Raiting: da PG a NC17
Trama: Nella NY dei nostri giorni un uomo perseguitato dagli spettri che lui stesso si è scelto.
Beta: la mia twin Ewyn, a cui sono immensamente grata
Ringraziamenti: a Ewyn e Dhely, per avermi sopportata, supportata e soprattutto incoraggiata.

 


Spettri

di Taurie

*fic scritta per il progetto letterario "Morceaux"

 

La vecchia donna meticcia dalla pelle scura, ma con i capelli rossi, legge il futuro in un oscuro seminterrato del Village.
Sean va da lei una volta al mese, sempre con la stessa domanda. La donna scuote la testa, tira fuori un consunto mazzo di tarocchi e dispone la ruota celtica.
Gira le carte una alla volta, parlando con voce monocorde, poi, con un sospiro rassegnato, gira l'ultima.
Le Stelle.
"Fai attenzione, o un giorno i tuoi spettri ti divoreranno...".
Sean la guarda dubbioso: "... pensavo fossero un buon presagio...".
"Ogni carta ha un doppio significato.".


ieri sera ore 23.00
Era una notte buia e tempestosa.
Che cazzo di banalità!
Sean si diede dell’idiota per un’immagine così scontata.
Quello era un accidenti di diluvio, e lui ci stava proprio sotto, inzuppato come un pulcino, nel suo abito sartoriale da 4.000 dollari; per tacere delle scarpe, fatte a mano, a Parigi, da un’artigiana italiana. Le scarpe di Olga completamente rovinate. Al paio costavano più del vestito, anzi, quasi il doppio. Lui volava due volte l’anno apposta a Parigi per farsi prendere le misure. Due paia nuove ogni sei mesi.
Inspirò a fondo, cercando di riportare un po’ d’ordine nei suoi pensieri: non poteva andare avanti così, non avrebbe risolto nulla.
Ovunque fosse, se voleva trovare Jaiden, doveva procedere con logica: fare un giro dei posti in cui andavano di solito. Forse l’avrebbe trovato e allora…
Allora…?
Allora gli avrebbe parlato e…
Contrasse le narici, la pioggia profumava di mughetti appassiti. Sentì un brivido salirgli lungo la schiena, che nulla aveva a che fare con i suoi abiti impregnati d’acqua, e ricordò le parole dell’indovina.


un anno fa
Robert lo aspettava con un paio dei suoi uomini in un magazzino. Il pavimento di cemento ruvido e sporco era appena visibile nella luce fioca. Qualcuno giaceva a terra dietro di loro.
Erano cresciuti insieme, lui e Robert. Stessi quartieri malfamati, stessa fulminante ascesa. Nel bene e nel male. Il boss della malavita e il raffinato letterato, collezionista di prime edizioni. Luce e ombra. Ognuno con la propria parte.
“L’hai già ucciso?”.
Robert sorrise: “No, aspettavo te – si rivolse ai suoi uomini – tiratelo su!”.
L’uomo a terra fu afferrato sotto le ascelle e sollevato.
Sean trattene il respiro: “… Faccia d’Angelo…”.
Robert sputò per terra: “Proprio lui! Infame! Traditore! Ci aveva venduti tutti! Tu saresti stato solo un avvertimento…”.
Sean chiuse gli occhi. Quasi poteva sentire la musica che usciva dalle porte dell’Hotel Crillon, il rumore delle automobili. Rivedeva i lumi di Place de la Concorde e se stesso inginocchiato per terra, estraneo a tutto, con Brian fra le braccia, gli occhi morti che lo fissavano. Sapeva di essere vivo solo per errore, perché lui si era trovato davanti al mirino, per sbaglio. Quello non era più vivere, era sopravvivere.
“La sua vita è mia!”.
Robert annuì. Le sue labbra si tesero in un freddo sorriso e gli porse una pistola. Sean scosse la testa: “Ho il mio coltello, Robert, come ai vecchi tempi. Datene uno a lui. Deve avere una possibilità di difendersi”.
Faccia d’Angelo lo fissò con disprezzo, lui non gli avrebbe mai offerto un’occasione. A Sean quasi venne da ridere: sapeva che quella non era un’opportunità, era un omicidio, in ogni caso.
Che strano, un’ora fa ero in un’elegante libreria, a disquisire con un gruppo di studenti di letteratura, di Henry James e di The Bostonian, e ora sto per uccidere un uomo, se volessi potrei essere nell’appartamento del biondino seduto in prima fila… Di sicuro mi avrebbe offerto un the, e ci sarebbe stato il servizio di porcellana dei suoi antenati su un tavolo di cristallo, e i cucchiaini d’argento e le pinze per le zollette…
Due minuti dopo il coltello di Faccia d’Angelo cadde a terra, e lui scivolò in ginocchio, le mani strette contro lo squarcio sulla gola che vomitava sangue. I quattro uomini rimasero ad osservarlo morire soffocato, poi Robert diede l’ordine di liberarsi del cadavere.


