A te.

Per tutto quello che mi hai detto, mi dici e mi dirai.

E quello che tratterrai tra le righe degli scritti e i silenzi al telefono.

Per l’affetto che non merito. Cha a volte rifiuto, perché troppo grande e puro.

E caldo e rassicurante.

Per il tuo sorriso. Che so ad occhi chiusi brillare per le mie sparate.

E perché mi vedi anche quando paio scomparire dietro me stessa.

                                                                                                        Grazie.


A long time ago…

“Cosa fai?”

“guardo un libro, tesoro.”

“un libro… noia!”

“no, piccolo. Questo è un bel libro. Ci sono tante figure.”

“davvero? Vedere!”

“vieni qui……

… visto? Sono tanti disegni.”

“sono strani.”

“perché sono fatti da persone vissute tanto tempo fa e tanto lontano da qui. E sai, alla tua mamma piacerebbe un giorno farne uno così.”

“tu disegni bene! La tigre ha fatto paura a Kyuga-kun!”

“grazie, piccolo. Ma questi sono disegni particolari. Si chiamano ‘affreschi’.”

“feschi?”

“affreschi, Kaede. Affreschi”

“affeschi.”

“esatto!”

“E cosa sono gli affeschi?”

“Sono come tu immagini siano andate le cose, in un certo momento. O forse, come avresti voluto che andassero. Non certo come sono andate. Per quelle, ci sono le foto.”

“non capisco!”

“capirai un giorno. Capirai.”

 

Spirale

di aNonimo, Affresco, 19…, cm 2800x1500(*), Shohoku High school.

 

Il cielo è arancione, di un arancione quasi irreale, talmente è splendente e carico di promesse e calore. Sarà un’altra bella giornata. Respiri l’aria ancora fresca del mattino e ti concedi un minuto, prima della tua corsa. Sarebbe un bel paesaggio per il suo affresco, questo.

Magari con qualche pescatore in lontananza.

E una barca al largo.

Sicuramente senza quell’idiota dal capo chino, laggiù. Con i capelli che si confondono con l’arancione del cielo e le gambe con la sabbia scura. Verrebbe proprio un bell’affresco.

Oppure, sarebbe stato affascinante anche ritrarre la vostra vittoria con l’Aiwa.

Quella che non c’è stata.

Ma non è più tempo di indugiare, il sole è già oltre l’orizzonte.

                          E l’idiota ha rialzato il capo.                              

                                 Chi sa a che cavolo sta pensando.                      

 Forse, anche una vostra azione, tua e del deficiente, sarebbe un bell’affresco.

        Magari lo tramuterai in foto un giorno, dopo le vacanze….

E ora basta, Kaede. Ora corri. Che altrimenti lui ti raggiungerà.

 

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“Piano… piano… piegati ancora un po’, dai…”

“cazzocazzocazzocazzocazzocazzo…”

“ce la stai per fare, ancora un paio di centimetri!”

“bastabastabastabasta…”

“uno, solo uno”

…………….ARRRRGGHHHH!”

 

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 Inspira. Espira. Inspira. Espira.

 Piano. Piano.                            Pensa ad altro.

 Ascolta il mare qua fuori. Stai nuotando. Stai nuotando rilassato. Ci sono perfino dei pesciolini piccoli piccoli, lì. Magari, se sei veloce, riesci a prenderne una manciata -e chi c’è più veloce di te?- e a ridere del solletico che fanno alle mani. Tranquillo, sguazzi. Con gli altri. Che son venuti a fare una gita e a trovarti, che senza di te si annoiavano. Perché che divertimento c’è, senza te? E giochi e li spruzzi. E spingi a fondo Takamiya, che tanto torna su, come una boa. Magari, se lo convinci a star fermo per un poco, ci si appoggia sopra un gabbiano.

 Non sei qui.                             E non ti fa male la schiena.

 Non ce l’hai una schiena. Non esiste. Fino ad una settimana fa non esisteva, no?

