Staring at the Sun
Cap. 5
Di Unmei
Non lo aveva salutato, non si era nemmeno avvicinato: aveva voltato le spalle e si era allontanato in fretta. Non sapeva bene il perché, forse si sentiva in colpa per la sua stessa ingiustificata gelosia e per quei sentimenti negativi verso una persona appena conosciuta che non gli aveva fatto niente di male, anzi si era dimostrata gentile. E poi Sanzo sarebbe stato deluso di lui se avesse scoperto ciò che provava, di questo era certo. Lo avrebbe guardato con occhi penetranti, gli avrebbe parlato in modo freddo e sarcastico per fargli pesare la sua insicurezza, cosa che magari nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere 'educativa', costruttiva, e che invece avrebbe ottenuto solo di mortificarlo.
Ecco l'errore di Sanzo: il pensare che tutti fossero 'corazzati' quanto lui, il credere che le parole pungenti fossero sempre un buon modo per temprare il carattere e superare timori e insicurezze. Con certi individui quel comportamento poteva anche avere successo, ma era più facile che in una persona di sensibilità appena normale esso causasse disastri emotivi e incomprensioni.
Goku decise di continuare altrove la sua passeggiata, mentre il suo umore si era fatto più pensieroso; riconoscendo l'irrazionalità della propria gelosia si domandava da che mai essa potesse avere origine. Cercava di placarla, di soffocarla, ma la sentiva palpitare dentro di sé, minacciosa e testarda, e cominciava a spaventarlo non meno dell'altro mostro che si nascondeva dentro di lui.
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"Mi sembrate piuttosto sorpreso, venerabile Sanzo."
"In un certo modo. Non è poi così usuale che un laico abbia una conoscenza così approfondita della filosofia buddhista."
Liang sorrise, anche se in ciò ci fu molta più amarezza che compiacimento. Accarezzò lentamente la lunga treccia che gli ricadeva sul petto e parlò senza guardare il suo interlocutore.
"Ma per quanto la conosca così bene, il mio comportamento non ne rispetta certo lo spirito. Tento così disperatamente di seguire l'Ottuplice Sentiero, ma dietro l'autocontrollo e la dignità il mio cuore è così sporco da disgustarmi. Io….."
Lì s'interruppe e scosse la testa, chiudendo gli occhi. Discorrere in modo accademico era stato piacevole, ma non era suo desiderio lasciarsi andare a tal punto, confidando così facilmente il suo inaccettabile segreto. Ricacciò indietro le parole che erano state sul punto di sfuggirgli e disse altro, di pur segreto ma più ammissibile, specialmente davanti ad un bonzo. Anche se quel bonzo, per quanto poco lo conoscesse, non gli appariva certo un pio uomo di religione.
"….. Io desidererei rinchiudermi nel più lontano e isolato monastero esistente, ma sono troppo vigliacco ed egoista per farlo. Né comunque ne sarei degno: anche se uno reciti un lungo tratto di versi sacri, ma non operi conforme a loro, costui è un uomo negligente: come un pastore che conti le vacche altrui, egli non partecipa alla condizione di asceta."
"La ventesima strofa del Dharma-pada. - commentò Sanzo. Quel poema era il nucleo della disciplina buddhista; conoscere a memoria le sue 423 strofe era una prova fondamentale del noviziato, prima dell'ordinazione a monaco. - Non sono certo io a poter dare incoraggiamento o comprensione, ma il mondo tra le mura di un tempio non è migliore di quello fuori di esse. Se è da voi stesso che volete fuggire, rinchiudervi non servirà a nulla. Anzi, peggiorerà la situazione. Se conoscete il Dharma-pada allora saprete anche i versi che insegnano: uomini spinti da paura vanno a cercare asilo in montagne e foreste, alberi sacri e santuari, ma questi non sono asilo sicuro, non sono il Supremo Rifugio; non è accorrendo a questi rifugi che ci si libera di tutti i dolori."