tre mesi fa
Un quartetto d’archi suonava discretamente.
Sean sospirò.
Non aveva ancora deciso se gli piaceva o gli dava ai nervi.
Nel frattempo un cameriere solerte l’aveva accompagnato fino al tavolo del suo ospite.
Robert si alzò sorridendo per salutarlo.
Sean notò che il tavolo era apparecchiato per tre.
“C’è anche Amanda?”.
“No. Un mio nuovo collaboratore.”.
Sean stava chiacchierando quando lui giunse.
“Sean posso presentarti Jaiden…”.
Sean trattenne il fiato. Jaiden sorrise freddo.
“… è il nostro ultimo acquisto, master in economia ad Harvard…”
Cosa diavolo blatera…?
“E così lei è il famoso amico romanziere.”
Sean annuì. E capì che era già fatta.
Quando portarono il caffè gli fece scivolare il proprio biglietto da visita in mano. Jaiden annuì. Robert finse di non notare.
Il tonfo sordo delle zollette nelle tazze era quello della ruota del destino che si metteva in moto.


quattro mesi fa
Sean era già annoiato.
Guardava il ragazzo seduto di fronte a lui…
Serge
… che giocherellava con la confezione delle zollette e parlava di qualcosa di futile.
L’aveva incontrato fuori dalla Virgin, più che altro si erano scontrati, un maledetto ragazzino in skateboard, con i jeans strappati.
Due parole, un paio di sguardi, la banale scusa di un caffè, sapevano entrambi come sarebbe finita.
“Non metti lo zucchero nel caffè?”.
“Eh…? No. Non mi piacciono le cose dolci”.
Bene, Sean annuì.
“Neppure a me… andiamo?”.
Un’esitazione impercettibile e poi un cenno di assenso.
Non gli piacevano davvero le cose dolci, o meglio non più, gli ricordavano lui che, invece, era così goloso. Tante immagini gli tornavano alla mente: lo sbuffo di panna montata sulla punta del naso, un bacio allo zucchero a velo, la ciotola di zollette di zucchero, lui che le prendeva dalle sue dita con le labbra…
Serge si era fatto una doccia e se ne era andato.
Piuttosto seccato. Avrebbe potuto aggiungere.
Sean aveva rifiutato di appuntarsi il suo numero di cellulare, e tanto meno gli aveva dato il proprio.
"E' stato tempo speso bene, nient'altro.".
Il ragazzo lo aveva fissato offeso.
Non ferito.
Era un uomo che sapeva sempre trovare i tipi giusti, e nessuno rimaneva ferito; magari l'orgoglio sanguinava un po', ma il cuore non era un oggetto che restasse coinvolto nei suoi giochi.


il mese scorso
Sean fissava il soffitto della stanza, e non pensava a nulla.
Ecco, un attimo di pace, e come me ne accorgo finisce…
Voltò piano la testa per guardarlo.
Giaceva sdraiato sulla schiena, gli occhi chiusi e il respiro affannato che andava lentamente quietandosi.
Lo ammirò.
Ammirò la perfezione del ginocchio piegato, la mano dalle dita lunghe poggiata sullo stomaco, la pelle lucida di sudore, quasi traslucida. Restò incantato dalla pelle sottile delle palpebre, abbassate sugli occhi, e dalle ciglia nere e folte... e si scoprì a desiderarlo ancora, addirittura a desiderare di capirlo un po' di più.
Jaiden aprì gli occhi, non sorrise. Restò lì, come in attesa di qualcosa.
Sean sentiva il respiro diventargli pesante nel petto, e parlò nell'unica lingua che in quel momento conosceva.
Una mano decisa sul fianco: un muto messaggio.
Un obbedire altrettanto silenzioso.
E poi fu solo piacere da prendere.
Caldo e stretto.
Qualcosa che faceva perdere la ragione, e poi la faceva ritrovare. Un ritmo come una danza. 
Gli era sempre piaciuto condurre, ma non aveva mai trovato qualcuno che, invece di limitarsi a farsi guidare, sembrava indovinare la sua meta. Qualcuno che traesse piacere dall’essere lì giusto un attimo prima di lui, pronto ad anticipare il passo successivo.
Fu come un dejà-vu trovarsi a respirare affannosamente uno accanto all'altro per la seconda volta.
Poi muto come era arrivato, Jaiden, se ne andò.
Appena un cenno.
Sean si chiese se avesse sognato tutto.
Solo le lenzuola sconvolte testimoniavano la sua presenza lì.
Non sei la mia Ellen... chi sei?

