Ebbene…^_^ rieccola qui! Sì! Non sono morta come sempre, ero soltanto per un viaggio in Alaska e sapete com’è…ho avuto qualche piccolo problema a tornare…*_* ma adesso sono qui più agguerrita che mai mie cari! ^O^ hahahahaah <-x chi credeva di essersi liberato di me! ^_- Non faccio altre chiacchiere inutili e inizio subito con il lavoro signore e signori! Buona lettura! Kiss Yuna! Come sempre potete trovarmi qui: sweet_yuna@hotmail.com

 

Warning: ^o^ dunque…oltre al solito avvertimento (sesso…sesso…^_^ e…sesso, ovviamente con tanto amore intendiamoci!), ci sono alcune parti piuttosto violente! ^_^ Quindi state mooolto attenti amici impressionabili! ^*^

 ^*^ 

 


Stai con me

parte IX

di Yuna



Dolce risveglio, nel tepore del lettone e Squall che dormiva come un bambino nel letto, sereno e tanto tanto…nudo. Era rimasto a guardarlo, senza muoversi per paura di svegliarlo. Da quando aveva fatto pace e avevano ripreso il loro rapporto ancora più appassionatamente di prima ogni volta che apriva gli occhi temeva di aver vissuto in un sogno.

 

Ma il suo Squall era lì, il suo angelo sceso dal cielo.

 

Squall si era voltato su un fianco facendo cadere le lenzuola dal suo corpo e scoprendo quell’opera d’arte che era la sua schiena…e anche il resto che si trovava più in basso della schiena. D’accordo, non era una provocazione ma qualcuno che la pensava in modo tutto suo la stava prendendo in modo tutto suo.

 

“…buongiorno Squally©!”

 

Come non detto, Squall era un ragazzo dal sonno pesante, del resto povero piccolo di notte dormiva poco. Se gli diceva in faccia una battuta del genere si sarebbe beccato un bel calcio in uno stinco e un’occhiataccia.

 

Si era abbassato fino all’altezza di quei bellissimi perfetti globi di carne e vi aveva posato un bacio, prima su uno, poi sull’altro, Squall aveva bofonchiato qualche cosa e aveva cercato di tirarsi su la coperta in un vano tentativo di continuare il suo sonno beato.

 

“Fra poco suona la sveglia, tesoro.” Aveva cinguettato continuando a dare bacetti su quella belle pelle morbida.

 

“…lasciami stare…”

 

Che rude! Lui lo svegliava nel miglior modo possibile e come ringraziamento nemmeno un buongiorno amore? Che fidanzato ingrato. Lo aveva afferrato per i fianchi tirandolo verso di lui e anziché continuare a dare bacetti sulle sue natiche, ne aveva dato uno ben piazzato proprio nel centro perfetto, su quella piccola segreta fessura…

 

“Irvine nohoooo…” non appena la lingua aveva raggiunto l’obbiettivo Squall aveva smesso di agitarsi e si era arreso, docile e disponibile nella sua amorevole morsa. Ah!

 

“Chi è il miglior amante del mondo?”

 

“Quello che non ti rompe le scatole di prima mattina!” Squall si era infine liberato in un suo momento di disattenzione e si era diretto verso il bagno risentitissimo di essersi ancora una volta piegato al suo irresistibile fascino.

 

“Come mai così di cattivo umore? Non sarà per l’esercitazione?”

 

Squall gli aveva indirizzato soltanto un grugnito, subito dopo aveva sentito il rumore della doccia. Conosceva i suoi polli ormai. Era già da qualche giorno che Squall era agitato e scontroso, tutto perché quella mattina si sarebbero decisi i gruppi che nel pomeriggio sarebbero partiti per un’esercitazione di tre giorni nelle terre di Centra e negli altri continenti lì attorno. I nomi dei primi studenti a partire sarebbero stati estratti a sorte e c’era la possibilità quindi che uno dei due rimanesse al Garden.

 

Squall era geloso, non c’era altra spiegazione e la voglia di prenderlo un po’ in giro era troppo stuzzicante per poter resistere. Aveva raggiunto Squall nel bagno, il ragazzo si stava asciugando avvolto in un grande asciugamano, quando aveva cercato di aiutarlo quello si era scansato voltandogli le spalle…la verità bruciava.

 

“Pensa Squally…magari parto assieme a un bel ragazzo alto biondo con gli occhi azzurri e ad una bella ragazza bionda e dalla scollatura procace…oh oh oh non vedo l’ora! Non so proprio se riuscirò ad essere un uomo fedele in quel caso!” era scoppiato a ridere di gusto, ma non appena aveva abbassato gli occhi sul suo ragazzo si era trovato piantato in faccia due grandi occhi lucidi di lacrime che sprigionavano fuoco e fiamme, le labbra leggermente piegate verso il basso. “Squall…io stavo solo scherzando lo…”

 

Due grosse lacrime erano rotolate giù dalle guance, l’espressione di Squall non era cambiata di una virgola e aveva continuato a fissarlo in silenzio.

 

“…sai.”

 

Squall gli aveva lanciato in faccia l’asciugamano umido ed era uscito dal bagno come una furia. Va bene, questa volta se l’era andata a cercare con tutte le sue forze. Stupido.

 

 

Per tutto il tragitto dalla loro stanza fino al cortile del garden aveva continuato ininterrottamente a chiacchierare ma Squall non l’aveva degnato né di uno sguardo né di un insulto. Faceva sempre così quando c’entrava qualcosa la gelosia… meno male che erano tornati insieme ^_^’.

 

Tutti gli studenti scelti per la missione erano schierati in diverse file, Quistis era allineata alla loro destra con altri insegnanti. Il preside aveva preso posizione davanti a loro e aveva iniziato a chiamare uno per uno i nomi estratti, il suo era stato giusto il quarto nome…mano a mano che l’elenco andava esaurendosi Squall accanto a lui si irrigidiva e chinava la testa sempre di più. Il fatto di non poterlo abbracciare e ripetergli per la centesima volta che prima stava davvero scherzando (com’era ovvio) gli faceva prudere addirittura le mani.

 

Ed ecco l’ultimo nome e come il destino aveva deciso, NON era quello di Squall. I ragazzi avevano sciolto subito le righe dirigendosi verso i dormitori quelli chiamati (per andare a preparare il minimo indispensabili per quei giorni di addestramento) e verso il cortile quelli che invece sarebbero partiti l’esercitazione successiva.

 

“…Squally, vuoi che provi a chiedere a Quissy se ti…”

 

Squall era schizzato via quasi correndo…se fosse stato una ragazza in quel momento gli sarebbe venuto il forte sospetto che quello era uno di quei giorni in cui e meglio tenersi alla larga giusto finchè gli ormoni non tornano ad un ragionevole dosaggio. In ogni caso forse era meglio lasciarlo sbollire da solo, in fondo quelle erano scaramucce che in un rapporto serio come il loro si sarebbero ripresentate in abbondanza.

 

Quistis si era avvicinata a lui sorridendo. “Ehi! Sei nel mio gruppo, con te c’è anche Selphie…” il sorriso si era spento sulle labbra della ragazza che aveva colto al volo la sua espressione preoccupata. “Qualche cosa non va?”

 

“Ho fatto arrabbiare Squall.” Aveva ammesso ridacchiando imbarazzato, se quella mattina se ne fosse stato zitto forse l’avrebbe presa un po’ meglio.

 

“Oh. E’ perché lui non è con te vero?”

 

“No, credo che il problema principale è che è geloso e pensa che io possa…tradirlo.”

 

Quistis era scoppiata a ridere scuotendo la testa. “Ma figurati! E poi come potresti tradirlo con me che ti controllo 24 ore su 24?”

 

“Ecco…diciamo che è geloso anche di te.”

 

“…non credo Irvine sarebbe strano. Squall sa che io non sono il tipo di ragazza che fa certe cose.” Povera Quistis sembrava piuttosto poco convinta di quel discorso. “Secondo me è un altro il problema.”

 

“Sentiamo che mi consiglia zia Quissy.”

 

Selphie era passata in quel momento di corsa brandendo un paio di pantaloni di chissà chi ridendo come una pazza, Quistis l’aveva guardato scomparire all’orizzonte poi con un sospiro e una scossa di capo aveva esposto la sua idea.

 

“…capisci? Squall non è più abituato ad averti lontano e si sente male all’idea di non poterti vedere per così tanto tempo. In più dopo una sola giornata sarà lui a dover partire e saranno altri tre giorni che dovrete rimanere lontani. Trovo più che normale si comporti così.”

 

Non faceva una piega. Quando Squall era triste per qualcosa esprimeva quella tristezza arrabbiandosi. Quelle cose che aveva detto in bagno in fondo le diceva quasi sempre quando voleva stuzzicarlo e male che andava Squall gli serviva una tirata di capelli o cercava di soffocarlo con un cuscino o magari di affogarlo nella tazza del water, una scenata del genere era davvero sproporzionata.

 

“Credo tu abbia ragione…”

 

“Sono una donna, devo avere per forza ragione caro mio.” La ragazza gli aveva dato una pacca sulla schiena d’incoraggiamento e aveva guardato l’ora. “Non preoccuparti vado a parlarci io e vedo di risolvere la cosa.”

 

“Ehm…forse è meglio di no, sai com’è…”

 

“Irvine, fidati so cosa fare.” Quitis gli aveva strizzato un occhio ed era partita al trotto. Aveva iniziato a pregare silenziosamente e ad organizzare alcune magie curative (anche un paio per risorgere i morti) in caso la poverina avesse fallito.

 

 

Come aveva immaginato Squall se ne stava imbronciato a spasso per il centro di addestramento a sbudellare piantine. Meglio lasciar stare domande retoriche e andare dritte al punto onde evitare spargimenti di sangue.

 

Quando l’aveva vista arrivare il ragazzo aveva fatto secca una piantina con una potentissima firaga, aveva schivato l’attacco di un'altra e subito dopo l’aveva fatta fuori con un vigoroso colpo di Gunblade.

 

“Sei sempre stato il migliore della classe. Si vede che fai molto esercizio qui dentro.”

 

“Non sono in vena di parlare.” Decisamente un tono stizzito.

 

“Sì lo so…però, ascoltami ok? Io purtroppo non ho il potere per cambiare il turno di Irvine con quello di qualcun altro ma posso fare qualche cosa per te.”

 

Un’altra piantina era salita al creatore prima di poter fare una qualsiasi mossa. Squall aveva stretto con forza la sua arma e le aveva lanciato un duro sguardo sdegnoso, forse non aveva fatto la scelta migliore rivolgendosi a lui in quel modo, sapeva benissimo quanto il suo animo orgoglioso gli impedisse di accettare aiuto.

 

“Non sono geloso.” Il ragazzo aveva sospirato fermando momentaneamente il suo sterminio e prestandole finalmente attenzione. Si era asciugato la fronte sudata scostandosi i capelli dagli occhi. “Ho…ho paura che gli succeda qualche cosa. Irvine non sa badare a se stesso.”

 

“Non è vero Irvine diventerà un bravo SeeD e lo sai anche tu. E comunque non sarà da solo, raccomanderò a tutti di tenerlo d’occhio va bene?”

 

“…tornerete…”

 

“Dopodomani verso sera. Non sarà molto tempo…” Squall aveva fatto una strana faccia come se un realtà lei avesse appena detto qualcosa di stupido…si era schiarita la gola cercando qualche cosa di carino da dire ma quegli occhi puntati su di lei erano troppo dannatamente penetranti. “Non ti piace l’idea di stare da solo he?”

 

Non c’era stata risposta, Squall aveva impugnato di nuovo la Gunblade facendo vibrare un colpo a vuoto nell’aria.

 

“Perché non vai per un po’ a stare con Zell?”

 

L’ultima cosa che si aspettava di sentire uscire da quella bocca era una risata. Ed infatti Squall se ne stava lì davanti a lei ridendo e scuotendo la testa.

 

“Sei matta? Non voglio rischiare di vedere Seifer che si…oh…scusa.”

 

“Non preoccuparti abbiamo già risolto.” Gli aveva fatto un rassicurante sorriso… per lo meno era riuscito a calmarlo un pochino. “Dirò a Seifer di stare tranquillo per qualche giorno, dovrà ubbidirmi se non vuole che spifferi al preside che si è lasciato rompere un dito da Selphie per non partecipare a questo addestramento.”

 

Di nuovo era rimasta stupita al sommesso rumore di Squall che tentava di camuffare una risatina. “D’accordo, se Zell è d’accordo vuol dire che gli farò compagnia.”

 

Grazie a Dio. Non era così male come ambasciatrice in fondo! Aveva seguito Squall che ormai aveva reso stranamente tranquillo il centro di addestramento, non rimaneva che riferire a Zell che per un po’ avrebbe avuto un simpatico ospite.

 

“Quis…”Si era voltata sorpresa, Squall la fissava con un’espressione divertita, aveva impugnato ancora la Gunblade. “Se rompo una gamba a Irvine lo lasci a casa?”

 

“…n-non starai…”

 

“Scherzavo.”

 

Le aveva viste proprio tutte. Anche Squall Leonheart che faceva battute.

 

 

Ormai mancavano solo dieci minuti e i pullman sarebbero partiti… con o senza di lui. Si era guardato attorno nel vano disperato tentativo di scorgere il suo amore fra gli altri studenti, non voleva andare via senza salutarlo, senza parlargli l’ultima volta…nemmeno stesse partendo per un anno, ma l’angoscia forse era peggio ancora.

 

Cosa c’era di più brutto che litigare con il proprio fidanzato e andar via senza potersi chiarire? Un'altra dolorosa occhiata alla lancetta dei secondi che imperturbabile continuava ad avanzare ignara del suo povero cuore spezzato. Angelo cattivo.

 

“E’ ora di salire ragazzi, avanti!” Xu aveva iniziato a cancellare i nomi della sua lista mano a mano che i ragazzi passavano dando le loro generalità, aveva più o meno due minuti se riusciva a stare ultimo.

 

Forse se chiudeva gli occhi e li riapriva lui sarebbe stato lì, anche solo a dargli uno sguardo imbronciato ma sarebbe stato lo stesso fantastico.

 

Una mano l’aveva voltato in fretta, una stretta, un abbraccio fuggente come le labbra che avevano sfiorato le sue, due occhi blu che lo aveva fissato intensi.

 

Squall stava già andando via, il mondo non si era fermato e nessuno si era accorto di loro. Aveva alzato una mano in segno di saluto mentre finalmente riusciva a sorridere… appena arrivava a Centra gli avrebbe telefonato.

 

Quistis era riuscita nella sua missione. 

 

 

 

Un uomo non si lascia prendere in quel modo dalla malinconia e lui era un uomo forte e sicuro di sé.

 

Ma ormai erano tre ore e più che il pullman di Irvine era partito, il traghetto anche se era un mezzo lento sarebbe dovuto essere già arrivato, ma nessuno ancora aveva chiamato per avvertire che il viaggio era andato bene.

 

Altri sospiri e gridolini eccitati erano arrivati dalla stanza…quel prepotente di Seifer era arrivato già con i pantaloni calati e aveva buttato sotto le lenzuola Zell mentre stavano ancora parlando, morale della storia: lui era già da un’ora tutto solo chiuso nel bagno seduto sulla tazza a sgranocchiare biscotti ricoperti di cioccolato a guardare l’orologio ogni tre minuti.

 

Si sentiva infelice. Infelice e abbandonato!

 

“…aaah…”

 

Poteva farsi una doccia, tanto per non stare ad ascoltare…oh! Il telefono stava squillando.

 

Si era diretto senza guardare più in su dei suoi stessi piedi prendendo al volo un cuscino mentre passava, se l’era cacciato sulla testa e finalmente aveva alzato la cornetta. Quei due non sembravano intenzionati a smettere nemmeno mentre lui era lì…

 

“Amore!”

 

“…sei arrivato?”

 

“Non mi dai nemmeno un bacino? Avanti salutami per bene!”

 

“Sei arrivato adesso?” era irritante il sollievo che provava.

 

“Sì giusto ora e mi sono precipitato al telefono solo per te! Sei ancora tanto arrabbiato?”

 

“…no.”

 

“Allora perché non mi dai un bacino?”

 

“Irvine…magari mi puoi chiamare più tardi?”

 

“Ma io ho voglia di parlare con te adesso! Dove sei? Il nostro telefono mi ha dato il messaggio di deviazione di chiamata.” Mentre Irvine parlava poteva distintamente sentire il chiacchiericcio di voci femminili. Aveva serrato forte le labbra.

 

“Quistis non ti ha detto niente?”

 

“Che avrebbe dovuto…”

 

Aveva alzato il telefono in aria in direzione dei due ragazzi e giusto in quel momento Seifer si era lasciato andare in un gioioso piacevole OOOOOHHH decisamente inconfondibile.

 

“…chi era? Squall…Squall chi era? He?” Adesso Irvine era preoccupato. Ah!

 

“Mi sono trasferito in camera con Zell finchè non torni.” Aveva spiegato con voce atona lasciando andare l’inutile cuscino che più di tanto non migliorava la sua situazione, si era soltanto ben impegnato a non voltarsi qualsiasi cosa avessero sentito le sue orecchie.

 

“…non mi va che stai lì! Non puoi tornare in camera nostra?” adesso non sembrava più preoccupato, sembrava contrariato e basta.