Liang si morse le labbra. Aveva sempre raccontato a se stesso che allontanarsi dalla fonte del suo soffrire era l'unica soluzione possibile, ma in fondo sapeva che sarebbe stato solo un palliativo. L' inquietudine dentro sé, i sensi di colpa, i desideri che gli toglievano il sonno e fomentavano il rancore, niente di tutto ciò sarebbe svanito dal suo cuore se non avesse saputo sconfiggere se stesso. Avrebbe sinceramente desiderato la pace e il distacco derivanti dalla vita monastica ma temeva d'essere ormai scivolato in un circolo vizioso: non poteva seguire la Via fino a quando fosse legato al suo desiderio, ma l'unico modo di liberarsi di esso era proprio seguire la Via e a lui mancava la forza necessaria….. aveva quasi voglia di ridere per l'amarezza, fatalmente divertito dalla propria debolezza. Quanto era ironico, poi, parlare di quell'argomento con una persona che portava lo stesso volto della causa della sua angoscia, dell'annichilante infelicità e del senso di colpa che ogni giorno nascondeva dietro a modi brillanti e perfetta gentilezza. Si sentiva così falso da disgustare se stesso, facile immaginare che avrebbe pensato di lui Dewei se solo avesse saputo. Si alzò, lisciandosi la veste con un gesto nervoso, improvvisamente a disagio; la cosa non sfuggì a Sanzo che però non disse né lasciò trasparire nulla. Nessuno meglio di lui poteva capire il valore della riservatezza e il desiderio che essa venisse rispettata.
"Devo tornare al palazzo, il lavoro mi aspetta. Rientrate anche voi o preferite….."
"Resterò ancora un po' qui; c'è molta quiete e purtroppo non mi capita spesso di godere di un po' di silenzio."
"In effetti avete degli amici apparentemente molto vivaci."
"Amici?"
Rimandò Sanzo, inarcando un sopracciglio e domandandosi perché la gente dovesse sempre dedurre che il viaggiare insieme li rendesse amici. Non passava loro per la mente che potesse essere il risultato della volontà perversa di tre stupide teste fluttuanti?
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"Ti sarai fatto le tue idee su ciò che sta accadendo qui, vero?"
Camminavano insieme Hakkai e Gojyo, passeggiando tra le bancarelle di un ricco e variopinto mercato. Merci di ogni genere facevano mostra di sé sui banchi: dalle stoffe pregiate alle spezie, dalla frutta dolcissima ai gioielli, e unguenti, libri antichi e persino armi. Nell'aria si sentiva sottile il profumo delle erbe e di cibi invitanti cucinati sul momento. Gojyo aveva parlato con tono casuale, dopo una breve pausa tra i vari discorsi condivisi gironzolando per la città.
"Sì, e immagino che corrispondano alle tue. Il legame tra il nostro Sanzo e Dewei è evidente, anche se forse non ci sarà concesso il privilegio di una spiegazione precisa."
"Non ci sarà concesso il privilegio di una spiegazione e basta. Però mi piacerebbe stuzzicarlo un po' per fargli vuotare il sacco, in fondo non rischio niente….. non può mica uccidermi davvero!"
"Gojyo!"
"E' così! Anche se magari gli piacerebbe mandarmi sotto tre metri di terra, non può!"
"Non può per adesso, ma chi ti dice che non si stia segnando tutto sul libro nero in attesa di portare a termine la nostra missione e poi…..?"
"Uh, non dirlo! - il kappa fece una smorfia - credo che ne sarebbe capace!"
Il rosso si fermò di colpo, tanto che subito Hakkai non se ne accorse e proseguì di un paio di passi prima di guardarsi indietro e tornare a fianco del compagno. Gojyo si era fermato davanti ad una bancarella di frutta e stava guardando delle invitanti, lucide mele rosse.
"Ti ricordi?"
Chiese ad Hakkai, con un leggero sorriso.