Come colto da un attimo di follia fece una cosa per lui assolutamente inusuale: chiamò il suo fiorista, e gli fece mandare un mazzo di rose gialle.
Sul biglietto nient'altro che la sua firma. 


tre sere fa
Sean sedeva sul divano, lo sguardo perso nel buio, oltre i vetri coperti di goccioline di pioggia. La cravatta, un nodo scomposto, sul tavolo. Tra le sue mani una prima edizione di The Age of Innocence. I polpastrelli vagavano lungo il dorso del volume. Sono come Newland quando riceveva le sue casse di libri dall’Europa… ma lui stava per sposare May, mentre Brian è morto, al mio posto, e ora con chi cerco di sostituirlo?
Tutta la mia vita è stata vissuta all’ombra di questo racconto…

Il suono fastidioso dell’interfono interruppe i suoi pensieri cupi.
“Si…?”.
“Signore… la signorina sta salendo…”
Il portiere…
“Grazie Harold”.
Sean non si mosse, si limitò ad attendere. Amanda fece il suo ingresso quasi subito. Le porte dell’ascensore ad incorniciare la sua figura.
Sembrava quieta, non felice, ma stranamente in pace.
Insolito.
“Buonasera, mia cara.”.
Lei fece appena un cenno con la testa, poi precipitosamente chiese:
“Posso restare? Non disturbo…?”.
Sean scosse la testa e le fece segno di sedersi accanto a lui.
Amanda si avvicinò veloce, le lunghe gambe fasciate dalla gonna nera a tubo, così simile ad una pantera di fumo. Passavano gli anni e lei acquisiva sempre più bellezza, nella stessa misura in cui perdeva “umanità”.
Gli si accoccolò contro posandogli la testa sulla spalla e raccogliendo le gambe sotto il corpo.
Sean le accarezzava la nuca fissando le scarpe dai tacchi sottili abbandonate sul pavimento.
Come posso amarlo, come potevo amare Brian, se la mia Ellen sei solo tu?
La mano dell’uomo continuava a carezzava la nuca pallida, giocando con i capelli sottili che sfuggivano allo chignon.
Ricordava una nuca identica, capelli altrettanto sottili, ma corti.
Anche a Parigi era notte, allora. L’ultimo giorno di carnevale. Le feste nei grandi alberghi, il Ritz, il Crillon… uomini e donne in abiti scuri, quasi severi, con maschere folli, uscite da sogni ed incubi, si aggiravano per le sale, sotto cascate di cristalli, guadando pavimenti che ormai erano una palude di stelle filanti, maschere, sciarpe. Sull’entrata del salone lo aspettava lui, sorridente come la sfinge, ma ancora mascherato. Sean aveva sorriso in risposta, fendendo la folla, fino ad arrivare a cingergli la vita…
“Sean…”.
“Si, Amanda…”.
“…”
“Dimmi”.
“Mi ha chiesto di sposarlo”.


ieri sera ore 22.00
Sean era appoggiato ad una delle colonne dell’atrio. Era arrivato circa venti minuti prima ed era entrato da una porta secondaria. Se c’era una cosa che riusciva ad annoiarlo più di una serata di beneficenza, era la ressa che c’era all’ingresso. Sperava che Robert e Amanda arrivassero presto, ma soprattutto sperava di avere informazioni su Jay da loro. Non aveva notizie di lui dalla sera del disastro. La stessa in cui Amanda era venuta a dirgli del matrimonio. Lui stava sul suo divano a crogiolarsi nella propria stupidità… sto mandando a puttane la mia vita… e ora voleva rimediare in qualche modo.
Nel tardo pomeriggio era andato a farsi leggere le carte, aveva bussato alla porta, ma nessuno aveva risposto. Si era accorto per la prima volta che il legno su cui poggiava la mano era gelido… che strano… poi era passata una donna che gli aveva chiesto cosa stesse facendo, le aveva risposto, seccato, che cercava la signora che abitava lì. Alla sua risposta la donna aveva scosso la testa rassegnata e gli aveva detto di aspettare. Era tornata poco dopo con un mazzo di chiavi e ne aveva infilata una nella toppa. La porta si era aperta su un muro di mattoni rossi
Fai attenzione, o un giorno i tuoi spettri ti divoreranno...
Sean aveva appoggiato le mani sul muro, incredulo.
“La Signora le leggeva il futuro?”:
“Si… come lo sa?”.
La donna aveva alzato le spalle: “Succede sempre: passa qualche anno, poi arriva qualcuno come lei che la cerca… qui al Village non ne parlano volentieri, ma tutti la conoscono… credo che non la rivedrà più… nel bene o nel male.”.
La donna aveva chiuso la porta, e se ne era andata, lasciando Sean solo sul marciapiede.
Ora aspettava appoggiato ad una colonna.
Finalmente vide spuntare dal fondo del corridoio Robert. Al suo braccio Amanda che sorrideva, e gli si fece incontro.
“Ciao Sean… sembri cupo…”.
“No… scusa Amanda vorrei parlare un attimo con Rob…”.
Robert scosse la testa: “Non serve, non so dov’è: mi ha detto ieri che se ne andava, credo non lo rivedremo più…”.
Sean impallidì.
Fai attenzione, o un giorno i tuoi spettri ti divoreranno...
Fece un passo indietro, poi si voltò e fuggi fuori, senza curarsi della pioggia torrenziale che cadeva…