 

“Perché?”

 

“Perché…non mi va che stai lì te l’ho già detto! Soprattutto con Seifer che fa i suoi comodi con Zell.”

 

“Non voglio stare in camera da solo.”aveva ribattuto duramente infastidito da quel tono secco.

 

“Sarà solo per due notti Squall!”

 

“E allora?”

 

“Che fai? Dormi nel letto di fianco a quei due che fanno sesso?”

 

“No, meglio! Adesso mi unisco a loro contento?” aveva chiuso la comunicazione prima di sentire altro. Se Irvine aveva voglia di litigare tanto meglio, perché mai doveva starsene da solo mentre lui faceva festa con tutte quelle ragazze attorno?

 

“Ehi Leonheart dicevi sul serio?” Seifer l’aveva guardato con un sorrisetto ironico spuntando fuori dalla coperta soltanto con la testa. Si era fermato solo un istante per poter meglio lanciare una delle sue occhiate super-gelo.

 

“Vai al diavolo Seifer…”meglio tornare al suo rifugio nel bagno.

 

Perché mai adesso si sentiva così…non c’era altra parola per autodefinirsi: si sentiva uno stronzo. Aveva appoggiato una mano sulla fronte e aveva fatto un lungo tremolante sospiro. Chissà che stava facendo il suo ragazzo in quel momento.

 

 

Era rimasto qualcosa come cinque minuti a fissare la cornetta del telefono più incredulo che arrabbiato in realtà. Ecco, Squall si era incavolato un'altra volta. Che faceva uno Squall arrabbiato in una stanza con due ragazzi che… Una goccia di sudore gli era scesa dalla fronte.

 

Squall era da solo. Senza di lui. Qualsiasi cosa avesse in mente di fare lui non lo avrebbe potuto fermare. Argh! Con una strana voglia di strapparsi i capelli aveva lentamente riagganciato e aveva cercato di recuperare un po’ di aria spavalda.

 

Che brutta situazione.

 

Le tende erano state costruite in meno di due ore, e così come premio la loro serata sarebbe stata di completo riposo in preparazione della giornata successiva. 15 ore non stop di combattimenti e spostamenti da Centra fino ad arrivare nelle zone di Winhill su fino a Dollet e finalmente Balamb. A casa.

 

Tutti quanti si stavano divertendo, mangiando e giocando…tutti apparentemente tranne lui che si era seduto accanto ad una alta roccia appena lontana dal fuoco a ribollire di…gelosia. Immagini di Squall che si baciava con Zell e con Seifer, Squall che faceva con loro le stesse cose che faceva con lui. Era un’agonia, aveva già avuto tre volte la voglia di alzarsi e richiamare, ma il garden probabilmente non avrebbe passato una chiamata a quell’ora.

 

“Un uomo innamorato!” Selphie si era arrampicato in un lampo e si era stesa accanto a lui. Quistis era comparsa di lì a poco con un’espressione forzatamente contenta, quella ragazza doveva avere qualche potere paranormale, aveva già capito che qualcosa lo stava tormentando?

 

“…non fate baldoria con gli altri?”

 

“Abbiamo un Cowboy qui a portata di mano…cosa ci importa degli altri?” Quistis si era seduta tranquilla accanto a lui facendo attenzione alla gonna, gli occhi vigili che scattavano da un gruppo all’altro di ragazzi.

 

“Per caso c’entri qualcosa con il trasferimento di Squall?” Quistis era arrossita e aveva abbassato frettolosamente lo sguardo in una sorta di imbarazzato panico.

 

“…he…scusami Irvine.”

 

“Non fa niente.” Aveva acceso una sigaretta cercando di smettere di pensare a scenette porno fra Squall e qualsiasi altro uomo o donna che gli venisse in mente. A quell’ora se fosse stato ancora nella sua stanza al Garden sarebbe stato nella vasca da bagno con Squall, a sbaciucchiarsi e probabilmente a fare altre divertenti cosette…oooh accidenti adesso gli era presa una voglia veramente grande.

 

“Irvy…ti va una bottiglia di vino?”

 

Dove l’aveva tenuta prima lo bottiglia di vino che adesso teneva in mano? Era l’ideale per superare un momentaccio del genere. Aveva preso un grosso sorso quasi strappando dalle mani di Selphie la grossa bottiglia di vino bianco che la ragazza gli stava  tendendo. Molto meglio!

 

E dopo mezz’ora tutti i guai erano scomparsi e si era trovato a raccontare tutta la sua vita a un imbarazzatissima Quistis e una felicissima Selphie che ogni tanto gli rimetteva la bottiglia in mano. Un’ora e ormai dalla sua bocca avrebbero avuto qualsiasi risposta…

 

“Ma com’è Squally a letto? Voi non ci raccontate mai le vostre cose!”

 

“Selphie non ce le raccontano perché non sono fatti nostri…”

 

Ebbene mia cara Quistis adesso lo sarebbero diventati. Con un sorrisetto enigmatico aveva preso un lungo sospiro e si era lasciato cadere all’indietro, le stelle che brillavano alte nel cielo, avesse avuto lì il suo amato lo avrebbe di sicuro ricoperto di baci. Ma doveva limitarsi a parlare di lui adesso.

 

“Lui è…è dolce quando vuole che sia io a farlo mio. Ti guarda in quel modo timido che…ti fa sentire tutto il corpo caldo come un fuoco, ma certe volte è lui che desidera avermi, fare l’amore…ed è sempre così perfetto! Anche adesso gli lascerei fare tutto quello che vuole.”

 

Quistis era rimasta silenziosa e concentrata improvvisamente, Selphie aveva sospirato congiungendo le mani.

 

“Sì ma…Squally è bravo?”

 

“Sì…certo. Sa esattamente dove mettere le mani.”

 

“Perché?”

 

“…ha imparato come fare godere il suo uomo no?”

 

“Selphie la smetti di fare domande?”

 

“E poi Squall…sa puntualmente quando deve essere lento e tranquillo o quando prendere quello che vuole senza aspettare, gli basta toccarmi e capisce quello che voglio io.” Forse era il vino, forse era quell’atmosfera intima, ma non si sentiva imbarazzato per niente da quelle confessioni. “Mi fa impazzire. Non lascerei mai a nessun altro farmi quello che mi fa lui…”

 

“Perché fate cose strane???”

 

Aveva ridacchiato allo strano rattrappirsi di Quis e all’entusiasmo curioso di Selphie…quelle due ragazze le avrebbe viste veramente perfette insieme. “No…ma non farei mai sesso con nessun altro ragazzo sul pavimento. O contro al muro, o sulla scrivania…”

 

“L’avete fatto anche sulla scrivania?????!”

 

“Certo…a Squally piacciono i posti un po’ strani e le posizioni…estreme. E soprattutto gli piace quando di prima mattina inizia a fare l’amore con lui quando è ancora mezzo addormentato.”

 

“…oh…” Quistis si era lasciata cadere distesa e si era voltata dall’altra parte probabilmente sul ciglio dell’infarto.

 

“Che bello!!! Ma non vi piacerebbe fare l’amore anche con una donna? Cioè…tu Squally e magari Quissy?”

 

“Sel!!!!!!”

 

“In realtà… non so se a Squall piacciono le donne o soltanto gli uomini.” Non ci aveva davvero mai pensato né glielo aveva chiesto. Erano troppo le cose di squall che sapeva, forse dovevano passare un po’ più di tempo a parlare piuttosto che a rotolare fra le lenzuola.

 

“…a te piace di più prendere oppure dare?” certo che Selphie era una ragazza senza peli sulla lingua!

 

“Bè…non lo so, mi piace in tutti e due i modi. Ogni tanto preferisco essere…ehm…”

 

“Uke?”

 

Questa ragazza era troppo bene informata. “Sì. Certe volte preferisco essere uke e certe altre essere seme.”

 

“Ma ve lo dite? Oppure quando non siete d’accordo tirate a sorte?” Selphie aveva tutta l’aria di chi si stava divertendo un modo nonostante la sua miglior amica avesse le palpitazioni e lì lì per rimanere in coma da shock a vita.

 

“Facciamo metà e metà. E’ quello che preferiamo. In fondo abbiamo sviluppato una grande resistenza…anche se Squally ama spingermi fino ad un punto che difficilmente riesco a trattenermi…è così dolce e intenso, passionale, eccitante…”

 

“Mi piacerebbe così tanto essere un maschio!” Selphie aveva abbassato mogia la testa prendendo un piccolo sorso di vino, poi aveva gettato via la bottiglia vuota ignorando bellamente il grido addolorato che era seguito.

 

“A me ogni tanto piacerebbe essere una donna. Non avrei tutti questi problemi…quando mi viene voglia di baciarlo o di abbracciarlo devo sempre pensarci troppo tempo o non farlo per niente perché gli altri potrebbero…disprezzare una dimostrazione di affetto quel genere. Non posso nemmeno andarmene in giro mano nella mano…due ragazze che si amano sono già più tranquille di due ragazzi.”

 

“…l’importante è volersi bene. Gli altri non ci potrebbero mai rendere veramente tristi o felici, quello che conta è la persona che si ama e basta.” Ne sapeva qualche cosa Quistis. Se non avesse avuto Squall probabilmente quella adesso sarebbe stata la sua ragazza. Era troppo simile a lui, aveva sofferto, capiva che voleva dire dover stringere i pugni per non urlare.

 

“…Irvy posso farti un'altra domandina?”

 

“Certo.”

 

“Tu sei uno che fa Mmm mmm oppure Aaaaaaaah sì sì he?”

 

Aveva ridacchiato per quell’improvviso spezzarsi della tensione. “Mi piace gridare. E anche a Squall.”

 

“Chi ce l’ha più grande ©?”

 

“Selphie perché non vai a prendere qualche cosa da bere?” Quistis aveva arrancato una mano nella sua direzione tremante ma lui gliel’aveva presa al volo e vi aveva dato un lungo bacio sopra. L’aveva guardata dritto negli occhi mentre rispondeva all’impertinente domanda.

 

“Ce l’abbia tutti e due piuttosto ben sviluppato. Vuoi vedere?”

 

Selphie era saltata in piedi gridando e battendo le mani mentre Quistis aveva scosso fortissimo la testa, ridendo a scatti…certe rivelazioni tutte in una volta erano difficili da assimilare senza danni.

Naturalmente non l’aveva fatto vedere a nessuno.

 

Ma Squall? Stava dormendo? Stava pensando a lui mentre le mani si accarezzavano il corpo pensando che fossero le sue, sussurrando al buio il suo nome…

 

 

 

Squall dormiva con un occhio chiuso ed uno aperto, la strana sensazione di essere osservato come un topo dal gufo, una strana tensione nell’aria che gli faceva vibrare i muscoli sempre pronti a scattare.

 

Un rumore…Seifer che si avvicinava pronto a balzargli addosso e strappagli maglietta e boxer e fare tutto quello che gli passava per quel cervello sadico e malato…oh! Un altro rumore. Aveva girato piano piano la testa per vedere se qualche gigantesca ombra nera si stava per gettare sul suo letto…Seifer e Zell dormivano testa contro testa come due angioletti, strettamente abbracciati.

 

Con un sospiro aveva chiuso gli occhi, in realtà il suo corpo stava aspettando una carezza, un bacio, il calore di Irvine che si univa al suo perché era così ogni notte, e adesso non poter avere quelle cose era come avere sete al centro perfetto di un deserto.

 

Non potè fare altro che abbracciare il cuscino e fingere che avesse il suo profumo.

 

 

 

La prima cosa che aveva fatto quando aveva aperto gli occhi era stato guardare l’orologio, se era tardi abbastanza poteva telefonare a Squall e chiedergli di fare pace, gli avrebbe detto che poteva dormire con chi gli pareva (in letti diversi e separati), mangiare con gli pareva (a patto che non facessero strani giochetti con i piedi), parlare con chi gli pareva (ma le lingue in bocca ai loro proprietari) e…no, bè adesso abbracciare era un po’ troppo, ma tanto a lui non piaceva abbracciare la gente. A Squall piaceva abbracciare soltanto lui. Sperava.

 

Ma l’orologio faceva soltanto le quattro e mezzo. Ancora un ora e mezza di riposo, e le telefonate al garden venivano passate dalle sette in poi e lui alle sette sarebbe già stato in viaggio verso le coste a Nord-Ovest di Centra e là…non c’erano telefoni. Non c’erano nemmeno piccioni viaggiatori a dir la verità.

 

Aveva sbuffato lasciando cadere le braccia sopra la testa e aveva richiuso gli occhi. Quel senso di impotenza gli stava facendo venire mal di testa ed per un cecchino essere deconcentrato significava perdere la vita. O farsi molto male. Non aveva nessuna voglia di tornare a farsi una vacanza in infermeria.

 

“Ehi…”

 

Aveva voltato il viso dalla parte da cui proveniva la voce, un ragazzo con i capelli scuri lo fissava puntandogli contro agli occhi una piccola pila, si era schermato il viso e si era alzato su un gomito. “Ehi. Qualche problema?”

 

“No. Vuoi venire sotto le coperte con me?”

 

Oh. Quello era un tentativo di rimorchio. Uno squallido tentativo di rimorchio. Aveva sorriso e scosso la testa. “Mi dispiace amico, sono già impegnato.”

 

“…non importa.” Il ragazzo aveva spento la luce che lo accecava finalmente e lui era tornato a stendersi. Da adesso in poi non avrebbe più fiatato. Ascoltando attentamente poteva sentire piccoli strani rumori, forse qualcuno aveva chiesto a qualcun altro di infilarsi sotto la sua coperta. Se per corteggiare Squall gli avesse chiesto di infilarsi sotto la sua coperta come minimo gli sarebbe arrivato un pugno in faccia. O forse gli avrebbe sparato.

 

Una mano gli aveva toccato la faccia. Una mano fredda e umida, e subito dopo aveva sentito sopra di lui il peso di un corpo. Il respiro gli si era mozzato nella gola mentre il suo cervello subiva quello che non poteva essere altro che un black-out, tutte le forze gli erano fluite via dai muscoli come per uno svenimento…oddio, una bocca lo stava baciando e quelle mani estranee lo frugavano.

 

Era come sprofondare nel buio, vedeva la penombra all’interno della tenda dissiparsi lentamente mentre anche fuori probabilmente nel cielo si spegnevano le stelle alle prime tenui luci del giorno. Continuava a non respirare…viscidi indesiderati tocchi tutti addosso.

 

Non riusciva a parlare, la gola stretta come la punta di uno spillo, le sue mani aveva fiaccamente respinto quel corpo pesante sopra di sé ma quel contatto lo aveva nauseato…le gambe erano completamente fuori uso.

 

“…allora ci stai…stai tranquillo è solo per un po’, tanto per provare qualche cosa di nuovo…lascia fare a me.” Quella voce. Sembrava invecchiare e … diventare la voce di quel mostro che da bambino gli entrava nel letto. Quel mostro che con tanta fatica aveva cancellato e lasciato alle spalle era di nuovo lì e faceva quello cose sbagliate…quelle che nessun bambino avrebbe dovuto subire.

 

“…no…lasciami st…” un bacio violento gli aveva tappato la bocca. Non voleva essere toccato così, non voleva essere toccato per niente! Si era voltato faticosamente cercando di spingere via quel peso, ma il mostro lo aveva toccato fra le gambe, un gemito strozzato gli era uscito dalle labbra seguito da un singhiozzo, qualcosa di grosso e duro che si strofinava al suo fondo schiena mentre i pantaloni venivano tirati giù.

 

E finalmente la gola gli si era aperta del tutto. Oh sì. Non gli era mai parso tanto bello strillare in quel modo, ancora una volta una maledetta mano aveva cercato di tappargli la bocca a l’aveva morsa, continuando a gridare nell’operazione.

 

Subito tutti i ragazzi che dormivano nella tenda avevano iniziato a svegliarsi, due luci erano state puntate nella sua direzione, giusto nel momento in cui il ragazzo che lo aveva assalito alzava un braccio nell’atto di colpirlo e lui scoppiava a piangere tirandosi le coperte fin sopra la testa.

 

Sentiva nelle orecchie delle scuse sconclusionate, non aveva capito che lui non voleva, stava fermo, e altre voci più forti, più alta fra tutte…Quistis. Aveva ordinato a tutti perentoria di ritornare nei propri giacigli, immediatamente. Il caos si era placato in un istante sostituito da un basso brusio.

 

“Irvine? Sono Quistis.” La voce era vicino ma la ragazza ancora non lo aveva toccato. Aveva fatto bene perché avrebbe ricominciato a gridare ancora più forte di prima se qualcuno lo toccava ancora. Dal rumore probabilmente si era seduta lì accanto. “Stai bene? Irvine…Irvy, puoi guardarmi?”

 

Chissà se riusciva a dire qualcosa. Ancora una volta aveva fatto casino. Un casino colossale. “…tutto bene.”

 

“No…voglio vederti.”

 

“Irvy.” Un'altra voce soffice. Selphie anche lei era lì e se ne stava tranquilla senza azzardare mosse, aveva solo alzato una coperta sbirciando sotto. I suoi occhi verdi da gattina aveva incrociato i suoi occhi terrorizzati, gli aveva sorriso alzando un po’ di più la coperta. “Stai tranquillo sono tutti ai loro posti. E quel porcello è là fuori. Lo stanno sgridando.”