"Potrei dimenticare, secondo te? Davanti alle mele rosse ci rincontrammo, anni fa….. quando ti voltasti e mi guardasti credetti che ti sarebbero schizzati via gli occhi!"
"Chissà perché, eh? Quella volta mi faceste uno scherzo davvero pessimo….. ma cosa ridi? Io stavo malissimo credendoti morto, e intanto tu e quel disgraziato vi divertivate alle mie spalle."
"Sai bene che non intendevamo prenderti in giro. - disse paziente Hakkai - Forse Sanzo ha usato parole fraintendibili, ma non del tutto false. Sono certo che se tu gli avessi chiesto più spiegazioni ti avrebbe raccontato i fatti."
L'espressione sul volto di Gojyo fu eloquente: riusciva benissimo ad esprimere, senza l'ausilio delle parole, la scurrile opinione che aveva in merito.
"Effettivamente forse no. Ecco, tieni - Hakkai gli lanciò una mela, che lui riuscì a prendere al volo - puoi rifarti la bocca con questa….. così spegni quella terribile sigaretta. Offro io."
"Non è colpa mia se qui quelle della mia solita marca non le vendono!"
Si lamentò piccato il kappa, guardando il compagno prendere una mela anche per sé e pagare il venditore. Non sarebbe mai andato a sbandierarlo in giro, perché era una cosa talmente sciocca da risultare imbarazzante, ma andare al mercato con Hakkai….. fare spese e curiosare un po' in giro, fosse al paese dove vivevano prima di partire per l'ovest, o in una qualunque città incontrata lungo il viaggio, era qualcosa che gli piaceva, che lo distraeva e faceva stare bene, anche se volte se ne lamentava e sbuffava come se la trovasse una seccatura. Passò un braccio intorno alle spalle di Hakkai, conducendolo via senza badare troppo alla sensazione di pace e leggerezza che provava in quel gesto; era una cosa abituale, come il senso di familiarità che aveva provato sin dal primo momento passato insieme. Quando dopo pochi passi un braccio di Hakkai salì posandosi intorno alla sua vita, un brivido lo scosse, gli tolse il fiato, inaspettato, piacevole e in qualche modo terrorizzante….. non era la cosa che si dovrebbe sentire quando a toccarti sono le mani di un amico. Ma quando poco dopo fu chiaro che quel gesto voleva solo richiamare la sua attenzione su qualcosa non poté fare a meno di provare una certa delusione.
"Gojyo, guarda là….. non è Goku?"
Ed era proprio il loro compagno che sedeva da solo ad un chiosco con l'aria di chi sta tentando di annegare i propri dispiaceri nell'alcol, anche se nel suo caso si trattava più che altro di soffocarli con le fette di torta.
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Non riusciva a concentrarsi sulle sue mansioni quel giorno, era tentato di alzarsi rabbiosamente dalla sedia e mandare per aria la scrivania con tutti i documenti da controllare e i progetti da vagliare. Interiormente sogghignò al pensiero dell’espressione di Dewei ad una simile vista; forse avrebbe dovuto cedere all'istinto ed abbandonarsi ad una bella scenata, sarebbe stato di grande effetto, poteva immaginarsela nei minimi dettagli. Ma sapeva anche che non avrebbe mai fatto nulla del genere, che come ogni giorno avrebbe continuato a comportarsi perfettamente, fingendo e fingendo….. però quel giorno in particolare sentiva di non poter resistere. Chiuse i registri e si alzò senza il minimo rumore.
"Ti prego di scusarmi Dewei, ma non sto bene oggi; penso che mi ritirerò. Ho già terminato le relazioni più urgenti, non ti preoccupare."
Fece per andarsene in fretta, prima che l'altro gli rivolgesse la parola, ma non gli riuscì.
"Come ti senti?"
"Ti giuro che non sto fingendo per disertare!"
Replicò con un sorrisino, conscio di stare mentendo, e l'altro sbuffò.
"Non l'ho mai creduto, sciocco. Ma sei molto pallido e silenzioso oggi, te l'avrei chiesto comunque."