Ti svegliavi, mangiavi, giocavi, vivevi e non ti ricordavi di averne una, no?

Ti muovevi, saltavi, tiravi craniate e strepiti e mica pensavi di averla e che si doveva muovere, no?

Volevi camminare per andare da Danny’s, e camminavi.

Volevi correre verso il cancello per non fare tardi, e correvi.

Volevi quel benedetto pallone e saltavi più in alto di tutti per ottenerlo.

Anche adesso. Adesso tu ti dimentichi nuovamente. Vuoi qualcosa e l’ottieni senza pensare a lei.

E sarai di nuovo libero.             Sarai di nuovo tu.

 

Inspira. Espira. Inspira. Espira.

                                                E spera che il sonno arrivi presto.

Perché di questo dolore, che ovatta pure il colore del cielo, non ne puoi più.

 

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 “Oggi stai andando alla grande!”

“pff.”

“Se continui così, ancora una settimana e sarai come nuovo! Bene, bene… vai! Come va? Ti fa male?”

“non credo. No.”

“cosa vuol dire ‘non credi’? O ti fa male o non ti fa male!”

“non mi fa male…. …. ………..

……….Credo.”

 

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Credo. Nemmeno sapevi esistesse la parola ‘credo’. Almeno rispetto a te, al tuo corpo. Che il tuo corpo è sempre stato ‘sicuro’, ‘certo’. Forse meno i tuoi pensieri, ma lui… lui no.

Che ti rispondeva sempre, pronto a far tutto. A saltare, a correre più veloce. A sperare.

Perché i tuoi pensieri sono sempre stati qualcosa di delicato, anche se resistente.

    Come una tela di ragnatela impregnata di rugiada.

Ma il tuo corpo, no.

Lui è sempre stato il robusto albero, in cui quella ragnatela era riparata dal vento e dalla pioggia battente.

Ora l’albero è spoglio.

E tu, spaurito ragnetto, penzoli in balia degli elementi e nemmeno ci credi più che la quercia tornerà a proteggerti.

E tutto ciò spaventa.

Che è strano. Perché, per te, la vita è sempre stato bianco e nero.

Che è stata sempre una conquista e una corsa in avanti.

Verso l’ennesima figuraccia,      verso il canestro.

E ora ti dondoli in un grigio di incertezze e timori.

E fai di tutto per restare fermo.

Perché non sai quando il dolore potrebbe tornare. Perché non ci credi più che non si ripresenterà di nuovo. È troppo forte nella tua mente il suo ricordo, troppo recente. E proprio non hai voglia di sfidarlo nuovamente.

E allora rimani qui, come un vecchio pescatore, a guardare il mare all’alba.

E a veder passare Rukawa.

Che è sempre più lontano. e ti viene il sospetto che forse non lo raggiungerai mai più.

Se mai hai avuto anche solo la vaga speranza di farlo.

Resta pure qui, vecchio pescatore stanco.

Peccato tu non abbia la canna da pesca.

 

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“Ok, ragazzo. Sei di nuovo a posto! Come nuovo! Domani mattina potrai tornare a casa.”

“Bene.”

“mi raccomando: non strafare subito. Anche se immagino sarai ansioso di iniziare a giocare! Ma, almeno i primi giorni, non esagerare!”

“va bene!”

“è stato un piacere. Mi raccomando, fa’ parlare di te anche alle selezioni invernali!”

“cercherò.”

 

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Come nuovo. Anzi, nuovo. Ti sei accorto che sei qualcosa di nuovo.

Un nuovo personaggio, saltato fuori per sostituire il vecchio, che ha abbandonato la scena da eroe.

Solo che tu non sei un eroe.

Fissi il mare, che da domani riprenderà le familiari sfumature di Kanagawa e pensi.

Che in questi mesi il tuo mondo ha fatto una capriola e un’altra ancora. E ora ti gira la testa e il tuo equilibrio è instabile.                                                                                               E non sai dove sei.