oggi ore 1:00 (maiuscola)
Sean uscì dall’ascensore desiderando solo una doccia calda.
Aveva girato tutti i locali che avevano frequentato insieme. Nessuno l’aveva visto. Doveva essere già partito… perso per sempre
Un attimo!
Sean sobbalzò, lui non aveva certo lasciato tutte le luci accese quella sera prima di andarsene. Scese rapidamente gli scalini di marmo candido che dall’entrata portavano nell’atrio ed attraversò le doppie porte del suo studio preparandosi al peggio: il furto dei suoi volumi rari, la prima edizione di The Age of Innocence persa…
Invece tutto era al suo posto. Tutto tranne qualcuno che si era addormentato sul suo divano aspettandolo.
Sean trattenne il fiato chinandosi e sussurrando il suo nome: “Jaiden…?”.
Il giovane sbatté gli occhi. Sembrava un gatto assonnato. Sorrise.
“Scusami Sean, volevo lasciarti un biglietto e andarmene senza disturbarti, ma quella donna ha insistito tanto perché passassi e ti portassi un messaggio, poi mi devo essere addormentato… Comunque ti do la tua lettera e me ne vado subito. Non intendo…”.
“Quale donna?”.
“Una vecchia donna di colore, mi ha detto di conoscerti, e mi ha pregato di portarti una sua lettera. Aveva un non so ché… non sono riuscito a dirle…”.
“… no.”.
“Esatto…”.
Sean sospirò: “Posso vedere la lettera?”.
Jaiden estrasse da una delle numerose tasche dei suoi pantaloni una busta.
Sean la soppesò un po’ tra le ditta prima di aprirla. Conteneva una carta dei tarocchi. Ne osservò il dorso, passando i polpastrelli sui bordi usurati, poi la voltò.
Gli occhi di Sean si allargarono dalla sorpresa, e l’emozione gli fece cadere di mano la carta che finì sul pregiato tappeto accanto ai piedi di Jaiden che si abbassò a raccoglierla.
“E’ molto bella… cosa significa?”.
“Tutte le carte hanno due significati Jay… ma questa, stasera, è un buon presagio…”.
“Bene… sai che quella donna non mi ha detto il suo nome?”.
“Neppure io lo conosco… i nomi conferiscono potere, mi ha detto…”.
“Interessante… a questo punto io…”.
“Jaiden…”.
“…”.
“Vorrei parlarti… vuoi ascoltarmi?”
“Si…”.


adesso
“…mhh… dove siamo…?”.
Sean torse il collo per leggere il numero sulla pensilina dell’hotel.
“62… 62 Madison Avenue. Perché?”.
“Ho fame, tu no?”.
Sean sorrise, sì. Certo che aveva fame, eccome.
“Beh, qui c’è un bar… ti va?”.
Jaiden guardò la tendina parasole verde con le bandiere attaccate, e la doppia porta in vetro e sorrise.
“Certo!”.
Dentro era il classico posto dove si andava per mangiare, non per farsi vedere. Un bancone lungo e basso con gli sgabelli, tre lunghe file di tavoli, sedili rivestiti di pelle verde scuro. Un uomo di colore piuttosto robusto, dietro il bancone, fece loro un cenno di saluto.
Presero posto ad un tavolo lungo il muro, mentre una cameriera con i capelli sale e pepe e un’improbabile permanente gli lasciava i menù plastificati.
Dopo aver ordinato rimasero a fissarsi in silenzio, Sean sorrideva giocherellando con il contenitore dello zucchero sfuso. Gli piaceva il peso dell’oggetto di vetro bombato e scanalato, contro il palmo della mano, il beccuccio di metallo da cui uscivano i cristalli bianchi che scomparivano nell’alta tazza di caffè scuro…
“Cosa ti fa tanto sorridere?”.
Sean sobbalzò alla domanda, cosa avrebbe potuto rispondere? Che sorrideva perché non c’erano quelle maledette zollette? Perché nella luce di quella domenica mattina in cui la città sonnecchiava gli sembrava che i fantasmi di Ellen, Newland e May, che avevano ossessionato tanta parte della sua vita, si fossero finalmente dissolti? Nulla di tutto ciò.
“Sorrido perché sono felice, qui… e ora”.