"Mh. Deve essere solo la pressione più bassa del solito. Mi gira la testa e penso che rischierei di vomitare sui progetti del nuovo acquedotto se restassi qui."
"Riesci a tornare alle tue stanze? Vuoi che ti accompagni?"
"Oh, non sono poi così moribondo….. ma non sarebbe un male se svenissi lungo la strada: il dottore certo mi ordinerebbe un periodo di riposo e tu non potresti sfruttarmi per un po'."
Forse egli stesso credette fin troppo alle sue parole, ma quando infine uscì dalla stanza Liang barcollò veramente e dovette appoggiarsi alla parete, chiudere gli occhi per restare in piedi. Si sentiva stanco e senza via d'uscita: vivere sotto lo stesso tetto, lavorare insieme e vedersi ogni giorno….. era snervante, era una tortura. La loro vicinanza non era più fonte di gioia, lo stesso gli era indispensabile, per quanto facesse male. E Dewei….. Dewei non aveva mai avuto il minimo sospetto dei sentimenti e delle sensazioni che era in grado di destare in lui. Lo trattava come sempre, considerandolo il suo migliore amico quale era da molto tempo prima di diventare suo cognato. Gli donava tutta la sua stima, gli affidava importanti incarichi, si confidava con lui e teneva in grande considerazione i suoi consigli. Avrebbe dovuto farsi bastare tutto ciò, considerarlo una fortuna ed un onore, e attendere che l’amore, il desiderio sfumassero, si addolcissero, per poi essere ricordati solo con una certa nostalgia. Se ciò fosse accaduto forse insieme all’amore anche i sentimenti negativi sarebbero stati esorcizzati, mondando la sua anima, spazzando via l’odio meschino e la gelosia. Ma negli anni non era avvenuto nulla di simile, e lui non aveva fiducia che potesse più succedere.
Liang raggiunse le proprie stanze, intenzionato a farsi un lungo bagno bollente, e poi dipingere, che dedicarsi ai suoi evanescenti acquerelli riusciva sempre a liberare la sua mente e a sospendersi in un'astrazione in cui sentiva solo pace. Non era una cura definitiva per il suo male, ma non ne conosceva altre. Non di fattibili. Ripensò al discorso di quel mattino, all’inutilità di scappare e nascondersi quando si vuole fuggire da se stessi. Forse sarebbe stato meno terribile di quel che pensava, non vedere più Dewei, forse avrebbe sofferto terribilmente i primi giorni ma poi si sarebbe rassegnato, tornando ad essere sereno.
E anche l’astio sarebbe scomparso: l’acredine, il rancore verso sua sorella Shan, che di Dewei aveva l’amore, l’attenzione e la vita. E, ancor più terribile, l’odio irrazionale per i loro figli, l’incarnazione del loro legame. Due bambini bellissimi, innocenti, e lui era il loro zio. Li portava in braccio e sorrideva loro, li aveva fatti giocare e sorretti nel muovere i primi passi, ma li aveva detestati dal giorno in cui erano venuti al mondo. No, dal giorno stesso in cui aveva saputo della loro esistenza nel ventre materno.
Ogni volta che si soffermava a pensare all'affetto che queste persone riponevano in lui, alla stima con cui tanti lo consideravano, così malriposta, si sentiva disgustato….. un truffatore della peggior specie, per di più roso dall'invidia. Liang si lasciò cadere sul letto, abbandonato come un cadavere, con un braccio che pendeva all'infuori, gli occhi sbarrati sul soffitto, chiedendosi, provando ad immaginare, quanti anni ancora di quella vita sarebbe riuscito a sopportare.