Alzi lentamente la testa verso il cielo, ad occhi chiusi. Ruoti adagio il collo e senti le cervicali.

Ti stiracchi pigramente e puoi contare ogni singola vertebra che si stira piano, con timore.

                                                                                                               E riverenza.

Stringi le labbra quasi inconsciamente e ti graffi la pelle con i denti, in attesa di un dolore che sai di provare; quasi per ricordo, più che per realtà.

 Le selezioni invernali.

                                                Il basket.

Non ci avevi ancora pensato, in questi giorni. Troppo preso a lottare contro il dolore e ad imparare di nuovo a camminare, a parlare e a dormire, senza che una fitta ti spaccasse in due in ogni singolo respiro.

 Il basket.

                                                Le selezioni invernali.

 

E tu?

Scuoti la testa, per scacciare il vuoto che la sta occupando senza il tuo consenso, ma proprio non ce la fai.

 E rimani lì a fissare il mare.

 E a sperare che il caso, nuovamente, decida per te.

 

Ma il caso può dare la stessa risposta due volte?

 

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“Ciao Capitano! come va?”

“bene! Scusa il ritardo, ma io e Ayako siamo stati trattenuti dal professore.”

“non c’è problema, tranquillo!”

“ci sono tutti?”

“Cosa c’è?”

“Sakuragi.

  non è ancora rientrato.”

“ma l’ho visto!”

“oh, a scuola c’era… ma qui non si è ancora presentato...”

“Sarà in ritardo. Sai come è fatta quella scimmia!”

….

.

“Ma è ancora la Scimmia?”

 

>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<

 

Le 14.55. Tra 5 minuti la campanella suonerà. E tu starai a chiederti per mezzora se andare o no. Per poi rimandare a domani.

Come hai fatto ieri.

       E il giorno prima.

E tutta l’ultima settimana.

Guardi fuori, come se la risposta che cerchi fosse scritta nell’erba del giardino scolastico.

Senti addosso lo sguardo del tuo vicino di banco. E ti vien voglia di voltarti e dire a Mito che va tutto bene, che sei il grande Tensai e che lo dimostrerai a tutti. E poi alzarti, strafottente come al solito. E tornare dove sai di dover tornare. Porre fine a questo viaggio di paranoie.

                                                                                                                        MA.

Inarchi lentamente la schiena, indolenzita dalle ore passate fermo al banco.

Tic.      tic.                   tic.                               tic.

Le tue ossa scandiscono il tempo del sospiro che ti sfugge, mentre chiudi gli occhi e ti bei del rilassamento che la nuova posizione ti concede. Con attenzione riabbassi il capo.

È normale essere indolenziti, ti dici.

Ma nemmeno ti ascolti, preso come sei ad analizzare ogni scricchiolio, ogni doloretto, ogni ricordo.

Troppo attento ai suoi segnali per ascoltare i tuoi.

Per ascoltarti e capire che hai una dannata voglia di tornare sul parquet profumato, smetterla di preoccuparti e tornare a sentirti vivo.

Un pensiero strano tesse un nuovo filo della ragnatela.

Il Tensai non sei più tu.

 

                                    Mi dispiace, Mito. Dovrai guardare la mia figura voltata ancora un po’.

 

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“Buongiorno Haruko.”

“buongiorno Sakuragi-kun! In ritardo pure tu?”

“già! Stamattina proprio non ne volevo sapere di alzarmi… mia madre, però, mi ha gentilmente convinto a venire…”

“gentilmente?”

“gentilmente.”

“beh, dai! Scommetto non sarà poi così male..”

“mpf! Una tortura.”

……

………

“Sakuragi-kun?”

“dimmi, Haruko-chan”

“Verrai agli allenamenti, oggi?”

“è tardi. Dobbiamo sbrigarci o saremo in ritardo. Ciao.”