 

Probabilmente quel ragazzo non si era nemmeno reso conto di quello che stava facendo. Aveva continuato a toccarlo perché lui era rimasto fermo e non aveva detto niente, il silenzio spesso viene preso per un sì anche quando significa tutto il contrario.

 

Si era seduto, avvolgendosi attorno il panno senza riuscire a guardare in faccia le due amiche, Quistis gli aveva appoggiato una mano sulla spalla, leggera, pronta a ritirarla al minimo segno di disagio, non l’aveva respinta, si era invece girato verso di lei affondando il viso nel suo petto, respirando rumorosamente mentre gli ultimi residui di terrore drenavano via dalla sua mente.

 

Quistis lo aveva circondato in un caldo abbraccio e Selphie aveva fatto lo stesso, erano rimasti tanto tempo finchè non c’era stata abbastanza luce e tutti avevano iniziato ad alzarsi e vestirsi. Due ragazze si erano avvicinate e avevano chiesto a Quistis se era tutto a posto.

 

Questa volta era stato a un passo soltanto dalla pazzia. Una piccola spinta e sarebbe precipitato giù nel vuoto. C’era mancato poco. Molto poco…e Squall non era lì a poterlo consolare. Quanto lo desiderava in quel momento.

 

Quistis gli aveva subito detto che lo avrebbe fatto tornare immediatamente a casa ma aveva declinato subito quell’allettante proposta, un po’ di combattimenti lo avrebbero distratto e scaricato. Guarda caso però il suo gruppo era formato solo da ragazze, Quistis e Sel incluse che lo tallonavano come due mamma apprensive. E questo non lo dispiaceva affatto.

 

 

 

Non lo aveva chiamato. Né al mattino, né dopo pranzo, né ora…tutti erano a cena ormai. Mai per tutta la giornata, lui non era nemmeno sceso in mensa per paura di perdere la chiamata, come uno stupido. Doveva immaginarselo che avrebbe fatto così…lui era stato davvero insopportabile quando gli aveva telefonato il giorno prima, se adesso Irvine si era risentito e non dava notizie per punirlo aveva assolutamente ragione.

 

Però tutto quel tempo senza sentire nemmeno la sua voce era tanto, tantissimo…e la sua mente stava formulando ogni tipo di ipotesi, a partire dallo stermino di tutto il gruppo da parte di qualche mostro, al fatto che Irvine avesse deciso di non tornare più, o peggio, lo avesse lasciato.

 

Si era abbandonato con la testa accanto al telefono e aveva cercato di non pensare a niente per non deprimersi di più, ma questa era un’impresa impossibile. Non c’era nemmeno lo studio a distrarlo perché i suoi professori erano tutti fuori…niente da fare, il suo destino era soffrire fino al ritorno di Irvine. Così tante ore ancora.

 

Che ne sarebbe stato di lui se Irvine non lo voleva più? Sarebbe tornato nel suo cupo mondo di isolamento forzato, avrebbe trovato qualcun altro o semplicemente sarebbe partito dal garden per sempre nel vano tentativo di gettarsi alle spalle tutti quei ricordi che lo assalivano?

 

Primo fra tutti…Irvine con l’influenza, a lamentarsi a letto quasi fosse in fin di vita, il viso arrossato per la febbre e i capelli di rame tutti spettinati. Per tutto il giorno non aveva fatto che cercare carezze e compagnia, era arrivato persino a farsi imboccare con la scusa che aveva freddo a tirare fuori le mani da sotto le coperte, e alla fine l’aveva convinto ad infilarsi a letto per scaldarlo e gli aveva permesso di fare l’amore con lui. Morale della favola…il giorno dopo era stato colpito a morte anche lui dall’influenza.

 

Ogni parola cattiva, ogni momento in cui si era accorto di averlo ferito, o fatto soffrire si affollava dentro alla sua testa con un crudele elenco accusatore.

 

Se Irvine tornava da lui e tutto era a posto avrebbe fatto di tutto per essere più dolce e sensibile, gli avrebbe permesso tutte le volte di fare il bagno assieme…tutto quello che voleva pur di non perderlo.

 

Non stava piangendo ma sentiva un brutto nodo doloroso alla gola che andava ingigantendosi ogni secondo di più e l’ultima cosa che voleva fare era umiliarsi con le lacrime. Se solo avesse potuto parlargli!

 

Aveva preso in mano la cornetta del telefono e se l’era sbattuta tristemente sulla fronte. Così imparava a fare lo stronzo. La prossima volta ci avrebbe pensato su due volte, anzi, anche tre…quattro.

 

DRIIIIIIIIIIIIIIIIN!

 

Aveva quasi lasciato cadere a terra la cornetta che aveva ancora in mano. Oh SI! Dove essere lui, doveva essere lui! “Pronto!”

 

“Ciao amore! Pensavo di non trovarti a quest’ora! Non sei in me…” Era lui. La sue voce così dolce e allegra più bella di quanto fosse mai stata.

 

“Ti amo Irvy! Mi manchi da morire torna prima che puoi per favore!”non riusciva nemmeno a credere che quella fosse la sua voce sembrava quella di un bambino di cinque anni che implora di tornare a casa il suo papà. No…forse non avrebbe mai parlato così a suo padre se ce lo avesse avuto.

 

“Squally cos’è successo?” aveva chiesto Irvine preoccupato. Quando era preoccupato parlava sempre in quella maniera, scandendo lentamente con una cadenza dolce ogni parola.

 

“Niente. Voglio solo che torni.”

 

“Sarò da te il prima possibile amore. Adesso devo lasciare il posto anche agli altri…sono a Timber e pare non ci siano tanti telefoni pubblici.”

 

“D’accordo. Stai attento e…un bacio.”gli tremavano perfino le mani per la voglia di continuare a parlare, per il sollievo che sentiva percorrergli tutto il corpo.

 

“…devo partire più spesso…” Irvine aveva ridacchiato.

 

“Scemo.”

 

“Ti amo Squall. A domani.”

 

“Ciao…”

 

E già il suo dito aveva spinto il pulsante rosso di interruzione chiamata. Adesso gli era tornata perfino fame…un panino e poi dritto a letto. La mattina sarebbe arrivata prima.

 

 

 

Era rimasto del tutto spiazzato quando era successo. Un ragazzo piccolino con i capelli biondi si era seduto accanto a lui sul traghetto che lo riportava finalmente al Garden, nello stesso istante aveva provato l’improvviso urgente desiderio di alzarsi e andarsi a sedere accanto a Quistis che stava intrattenendo un qualche interessante discorso con quelle che dovevano essere le famose ragazze del suo Fans Club.

 

Non l’aveva fatto ma si sentiva dolere tutti i muscoli nel tentativo di stringersi su se stesso il più possibile nel suo spazio e aveva dovuto più volte controllare il respiro…questa non era affatto una cosa che gli piaceva. Di solito si sentiva così sulle spine quando in passato i brutti sogni iniziavano a farsi strada nelle sue notti…ma ormai era da tantissimo tempo che non faceva più sogni del genere. Aveva superato quella fase della sua vita perché Squall lo aveva aiutato.

 

Forse l’avvenimento della sera prima lo aveva sconvolto più di quanto avesse creduto e… il ragazzino si era alzato d’improvviso, probabilmente per andare incontro a qualcuno, quel gesto improvviso lo aveva fatto rattrappire convulsamente e alzare le mani davanti a lui quasi per difendersi da un pugno, per non parlare del cuore che sembrava volergli scappare dal petto ad ogni battito. Si era guadagnato un’occhiata stranita, consapevole del fatto di essere impallidito in modo preoccupante…non andava bene per niente.

 

Quistis stava ancora chiacchierando, ma doveva essersi accorta che qualcosa non andava (lo stava tenendo d’occhio quindi!) perché aveva fatto un cenno alle ragazze che si erano zittite obbedienti e l’avevano lasciata passare.

 

“Stai bene?”

 

No. In effetti non stava bene. Si sentiva come sprofondare in quel vago stordito orrore del passato, quel vago senso di costante panico consapevole del fatto che prima o poi avrebbe dovuto dormire e ritrovarsi di nuovo bambino a gridare fra lenzuola dall’odore pungente del suo stesso sangue e anche di altro che non apparteneva a lui.

 

Aveva scosso la testa, alzando gli occhi per lanciarle un occhiata comunque tranquillizzante. “Penso di avere un po’ di mal di mare.”

 

“Sei pallido…per caso ti ha fatto qualche cosa…”

 

“No.” aveva tagliato corto seccamente alzandosi in piedi, aveva dovuto però reggersi improvvisamente al braccio della ragazza, le gambe che si piegavano deboli per colpa di una vertigine, subito gli aveva cinto la vita in modo protettivo e aveva detto qualche cosa, ma le parole gli erano sembrate solo lettere insensate gettate le une sulle altre. “Scusami…non mi sento molto bene.”

 

Per quanto le gambe molli rischiassero di farlo finire lungo disteso sul pavimento umido della nave si era diretto il più velocemente che poteva verso il bagno, aveva ignorato lo sguardo interrogativo di due ragazzi che fumavano di nascosto ma gli aveva mormorato frettolosamente un ‘continuate pure’ prima di chiudersi nel bagno e quasi cadere faccia avanti nella lucida tazza di ceramica.

 

Grazie a Dio era rimasto soltanto un quarto d’ora ad ansimare chino in avanti, una mano a tenersi indietro i capelli e lo stomaco che faceva brutte capriole. Ma il suo panino burro e marmellata era rimasto dove doveva stare.

 

Si era dato altri cinque minuti per bagnarsi il viso con dell’acqua fredda e sistemarsi i capelli. Doveva al più presto abbracciare Squall, coprirlo di baci, cancellare quell’ombra terrorizzata dai suoi occhi una volta per sempre.

 

Quistis lo stava aspettando accigliata appoggiata con la schiena accanto alla porta del bagno. Gli aveva offerto silenzioso un paio di gomme da masticare alla fragola e gli aveva accarezzato la testa. “Meglio?”

 

“Hn…sì.”

 

“Non sei stato male all’andata.” Una soffice insinuazione per fargli capire che non credeva nemmeno per sogno alla scusa del mal di mare. Di fronte alla sua espressione costernata Quistis aveva solo sospirato e gli aveva un paio di affettuosi colpetti su una spalla. “Siamo quasi arrivati, perché non ti vai a mettere un po’ vicino a Selphie? Sta provando a pescare…peccato che come esca ci abbia attaccato la scarpa di un povero ragazzo, ma magari prende davvero qualche…”

 

“Non dir niente di quello che è successo a Squall. Per favore. Non una parola.” Aveva cercato di usare un tono tranquillo e dolce ma la sua voce era troppo stridula e sapeva che lei si era accorta del tremore alle mani.

 

“Forse però tu dovresti dirglielo…”

 

“Non è il caso di farlo preoccupare per una sciocchezza.”

 

“A sì? E’ una sciocchezza?” Per un attimo Quistis lo aveva guardato con un espressione dura, gli azzurri erano scintillati irritati e le sue piccole mani si erano chiuse a pugno stringendo inconsapevoli la stoffa rosa della sua gonna. Poi aveva chinato il viso, esprimendo di colpo soltanto una profonda stanchezza. “Come vuoi Irvine.”

 

Avrebbe voluto fare qualche battuta scherzosa per dimostrarle che era veramente così ma di lì a qualche tempo gli riusciva difficile fingere. Così era andato a sedersi accanto a Selphie che canticchiava una canzoncina allegra su dei marinai. Era anche riuscita a farlo ridere.

 

 

 

Fino all’ultimo era stato indeciso fra l’aspettarlo all’entrata del garage oppure rimanere in camera. Alla fine anche per una questione di orgoglio forse era rimasto davvero in camera sua seduto sul letto a orecchie tese mentre aspettava la confusione che avrebbe annunciato anche l’arrivo del suo cawboy.

 

Certo era stato difficile non precipitarsi a spalancare la porta al primo rumore di passi nel corridoio ma si era allenato molto a imporsi di fare il contrario di quello che in realtà desiderava.

 

Aveva aspettato delle ore, in realtà soltanto tre o quattro minuti da quando si era accorto dell’arrivo della prima squadra, e la porta si era aperta lasciando intravedere prima lo splendido volto sorridente incorniciato da lunghe ciocche ramate e leggermente arruffate e poi tutto quanto Irvine che si chiudeva con estrema cautela la porta alle spalle lanciandogli uno sguardo timido e indagatore.

 

Niente ciao amore ©? Niente salto ad angelo per rovesciarlo a letto? Niente bacio appassionato da togliere il fiato?

 

Non aveva aspettato nessuna di queste cose, non gli aveva dato il tempo per farle forse, perché gli si era agganciato al collo in un lunghissimo soffocante abbraccio. Irvine però non aveva risposto minimamente, era rimasto inerte quasi ritraendosi contro la parete con uno strano gemito soffocato.

 

“…I-Irvy?”

 

“Ciao amore ©!” Irvine lo aveva allontanato leggermente da lui con una strana espressione sul viso, gli aveva scompigliato i capelli e senza aggiungere altro si era diretto verso il suo letto e vi si era gettato faccia in giù. Era rimasto così impressionato che per un minuto intero non era riuscito a far niente se non fissare la forma immobile del suo ragazzo.

 

Poi cercando di non soccombere al panico si era andato a sedere sul bordo del materasso accanto a lui e con molta molta delicatezza gli aveva appoggiato una mano sulla schiena. Lo aveva sentito irrigidirsi ma era stato solo un secondo.

 

“Che cos’hai fatto?”

 

“Niente! Perché?”

 

“Perché sei strano. Non hai ancora cercato di strapparmi via i vestiti.”

 

Per un attimo aveva creduto che Irvine stesse tremando invece rideva, rideva come un cretino. Si era voltato sorridente verso di lui prendendogli il viso fra i caldi palmi delle mani e lo aveva tirato giù per un profondo bacio. Era stata tutta una messa in scena per farlo spaventare! Ha! Questo era assolutamente disonesto! Aveva lottato per liberarsi ma omai Irvine era riuscito ad intrappolarlo nella sua magica rete della passione che aveva ridotto la sua resistenza a zero non appena lo aveva rovesciato sul letto stendendosi sopra di lui.

 

La bocca di Irvine…gli era mancata così tanto che adesso la avrebbe volentieri morsa per assaggiarla, quella bocca che diceva sempre troppe cose nel momento sbagliato ma che alla fine riusciva sempre a dire quelle giuste nel momento giusto.

 

“Ti sono mancato davvero!” aveva sussurrato Irvine con voce provocante solleticando la pelle delicata del suo collo con quel tenue movimento delle labbra.

 

Era come stringere fra le braccia qualcosa di elettrico, addirittura luminescente grazie a quel sorriso felice, non riusciva a smettere di baciarlo e anche quando lui si era alzato cercando di togliersi il maglione lo aveva nuovamente ribloccato trascinandoselo sopra. Irvine aveva mandato un esclamazione divertita e per un pochino aveva lasciato perdere i vestiti e si era lasciato coccolare.

 

“…dolcetto…io ho voglia.”

 

“Perché prima eri strano?” non aveva di sicuro dimenticato la sensazione di disagio di poco prima…non gli era sembrata uno scherzo. Irvine aveva nascosto il viso nel suo collo e gli aveva dato un paio di piccoli baci evitando accuratamente sia di rispondergli che guardarlo in faccia.

 

“Squall ti pree~eegoo!” Irvine era finalmente riuscito a liberarsi del suo maglione e delle scarpe e ora lo osservava con due profondi occhi supplicanti, accarezzandogli con la punta delle dita la guancia. Aveva distolto lo sguardo per non cadere nella sua malia, non gli andava di lasciar perdere tanto presto il discorso.

 

“Prima mi dici quello che hai fatto e prima sarò contento di fare tutto quello che vuoi!”

 

“Sei davvero cattivo.”

 

Aveva sentito il materasso muoversi, privo del peso di Irvine che si era alzato e dandogli le spalle si era sfilato i pantaloni gettandoli sul divano. “C’è stato un piccolo incidente l’altra sera…”

 

Ogni piccola voglia dentro di lui si era freddata improvvisamente mentre sentiva mozzarsi nel petto il respiro…ecco fatto, lo sapeva. Irvine lo aveva tradito e adesso glielo confessava cercando di non dargli la minima importanza.

 

“Non fare quella faccia, Quissy non c’entra niente e nessun’altra ragazza.”

 

Oh Dio…un altro ragazzo.

 

“Un ragazzo…diciamo che mentre stavo cercando di dormire mi ha aggredito. Ma non mi ha fatto niente, io sto bene sono solo un po’ scosso…”

 

“Sei ferito?” Gli era stato addosso in un lampo con gli occhi che scattavano su ogni singola parte di pelle nuda…lo aveva perfino forzato a girarsi ignorando le sue proteste…o meglio, nemmeno lo sentiva tanto era impegnato a controllarlo.

 

“Smettila!” Irvine si era strappato dalle sue mani con una strana espressione imbarazzata, sembrava quasi sul punto di piangere ma aveva solo tirato su con il naso e lanciandogli un’occhiataccia gli aveva girato le spalle. “Ti ho detto che non è successo niente.”