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Dalla finestra della camera da letto Goku guardava il giardino pallidamente illuminato dalla luna argentea. La visione era di una malinconica bellezza, ma fortunatamente l'umore del ragazzo era molto migliorato, rispetto a quella mattinata, per esserne influenzato. Non era passata del tutto la sensazione di fastidio provata nel vedere Sanzo da solo con quella persona, ma parlare con Gojyo e Hakkai dei suoi sentimenti era stato meglio che tenersi dentro il rospo. Non che fosse stato facile: la convinzione di suonare ridicolo era talmente forte da averlo portato immediatamente a negare di avere qualche problema, quando i due amici si erano interessati a lui. Per fortuna quelli erano stati insistenti, Hakkai con garbo, Gojyo provocandolo di proposito, finché lui aveva ceduto, cosa che in fondo era quella che desiderava di più.
I suoi amici non lo avevano preso in giro, e già quello era bastato a risollevargli un po' il cuore. Hakkai gli aveva sorriso e stretto incoraggiante una spalla, Gojyo gli aveva detto di non temere, che sicuramente al mondo non poteva esserci nessun altro tanto stupido da invaghirsi di quel terribile bonzo, ed entrambi non vedevano niente di assurdo nella sua gelosia.
Sanzo era il suo primo amore, no?
E si trattava di un tipo per niente che facile, giusto? Ed era stato una preda faticosa, per di più.
Nulla di strano quindi nel provare un tale sentimento, anche se ingiustificato. La gelosia spesso lo era: impulsiva e illogica; sarebbe svanita da sola, gli avevano detto. Probabilmente ne sarebbe rimasta solo un po', quella che è il tributo di ogni amore, quella che fa piacere ricevere.
Goku pensò che lui davvero sarebbe stato felice se Sanzo avesse dimostrato gelosia nei suoi confronti. Lo avrebbe fatto sentire ancora più desiderato, perché da parte di una persona tanto reticente sarebbe stata quasi un'altra, lusingante, dichiarazione d'amore.
Il ragazzo si voltò a guardare il suo compagno, in piedi davanti alla libreria, che dava un’occhiata ai titoli dei volumi mentre si strofinava i capelli umidi con un asciugamano, e sorrise. Andava bene anche così, con il suo caratteraccio chiuso, la testardaggine e le parole affilate: in fondo erano queste cose a fare di Sanzo….. Sanzo.
"Ehi scimmia, vieni qui."
Lo chiamò, andando a sedersi, e lui gli fu lestamente accanto. Sanzo lo fissò per un po', poi voltò gli occhi e incrociò le braccia sul petto. Gli disse seccamente di non interromperlo e di stare buono, e lui capì che stava per parlargli di qualcosa di importante; forse avrebbe ripreso il discorso lasciato in sospeso l'altra sera. E così era; iniziò, preamboli e spiegazioni.
"Il fiume….. il fiume per qualche motivo mi ha risparmiato. È grande la distanza dal luogo dove venni abbandonato, affidato, alla corrente, a quello dove venni ritrovato e nonostante ciò non mi accadde nulla di male. Ero affamato ed esausto, così mi raccontò lui, ma perfettamente in salute."
Il suo maestro.
Il ricordo del suo sorriso gentile, del suo volto sempre sereno come se avesse compreso la pura essenza della vita, e avesse capito che non aveva nulla da temere da essa.
Il suo maestro, per cui provava immortali amore e devozione, così limpidi, così profondi che simili candidi sentimenti forse non erano mai stati adatti ad uno come lui, nemmeno allora.
Il suo maestro, per cui sentiva anche una stridente, acuminata scheggia di risentimento, per essersi permesso di morire al suo posto, perché un uomo di quella levatura era stato semplicemente irresponsabile a farsi uccidere per un inutile moccioso.
Sanzo tornò a posare lo sguardo su Goku, sul suo volto attento, serio eppure emozionato, come un vago rossore sulle guance e le orecchie rivelava. Sembrava persino deciso a rispettare la parola di non interromperlo. Povera scimmia sentimentale, forse ancora non riusciva a credere che il suo bonzo collerico e introverso si stesse confidando con lui, che finalmente avesse deciso di scoprire quella parte di sé che aveva tanto strenuamente nascosto, a costo di creare incomprensioni tra loro.