 

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Guardi la partita quasi distratta. O forse ipnotizzata dalle movenze eleganti del tuo dio che sta di nuovo volando a canestro.

Lo guardi e non puoi impedirti di ammirarlo.

       Adorarlo e sospirarlo.

Eppure. C’è qualcosa che non afferri, a rovinare la scena. Un particolare diverso, fuori posto, che fa stonare tutto… una nota sorda e sottotono, che con la sua eco rovina la melodia.

La senti da un po’.

Da quando sono ripresi gli allenamenti dopo le vacanze e ancora non hai capito cosa voglia dirti. Sirena di allarme lontana, come di un’auto sotto il sole irreale di agosto.

Guardi i ragazzi giocare ancora un po’ e lasci vagare la mente, per una volta non concentrata su quello che hai davanti agli occhi e in ogni pensiero, sempre.

E ti ritornano in mente le parole di stamattina.

Quelle di Sakuragi.

Quel suo tagliare corto ed affrettarsi verso l’aula, così simile ad una fuga. Che è impossibile, perché non hai mai visto Sakuragi indietreggiare davanti a nulla, neppure davanti a una banda di teppisti, neppure davanti a giocatori temibili ed esperti.

Eppure.                  La sirena flebile e lontana si avvicina…

Ecco cosa manca. Manca lui.                                          Ti manca lui.

Ma non hai la minima idea di dove si sia cacciato.                                      E non solo fisicamente.

Tlon. Tlon. Tlon.

                         La palla rotola lontana.

 

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“Take-kun, posso chiederti un favore?”

“dimmi, Haru-chan.”

“mi potresti prestare il vocabolario di inglese per domani mattina?”

“sì, ma per favore ricordati di riportarmelo, che mi serve!”

“certo, tranquillo fratellone! Grazie!”

“e la squadra?”

“bene, bene. Sono tutti in forma!”

“davvero? Bene! E la Scimmia rossa si è ripresa del tutto?”

….

“che c’è?”

“non è ancora tornato agli allenamenti.”

“ah.

.

..

…. Tranquilla, gliel’avrà ordinato il dottore. Non credo che ci sarebbe altro modo di allontanarlo dal campo!”

“Già.”

..

.

>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<

 

Già. Lui non è tornato agli allenamenti. Lui non ha urlato, quando ti ha visto. Non si è perso in quei larghi sorrisi che ti ha sempre regalato. Lui è scappato davanti alle tue domande. Lui, lui, lui.

Ti rivolti nel letto, ma il suo viso non lo scordi. I suoi occhi neppure.

Che una volta parevano di un bambino. Che stamattina parevano la campagna in autunno, quando la terra è spoglia e i più romantici paiono perdere la speranza di una nuova primavera.

E tu sei molto romantica. Ma di un romanticismo infantile e sciocco e non ti riconosci in questo pensiero lontano dal tuo candore e dal tuo ottimismo.

Ma che, ora come ora, ti appare estremamente vicino alla sua figura che si allontanava cauta lungo il corridoio. Al suo sguardo, non più così vivo come lo ricordavi.

E non riesci a scacciare         il suo tono, calmo e distante.

E non riesci a farlo suo, che un tono così non avresti mai creduto possibile appartenere a Sakuragi.

E ti rendi conto che non lo vorresti mai aver sentito, percepito, respirato.

E che sei preoccupata per lui.

E ti senti di nuovo seduta sugli spalti a guardarlo combattere contro avversari più forti di lui.

E il dolore.

 

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“Hana?”

“dimmi, Yohei.”

“quando riprenderai gli allenamenti?”

“il dottore ha detto.”

“so perfettamente cosa ti ha detto il medico. Ma sei a casa da più di due settimane.”

“Hana?”

“dimmi.”

“li riprenderai mai?”

 

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Niente. Nulla.

Di varcare quella soglia non se ne parla.

 

Stamattina ti sei svegliato e hai detto basta.

Hai detto ‘ora vado e la smetto di preoccuparmi, di pensarci.