 

Conosceva perfettamente quel tono imbronciato, gli sarebbe piaciuto comunque assicurarsi meglio delle sue condizioni ma avevano troppo poco tempo per continuare a rimbeccarsi in quel modo. E se conosceva Irvine, era molto vicino a una crisi di nervi.

 

L’unica soluzione…scioglierli.

 

Aveva abbracciato il suo amante da dietro, facendo scorrere le mani sul suo petto, sui fianci deliziosamente stretti, fino all’elastico dei boxer neri, vi aveva infilato le dita e li aveva spinti in basso fino a farli cadere intorno alle caviglia sottili. Irvine si era girato a baciarlo, aderendo a lui con tutto il corpo.

 

Erano di nuovo sul letto, si era lasciato spogliare docile, soccombendo troppo presto a quelle mani incantate che avevano allontanato dalla sua mente ogni altro pensiero. Ma questa volta non doveva essere il solito dolce fare l’amore, non si erano visti per tante, troppe ore e adesso pretendeva qualche cosa di speciale.

 

In realtà non era stato così facile, non scherzava affatto quando aveva respinto seppur molto velatamente il suo ragazzo. Per un attimo aveva creduto di trovarsi agonizzante sul pavimento in preda alle convulsioni tanto forte gli batteva il cuore.

 

Ma l’aveva guardato negli occhi…era il suo Squall. La luce che lo aveva trascinato fuori dal buio con incredibile inaspettata forza. Tutto era tornato normale e tranquillo e il suo tocco non lo spaventava più, era solo molto caldo…ed eccitante.

 

Ci mancava solo che dopo tutta la strada che aveva percorso per uscire da quella sconfinata disperazione giusto per una piccola sciocchezza vi ripiombasse dentro di nuovo! L’unico problema era che aveva dovuto dirlo a Squall e anche se adesso lo aveva lasciato stare sapeva che avrebbe voluto sapere tutto nei minimi particolari. Ma aveva il tempo per prepararsi, per scacciare le ultime ombre e parlarne serenamente in modo che lui capisse che non c’era nulla di cui preoccuparsi.

 

C’era una strana luce intraprendente negli occhi di Squall in quel preciso momento... sembrava voler fare qualcosa ma che non riuscisse ad iniziarla. Un vago rossore era comparso sulle sue guance e si era seduto improvvisamente al suo fianco guardando il soffitto.

 

“Chiudi gli occhi.”

 

“…non dirmi che ti vergogni.” Aveva ribattuto maliziosamente accarezzando se stesso distrattamente fra le gambe rabbrividendo piacevolmente mentre notava gli occhi del suo amante seguire attentamente quel movimento.

 

“Fallo e basta.”

 

“Conosco ogni piccolissimo spazio del tuo corpo molto meglio di te! Per esempio lo sai che hai un neo…proprio qui?” con un dito aveva sfiorato un punto all’interno delle sue cosce molto molto vicino ai testicoli.

 

“D’accordo allora non fa niente.” Chissà perché trovava estremamente sensuale quell’espressione imbronciata.

 

Aveva ridacchiato poi si lasciato andare chiudendo gli occhi e continuando a sorridere…che aveva in testa il suo capriccioso soldato? Aveva quasi gridato quando labbra miti si erano posate sul suo pene ancora rilassato, subito tutto il calore e il sangue gli erano scesi fra le gambe come un incendio bruciante di brillante piacere.

 

Baci alternate a languide umide leccatine… “Squall…dove hai…imparat…Oohooo…” la bocca di Squall si era chiusa calda e umida sopra di lui ma non era tutto…allungando un braccio aveva toccato i muscoli solidi del ventre di Squall…sbagliato. Squall stava a rovescio. La sorpresa lo aveva distratto giusto di quel tanto da permettergli di aprire gli occhi e sbirciare di fianco a lui.

 

Oh sì. I suoi occhi avevano incontrato il fiero turgido sesso del suo uomo. “Squally amore…”

 

Squall aveva alzato gli occhi senza però smettere di giocare con la lingua.

 

“Non voglio spezzare l’atmosfera…ma stai cercando di fare un sessantan…ouch!” Squall aveva alzato le sopracciglia e aveva stretto un po’ troppo i denti intorno alla sua erezione prima di alzarsi con il viso congestionato.

 

“Ho sbagliato? Ho…m-mi dispiace…scusa…” si era portato una mano davanti al viso mentre con l’altra cercava a tentoni il lenzuolo per coprirsi. Incantevole insicurezza, così splendida.

 

Aveva riso togliendogli la mano da davanti agli occhi. “Se vuoi farlo, devi lasciare che mentre tu fai una cosa a me io la faccia a te. Capito?” No. Glielo leggeva in faccia. Lo aveva spinto dolcemente di nuovo con il viso fra le sue gambe mettendosi su un fianco però e alzando la gamba in alto in modo da poterla posare sulla sua spalla. Squall subito aveva ricominciato quell’ allettante lavoro con la sua bocca…ne aveva approfittato per tirarlo a sua volta su un fianco e mettere la sua gamba nella stessa identica posizione in cui l’aveva messa lui, dopodiché in un lento unico movimento aveva preso interamente in bocca il rigido membro…Squall aveva mugolato e quella vibrazione l’aveva fatto gemere a sua volta…profonda e abbagliante estasi. Lo aveva stretto più vicino a sé, accogliendolo ancora più profondamente.

 

Sentiva i suoi fianchi assecondare il vai e vieni di Squall…aveva dovuto penare davvero tanto per non perdere il controllo sul suo sempre più incontenibile desiderio quando un dito di Squall si era fatto strada all’interno del suo stretto anello di muscoli, gentile e lento mentre iniziava a prepararlo per quello che sarebbe venuto dopo.

 

Un secondo dito aveva accompagnato il primo…aveva serrato le mani sui perfetti globi di carne succhiando con più forza e questo aveva fatto gemere Squall in un modo così piacevolmente intenso…e nello stesso tempo le dita avevano trovato quel punto magico che lo aveva irrimediabilmente spinto oltre.

 

Era venuto così intensamente che qualche secondo dopo, quando Squall non aveva accennato a muoversi aveva creduto di averlo affogato. Si era tirato indietro in fretta…Squall gli aveva dato un’occhiata leggermente stordita e aveva sbattuto le palpebre, gli occhi ancora opachi e persi.

 

“…tutto bene?” aveva sussurrato posando una mano sulla guancia bollente, Squall si era inginocchiato accanto a lui e aveva annuito sempre silenzioso. Poi gli si era disteso di fianco e lo aveva abbracciato.

 

“E’ stato…nuovo.”

 

“Ehm…scusa non sono riuscito a…”

 

“Non fa niente.”

 

“…guarda che adesso tocca a te amore mio.” Aveva sussurrato dolcemente dentro alla bella conchiglia del suo orecchio.

 

Non se lo era lasciato dire due volte Squall che con un sorriso smagliante gli si era steso sopra lasciandosi andare in un lungo affettuoso bacio. Il blu tempestoso degli occhi sembrava sempre più profondo visto da così vicino.

 

Quando la mano di Squall era scesa pronta a continuare la sua preparazione l’aveva bloccata e se l’era portata alle labbra baciandola. “Sono già pronto.”

 

“Non è vero non sei ancora…”

 

“Lo sono.”

 

Forse era vero, non era ancora del tutto pronto, ma il suo non era tanto un bisogno fisico quanto psicologico. Doveva fare subito l’amore perché se lo faceva ogni piccola scheggia nera si sarebbe finalmente staccata dal suo povero cuore, e se qualcuno lo poteva guarire in quel modo era solo Squall…

 

Si aspettava altre rimostranze ma Squall per una volta aveva messo da parte la sua testardaggine e lo aveva ascoltato. Si era allontanato solo per prendere quello che ormai entrambi chiamavano dentifricio (^_^ sdrammatizziamo no?)…freddo come il ghiaccio accidenti a lui. Quasi quasi preferiva non usarlo ma non voleva rimanere (come era già successo) con il sedere in fresco dentro alla vasca da bagno per un giorno intero e Squall che se ne andava avanti e indietro indeciso se essere arrabbiato con se stesso per essersi lasciato andare alla passione o con lui che l’aveva incoraggiato a lasciar perdere il famoso tubetto.

 

Aveva aspettato tranquillo che Squall lo usasse prima su se stesso e poi su di lui…quando poi il suo amante si era sistemato fra le sue gambe pronto ad iniziare fare l’amore. Ogni volta sentiva quella fastidiosa punta di panico quando lo sentiva entrare, ma sapeva come cacciarla via. Gli bastava leggere quanto amore ci fosse in ogni gesto che Squall faceva per tranquillizzarlo.

 

Si era morso le labbra per non gemere a quel primo istante di dolore…e poi soltanto piacere. Squall si muoveva sempre lentamente sopra di lui, il viso affondato nel suo collo, il respiro pesante e i denti delicatamente premuti sulla pelle…aveva gridato il suo desiderio, lasciandosi andare in eccitati brevi sospiri, il fuoco si era riacceso ancora più violento di prima.

 

Lo aveva lasciato andare soltanto quando con una spinta più profonda Squall era venuto profondamente dentro di lui…era venuto a sua volta mentre lo guardava in viso.

 

Fuori, lontano dalle ombre.

 

Non c’era paura. Mai.

 

 

 

Mattina ormai…sentiva i rumori familiari di Squall che si sistemava nel bagno, il piccolo zaino accanto alla porta e la Gunblade tirata a lucido anch’essa pronta.

 

Si era raggomitolato dentro alle coperte mentre solo in quel momento lo colpiva il pensiero che di lì a poco di nuovo si sarebbe dovuto separare da Squall. Brutta faccenda quelle esercitazioni…la prossima volta a costo di passare da patetico avrebbe rotto le scatole a Quistis per far sì di rimanere con il suo fidanzato.

 

Squall si era caricato lo zaino in spalla e gli si era seduto di fianco…i saluti. Che schifo i saluti. “Non fare quella faccia…ormai dovresti esserci abituato.” Aveva scherzato abbracciandolo stretto…non gli andava proprio di scherzare così se ne era rimasto zitto ad inspirare profondamente il buon profumo della sua giacca.

 

Un abbraccio lungo e silenzioso, poi Squall lo aveva lasciato e lo aveva baciato dolcemente sulle labbra tenendogli il mento fra le dita, si era stupito quando guardandolo negli occhi vi aveva visto un leggero velo di…lacrime? Squall aveva fatto una smorfia e subito si era alzato nascondendosi alla sua vista.

 

“Meglio che vado o arriverò in ritardo.”

 

“Aspetta solo un attimo infilo una maglia e…”

 

“No. Ci salutiamo qui, non ha senso che tu ti alzi per star con me cinque minuti in più. Devi riposarti adesso.”

 

Per un momento si era sentito offeso da quel rifiuto ma poi aveva capito. “Paura di versare qualche lacrima?”

 

Squall gli aveva sorriso con una dolcezza infinita e aveva solo detto…sì. Subito dopo era andato via.

 

Che bellezza, di nuovo solo in un mondo pieno di pericoli. Aveva sbuffato afflosciandosi sul lettone troppo grande e si era stretto al petto il cuscino con lo stesso profumo di Squall sentendo già l’ansia agitarsi frustrante dentro di lui…chissà se sarebbe stato in grado di mettersi almeno una volta in contatto con lui. Non era stato facile trovare il tempo per telefonare e se conosceva bene il suo uomo, si sarebbe gettato in quell’allenamento con anima e corpo.

 

Con tante belle magie si era sempre chiesto come mai non si conosceva ancora il teletrasporto.

 

Meglio farsi una doccia alla svelta e raggiungere Selphie e Quistis…ovunque si trovassero.

 

C’era un bigliettino appoggiato allo specchio sul lavandino…era rimasto più meno trenta secondi a fissarlo come uno scemo indeciso se spaventarsi o gettarcisi sopra sicuro che ci sarebbero state scritte tante cose carino, ma Squall era una creatura splendida e imprevedibile come una tempesta.

 

Si era imposto l’assoluta tranquillità e schiarendosi la gola aveva iniziato a leggerlo veloce.

 

                              So che non ti dimostrerò quanto mi dispiace separarmi ancora da te.

Bè, mi dispiace tanto, tantissimo.

                              Purtroppo Selphie si è rifiutata di rompermi qualche osso come le avevo

                                     chiesto…So che non è un bel momento per te,anche se hai fatto finta di niente

                so che non stai bene, ma non ti devi preoccupare appena tornerò

    rimetteremo tutto a posto!Intanto ti lascio in buone mani,

 Quistis mi ha promesso di nuovo che ti terrà d’occhio.

     ^_^ Penso che manderà Seifer a dormire con te dato che

                          non voglio tu rimanga da solo in caso…tu abbia qualche brutto sogno

 voglio ci sia qualcuno lì con te.

                                Tieni a portata di mano il fucile. Se Seifer allunga troppo le mani sparagli.

Se non gli spari tu, non fa niente, gli sparerò io dopo.

Irvine…ti amo.

E smetti di piangere stupido, non sto andando in guerra.

 

Squall

 

Stupido??? Cattivo…come faceva a sapere che si sarebbe messo a piagnucolare? Con un profondo sospiro aveva scosso la testa e aveva voltato il biglietto in cerca di un qualche cuoricino che perdonasse quello stupido finale ma tutto quello che aveva trovato era…

 

PS: Se ti scappasse di farmi le corna con Quistis

Sparo a te e poi mi fidanzo con lei.

 

E poi un buffo disegnino con la caricatura di Squall con la lingua fuori e lo sguardo cattivo…aveva ridacchiato scuotendo la testa. D’accordo, si era fatto perdonare lo stupido! Certo che era proprio carino quel disegno. Chissà se Selphie riusciva a riprodurlo su una magliettina.

 

 

 

Ovviamente come sempre accade quando si cerca qualcuno non lo si trova e quella non era l’eccezione alla regola. Non c’era traccia delle due ragazze, nemmeno le ragazze del  Fan Club di Quistis sapevano dove si trovava (quelle erano davvero i personaggi più inutili che avesse conosciuto)… l’unica cosa che aveva trovato dopo più o meno mezz’ora di ricerche era Seifer stravaccato su una panchina nel giardino a fumare una sigaretta e il suo dito rotto appoggiato bene in alto per favorire la circolazione.

 

Era stato più forte di lui, l’aveva dovuto fare.

 

Silenzioso come un bravo SeeD doveva essere era arrivato fino alle spalle del ragazzo, poi si era chinato fino all’altezza dei suo orecchio. Troppo facile. “Questa notte staremo insieme…” aveva sussurrato con voce suadente provocando l’istantaneo balzo di Seifer e le successive maledizioni per il buco che la sigaretta sfuggitagli dalle labbra aveva fatto sui pantaloni.

 

“Sei un pazzo, se ti sentiva quel moccioso mi ammazzava te ne rendi conto?” Seifer si era dato un occhiata in giro poi aveva raccolto dal prato la sigaretta e se l’era rimessa fra le labbra tutta storta.

 

“Squall è già andato via.” Aveva sospirato prendendo posto sulla panchina sotto lo sguardo ostile e sospettoso di Seifer.

 

“Oh.” Improvvisamente l’espressione del ragazzo era tornata quella arrogante e insolente, gli si era seduto accanto e si era arricciato una ciocca dei suoi capelli attorno ad un dito continuando a sorridere malignamente. “Vuoi provare qualche cosa di nuovo allora?”

 

“… scherzavo.” Ora prendeva il fucile e gli sparava sul serio come gli aveva suggerito Squall. Seifer aveva sghignazzato e si era lisciato i capelli con aria beata.

 

“Quistis mi ha già detto che devo farti compagnia. Non preoccuparti non mi interessano i mocciosi… e poi non sei come Squall lui si lascia far tutto, tu invece sei un tipo troppo nervoso, mi faresti un occhio nero e sulla mia bellissima faccia non ci starebbe molto bene, bè, nemmeno malissimo ma…”

 

L’istinto primordiale di afferrare il cestino dei rifiuti e sbatterglielo sulla testa lo aveva quasi fatto schizzare in piedi, ma si era limitato a fissarlo con occhi che sprizzavano fuoco…che cosa aveva fatto a Squall? Non era possibile che…??? “…che cosa si lascerebbe fare Squall?”

 

“Nulla.” Seifer gli aveva dato una pacca sulla spalla e si era incamminato verso il corridoio.

 

Si era solo vendicato dello spavento che gli aveva fatto prendere tutto lì.

 

Tutto lì.

 

Maledetto Seifer sapeva dove colpire.

 

 

Aveva pranzato infine insieme alle ragazze in fretta per poter tornare accanto al telefono in tempo per l’arrivo di Squall (anche se la zona di sbarco non era la stessa e quindi non era scontato che trovasse telefoni…in quel caso fino a sera erano escluse telefonate). C’era da dire che aveva trovato le due ragazze appena fuori dall’aula e questo era abbastanza strano visto la sospensione delle lezioni per via di quelle esercitazioni, Quistis spettinata e con la camicetta abbottonata male e Selphie…come sempre, pimpante e allegra aggrappata come un piccolo koala all’amica. Se fosse stato malizioso avrebbe sospettato qualche cosa. (^_^ he!).