"Lui mi disse che non era stato un miracolo, ma solo il destino. Lui, Goku, disse che mi aspettava, che aveva sentito la mia voce chiamarlo e mi predisse che un giorno avrei udito la tua. – fece ancora una pausa, riordinando le idee, i ricordi. Aveva rivissuto ogni cosa tante volte dentro sé, ma non sapeva da che parte iniziare a raccontare, e come. Le parole dette fino a quel momento gli sembravano così inadeguate e confuse - Sarebbe stato meglio per te se fosse stato lui a trovarti, sarebbe stato molto più gentile nei tuoi confronti."
"Sanzo! Non dire così!"
"Perché non dovrei? Io so come stanno le cose e questa è la verità."
"Parlami di questa persona allora, tanto importante per te."
"Questa persona era il mio maestro, il mio predecessore, e più di un padre per me….. era molto di più di quanto io sia in grado di spiegarti. Mi raccolse e mi portò con sé al tempio di Kinzan, dove mi allevò. Il gesto non fu apprezzato dagli altri bonzi, che non accettarono mai il fatto che il venerabile Komyo Sanzo avesse preso sotto la sua protezione un trovatello di chissà quali origini, e ne avesse fatto il suo allievo prediletto. Non sei l'unico ad essere stato malvisto ed isolato all'interno di un tempio dove dovrebbe invece regnare la carità, Goku: lì quasi ogni bonzo avrebbe voluto cacciarmi. Il rancore verso di me era rinfocolato dal fatto che invece di mostrarmi intimorito e rassegnato nei loro confronti li trattavo sempre in maniera altezzosa, senza mai farmi scrupolo di nascondere il mio disprezzo. Erano gretti e meschini, indegni del venerabile maestro."
"Eri triste, Sanzo?"
Domandò Goku, approfittando di una pausa, ma se ne pentì subito, ricordando che aveva promesso di non intromettersi, e lo aveva fatto già due volte, di rispettare tempi e le pause. Stava già per chiedere scusa quando Sanzo rispose, per nulla irritato.
"Triste? Equivarrebbe a dare importanza a quelle persone spregevoli, concedere loro di essere state per me fonte di afflizione. Non mi importava dei sentimenti e delle idee che nutrivano nei miei riguardi: erano gente inferiore, non me ne curavo. Il dolore che non mi lascia mai non è causato da loro….. dammi da fumare, Goku."
Sanzo arrivò a metà sigaretta, prima di rimettersi a parlare; la nicotina stava calmando il subbuglio nel suo cuore.
"Il mio maestro: è solo di lui che dovrei raccontarti, per farti capire. Era tutto ciò che io non sono, l'unica persona che io abbia mai conosciuto veramente degna di portare la veste di bonzo, di essere un Sanzo. La mia ammirazione e i miei sentimenti per lui non hanno nulla a che fare con una cosa futile come la riconoscenza."
E quello Goku poteva capirlo benissimo, perché la stessa cosa valeva per lui. I sentimenti che provava per Sanzo non dipendevano dal fatto che lui era stato il suo liberatore, e il suo custode, per tanti anni. Sarebbero nati lo stesso, ne era certo, anche se si fossero incontrati per caso in qualsiasi altro luogo o modo; sarebbero sbocciati allo stesso sole, scaldati dallo stesso cuore brusco ma generoso. Sanzo sarebbe stato sempre Sanzo, e lui lo avrebbe amato comunque per ciò che lui era, non per ciò che aveva fatto. Ascoltò le parole del suo compagno con attenzione, immaginando come doveva essere quella persona, provando un'istintiva simpatia per lui: se Sanzo lo considerava così importante, se lo riteneva un padre, doveva essere un uomo veramente eccezionale. Insieme a questo Komyo il suo Sanzo era stato felice, si era sentito sereno nonostante l'avversità degli altri bonzi….. proprio come era stato per lui. Sarebbe rimasto a sentire a lungo, sorridendo delicatamente nella luce delle lampade, ma non poté fare a meno di accorgersi che la voce di Sanzo diveniva sempre più assorta, che le pause nel discorso si allungavano. Anche nella penombra Goku riuscì a scorgere il dolore sul suo viso, un'espressione che rifletteva tutta la fatica che quel racconto gli costava. Un sacrificio. Era davvero un sacrificio per lui parlare di quell'argomento e ciò significava che le cose non erano andate bene: la felicità di quei giorni si era esaurita, era perduta e faceva male. Ora temeva ciò che Sanzo aveva ancora da dirgli, e lo temeva perché poteva immaginarlo. Avrebbe voluto chiedere, con rispetto e cautela, ma qualcosa gli diceva di restare zitto ed aspettare, accettando anche il silenzio se le parole avessero taciuto ancora.