Vado e gioco.

Vado e entro in palestra e prendo la palla e corro e mi lancio in un Dunk.

Vado e tutto sarà dimenticato, sarà il passato.’

 

E ora sei qui. A un metro dalla soglia della palestra.

E senti il pallone rimbalzare, le scarpe stridere e i ragazzi gridare entusiasti.

Lo puoi vedere, il Tensai che più non sei, guardarti beffardo da lì.

E darti del codardo, dello stupido. E entrare e sparare cazzate a destra e manca. E insultare Miyagi, far incazzare Ayako e picchiare il Volpino. 

Che l’hai pure visto, ieri, per i corridoi. Ma hai fatto finta di nulla e cambiato strada, per evitare il suo sguardo cattivo e freddo. Che semplicemente ribadiva quello che ha sempre pensato di te. Do’aho.

Non sei contento, Rukawa? Alla fine avevi ragione tu.

Ti volti e piano fuggi verso una qualsiasi salvezza.

Che sai già non troverai.

 

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“Ciao.”

“ciao, Akagi. Come mai da queste parti?”

“avevo bisogno di parlare con mia sorella. Come stai?”

“Bene.”

“quando torni a giocare?”

“il medico mi ha detto di prendere le cose con calma.”

“capisco. E da quando fai le cose con calma?”

“Senti… niente. Devo andare.”

“Sakuragi.”

“hn? Cosa c’è?

“che succede?”

“Niente, Gori.                                                                          Niente.”

 

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Tua sorella si è scordata di riportarti il dizionario di inglese. Di nuovo. Sbuffi e ti avvii verso la sua aula, sapendo già che la troverai immersa in confidenze con le sue amiche. Che ti guarderanno impaurite e divertite allo stesso tempo.

Chiudi un attimo gli occhi e te li massaggi con una mano, in un gesto di stanchezza e sopportazione assieme. E, quando apri gli occhi, lo vedi.

Guarda fuori, verso il cortile. Ma in realtà si vede benissimo che sta guardando dentro. Dentro di sé. E hai quasi un brivido di paura. Perché non pensavi avresti mai visto una scena del genere. Non da lui. Non in questa vita.

Ti senti impotente e pure incazzato. Come un padre. O un fratello maggiore. O forse, solo come il maestro che vede il proprio discepolo migliore buttarsi via, vittima di fantasmi che non capisci. Che non puoi capire. E che paiono veramente terribili attraverso quelle spalle incurvate, quegli occhi che non sono lì.

Ma tu non li capisci, e allora ti chiedi perché non riesca a cacciarsi tutto oltre. Perché non torni a fare ciò per cui è nato. E un milione di altri perché che rimangono sospesi tra di voi, nell’aria fresca di ottobre che entra dalla finestra che lui ha aperto, ma che fissa, in trance.

Ha paura. Finalmente la chiave.

                        Ha paura.              E tu non puoi che averne per lui.

 

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“Fatto, ragazzo. Sembrerebbe tutto a posto!”

“bene.”

“allora… come va? Ripresi gli allenamenti? Tutto ok?”

“nh. Sì, tutto ok.”

“bene, bene! Direi che ora non c’è più bisogno di controlli settimanali. Ci rivediamo tra un mese! Così sarai come nuovo per la selezioni invernali!”

“va bene. …                                                                bene.”

 

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Cosa diavolo ci fai qui? Cosa?

Eppure non riesci a staccare gli occhi. Non a muovere un muscolo. E ti vien voglia di gridare. E i bambini continuano a giocare. Ti accorgi di ogni canestro che non sarà segnato. E le tue gambe d’istinto scattano. Come se non avessero mai fatto altro.

Ti senti diviso, a pezzi. Perché le tue gambe, le tue braccia non fanno altro che voler raggiungere quel pallone. Ma la tua schiena, no. Lei vuole rimanere qui, al riparo.

E la tua testa non sa chi ascoltare.