 

Quissy aveva evitato per tutto il pranzo il suo sguardo e aveva parlato esageratamente tanto di un sacco di cose: i nuovi studenti, quanto si era ampliata la biblioteca, quanto strani fossero i nuovi professori, le divise che andavano rimodernate, era necessaria un infermeria più efficiente… Selphie aveva solo fatto faccine e smorfie sparando missili di cibo in giro per la mensa, provocando fra l’altro due risse e qualche schiaffo volante (ma perché lei la faceva sempre franca?) e aveva mostrato circa ad un centinaio di persone le sue mutandine con coccodrillo rosa su sfondo giallino pallido.

 

Era stato proprio mentre aiutava Quistis a portare nella sua stanza alcune decine di libri che era successa una cosa veramente…non sapeva esattamente come definirla. Spiacevole. Spaventosa.

 

Qualcuno, nel corridoio appena fuori dalla biblioteca lo aveva urtato quasi mandandolo a gambe all’aria, con un colpo agile era riuscito a tenere impilati tutti i libri ma i suoi piedi si erano intralciati l’un l’altro mandandolo a sbattere contro il tizio…qualcuno di estremamente solido. Aveva cercato di voltarsi per potersi scusare ma una mano pesante gli era piombata sulla spalla tenendolo fermo. “Non preoccuparti ragazzo…io e te ci vediamo un'altra volta.”

 

Ragazzo. Chi lo chiamava ragazzo. Una voce leggermente arrochita ma ancora così…familiare. Oh sì, non l’avrebbe dimenticata mai, perché l’aveva sentita talmente tante volte, nella sua vita, nei suoi incubi. Poteva essere?

 

Aveva inspirato rumorosamente…non riusciva a lasciare andare l’aria, gli occhi sgranati alla tremolante immagine di una pozzanghera nera nella quale cadeva a rallentatore una goccia altrettanto nera. Proiettato a velocità folle in quella che non poteva essere nulla di diverso da una piccola squallida camera da bambino, una piccola macchina senza una ruota abbandonata capovolta su un comodino scheggiato, una lampada dalla luce sfarfallante che proiettiva ombre stroboscopiche e mostruose contro ad una parete. Un poster di ragazzo dal volto sorridente a fianco di un cavallo, un grande fucile che lo rendeva così…immortale. Intoccabile. Forte.

 

I capelli biondi di Quistis davanti a lui che si allontanavano, la realtà. Il garden.

 

Tutti i libri erano scivolati giù dalle sue braccia con un rumore infernale mentre una forza soprannaturale gli prendeva la gambe e iniziava a correre talmente veloce da non fargli capire quando i piedi toccavano terra, forse aveva fatto cadere i libri anche a Quissy, o forse aveva fatto cadere a terra Selphie.

 

L’unica cosa che gli importava in quel momento era che la porta della sua stanza non si poteva chiudere.

 

Non sapeva dove altro andare.

 

Si sbagliava.

 

Non si sbagliava.

 

Era come se il suo cervello continuasse a strappare petali infiniti da una margherita. Aveva teso bene le braccia e mirato davanti a lui, il fucile pronto a colpire mentre dalla sua bocca uscivano frasi insensate che non riusciva né a capire né ad arrestare.

 

 

 

Il Cow Boy poteva avere tanti difetti primo fra tutti il suo orrendo cappello, ma sapeva correre decisamente forte. Quando avrebbero capito di che pasta era fatto e nominato di conseguenza Capitano Supremo di tutti i Garden lo avrebbe nominato suo piccione viaggiatore personale.

 

Aveva riso sprezzante agli sguardi attoniti dei ragazzi…si sconvolgevano per così poco, un nonnulla e sembrava l’inizio di una guerra. Maledetti poppanti pettegoli. “Che c’è da guardare?? Levatevi di mezzo!” aveva ringhiato allungando un braccio in un gesto intimidatorio, gran parte della gente aveva subito sgombrato in fretta e furia l’aera…tranne la maestra e la pazza che raccoglievano carta straccia dal pavimento.

 

“Ehi che gli è preso?”

 

Quistis aveva scosso la testa continuando a impilarsi libri su un braccio e fissando Selphie che a sua volta aveva alzato le spalle. Vedere la pazza senza quel sorriso perenne era un chiaro campanello d’allarme. Aveva acceso una sigaretta continuando a guardare le due ragazze.

 

“Seifer…sei molto gentile a vegliare su di noi ma potresti darmi una mano?” ha, maestra insensibile ed egoista.

 

“Non vedi? Ho una mano rotta e sto fumando. Bha…vado a vedere che è preso a cowboy.”

 

“Aspetta…non farlo è meglio se va Selphie.”

 

Che significava? Che lui forse non era bravo abbastanza da mettere tranquillo testa-rossa? Lo consideravano forse inferiore a Leonheart-ragazzo-pubertà?? Quello era un affronto bello e buono.

 

“Non è una cosa da donne.”

 

Non che gli importasse sul serio, ma se succedeva qualche cosa di male a Cowboy dopo che Leonheart l’aveva affidato alle sue cure lui era un uomo morto e sepolto. Non aveva paura di quel ragazzino re-del-polo-nord-moccioloso ben inteso, ma lo rispettava e non era poco.

 

Ed ecco la stanza.

 

Adesso finiva la sua sigaretta poi si dava da fare. Poteva entrare nella sala del preside e contattare sotto falso nome un professore in missione e richiedere l’immediato ritorno al Garden di Leonhart, ma questo significava che non era stato in grado di tener testa alla situazione e non poteva certamente far avere al suo rivale questa piccola vittoria.

 

Però…Kinneas era un cecchino. Poteva magari pensare che volva fargli qualche cosa di sporcaccione e sparargli in testa. Addio Seifer Almasy e sogni romantici.

 

“Eehi!”

 

Clic.

 

Porca puttana quello lì era sul serio il rumore della sicura del fucile di testa-rossa. Meglio levarsi da là davanti perché si sentiva un po’ come un Chocobo in gabbia il giorno di Natale. Si era messo diligentemente da parte.

 

“Cowboy, sono Seifer.”

 

Niente.

 

“Sono quell’uomo biondo bellissimo che sa usare la Gunblade mille volte meglio di quel marmocchio del tuo fidanzato!”

 

Un suono strozzato, un singhiozzo forse.

 

“Mi piacerebbe molto entrare ma non vorrei trovarmi pelato a diciotto anni. Anche se senza capelli penso sarei bellissimo lo stesso…”

 

“Cosa vuoi?”

 

Solo sentendo la voce si capiva benissimo che tirava brutta aria. Ci voleva il gallinaccio con la sua vocina suadente e dolce, o la Maestra. Lui in effetti…No per la miseria Seifer Almasy non si arrende.

 

“Quattro chiacchiere.”

 

“… n-n…no.”

 

“No?…d’accordo volevo chiederti se avevi altre sigarette…ma ti assicuro che era anche per fare quattro chiacchiere.”

 

Che tattica. Che non-chalance. Che maestria…

 

“Vattene.”

 

Che idiota.

 

“Avanti Irvine molla il fucile o ti addormento con una magia…ricordi quel gustaccio che ti rimane in bocca quando ti svegli? Come quando lecchi per troppo tempo il…”

 

La porta si era aperta di uno spiraglio e subito aveva colto la palla al balzo intrufolandosi all’interno della stanza e trovandosi a pochi passi dal ragazzo.

 

Pallido…il respiro veloce…ma non era quello che l’aveva lasciato sbalordito. Tremava talmente tanto che non riusciva a capire quale miracolo lo tenesse in piedi. Si erano squadrati l’un l’altro, Irvine aveva abbassato lo sguardo, o forse era piombato in qualche altra apatica dimensione, ne aveva approfittato per togliergli di mano il fucile e rimettere la sicura al suo posto e subito dopo aveva iniziato ad aprire le finestre portando un po’ di luce nella camera.

 

 

Che strano, non avrebbe mai creduto che avere Seifer vicino in un momento orribile come quello lo avrebbe aiutato tanto, era più o meno come avere uno Squall più sviluppato con i capelli biondi e uno spiccato spirito narcisista.

 

Stava quasi per chiedere a Seifer di andare a far fuori quattro mostriciattoli al centro (giusto per scaricare un po’ i nervi da quello spavento, sentiva un forte bisogno di premere quel grilletto contro qualche cosa) quando Quistis era arrivata tutta trafelata come una furia irrompendo nella stanza come fosse una questione di vita o di morte, il volto tutto rosso e gli occhi azzurri sgranati come due fanali.

 

“…tutto…bene? Siete…ero così…in pensiero.” Era corsa da lui, gli aveva preso il viso con le mani e lo aveva fissato, stava ancora ansimando per la corsa. “Stai bene?”

 

“Tranquilla è stato solo…” un incubo a occhi aperti. “…mi sono preso uno spavento per nulla.”

 

“Cosa vuoi maestra? Noi qui si parlava di cosa da uomini.” Seifer aveva sfoderato con eleganza una sigaretta, Quistis gliel’aveva sottratta al volo era corsa alla finestra e l’aveva gettata fuori arrabbiatissima.

 

“Non si fuma in camera Almasy. Non costringermi a punirti.”

 

“Puoi frustarmi quando vuoi.” Seifer aveva sogghignato e aveva fatto un gesto osceno con le dita a V (quelle sane) mostrando la lingua a Quistis che era arrossita ma si era costretta a distogliere l’attenzione e riportarla su di lui.

 

“Sei davvero sicuro di stare bene?”

 

“Vuoi lasciarlo perdere? E’ una donnaccia tutto lì.” Seifer si era intromesso di nuovo con il suo ghigno canzonatorio migliore stampato sulla sua faccia da schiaffi. Aveva finto di non aver sentito il termine donnaccia cercando di apprezzare quel magnifico tentativo di togliergli l’attenzione di dosso.

 

Quistis si era portata una mano alla fronte e aveva scosso la testa. “D’accordo. Vedo che voi due ve la cavate perfettamente. Più tardi per favore vi voglio nell’aera esterna, c’è la presentazione dei nuovi insegnati.” Li aveva fissati entrambi insicura se andarsene davvero senza scoprire il motivo della sua fuga di poco prima, poi con stanchezza li aveva salutati con un cenno della mano ed era uscita ignorando i fischi e le risate di Seifer.

 

“Dovresti essere più gentile con lei.”

 

“Lei lo sa che non lo faccio per cattiveria. E’ troppo divertente.”

 

Bastava farci l’abitudine ai tipetti come Seifer.

 

Squall  intanto non aveva ancora chiamato.

 

 

Nel mezzo del nulla…

 

 

Eccolo là il piccolo imprudente bastardo, nascosto dietro quell’ammasso di rocce ignaro di essere stato scovato dalla persona sbagliata. Sorrideva tranquillo chiacchierando sciolto con una voce assurdamente mielosa…forse alla sua ragazza.

 

Parla finchè puoi.

 

Con passo felpato si era insinuato nello stretto crepaccio immergendosi di più nell’ombra e sorridendo malignamente…era tutto il giorno che gli stava dietro per cogliere il momento in cui si sarebbe tradito e infatti non si sbagliava.

 

Non poteva aspettare oltre così con passo minaccioso era proceduto alla fase B del suo piano: sottrazione.

 

“Ehi. TU!”

 

Il ragazzo aveva sgranato gli occhi consapevole di essere stato stanato e aveva subito cercato di nascondere il prezioso oggetto dietro la schiena. Patetico.

 

“Ti ho visto è inutile che lo nascondi.” Lo aveva apostrofato freddamente raggiungendolo e piazzandosi rigido davanti a lui. Poveretto…un po’ gli dispiaceva farlo ma non aveva alternative, in nome di ciò che gli era più caro al mondo.

 

“Senti amico…”

 

“Non sono tuo amico. Sono Squall Leonheart.” Il più devoto soldato del Garden. Non c’era bisogno di aggiungerlo però dato che in quell’occasione aveva scoperto di essere piuttosto conosciuto. I professori che li accompagnavano avevano addirittura fatto un lungo discorso riferendosi al fatto che avrebbero dovuto considerarlo un modello di comportamento in quell’esperienza. Imbarazzante e assolutamente irritante.

 

“…oh…oh…ecco…io…non volevo…questo è solo…”

 

“Un telefono portatile. Mi dispiace ma penso dovrò riferire l’accaduto…”

 

“No! No per favore…” il ragazzo si era guardato in giro in pieno panico, ci mancava solo che adesso cercasse di farlo fuori per mettersi in salvo. “Senti…se vuoi possiamo venire a compromessi. Vuoi soldi? Vuoi…”

 

“Non scherzare.” Aveva tenuto ben salda sul viso la sua espressione più vuota e fredda possibile. “Ti verrà data una nota e il telefono ti sarà requisito.” Gli aveva girato le spalle iniziando ad allontanarsi deciso ma il ragazzo l’aveva bloccato disperatamente tirandolo per un braccio.

 

“Aspetta aspetta aspetta! Davvero qualsiasi cosa mi dirai di fare la farò! Dico sul serio!”

 

Aveva aspettato qualche secondo prima di voltarsi con un sospiro. “D’accordo.” Aveva fissato a lungo il viso speranzoso della sua vittima e alla fine aveva proclamato con indifferenza la sua sentenza. “Lo terrò io fino alla fine di questo addestramento. Te lo restituirò non appena saremo al Garden.”

 

“Certo va benissimo! Ho fatto…un…un grande errore! Non si ripeterà!”

 

Si aspettava quasi gli facesse un inchino davanti invece il ragazzo se l’era data a gambe in tutta fretta senza più girarsi. Non era riuscito a bloccare il sorrisino cattivo che gli era fiorito sulle labbra…non aveva fallito la sua missione: ruba un telefono per chiamare Irvine quando vuoi. Era davvero bravissimo.

 

 

 

Seifer era già uscito rimanendo vago sulla sua destinazione (aveva come l’impressione che non lo avrebbe proprio visto, per la gioia di Quistis, alla presentazione) e a lui rimanevano ancora più o meno cinquanta minuti da passare tutto da solo. Non aveva voglia di arrovellarsi vicino a quel telefono (chissà se invece Squall…mha, probabilmente no) quindi l’unica cosa che gli veniva in mente era una doccia.

 

Una bella doccia bollente per sciogliere i muscoli e riposare la mente.

 

Si era sciolto per prima cosa i capelli, gettando poi gli abiti a terra senza curarsi di piegarli e posarli da qualche parte come invece doveva fare con Mister Perfettino intorno, dopodichè aveva trascinato il piccolo divano fin davanti alla porta, tanto per sicurezza…che stupido la porta non si apriva in quel verso quindi era una precauzione inutile, ma almeno lo faceva sentire più al sicuro, c’era sempre un ostacolo in più no? No.

 

Aveva guardato soprappensiero il divano, grattandosi la guancia come faceva sempre quando pensava un po’ a tutto e a niente, anzi, in quel preciso istante si stava sforzando intensamente di non formare nessun pensiero, non gli andava di trovarsi a tremare sotto al letto…tutto nudo per giunta.

 

Era entrato in bagno, non si era guardato allo specchio perché non voleva vedere la sua espressione qualunque essa fosse e aveva lasciato scorrere un po’ l’acqua finchè un caldo vapore non aveva appannato tutto ciò che poteva appannare e si era infilato sotto al getto in un unico fluido movimento.

 

Subito l’acqua aveva scottato sulla pelle delicata delle spalle e del petto ma quella sensazione era passata subito…di solito quando faceva la doccia teneva sempre gli occhi chiusi e si lasciava andare a un vuoto assoluto, il capo appoggiato alle piastrelle color pastello mentre i muscoli si rilassavano con quel piacevole formicolio…ancora meglio se Squall lo abbracciava protestando perché l’acqua era troppo calda o troppo fredda.

 

Ma stavolta no. Era rimasto rigido e immobile mentre i capelli si scurivano appiccicandosi alle spalle e alla schiena, quel piacevole abbandono non sembrava voler venire, non riusciva a smettere di concentrarsi sul suo udito in attesa. Quella voce terribile.

 

Per dieci minuti non si era mosso, immobile, finchè non si era accorto che l’acqua era diventata quasi gelata…aveva sorriso amaramente cercando di regolare di nuovo il calore, sì, c’era ancora acqua calda per fortuna. Era davvero uno stupido a temere che qualcuno gli saltasse addosso proprio dentro a quella stanza, le pareti erano così sottili che se solo si metteva a strillare lo avrebbero sentito fin nello studio del preside. Non per niente più o meno tutte le notti i loro vicini di stanza si mettevano a bussare (tristemente) alle pareti quando i loro gridolini affettuosi iniziavano a farsi troppo…ehm…accorati.

 

Si era abbracciato, stringendosi le braccia intorno al petto…se non si tranquillizzava un po’ avrebbe finito per passare la notte in bianco, svegliarsi con due oceani neri sotto gli occhi e Squall lo avrebbe tempestato di domande.

 

Squall…era lui che stava facendo suonare il telefono?

 

Senza nemmeno coprirsi con un asciugamano si era precipitato fuori dalla doccia e aveva sollevato al volo la cornetta.

 

 

Gli aveva risposto dopo qualche squillo a vuoto, l’inconfondibile voce non ancora del tutto trasformata in quella di un uomo affannata come se… aveva subito stretto le dita fortemente attorno al telefono stringendo la mascella.