La morte che infine il bonzo rievocò fu descritta con meno parole di quante lui stesso si aspettasse, tanto che a una persona che non lo conoscesse il suo racconto sarebbe sembrato freddo, incolore. Non trapelava quasi niente di ciò che gli scuoteva l'animo, e di lacrime non ne versò alcuna, anche se forse avrebbe dovuto, almeno per sfogare completamente l'incubo insieme a qualcuno che avrebbe potuto capire, insieme a qualcuno che pazientemente avrebbe aspettato che lui si addormentasse per svegliarsi il giorno dopo come il 'solito' Sanzo, incrollabile e tetragono.
Sanzo disse che pioveva quella notte, che il suono della pioggia grigia e fredda era assurdamente forte, e che poi si sarebbe mescolato al rombo del sangue nelle sue orecchie, assordandolo, isolandolo da tutto, da tutti. Le urla degli altri bonzi, le parole di Shuei che cercavano di incoraggiarlo…..tutto era confuso nella cacofonia, niente era comprensibile. Niente, nemmeno il corpo smembrato a terra, e tutto il rosso intorno e su di lui, e la vita che pochi minuti prima era normale e serena….. tante cose ancora da imparare, storie da ascoltare, domande da porre…..tante, tante cose portate via dalla pioggia quella notte. La pioggia che aveva lasciato solo fango.
E lui non aveva fatto niente. Nulla per impedirlo, nulla per difendere il suo maestro, niente per salvare la sua…..le loro vite. La colpa sarebbe rimasta sempre lì, fino alla morte e nella sua prossima vita ancora.
Come si risponde a tanta sofferenza, si chiese Goku. Dove si trovano le parole giuste, che non suonino ipocrite e vuote, che facciano comprendere quanto quel dolore poteva immaginarlo?
"Io…..io non….. una persona a cui tu eri così legato, non so come ti sia sentito a perderla, ma so come mi sentirei io se perdessi te. Sanzo, io non riuscirei più, proprio più, ad essere felice. Non avrei più voglia di ridere e giocare, di mangiare, di scherzare. Diventerebbe tutto vuoto, tutto insopportabile; io non vivrei più, Sanzo."
"Tu andresti avanti, stupida scimmia, come sono andato avanti io."
"Ma se ti capitasse qualcosa, se io fallissi nel proteggerti, come potrei poi - "
"Non voglio la tua protezione! - la voce di Sanzo, improvvisamente alta e rabbiosa, lo fece sobbalzare. - Non intrometterti mai, qualunque cosa accada, sono stato chiaro?"
"Ma Sanzo! Come puoi chiedermi questo? È mio desiderio….."
"Non mi interessa. Se non sono abbastanza forte da difendermi da solo allora merito di soccombere. Non ambisco altro dolore e senso di colpa perché ancora una volta qualcuno che amo è morto a causa delle mia debolezza."