È l’ennesima falsa partenza. E ti stai rassegnando all’idea che non ce ne sarà più una valida.

Dove cazzo sei finito?

Dove è finito il tuo spirito, la tua forza, la tua speranza?

                                                                                               

            Dove sei, Hana?

 

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“Ciao. Come va?”

“bene. Voi?”

“manca un mese al torneo.”

“ce la farete.”

“no. E lo sai.”

“non è tornato?”

“no. E ormai so che non tornerà mai.”

“in fondo lo capisco. Sai… dopo il ginocchio, io.”

“lo so.”

“è che, proprio per questo, mi fa incazzare da morire!”

“possiamo fare qualcosa?”

                                                “non lo so. Proprio non lo so.”

 

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Cammini piano verso casa. Gli occhi socchiusi, la camminata lenta. Oggi all’allenamento siete impazziti di fatica. Ma sorridi, perché finalmente non stai più buttando via la tua vita. E automaticamente pensi a Sakuragi. Al fatto che neppure oggi si è ripresentato. Che in fondo lo capisci… e no. Perché tu volevi solo giocare e dimostrare a tutti che eri il migliore. Ma lui?

Attraversi il parco ancora pieno di ragazzini che giocano. Anche a basket. E lo vedi. Anche da lontano ti appare stanco, come se avesse su di sé l’intero peso del mondo.

Ma c’è l’ha ancora un mondo?

Domanda stupida, senza senso. Eppure non puoi far a meno di pensare che, come per tutti voi, per lui, fosse il basket, il mondo. E non è ancora tornato agli allenamenti.

Ti incazzi ed è fortunato che tu non gli sia vicino ora, perché un bel pugno dritto in faccia non glielo leverebbe nessuno. Che conosce la tua storia, che deve sapere a cosa porterà a tutto questo. Deve.

Che non può fare come hai fatto tu. Che non può avere davvero tutta questa dannata… che?

Paura?             Delusione?                  Amarezza?

Che cazzo hai, Sakuragi?

 

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“Ciao, Scimmia!”

“Ciao, Mitsui.”

“che cavolo ci fai qui, a quest’ora? E soprattutto, perché cazzo non ti sei ancora presentato agli allenamenti?!?”

“il medico ha detto di riprendere con calma”

“Ok. Ma sei a casa da due settimane e non sei nemmeno venuto a salutare in palestra! Che cazzo di comportamento è? E poi, almeno potresti riprendere con alcuni esercizi! “

“lo so”

“Tra poco ci sono le selezioni e se continui così.”

“lo so.”

“non sarai mai in forma in tempo.”

“LO SO.”

“e allora cosa diavolo stai aspettando?

“cazzo vuoi, Mitsui!?!”

“l’ispirazione? Vuoi creare suspance?”

          “dacci un taglio!”

“che credi? Di poter arrivare quando tutti non ci conteranno più, per fare un’entrata degna del Tensai?”

         “CAZZO MITSUI!”

“Cazzo tu, Sakuragi. Che.. ti dobbiamo venire a prendere di peso in aula?!”

.

..                                 

“ e se così fosse?”

..                                     “ci verremmo. Ci verrei.”

..

               

                                                 “allora è un peccato, che forse io non sarò lì.”

….

“Hana.”

“ci vediamo, Mitsui.”

 

>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<

 

Lo rivedrai? Lo rivedrai mai in campo, con te? A prendere i rimbalzi e a rassicurarti che andrà tutto bene e che vincerete?

Fino a due settimane fa nemmeno ti sfiorava questo pensiero. E ora ti fai queste ed altre domande, mentre distratto guardi la tv. E hai capito.

        Ha paura.

 

Che non ci puoi quasi credere.          Ha paura.

Hai paura, per lui.                                       Ci crederesti?

 

Ok. Basta. Basta pensare. Basta farsi seghe mentali. Non te dovrebbe nemmeno fregare nulla, ma visto che te ne frega, allora agisci.