 

“Che diavolo stai facendo?”

 

“…SQUALL! Ciao amore © ti ho aspettato tanto!”

 

“Facendo che cosa?” aveva insistito anche se era perfettamente consapevole che era impossibile che Irvine gli stesse facendo qualche cosa di male. O no… “Con chi sei?”

 

“Oh bè…ero qui con Quissy e stavamo discutendo su quanto siano instabili le preferenze sessuali dei bisessuali come me.” Irvine aveva riso forte, lo stava prendendo in giro quello stupido! Si sentiva già abbastanza agitato per non averlo potuto rintracciare fino a quel momento…non aveva molto tempo per parlare fra l’altro.

 

“Stai bene?”

 

“Sto benissimo, solo che sono qui tutto solo e sentendo la tua voce…che ne dici di un po’ di sesso telefonico?”

 

“La smetti di fare l’imbecille? Non sai nemmeno che mi è toccato fare per rubare questo…”

 

“OH MIO DIO! Leonheart cadetto perfetto che ruba addirittura per un povero soldatino senza valore come me? Allora mi ami proprio tantissimo!” sembrava completamente andato di testa, continuava a parlargli a voce troppo alta e rideva troppo. Era successo qualche cosa che però non avrebbe mai saputo dalla sua bocca.

 

“Certo che ti amo tantissimo. Senti sei sicuro che vada tutto bene?”

 

“Sicuro!” decisamente troppo allegro.

 

“Va bene. Se hai bisogno di me puoi chiamarmi sempre a questo numero. Io…in caso ti chiamerò domani mattina presto, non posso farmi vedere in giro con questo affare…” si sentiva davvero a disagio ad usare quel piccolo apparecchio…non tanto perché non era abituato ad usarlo quanto perché lo aveva ottenuto in quel modo vergognoso. Ma Irvine era Irvine e non poteva assolutamente lasciarlo solo per due giorni interi solo perché molto gentilmente i professori che li accompagnavano avevano deciso di guidarli solo in luoghi sperduti e selvaggi dove non esistevano mezzi di comunicazione.

 

“Va bene tesoro a domani allora!”

 

“Non mi hai ancora detto cosa stavi facendo, perché stavi ansimando così?”

 

“Facevo la doccia e intanto pensavo a te e così mi è scivolata la mano laggiù e…”

 

“A domani.”

 

“Ciao e stai attento, ti rivoglio tutto intero e meraviglioso come sempre.”

 

Diceva sempre qualche cosa di troppo quel ragazzo.

 

 

 

Alla fine il suo principe azzurro l’aveva chiamato…niente meno da un apparecchio sottratto ad un povero ragazzo! Proprio Squall così attaccato alle regole del Garden, così educato! Forse aveva avuto davvero una cattiva influenza su di lui tanto da spingerlo a diventare un ladro.

 

Mentre usciva dalla sua stanza diretto a quel noioso incontro si era ritrovato quasi a ridacchiare tanto che aveva dovuto calare sugli occhi la tesa del suo largo cappello da cowboy, qualcuno l’aveva osservato con aria interrogativa…ma non gli importava sembrare strano, era troppo contento.

 

La prima cosa che aveva individuato nell’ordinata schiera di studenti era stato l’abitino giallo di Selphie…in effetti era stato più che fortunato perché a usare l’uniforme del Garden non ci aveva minimamente pensato e se fosse stata necessaria avrebbe passato dei brutti momenti ma per fortuna tutti indossavano abiti normali. Selphie l’aveva salutato, gli era corsa incontro per strappargli il cappello e correre via di nuovo servendo qualche calcio in uno stinco a destra e a manca, aveva travolto Quistis quasi facendola cadere ma la ragazza aveva barcollato vistosamente senza però sconvolgersi più di tanto (segno che era assuefatta a quegli attacchi) e l’aveva raggiunto sorridendo timidamente.

 

“Sei venuto!”

 

“Mi ha chiamato Squall, mi ha detto che va tutto bene e…che ha rubato per me.” Le aveva strizzato l’occhio cercando di non ridere all’espressione sbalordita della ragazza, che alla fine aveva scosso la testa e l’aveva spinto verso lo schieramento di suoi compagni.

 

“Sei il ragazzo dei miracoli lo riconosco, però mettiti in fila insieme ai poveri mortali per ora.”

 

“Ai suoi ordini.”

 

E così aveva fatto, il cuore leggero, ogni piccolo dolore dentro di lui si era come attenuato fino a scomparire nell’attimo stesso in cui aveva sentito quella voce scontrosa borbottargli nell’orecchio… poteva davvero essere così felice a lungo? Aveva imparato troppo presto che lui non era un essere destinato alla felicità, ma per un po’ voleva illudersi.

 

Un’illusione che sarebbe durata solo un battito di ciglia.

 

Nello stesso istante in cui si era fermato fra i due studenti nella fila centrale del gruppo aveva sentito qualcosa di pesante, di enormemente pesante schiacciarlo, un freddo che lo aveva costretto a piantare gli occhi sulle sue scarpe mentre un sottile velo di sudore gelido gli imperlava la fronte, le mani erano artigli di granito stretti sul soprabito, il cuore un martello impazzito che lo assordava. C’era una presenza là…imprecisa e confusa ma che riversava su di lui tutto quell’odio, quel senso di paura si stava stringendo intorno al lui come il cappio per un impiccato.

 

Aveva alzato lentamente, intontito, gli occhi, fino a percorrere interamente i visi di quegli uomini e di quelle donne, vestiti tutti uguali nelle divise dei professori, impettiti e fieri. Tutti tranne un solo uomo che lo fissava dritto negli occhi, non poteva sbagliarsi, quegli occhi sembravano volergli trapanare il cervello tanto da inculcargli nella testa un doloroso ritmico pulsare.

 

Perché lo guardava così? Non lo poteva conoscere, lui non conosceva quell’uomo. Sì che lo conosci…quella piccola voce dentro di lui lo aveva fatto barcollare rendendogli le gambe instabili e ogni piccola riserva di calore fluiva via da lui, lo conosci, lo conosci benissimo.

 

Vieni, bambino…lasciati amare.

 

Ma non era mai amore quello, era solo una mostruosa parodia che non rispecchiava nemmeno lontanamente l’amore.

 

Nell’amore non c’era sangue versato piangendo, nell’amore non c’era carne straziata e livida, nell’amore non c’erano polsi legati fino a sanguinare, non c’erano risate mentre il tuo cuore si spezzava.

 

Si era portato una mano verso la bocca, aveva paura di mettersi urlare ma era troppo terrorizzato per farlo, era troppo terrorizzato soltanto per muoversi! Non poteva essere lui, non poteva essere lì. Perché? Si era toccato ancora le labbra e aveva osservato le dita macchiate di un rosso rubino…sangue. Sempre sangue, quel viso e il sangue erano collegati per sempre.

 

Doveva andare via.

 

Finalmente i suoi stivali si erano staccati dal pavimento, un passo, due…non doveva correre, non doveva dare nell’occhio, doveva diventare invisibile e scomparire, nascondersi, chiudersi per sempre in un luogo buio dove nessuno poteva trovarlo.

 

La voce del preside si levava alta presentando con orgoglio una a una quelle persone…ma era lontana perché lui stava già camminando velocemente per il corridoio deserto, i suoi passi che rimbombavano ferocemente in quel silenzio… c’era uno strano concerto nella sua mente, un susseguirsi di flash che grazie a Dio non sembravano aver nessun senso, erano solo strani particolari sbiaditi, un lenzuolo strappato, il buio, un cuscino che cadeva per terra, una luce che si spegneva e buio, tanto tanto buio.

 

E un uomo…no, un ragazzo biondo che lo attendeva fumando davanti alla porta della sua stanza. Seifer che allarmato dal rumore di passi si era sbarazzato con uno scatto della sigaretta e aveva iniziato a sventolare le mani in cerca di disperdere l’odore del fumo…quando aveva visto che era lui però si era bloccato e gli era andato incontro. “Pensavo fosse la maestra…te la sei svignata anche tu?”

 

“Sì.” Ma dalla sua bocca non era uscito nessun suono. Era strano ma era come se Seifer si allontanasse da lui affievolendosi sempre di più, aveva sorriso a quello strano effetto speciale, aveva allungato una mano come per afferrarlo. Seifer aveva aggrottato le ciglia a aveva mosso la bocca parlandogli ma non aveva sentito niente.

 

Tempo scaduto cowboy.

 

 

Gli era svenuto addosso. Gli era svenuto addosso e per poco non si era rimasto secco pure lui per lo spavento, non era un tipo impressionabile ma di solito non gli sveniva mai nessuno davanti (che non fosse stato colpito da qualche mostro o magia ovviamente).

 

L’aveva acchiappato al volo sollevandolo da terra in fretta prima che qualcuno li notasse lo aveva riportato dentro la stanza e lo aveva messo sul letto… e adesso? Sapeva che per far rinvenire la gente priva di sensi doveva dare qualche schiaffetto ma temeva che svegliandosi quella donnaccia avrebbe dato di matto se lo beccava a schiaffeggiarlo… in più non riusciva a muoversi.

 

Si era seduto sul pavimento fissando il corpo immobile con occhi spalancati cercando di trovare il più veloce possibile qualche cosa di utile da fare, forse sarebbe stato meglio chiamare l’infermeria, la croce rossa, tutti quanti…ma grazie a Dio Irvine si stava muovendo già pian piano gemendo appena, aveva sbattuto gli occhi e aveva voltato il viso da una parte e dall’altra per capire dove si trovasse probabilmente.

 

“Sono svenuto?” aveva sussurrato con voce roca alzando cautamente una mano per toccare le palpebre degli occhi.

 

“He già. Proprio così.” Gli aveva risposto atono annuendo in fretta. Irvine aveva iniziato a sollevarsi cautamente e si era seduto continuando a strizzare gli occhi con una mano sulla fronte.

 

“…scusa, non so cos…” improvvisamente si era alzato di scatto e si era gettato come impazzito contro alla porta, mentre un terribile strano suono gli usciva dalle labbra. Si era accovacciato accanto alla superficie di metallo premendovi sopra i palmi delle mani come per bloccarla.

 

Si sentiva sconvolto. Non riusciva a capire il perché di quel comportamento ma peggio…non riusciva a dire qualche cosa se non boccheggiare di fronte a quello spettacolo come un scemo. “…cosa fai?”

 

“Dammi il fucile.”

 

Oh sì, sicuro che ti do il fucile. Manco morto! Aveva ignorato la mano aperta tesa verso di lui e gli occhi supplicanti, due profondi pozzi di angoscia, il fucile lo aveva preso ma lo aveva spostato il più lontano possibile dal ragazzo. “Facciamo così, prima mi spieghi perché te ne vai in giro svenendo sulla gente e io se sono convinto che hai ragione a volere il fucile te lo do.”

 

“E’ qui.” Lo aveva quasi strillato quasi…la mano era ancora testa verso di lui così gli si era inginocchiato davanti e l’aveva presa fra le sue.

 

“Chi?”

 

“Papà.”

 

Aveva sentito i muscoli del viso contrarsi istintivamente in una smorfia di rabbia. “Cosa?”

 

“E’ venuto qui per riprendermi.” Aveva spiegato Irvine sempre con quella voce lamentosa che sembrava non più essere quella di un ragazzo di diciassette anni ma quella di un bambino. Lo aveva risollevato di peso per le braccia e lo aveva seduto sopra al divano. Irvine era rimasto lì in silenzio osservando il vuoto torturandosi le mani in grembo.

 

“Non è vero, te lo stai solo immaginando perché sei stanco, non è così? Non può essere qui tuo padre.” Lo aveva preso per le spalle scuotendolo leggermente, il ragazzo gli aveva spostato le mani come in trance e aveva ricominciato a fissare il vuoto. “Devi ascoltarmi, sei solo un po’ fuori di testa in questo momento ma non c’è nessun…”

 

“I nuovi professori.”

 

Questo cambiava tutto. Si era preso la faccia fra le mani… ma che accidenti poteva fare un tipo come lui in una situazione del genere? Cosa diceva ad un ragazzo che dopo tanti anni rivedeva improvvisamente il suo caro papà che lo violentava da bambino? Buona fortuna? Se quello non fosse stato Irvine per consolarlo lo avrebbe portato a letto ma così si trovava privo di argomenti.

 

“Va bene, vado a parlare con Quistis e cerchiamo di risolvere…” si era grattato la nuca soprappensiero…sì, però non poteva lasciare Irvine da solo perché aveva la faccia di qualcuno che poteva benissimo impiccarsi al lampadario e Leonheart impiccava lui se succedeva qualche cosa al suo fidanzato. “Tu, vieni con me.”

 

“NO!” Irvine si era improvvisamente rianimato e lo aveva afferrato per la maglietta scuotendo vigorosamente la testa, “No non esco di qui, non ci esco dico sul serio! Non esco di qui! Non esco…”

 

“Smetti di fare la donnaccia isterica.” Aveva tagliato corto cercando di mettere subito fino a quei terribili balbettii disperati. “Ti proteggo io no? Secondo te perché Squall ti ha affidato a me?”

 

Irvine lo aveva guardato molto poco convinto. “Prendo il fucile.”

 

“Lascia perdere il fucile, ho la mia Gunblade in caso sia necessaria. Tu stai vicino a me e non correrai nessun rischio, te lo prometto.”

 

Gli aveva passato delicatamente un braccio intorno alle spalle e lo aveva stretto in un corto sbrigativo abbraccio, non era abituato ad abbracciare esseri umani che non fossero Zell o…bè, non era il momenti di mettersi a pensare. C’era un problema da risolvere.

 

 

 

Non avevano trovato Quistis, in quanto ad insegnante era occupata in una conferenza con gli altri suoi colleghi, Seifer aveva cercato in tutti i modi di rintracciarla ma alla fine aveva desistito quasi prendendosi una nota per aver mandato a quel paese (non era esattamente –a quel paese- l’espressione che aveva usato) le due ragazze di guardia alla porta della sala conferenze.

 

Non lo aveva mai lasciato un solo istante, aveva continuato a tenergli un braccio protettivo intorno alla vita per tutto il tempo ignorando senza batter ciglio le occhiate stupite degli altri…Seifer non era un ragazzo che si vedeva spesso passeggiare così strettamente a qualcun altro. Probabilmente gli era costato un grosso sacrificio farlo e non poteva che essergli riconoscente.

 

“Prendiamo qualche cosa da mangiare e torniamocene in camera, lascerò un messaggio a Quistis sul suo telefono.”

 

Era disposto a qualunque cosa pur di tornare in un luogo con quattro mura che lui poteva tenere d’occhio, sentiva gli occhi stanchi a forza di concentrarsi su ogni volto. Non appena era stato al sicuro nella sua stanza (non l’avrebbe mai pensata così se fosse stato solo ma grazie a Dio non lo era) si era avvolto in un coperta intorno, perfino sopra la testa ed era rimasto immobile…era una cosa che faceva spesso da bambino e quel pensiero gli aveva fatto venire voglia di piangere. Se adesso sentiva la voce di Squall piangeva sul serio, sentiva di desiderare di stringerlo con tutte le sue forze, lui era l’unico che desiderava avere in quel momento, lo voleva disperatamente.

 

“Non dormi?” la voce di Seifer era così soffice, così delicata, non sembrava sua. Il ragazzo aveva indossato una vecchia tuta smessa che incredibilmente gli stava larga, quando si era accorto di come lo squadrava attentamente aveva ridacchiato passandosi una mano fra i capelli già completamente spettinati. “Era di Rajin questa. Dormirei nudo ma non penso gradiresti…quindi quello che ci vuole è qualcosa di ampio.”

 

“…io non voglio dormire devo fare la guardia.” La sua voce era risuonata petulante nella sua stessa testa ma non poteva farne a meno. Si era dondolato avanti e indietro imbacuccato nel panno, Seifer aveva acceso una sigaretta e si era steso, usando la mano rotta per fumare e quella sana dietro la nuca. Sebbene si fosse steso accanto a lui sul letto non aveva provato l’impulso di schizzare via… non gli era passato nemmeno per la testa.

 

“Faremo a turno allora…oppure manometto la serratura elettronica della porta.”

 

“Lo sai fare?”

 

“No ma sono sicuro che se sciolgo la serratura una Firaga farà fatica a funzionare.”

 

Quella storia delle porte che non si potevano chiudere era insopportabile, però non voleva nemmeno rischiare di rimanere bloccato in quella stanza. Aveva tirato fuori un braccio dalla sua crisalide solo per recuperare il panino dal comodino e smangiucchiarne qualche boccone.

 

“Quistis mi ha raccontato alcune cose sul tuo passato.” Seifer aveva usato nuovamente un tono dolce, come faceva sempre Squall quelle poche volte che dopo un litigio riconosceva di aver torto e faceva quella voce vellutata per distrarlo e mettere subito fine alla sua stizza.

 

“Sì…gli ho dato io il permesso di farlo. Io…non mi piace parlarne.” Aveva dato svogliatamente un altro morso al panino poi lo aveva posato…si sentiva lo stomaco chiuso e sforzarsi significava andare a stuzzicarlo, non aveva voglia di star male.

 

“Dovresti farlo, parlare serve per esorcizzare la paura non lo sai? Tutti i cervelloni che studiano i matti lo dicono.”

