sorte almeno una decina di frasi al vetriolo tra cui scegliere per stenderlo quando, semplicemente, si diede per vinto.
Scosse il capo, piegando con cura il giornale.
“Finisco il caffè e me ne vado, o rischio di essere in ritardo a lezione.”
‘Così la smetto di importunarti con la mia sola presenza’: gli bastò uno sguardo per trasmettere il messaggio a Logan, che lo recepì, e in un attimo si rabbuiò. Anche lui era sul punto di dire qualcosa quando fu interrotto bruscamente.
“Lo sai, Logan, - s’intromise Ororo – chi ha appena telefonato? Remy!”
Logan sbuffò di nuovo, quasi soddisfatto di non dover mettersi a litigare con Jean Paul a tavola, durante la colazione. E poi Remy.. bhè, poteva essere un buon diversivo per Stellina..
“E quando si decide a tornare quell’altro disgraziato?”
“Una settimana ha detto. – si voltò verso il canadese con la sua solita, innata eleganza – Tu lo conosci, Jean Paul?”
“Remy? Il nome non mi dice nulla.”
“Gambit.”
Precisò, roco, Logan.
Jean Paul annuì leggermente con la testa.
“Devo averlo sentito nominare.”
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