E vedi di tirare fuori quell’idiota da ovunque si sia nascosto.

E ora chiama Akagi. Che è l’unico che ti può aiutare.

E ti vien da ridere. Che si possono contare sulle dita di una mano le volte che gli hai chiesto (e che lui ti ha offerto) aiuto. Ed è ancora più buffo che ora tu lo faccia per un idiota che, fino a 3 mesi fa, consideravi a stento un essere umano. Per non parlare di un giocatore di basket….

 

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“Moshi moshi, casa Akagi”

“Buonasera, cercavo Takenori, sono un.”

“ciao, Mitsui. A cosa devo l’onore?”

“devi aiutarmi.”

“diretto come sempre. Che vuoi?”

“Dobbiamo parlare con Sakuragi. Parlare veramente, intendo.”

“e per dirgli che?”

“per chiarirgli un paio di cosette. Tipo che è un idiota pauroso e che deve tornare in campo.”

“robetta da nulla, insomma. E perché io e te?”

“semplice. Io so cosa ha passato. Tu sai come prenderlo.”

“c’è qualcosa che non hai già pianificato?”

“intendi dire che ci stai?”

“perché no… in fondo ho un po’ di tempo libero nei prossimi giorni… allora, che dobbiamo fare?”

“veramente questo speravo me lo dicessi tu.”

 

>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<

 

Che fare?

Ci stai pensando da un paio d’ore, ormai. Da quando hai chiuso la telefonata con Mitsui e hai deciso di aver studiato abbastanza per oggi.

Che se ci pensi è buffo. Che Mitsui ti abbia telefonato per chiederti una mano.

Per Sakuragi.

Sembrerebbe quasi una scena surreale, ma.

Ma c’è stata quella partita. LA partita.

E più niente è stato come prima.

Che è quasi una fortuna, visto che avete imparato un sacco di cose. E tu e Mitsui vi siete capiti e rispettati, forse per la prima volta.

Eppure. Eppure in quella partita un guaio è successo…

E si torna al problema.

Come far capire ad un testone, idiotissimo stupido che?

Sai che le parole non possono bastare. Almeno, non del tutto.

E allora ricorrerete alle maniere forti.

 

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“Sakuragi, vieni con me. Ora.”

“cosa vuoi, Akagi?”

“che tu mi segua. Adesso.”

“ehi, non c’è bisogno di ordinamelo! Che maniere!! Io.”

“taci e seguimi.”

“mollami, mollami! Dove cavolo stiamo andando? Che cosa vuoi?! È la pausa pranzo! Mi devo nutrire! Gori dacci un taglio, lasciami il braccio…..

“che diavolo ci facciamo qui?”

“ci facciamo che adottiamo le maniere forti.”

“Mitsui? Che cazzo volete voi due, ora?”

“Tieni”

“una palla? Che cazzo vuol dire? Si può sapere che diavolo vi è preso?!”

“Siamo stufi di vederti così, Scimmia. E, visto che tu ti pari incantato, abbiamo deciso di scantarti a modo nostro. E ora starai chiuso in palestra fino alla fine della pausa pranzo. O fino a che non ti sentiremo usare quella maledetta palla.”

“cooooosa? Ma siete impazziti! Voi non potete farlo, non pote.”

“ci siamo rotti il cazzo di vederti strisciare, Hana! E visto che con te le parole sono inutili...”

“ciao, Sakuragi. Divertiti.”

 

>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<

 

Silenzio. C’è un gran silenzio in palestra. Non te ne eri mai accorto, ma sa essere un luogo molto quieto, alle volte.                                             Forse è per questo che piace tanto a Rukawa.

Guardi il canestro. E la palla che hai tra le gambe, lì seduto sulla linea dei tiri liberi.

È un bel posto. Non te lo ricordavi così grande. Ma forse perché c’era sempre qualcuno con te, o eri troppo concentrato per accorgertene. E troppo stupido.