 

Aveva fatto una smorfia irritata.“E tu che ne sai?”

 

“Pensi si essere l’unico essere umano che ha passato certe cose?” Seifer aveva riso seccamente spegnendo la sigaretta a metà. Aveva scrollato la mano con il dito rotto con un espressione sofferente e l’aveva posata sul petto. “Io sono un orfano come te, non sai quanti dottori quando ero bambino mi stavano alle costole chiedendosi perché ero così bastardo con il mondo…sai cosa mi dicevano? Che la mia era solo una risposta all’abbandono… bè si sbagliavano io stavo benissimo da solo. Sono sempre stato bene da solo.”

 

“Mi sembra di aver già sentito questo discorso.” Aveva sorriso lasciando ricadere la coperta sulle spalle, nessuno si sbagliava a pensare che in fondo Squall e Seifer erano due anime che si assomigliavano più di quanto avessero voluto.

 

“Non paragonarmi a quel moccioso.” Perfino Seifer lo sapeva, aveva ridacchiato di nascosto… Un espressione triste aveva per un attimo velato il viso del ragazzo che gli aveva dato un’occhiata veloce per poi voltarsi su un fianco. “Se… ti racconto una cosa di me, la dirai a qualcuno?”

 

Aveva guardato l’ampia schiena del ragazzo…in quel momento stranamente però non gli sembrava così ampia, Seifer sembrava più fragile. Stanco. Completamente spogliato della sua consueta arroganza. “So mantenere un segreto.”

 

Seifer aveva sospirato profondamente. “Non devi farti vedere debole, non devi far vedere che hai paura, non devi far vedere che provi amore e solo allora sarai al sicuro.” Un'altra sprezzante risata…verso se stesso? Verso di lui? “Mi fa stare male vederti così.”Uno strano brivido di preoccupazione lo aveva scosso, aveva allungato una mano toccandogli una spalla. “Non preoccuparti non è preoccupazione per te…soltanto…ti capisco. Ti capisco benissimo.”

 

“Cosa mi vuoi dire?” aveva stretto di più la spalla che tremava leggermente sotto la sua mano.

 

“Quando ci penso mi pare siano passati secoli, invece sono solo sei anni.” Gli occhi azzurri erano saettati per qualche istante sul suo viso ma erano subito fuggiti via. “E’… no scusami non è il momento per raccontarti adesso queste cose, sei già abbastanza incasinato per conto tuo e non penso ti solleverebbe molto sapere pure i miei…”

 

“Seifer…cos’è successo sei anni fa? Qualcosa di…brutto?”

 

“No. Non ti preoccupare non è di certo qualche cosa che raggiunge i livelli di quello che è successo a te. Con me la storia è stata leggermente differente.” La voce era scesa ad un sussurro atono e cantilenante. “Non era mio padre…non ne o mai avuto uno, nemmeno adottivo, lui era soltanto il mio compagno di stanza. Era soltanto il mio unico amico qui dentro, era solo…il primo ragazzo che forse amavo. Patetico vero?”

 

Faceva uno strano effetto…come se qualcuno avesse aperto una finestra in un giorno d’inverno. Seifer si era raggomitolato di più se se stesso e aveva riso piano. “E’ incredibile… sembra una di quelle squallide telenovele…”

 

“Un film dell’orrore.” Perché non aveva bisogno di sapere molto altro, era così facile capirlo dal modo in cui Seifer evitava accuratamente certe parole, dal modo distaccato che cercava di imporsi.

 

“Sono incidenti di percorso. E poi… forse non era nemmeno…non era…”

 

“Stupro?”

 

Seifer aveva sobbalzato scattando seduto a guardarlo, il suo viso era così splendidamente giovane e addolorato. “Ero solo un bambino, non capivo perché lui volesse fare quelle cose con me. Ma due amanti lo fanno no? Fanno l’amore.”

 

Era terribile quello che stava dicendo, era troppo dolorosamente innocente soprattutto detto da lui. Aveva scosso la testa con dolcezza e gli aveva toccato il viso. “Non fingere di essere confuso, sai benissimo la differenza che c’è fra il fare l’amore e…”

 

“Certo che la so!” Le spalle erano improvvisamente crollate, Seifer si era curvato in avanti e aveva sorriso. “Era terribile, ogni notte…e pensare che io mi sarei accontentato di un bacio. Uno stupido…bacio.” Le labbra gli si erano piegate verso il basso, l’azzurro degli occhi si era schiarito mentre una sola lacrima gli era scivolata sulla guancia. “Non mi ha mai dato un bacio. Sai cos’è quello che più mi disturba adesso? Non ho potuto ammazzarlo con le mie mani perché lui era già un SeeD…morì in una missione. Non potrò mai avere nessuna vendetta.”

 

“Basta…ho capito.” Lo aveva abbracciato, un abbraccio di quelli veri… Seifer aveva risposto all’abbraccio affondando il viso umido nel suo collo, erano rimasti a lungo così, gli aveva accarezzato i capelli, la schiena, lo aveva cullato… un eco lontana di Squall che faceva con lui le stesse identiche cose, era riuscito a farlo sentire meglio. Se riusciva a far sentire meglio quel ragazzo probabilmente significava che ora poteva aiutare anche se stesso.

 

Non sapeva da quanto, ma quando si era riscosso da quei pensieri si era accorto di piangere anche lui.

 

“…ehi cowboy…siamo proprio una coppia di donnacce isteriche.”

 

“He, hai ragione.”

 

“…vorrei del cioccolato.”

 

“Anche io.”

 

Si erano scambiati un sorriso stanco, tutti e due con gli occhi rossi e la faccia stravolta. Era sempre splendida quella calma dopo una tempesta.

 

 

Era stato tragico il momento in cui Quistis come al solito irrompeva trafelata e senza fiato nella stanza pronta a qualche brutta notizia e invece…niente. Li aveva trovati intenti a guardare la televisione con grossi cucchiai immersi in un vasetto di cioccolata, gli occhi arrossati e un aspetto decisamente distrutto. Era rimasta solo qualche istante a osservarli sospettosa ma alla fine si era scocciata delle continue battutine crudeli che Seifer gli ghignava addosso e li aveva salutati…solo allora Seifer l’aveva seguita fuori dalla porta ma era quasi subito rientrato.

 

“Cosa gli hai detto?”

 

“…di tenere gli occhi aperti.” Aveva replicato Seifer alzando le spalle. Si era liberato del cucchiaio e alla fine si era rannicchiato sotto le coperte e aveva chiuso gli occhi. Dormire? L’ultima cosa che aveva voglia di fare era dormire. Si sentiva ancora sotto sopra. “Ha…Irvine, se dici a qualcuno che mi hai visto piangere me la pagherai cara.”

 

“A chi interessa se piangi o no?” aveva ribattuto scherzosamente arrendendosi al fatto che la serata finiva lì ed era arrivato sul serio il momento di mettersi d’impegno e dormire, possibilmente senza fare incubi.

 

 

Era rimasto immobile per più di un’ora probabilmente, gli occhi ben chiusi regolando il respiro finchè non aveva sentito che anche testa rossa finalmente la smetteva di rivoltarsi nella sua parte di letto. Lo aveva sentito sospirare un paio di volte e alla fine qualche mugolio che poteva solo significare due cose…o stava facendo un sogno molto molto piacevole oppure stava davvero facendo qualche cosa di molto molto piacevole.

 

Se fosse stata in corso la seconda opzione allora non poteva assicurare al mondo che non avrebbe tentato di dargli una mano. Testa-rossa-cowboy-ali-ai-piedi era decisamente un ragazzo problematico, ma per motivi ignoti lo attizzava. Di certo finchè lui aveva i suoi affari e Leonheart rimaneva il suo ragazzo non avrebbe mai tentato qualche mossa su di lui ma…magari, una mano, giusto per farsi compagnia…da buoni amici.

 

Oh, basta! Aveva sbuffato affondando la faccia nel cuscino e si era voltato lentamente verso il ragazzo…ha bè, alla fine si trattava di un sogno. Ma che peccato.

 

Era davvero estremamente carino addormentato, le guance arrossate e i capelli tutti sparsi sul cuscino. Non l’aveva fatto apposta, era stato un gesto istintivo quello di allungare una mano per accarezzargli una guancia, solo con la punta delle dita…bastava soltanto un piccolo contatto. Irvine aveva sussurrato qualche cosa nel sonno e improvvisamente se lo era ritrovato contro, il viso affondato nel suo collo e un braccio intorno alla vita.

 

E di nuovo un sussurro. Stava chiamando Squall, doveva davvero mancargli moltissimo in quel momento…aveva fatto l’unica cosa che doveva: lo aveva allontanato gentilmente da lui e si era voltato dall’altra parte.

 

Che fatica…pure questo compito ingrato. Adesso capiva i mal di testa di Quistis.

 

 

 

La biblioteca. In quasi diciotto anni di vita, quante volte c’era stato? Due? Tre? Poteva essere…giusto per baciare qualcuna delle sue ragazze intellettuali a cui piacevano posti strani dove fare certe cose. Ma questa volta era lì soltanto perché stranamente si sentiva sicuro, seduto nel lungo banco di legno proprio davanti ad una giovane signorina che stava seduta davanti ad un computer, e che ogni tanto gli lanciava un occhiata sospettosa…sì tesoro faccio anche io parte di questa scuola solo che non ci vengo mai qui. Ha ha.

 

Gli aveva sorriso non appena l’aveva sorpresa l’ennesima volta a fissarlo quasi facendosi cadere gli occhialetti dalla punta del naso. Spiacente tesoro! Ultimamente preferisco i maschietti!

 

E a proposito di maschietti… ^_^© quel tesoro di Squall lo aveva chiamato presto, non appena i centralini permettevano l’inoltrazione all’interno del garden delle chiamate esterne e gli aveva fatto un sacco di domande…Seifer gli aveva messo le mani addosso? Aveva fatti brutti  sogni? (A dir la verità ne aveva fatto uno piuttosto piacevole ma non lo ricordava sfortunatamente) Aveva mangiato? Era sempre stato in compagnia? Andava tutto bene? E un sacco di altre domande da vero fidanzatino apprensivo. Che dolce…soprattutto il modo in cui aveva iniziato a gridare insulti quando Seifer si era trascinato ancora mezzo addormentato accanto a lui e aveva gridato “Amore, non vieni a farti la doccia con me?” con fare provocante.

 

Meno male che si era subito (o quasi) reso conto che era uno scherzo.

 

Aveva rivolto un’occhiata al grosso orologio appeso sopra l’entrata nella biblioteca…quasi ora di pranzo, era rimasto seduto là un sacco di tempo e…quella signorina sembrava intenzionata a raggiungerlo e attaccare bottone.

 

Non gliene aveva dato il tempo naturalmente, si era alzato di botto chiudendo il libro e sollevando il cappello in segno di saluto in direzione della ragazza ed era uscito fischiettando con le mani in tasca. Era un maestro nel corteggiamento, ma era anche un grande maestro nel togliersi dai tre passi. Scusa tanto signorina della biblioteca.

 

Si era fermato appena all’uscita del corridoio guardando a destra e a sinistra…due ragazze del Fan Club di Quistis che giocavano a Triple Triad, un ragazzo seduto su una panchina con un libro e un altro ragazzo che arrivava a passo sostenuto dal giardino…nessun pericolo.

 

Nonostante tutto si sentiva nudo, così da solo…okey, ammetteva che probabilmente il giorno prima la sua immaginazione poteva aver impennato per conto suo, soprattutto dopo quei piccoli incidenti, e aveva immaginato tutto. Era psicologicamente stressato e forse doveva sul serio fare un pensierino sull’offerta della dottoressa Kadowaki sulle –quattro chiacchiere- due volte la settimana. Non c’era nulla di male no?

 

Fantasia o realtà non poteva rimanersene lì imbambolato, Squall gli aveva promesso un'altra telefonata verso le quattro del pomeriggio quindi non c’era motivo di andarsi a rinchiudere nella sua stanza, doveva andare in un posto pieno di gente e magari prendersi un panino.

 

Anzi…un gelato.

 

Di nuovo si era sorpreso a guardare con circospezione in tutte le direzione attento a chiunque passasse di lì… chissà se Seifer aveva già finito la sua visita? Il suo dito andava tenuto sotto controllo dato che la sua era una frattura scomposta ed era in infermeria già da un paio d’ore, Quistis era impegnata ancora in una riunione di aggiornamento e Selphie come al solito era  dispersa…ma era facile trovarla bastava seguire le urla.

 

Ed ecco alcuni strilli giusto nella direzione in cui stava puntando…una ragazza era fuggita dalla mensa con le mani sulla faccia e andatura barcollante e Selphie aveva fatto subito capolino con una mano davanti alla bocca e gli occhi vispi sgranati.

 

“IRVIEEEEEEEE!!!!^O^”

 

“Ehm…ciao Sel. Cos’è successo a quella poverina?”

 

“Nnniente.” Selphie aveva strascicato un piedino a terra stringendosi nelle spalle.

 

“Selphie!” l’aveva spinta dentro alla mensa con fare preoccupato copiando spudoratamente da Quistis quando sgridava l’amica, Selphie allora aveva ridacchiato tirando fuori la lingua.

 

“Se l’è presa tanto solo per un topolino bianco in tasca!! Sono cosìccarini i topolini! Non trovi? Gliel’ho solo fatto vedere!”

 

“Va bene…ti capisco. Anche io ho fatto scappare molte ragazze facendoglielo solo vedere… capita!”

 

“Oh oh oh Irvie-chan come sei maliziosetto oggi!” Selphie gli aveva dato una gran pacca sulla schiena che quasi lo aveva fatto tossire, aveva fatto però finta di niente e aveva preso il suo gelato usando la sua chiavetta. “Senti Irvie…ma allora tu e Seiffy avete dormito insieme?”

 

“Sì. Esatto.”

 

“Oooooh…ha cercato di coccolarti?”

 

“Ma no! Ehi Selphie…ma non sarai già ubriaca a quest’ora?” Le aveva dato un colpetto sul naso e aveva cercato un posto dove sedersi. Bè…in fondo un po’ si erano coccolati ma non era stato niente di sessuale, era stato solo un gesto di consolazione.

 

Ma Selphie… era un osso duro. Non lo avrebbe mollato finchè tutti i minimi dettagli non fossero stati svelati.

 

“Va bene, ti dirò la verità…”

 

“La verità la verità!”

 

“Prima mi ha strappato tutti i vestiti poi mi ha ricoperto di lubrificate al lampone e mi ha messo nella posizione 62 del Kamasutra dopodichè ha preso uno spazzolino da denti e…”

 

“Ohh Irvie! Mi stai prendendo in giro!”

 

“Esatto.”

 

“Cattivo!”

 

“Hahahahaah…”

 

“Non ridere! Mi devi dire tutto!”

 

“Hahaha!!!!”

 

“Oh uffa!”

 

Chi la dura la vince…

 

 

E infine rieccolo pericolosamente da solo. Magari Seifer se ne era tornato da solo nella sua stanza…visto che aveva la scheda magnetica di apertura di Squall. O forse era a spasso a importunare qualche studente…poco male lo avrebbe aspettato guardando un film magari. E poi non voleva perdersi un eventuale telefonata di Squall in caso gli fosse presa la voglia di chiamarlo prima…

 

Haaa voleva riaverlo subito fra le braccia, stringerlo fino a bloccargli il respiro e ripetergli mille volte che lo amava più di qualsiasi altra cosa al mondo e che era più importante della sua vita… invece aveva quasi abbracciato la statuetta a delfino della hall.

 

Evidentemente quasi tutti i ragazzi erano andati al mare perché non c’era quasi più nessuno, e visto che le lezioni non sarebbero ricominciate fino al giorno successivo ancora era inutile stare a bighellonare dentro al garden. Ma lui non sarebbe andato per niente al mondo…adorava quall’atmosfera intima. Ci fosse stato Squall quasi quasi gli avrebbe chiesto di farlo in ascensore.

 

E magari Squall gli avrebbe dato qualche schiaffo…accettando alla fine dopo qualche bacio.

 

Ho cavolo. Senza volere aveva passato la porta della sua stanza! Ecco cosa capitava ad essere innamorati, prima finisci abbracciato ad un delfino di marmo e poi dimentichi dov’è la tua stanza da letto.

 

E così si era girato per ritornare sui suoi passi e aspettare la telefonata del suo innamorato ma non appena si era voltato non ce l’aveva fatta a muovere un solo passo. Non riusciva nemmeno più a respirare dicendola tutta.

 

C’era una persona ad un paio di metri da lui. Una persona che conosceva benissimo. Ho…ma guarda era quasi bizzarra quella situazione, gli veniva da ridere. Sì, proprio da ridere e così aveva fatto. Aveva gettato indietro il capo scoppiando in una grossa risata, che non aveva nulla a che fare però con tutte le altre…questa gli faceva stranamente paura. C’era qualcosa di folle, e forse era stato quello a fargli staccare finalmente da terra la suola dei suoi stivali.

 

E già correva nella direzione opposta a quella figura. Si stava precipitando verso un vicolo cieco, lo sapeva, ma qualcosa dentro di lui gli impediva di fermare le gambe, forse perché era perfettamente consapevole che era inutile scappare.