"Io non morirei, e tu sei tutt'altro che debole. So che sei capace di difenderti da solo, ma devi capire i miei sentimenti: non potrei mai saperti in pericolo e rimanere a guardare, e basta. Interverrei ancor prima di pensare, perché sarebbe il mio primo istinto. E poi - Goku esitò. Forse con ciò che stava per dire si sarebbe preso troppa libertà, e Sanzo si sarebbe adirato, ma non poteva tacere - il tuo maestro….. sono certo che abbia agito proprio così, spinto dall'amore e felice di proteggerti. Te lo direbbe anche lui che non hai colpa; continuando ad angosciarti di sicuro stai facendo preoccupare il suo spirito!"
Goku si fermò, aspettando la reazione di Sanzo; aveva il suo sguardo acuto addosso, intenso e penetrante come non mai. Quegli occhi riuscivano ancora a metterlo in soggezione dopo tanti anni e non aveva dubbio che lo avrebbero fatto per sempre. Anche se era così cercò di non mostrarsi intimidito, per far capire che era pienamente convinto delle parole appena pronunciate. Quando il bonzo voltò il viso e tornò a guardare davanti a sé lui gli posò una mano sulla sua, tentando ancora.
"Più di dieci anni fa tu non eri lo stesso di ora. Se così fosse stato quei demoni li avresti uccisi in meno di mezzo secondo, e senza nemmeno far cadere la cenere dalla sigaretta. Ma eri troppo giovane, e vivendo in un tempio non avevi certo avuto occasione di scontrarti con simili avversari. E poi non avevi nemmeno la shoreijyu, che avresti potuto fare a mani nude?"
[Poteva andare diversamente solo se il tuo maestro avesse fatto in tempo ad usare il sutra.]
Ma questo non lo aggiunse, perché temeva che Sanzo fraintendesse e prendesse una semplice attestazione come un'accusa.
"Dici che devo lasciarmi alle spalle la morte del mio maestro, che non è stata colpa mia, e stai trovando tante giustificazioni, ma affermi che se io morissi tu di sicuro non vivresti più. Non credi di contraddirti?"
Rispose Sanzo, senza guardare la sua scimmia così volonterosa, spegnendo la sigaretta. Goku si accorse che quelle parole erano il vero e chinò la testa, sentendosi un po' sciocco.
"Sì, hai ragione. Scusami. Immagino che questo vanifichi tutto il mio discorso. La tua è una situazione su cui non posso pronunciarmi….. non ho detto niente di utile."
"Infatti. Ciò che provo è radicato troppo in profondità perché tu possa cancellarlo con qualche parola e offrendomi un po' di empatia. Non ti ho parlato di questo perché speravo che guarissi le mie ferite….. io nemmeno lo desidero, che guariscano. Voglio che restino dove sono, come monito. Ti ho raccontato tutto perché ho sentito che era giusto così, perché tu potessi capire meglio ciò che mi passa per la testa, e non avessi più a soffrire se quando piove le mie parole e i miei gesti si fanno odiosi. Non hai portato via il dolore, forse anzi hai accresciuto il mio timore di perdere anche te, ma sono felice di averti detto queste cose, Goku, e delle risposte che mi hai dato."
Il ragazzino sorrise, rasserenato. Quella sera Sanzo aveva davvero parlato molto e anche quell'ultima risposta era stata molto più franca e di cuore di quanto fossero abitualmente i suoi discorsi, in cui bisognava scavare sotto ghiaccio e granito per trovare i sentimenti espertamente occultati. Un avvenimento simile non si sarebbe ripetuto più per chissà quanto tempo, era quasi paragonabile al passaggio di certe comete o agli allineamenti quadriplanetari. Goku si sporse in avanti e con le braccia cinse le spalle del suo bonzo; avvertì i suoi muscoli tesi e rigidi e comprese ancor meglio quanto fosse stata difficile per lui quella dichiarazione. Anche lui sentiva ancora un groppo in gola e una sorta di confusione nei sentimenti; era stato come guardare dritto nel sole, alle tempeste che si agitano sotto l'apparente stabilità, un'occhiata troppo lunga che lo aveva momentaneamente accecato. Avrebbe voluto godersi il momento di quiete ancora un po', ma i colpi picchiati con urgenza alla porta fecero trasalire entrambi.
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