E ora?

ora c’è il silenzio.

                            Ma a te non è mai piaciuto il silenzio.

E allora, piano, inizi a palleggiare lì, seduto.

Come un bambino sul tappeto della propria camera.

Forse il dolore tornerà. Ci penserai allora.

Ora pensa solo che sei tornato a casa.

 

>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<

 

“Allora sfaticati!! Avete battuto la fiacca mentre non c’ero, vero? Si vede da come correte piano! Lumache… guardate me! Visto Haruko?? Il Tensai è il più veloce!”

“Sì, Sakuragi-kun, ho visto. Sei bravissimo”

“oh, harukina…”

“Dacci un taglio, cretino!! E corri!!”

 

>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<>>o<<

 

Lo osservi correre, mentre ancora bisticcia con Miyagi. E non riesci a reprimere un sorriso.

Il quadro è di nuovo completo e la nota stonata ormai si è spenta, sostituita da quella più argentina della sua voce.

L’osservi, troppo felice di rivederlo lì, per accorgerti di tutto il resto, e lo vedi di nuovo vero. Vivo.

Ma.

            Ma i suoi occhi sono un po’ diversi.

Non più quelli di un bambino fiducioso. Hanno un’ombra scura, sullo sfondo, che li rende più profondi. E ti sei accorta che ti piace ogni giorno di più guardarli assumere tutte le espressioni che solo loro sanno possedere.

                        E che ogni giorno di più, vuoi preoccuparti per lui e proteggerlo.

 

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“Teme kitsune addormentata! Il tensai è tornato!! Inizia a tremare!”

“Taci Idiota. E allenati.”

“Stupido freezer non darmi degli ordini! Non ho bisogno che tu me lo ricordi, scemo d’un pupazzo di neve con uno scopettone in testa!”

“cretino. Piantala di distrarti che hai cinquantamila cose da fare.”

“tranquillo. Le farò tutte. Non me ne perderò nessuna.”

“sarà anche meglio. Sono stufo di immaginare affreschi, io…”

“eh????”

“Rukawa, torna qua! Non mi ignorare! Stupida kitsune, come ti permetti di ignorare il Tensai dei Tensai…..”

 

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Alla fine è tornato tutto come prima.

Dopo che, per settimane, ti chiedevi se sarebbe mai tornato nei tuoi affreschi.

Dopo che ci avevi rinunciato, non riuscendo a capire cosa riuscisse a trattenerlo.

Di nuovo tu, lì davanti, e lui dietro, a imparare tutto da capo e a urlarti che ti batterà.

        Che farà quello che fai tu, che arriverà dove arriverai tu.

Anzi, un passo, un centimetro, un respiro più avanti.

Siete di nuovo al punto di partenza.

Eppure.

Eppure lo vedi che è diverso da 5 mesi fa. Lo vedi che solo sembra, uguale.

Ma che in realtà non è tornato esattamente nella stessa posizione di prima, nell’affresco.

Nessuno di voi lo è.

E ti viene un pensiero buffo. Un pensiero sui cosiddetti ‘cicli della vita’. Che non siano dei cerchi, ma.

Una lenta ed enorme spirale che parte e si allarga.

E che, anche quando vi sembra di essere lontani da casa, vi tornerete.

E che, anche se pare siate tornati al punto di partenza, in realtà vi siete spostati un poco.

            Pronti per un nuovo affresco.

Buffo. Rassicurante.                                                               

Bello.

 

Ma ora corri, Kaede. L’idiota ti sta per superare!

 

>>o<<>>o<<>>o<<OWARI>>o<<>>o<<>>o<<

 

 

(*) nota del sottotitolo: ovvero 28m x 15m, le dimensioni di un campo da basket regolamentare.

 

Un Grazie a Mel e alla sua 'Calore'. Per aver risvegliato il mio gusto per le cose semplici.

E a chi non mi ha mai creduto, nel bene e nel male.

 

 


 

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