 

Lo era sempre stato e sarebbe stato così per sempre.

 

Una frazione di secondo dopo che i suoi occhi avevano messo a fuoco la fine della sua fuga uno strappo doloroso gli aveva fatto scattare la testa all’indietro quando una mano si era chiusa intorno ai suoi capelli.

 

Dannazione lo sapeva che quei capelli gli avrebbero portato guai. Aveva gridato forte quando l’osso sacro aveva sbattuto sul duro pavimento, aveva alzato le mani stringendole entrambe intorno ad un possente polso umido, un altro strattone violento lo aveva ritrascinato in piedi di forza.

 

E di nuovo si trovava piantato addosso quegli occhi di brace, scuri e morti, senza un solo piccolo barlume di umanità Come sempre…come sempre.

 

“Sei diventato bellissimo bambino mio. Mi sei mancato così tanto.” Era come sentir parlare un incubo. Quella voce gli feriva le orecchie quanto delle unghie che graffiavano una lavagna… si sentiva strappare brandello dopo brandello come se un mostro lo stesse divorando vivo. “Vieni, dobbiamo far pace, mio piccolo amore. Vieni…passiamo un po’ di tempo insieme io e te.”

 

“…no.”

 

Era già davanti alla sua porta. Suo padre stava usando la scheda magnetica universale degli insegnati sul lettore e non appena la porta si era aperta con il suo leggero fruscio lo aveva gettato dentro.

 

Era piuttosto strano. Era come se la sua anima si fosse strappata via dal corpo e osservasse tutto dal di fuori.

 

Sentiva strane lamentose grida uscire dalla sua bocca, ridicolmente basse, si vedeva strisciare come un verme sul pavimento verso un angolo della stanza con gli occhi sgranati e piangenti fissi sulle mani di suo padre. Oh Dio no. Non ancora, non così.

 

E in un attimo la sua anima era stata di nuovo dentro di lui. Proprio nell’attimo in cui uno schiaffo rabbioso lo aveva colpito come un uragano facendogli sbattere la nuca contro al muro e spedendolo quasi nel mondo dei sogni e l’orecchio colpito dalla mano veniva riempito da uno strano fischio.

 

“Non saresti dovuto scappare!” suo padre lo aveva afferrato per la maglia tirandolo in piedi, un rumore di strappo aveva attirato la sua attenzione…accidenti la maglia preferita di Squall. Chissà se poteva ancora aggiustarla. “Hai visto il risultato? Hai un idea quanto io ti abbia cercato? Ora ti dovrò punire.”

 

“…nnh…” aveva scosso in fretta la testa cercando di stringere gli occhi per liberarli dalle lacrime…per lo più di dolore in effetti. Non aveva nemmeno paura, era più…un sentimento di vuoto dilagante che gli partiva dal petto. Papà. Martin. “…v..v…”

 

“Cosa c’è? Sai che dovrò punirti vero? I bambini cattivi devono essere puniti!” quello non era lo sguardo di un uomo normale. C’era qualcosa di molto più folle e pericoloso in quegli occhi…in passato era vi aveva visto solo crudeltà.

 

“VA AL DIAVOLO!” oh sì finalmente la voce era tornata? Non era più un bambinetto indifeso a faccia in giù sul letto. Gli aveva sferrato un calcio, con tutte le sue forze, proprio sopra al ginocchio…per un attimo l’uomo aveva barcollato e lui ne aveva approfittato per portare la mano alla fodera dove giaceva il suo fucile.

 

Ma non c’era nessun fucile là dove avrebbe dovuto esserci. Aveva abbassato gli occhi sulla fodera vuota mentre una strana assoluta calma scendeva su di lui. Gli era scivolato fuori dalla custodia quando era caduto la prima volta…ed ecco che la sorte di pistolero veniva a compirsi: separarsi dal proprio fucile avrebbe significato separarsi dalla vita stessa. Già.

 

“Irvine…lo sai…nonostante tutto rimani un debole mocciosetto buono solo…a scopare.” La sua mano gli aveva preso il viso alzandolo. Cosa cambiava? I suoi capelli erano più bianchi, il viso aveva alcune rughe sconosciute ma per il resto era come se il tempo si fosse fermato…ma del resto si sa che i mostri non invecchiano. I mostri vivono per sempre.

 

“Lasciami andare.” Ancora non voleva morire. Non poteva permettersi di abbandonare Squall…Squall era ancora così fragile…avrebbe pianto se lui fosse morto e non voleva farlo piangere. Povero Squall.

 

Il pugno allo stomaco era arrivato inaspettato, preciso… sarebbe caduto semi svenuto se solo quelle braccia solide non lo avessero bloccato circondandogli il petto. E adesso? Era di nuovo faccia in giù su un letto. Hahahaha. Tutto daccapo!

 

“NO!”

 

“No? Sta tranquillo Irvine non costringermi a picchiarti ancora.” L’uomo lo aveva voltato sulla schiena bloccandogli il petto con un ginocchio…aveva slacciato con velocità l’apertura dei suoi pantaloni da Cow Boy e si era spostato a cavalcioni sopra di lui.

 

Decisamente…c’era differenza da ora a quando era piccolo. Adesso avrebbe lottato fino a morire. E non c’era nessuno a chiuderlo nella lavanderia al buio perché le sue urla infastidivano chi nella casa dormiva. Aveva stretto forte i denti mentre il panico che lo aveva costretto all’impotenza pressochè totale fino a qual momento scivolava via sostituito da una carica di energia. Aveva piantato le mani sul petto di suo padre cercando di spostarlo, affondando le unghie nella carne sotto al tessuto dell’uniforme da insegnante mentre le sue gambe scalciavano impazzite nel tentativo di disarcionarlo.

 

“Sta fermo! Fermo!” lo sentiva digrignare i denti mentre continuava a spogliarlo sgraziatamente ferendogli la carne sui fianchi, aveva gridato ancora con tutte le sue forze…oddio era riuscito a tirargli giù i pantaloni fino alle ginocchia, e adesso stava cercando di strappargli letteralmente la maglia di dosso…

 

E gli aveva stretto il collo con una mano. Una sola mano e tutti i suoi tentativi erano andati all’aria. Quell’uomo aveva una forza mostruosa. Perfino Seifer avrebbe avuto problemi a scrollarsi di dosso un uomo del genere. Ma che importava…aveva spalancato la bocca cercando di risucchiare nei polmoni qualche piccola boccata d’aria ma sembrava un impresa impossibile…era un cappio saldo come l’acciaio.

 

In un ultimo barlume di lucidità, mentre suo padre iniziava già a sbottonarsi i suoi stesso pantaloni gli era quasi sembrato di sentire una voce chiamare il suo nome…erano gli angeli che lo chiamavano a loro?

 

Un ultima piccola lacrima gli era scivolata sulla guancia, fresca e leggera, mentre rivolgeva la sua mente a Squall…perdonami se puoi. Ti amerò lo stesso Squall, non sarà la morte a portarmi via da te…chissà se lo aveva sentito.

 

 

 

Quella donna se perdeva il posto da infermiera poteva anche andarsene a lavorare in un locale per sadomasochisti convinti…non era stata una semplice visita, aveva visto l’inferno vero e proprio e ora sapeva che Satana era una signora vecchiotta con un camice bianco.

 

Non era possibile sentire tanto male tutto in uno volta. Aveva estratto una sigaretta dalla tasca del suo soprabito e l’aveva infilata fra le labbra iniziando a palparsi le tasche dei pantaloni alla ricerca di un accendino…anziché una sigaretta desiderava cento volte di più un bel goccetto ma non si poteva avere tutto dalla vita.

 

Ora raggiungeva Cowboy prima che iniziasse a dar di matto di nuovo…accidenti a quell’accendino! Ogni volta lo perdeva, era peggio di Selphie la pazza, si infilava dappertutto. Aveva mormorato qualche insulto mentre già imboccava il solitario corridoio del dormitorio fino a quando un oggetto sul pavimento non aveva catturato la sua attenzione.

 

La sigaretta gli era caduta dalle labbra e l’accendino sul quale le sue dita si erano appena strette era rimasto nella tasca completamente dimenticato, ogni goccia del suo sangue era improvvisamente drenata verso il basso, nei piedi esattamente perché sentiva il vago bisogno di stendersi per terra e svenire.

 

Un fucile.

 

Anzi, non un fucile, bensì IL fucile di Irvine.

 

Aveva chiuso gli occhi tirando un lungo respiro, doveva recuperare la calma, solo un secondo per saldare le gambe e farle scattare fin verso il fucile, non si era fermato per raccoglierlo, si era soltanto abbassato di quel tanto per afferrarlo al volo e raggiungere la porta della stanza di Irvine.

 

In fin dei conti prima si era sbagliato, non aveva affatto visto l’inferno, quello che vedeva in quel momento era l’infermo mille volte peggio di come lo aveva immaginato nei suoi incubi.

 

Quel maledetto mostro era addosso al ragazzo, immobile come una statua di cera, quasi completamente nudo, la pelle bianchissima in netto contrasto con il rosso purpureo e quasi accecante del sangue che sembrava essere ovunque, sul viso, sulle braccia, sul torace…la mascella si era contratta tanto che aveva sentito i denti scricchiolare mentre un basso ringhio gli era gorgogliato nella gola.

 

C’era stato un breve contatto quando i suoi occhi per un attimo avevano fissati quelli stupiti e assolutamente folli dell’uomo, per un attimo aveva avuto paura, una paura primitiva…ma era bastato sentire il glaciale grilletto contro al suo indice e subito quella paura era svanita come polvere al vento sostituita da una gelida furia omicida.

 

“Ehi chi sei tu?…vattene…sei in tempo! Avrai un bel po’ di denaro se ti dimentichi di quello che…”

 

“Taci.” Sentiva quasi l’energia crepitare sulla pelle, un’energia oscura che gli stava facendo alzare il braccio, la canna luccicante del fucile ben allineata al centro della fronte del mostro. Non un solo piccolo tremolio scuoteva il suo braccio, sentiva acciaio liquido scorrergli nelle vene al posto del sangue, fino dentro al cuore. “Allontanati da lui.”

 

Quello che era stato un mostro ora era solo un cumulo di immondizia tremante, un povero animale che si stringeva in un angolo, credeva in quel modo di sfuggire alla morte? Aveva sorriso. “Irvine.”

 

Un debole piccolo lamento gli aveva risposto quasi subito, un impercettibile movimento del capo.

 

“Irvine devi dirmi che posso farlo.”

 

In risposta solo un altro lamento…ho no sbagliato Irvine, non c’era molto tempo e doveva farlo bene. Quindi… “IRVINE! DEVI DIRMELO.”

 

“Ehi ragazzi…andiamo…non vorrete…”

 

“Fallo Seifer.” L’aveva sentito davvero? Era stato solo un sospiro o l’eco dei pensieri di Irvine? Difficile capirlo…poteva essere forse la voce del suo stesso desiderio ma…bene, aveva avuto il suo permesso.

 

C’era stato un attimo di stasi nella quale aveva guardato in quei duo pozzi neri di ottusa follia. “Ci vediamo dall’altra parte.” Aveva sibilato prima di premere il grilletto.

 

Incredibile come in certi momenti il cervello mostrasse lo scorrere del tempo al rallentatore…il millesimo di secondo di assoluto silenzio perso nel fragore sordo dell’esplosione, l’odore di polvere da sparo che gli aveva fatto pizzicare il naso e subito dopo il silenzio vero, mentre il sangue scivolava giù dal muro in lenti serpenti resi grumosi dalle scheggio di osso e dalla poltiglia spugnosa della materia cerebrale…il corpo, con un tonfo sordo e pensante, era caduto sul pavimento a faccia in giù.

 

Fine.

 

Signore e signori quella era davvero la fine senza la minima possibilità di dubbio.

 

Fece l’ultima cosa che doveva fare, reso lucido dallo shock, aveva richiamato Diablos a sé, il suo GF…porta via per sempre nel buio quel mostro, lascialo affondare fino in fondo all’inferno dove nemmeno il diavolo vuole andare.

 

Quando aveva finito non rimaneva nemmeno il sangue, non c’era traccia di ciò che era successo. Come un incubo dal quale ci si sveglia improvvisamente. Seifer Almasy aveva finalmente vendicato se stesso e ridato una vita normale ad un altro uomo…ma ora, che cosa rimaneva della sua umanità?.

 

Era rimasto bloccato per qualche secondo, o qualche minuto, non sapeva esattamente, sentiva solo il cuore battere rumorosamente nel petto mentre una strana miriade di immagini comparivano e sbiadivano poi subito dalla sua mente…esami, guerre, amici, amore, odio.

 

Al diavolo! Aveva fatto la cosa giusta e ne era stato ancor più convinto quando aveva posato gli occhi sulla sagoma che si muoveva lentamente come una farfalla a cui hanno strappato le ali…aveva del sangue addosso era ferito. Solo che sentiva un gelido terrore al solo pensiero di COME avrebbe potuto essere ferito, era forse arrivato troppo tardi?

 

“Ehi Irvine…Irvine.”

 

“Seify.” Era solo stato un sussurro appena udibile ma era qualcosa di buono. Voleva fumare. Voleva essere in un qualsiasi altro posto, voleva nascondersi nelle braccia di qualcuno e piangere. Ma non lo avrebbe fatto. Invece cautamente su gambe di legno si era avvicinato ad Irvine che si stava alzando sui gomiti in un debole tentativo di coprirsi…lo aveva coperto lui con un lembo del lenzuolo già macchiato del rosso vermiglio del sangue.

 

“Ora stai calmo e fammi vedere dove sei ferito.” Aveva parlato in modo dolce cercando in qualche modo di abbracciarlo goffamente ma aveva quasi subito lasciato perdere dandosi dello stupido… forse ad Irvine non avrebbe fatto troppo piacere quel tipo di contatto fisico dopo quello che era successo, già… “Sono…sono….” Oh Dio. “Sono arrivato in tempo?”

 

Irvine aveva rabbrividito e aveva sbattuto le palpebre come per riprendersi da un sogno, lo aveva guardato con una strana incredula espressione sul pallido viso scioccato, si era passato lentamente una mano sul volto e l’aveva fissato. “No. Sì…mi ha soltanto dato qualche pugno.” La sua voce era troppo fioca e roca, stranamente tranquilla.

 

“Mh. Sicuro?”

 

“Non devi dirlo a nessuno. Io non lo dirò a nessuno…non devono sapere…prometti che non dirai niente…”

 

Si era lasciato finalmente scivolare a terra, aveva posato la fronte sul letto chiudendo gli occhi, improvvisamente esausto. “Come vuoi. Questa è una faccenda che riguarda solo te.”

 

“Se tu non fossi arrivato, lo sai cosa sarebbe successo?” finalmente una reazione sana e normale. Stava iniziando a piangere e singhiozzare fra un brivido e l’altro, ripiegato su se stesso. Un'altra volta si era sollevato con l’intenzione di abbracciarlo e un'altra non lo aveva fatto.

 

“Non ci pensare, non è successo. Non esiste più ormai…”

 

Forse era stato proprio quando Irvine gli si era avvinghiato al collo a spazzare via quella sensazione di essere fuori dal mondo, confinato in un'altra dimensione…o forse era stato il bacio dolcissimo che il ragazzo gli aveva posato sulle labbra a farlo ritornare.

 

Lo aveva stretto a sé e aveva aspettato che tutto quel dolore e quella paura scivolassero via con le lacrime…

 

Non si era quasi accorto delle mille volte che Irvine aveva invocato in un sussurro disperato il nome di Squall Leonheart, era troppo perso lui stesso a desiderare immensamente che Squall fosse lì.

 

 

 

“Pronto?”

 

“Devi tornare.”

 

“Sì, sto tornando, cosa…”

 

“Torna da me e tutto andrà bene.”

 

“Sì.”

 

“Starai per sempre con me.”

 

“Sì.”

 

“Già… lo sapevo, ti amo.”

 

“Ti amo anche io.”

 

 

 

 

Non lasciare mai che il tuo cuore perda la speranza

perché esiste sempre la speranza.

Non lasciare fuggire dalla tua anima la luce

il buio è troppo immenso da sopportare.

Non guardarti mai alle spalle

certe volte i ricordi sono troppo simili ai rimpianti.

Ama con tutto te stesso

perché solo amando continuerai ad esistere.

 

 

 

 

 

FINE.

 

 

TOT…oh è finito davvero. T_T è…proprio finito!!!! ^_^ ragazzi ormai ho perso il conto di quanto tempo sono su questa storia e di cose ne sono passate davvero tantissime, ma di certo l’affetto che provo per tutti quelli che hanno letto queste pagine non è cambiato! Posso solo dirvi grazie della pazienza che con me non è mai abbastanza. Un grazie grande come il mondo a Glen che continua a disegnare e assecondare le mie pazzie nonostante mi abbia conosciuta, un grazie inimmaginabile a Quis e Squacchan…non esisterebbe Yuna senza di voi! ^_^ E grazie ancora a tutti voi…*O* WAHAHAHHAHAHAH non è vero che è finita! Pensate possa far finire una storia in ‘sto modo così patetico?  è_é non mi conoscete abbastanza bene allora! C’è un altro capitolo miei cari…leggetelo o… ^_^ peggio per voi! ^*^ Baci Yunieeee

 

 

 



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