Disclaimers: tutti i personaggi appartengono agli aventi diritto.  Un mega  grazie a Najka che mi ha fatto da beta reader ^_^

 

 


Sorprese alla festa di Pasqua

di Korin

 

Un suono sinistro, simile ad un uno stridere metallico, cominciò ad attraversare l’etere già di prima mattina, filtrando attraverso la porta dell’ufficio contabilità. Durante il giorno della chiusura mensile dei conti, il personale dell’Enma-cho aveva preso la buona abitudine di rendersi praticamente invisibile, lavorando in perfetto silenzio, muovendosi in punta di piedi ed evitando con cura di passare di fronte all’ufficio di Tatsumi, nella speranza che questo bastasse a salvarli dalla sua ira.

Quando l’ “attentatore del bilancio” cominciò ad avanzare nel corridoio con passo incerto e l’aria terrorizzata, in molti scossero sconsolati la testa, provando una sincera compassione nei suoi confronti.

Lo shinigami incriminato rimase immobile davanti alla porta dell’inferno per qualche minuto, paralizzato dal terrore, poi con un infinito slancio di coraggio girò sui tacchi in un estremo tentativo di fuga.

“Tsuzuuuuukiiiiiiiiiiiiiii!!!!!!!!” latrò il segretario.

Il suo ruggito pressoché demoniaco paralizzò il colpevole, impedendogli perfino di voltarsi a fronteggiare il collega. Un braccio saettò dalla soglia afferrandolo per la collottola come un cucciolo,quindi lo trascinò impietosamente all’interno. I più vicini all’ufficio contabilità si permisero di tirare un lungo sospiro di sollievo e stoicamente ripresero a svolgere i rispettivi compiti..

L’ora e mezza successiva fu un susseguirsi di strepiti indecifrabili e lamenti sempre più flebili; quando finalmente cadde un silenzio irreale, lo shinigami venne brutalmente cacciato dall’ufficio, inseguito dagli ultimi, sfiniti, rimproveri dell’impiegato. Il personale continuò a lavorare come nulla fosse; dal canto suo Tsuzuki passò i due giorni successivi a farsi venire i lucciconi agli occhi alla minima occhiata del suo collega e a rimuginare abbattuto sulla sua miseria.

 

***

 

“Ciao, Tsuzuki.”

Lo shinigami sentì un brivido mortale corrergli lungo la schiena e deglutì a vuoto. Tatsumi sorrideva, terribile, agitando leggermente delle preziose buste istoriate. Qualcuno tra i presenti sorrise in modo un po’ tirato, intimidito dall’ira non ancora sopita del segretario.

“Perché siamo tutti qui?” chiese d’un tratto Watari, come nulla fosse.

Tatsumi gli gettò un’occhiata in tralice, ma poichè lo stralunato inventore non dava alcun problema in termini di budget, il suo animo parve placarsi un poco.

“Perché domani è Pasqua.” annunciò serenamente.

“E allora? Che ce ne facciamo di un’usanza europea?” sbottò Hisoka.

“Ma come!” esclamò Wakaba “A Pasqua ci si ritrova, si fa festa…ci si scambiano le uova di cioccolato!”

Con aria estasiata gettò un’occhiata implorante a Terazuma, il quale si limitò a sbuffare seccato, per poi brontolare qualcosa.

“E per primo plenilunio dopo il solstizio abbiamo un extra come incentivo…” mugugnò Watari con un cacciavite tra i denti, mentre rigirava tra le mani un aggeggio non ben identificato.

“Extra…” sospirò Tsuzuki.

“Tu, *ovviamente*, avrai lo stipendio ridotto.” ringhiò il segretario, raggelandolo con un’occhiata velenosa.

Lo shinigami guaì pietosamente e sospirò depresso.

“Bene, come dicevo domani è Pasqua.” riprese Tatsumi, mentre cominciava a distribuire gli inviti “Quindi il Conte ha deciso di organizzare una festa al Palazzo delle Candele.”

 Tsuzuki osservò con una certa apprensione la busta che aveva in mano. Lo spessore era superiore rispetto a quello delle altre e il suo nome era stato scritto a lettere dorate un po’ barocche.

“Ahhhhh!!” strillò Yume “E’ per stasera!! E’ magnifico!”

L’invito era un scritto su un bel foglio di pergamena ornato da disegni fiorentini, assolutamente inoffensivo e *molto* sottile. Tsuzuki deglutì a vuoto, senza trovare il coraggio di aprire la sua busta.

“Che fai Tsuzuki, non lo leggi?” cinguettò Saya.

“Ehmmm…”

Con le dita che gli tremavano lo shinigami ruppe il sigillo di ceralacca ed afferrò un lembo arrotondato che sporgeva misteriosamente. Sollevò l’invito srotolandolo in tutta la sua lunghezza, scoprendo che era tagliato a forma coniglio seduto sulle zampe posteriori e adorno delle fotocopie di tutti i suoi debiti. Dalle zampette anteriori pendeva, dondolando allegramente, un vivace, microscopico perizoma scarlatto, con tanto di codina a batuffolo.

“No.” piagnucolò Tsuzuki e poi scoppiò in un pianto dirotto “Booohhhh –ooh non ci voglio venireeeeeee!!!!!”

Udita questa affermazione a dir poco scortese, Tatsumi lo afferrò per il colletto della camicia, gli puntò il cacciavite di Watari alla gola e assunse la sua espressione più spaventosa.

“Tsuzukiiiiii!!!!!!” ringhiò “ Il Conte ha detto che pagherà almeno i conti di questo mese se ci vai, quindi non farmi perdere la pazienza.”

“Buaaaaaahhhh…sei un mostro!!!” continuò a frignare l’altro “Non voglioooooo!!!!!”

“Benissimo.”

Il kageshi gettò il cacciavite al collega, quindi incrociò le braccia sul petto e raddrizzò la schiena, il viso atteggiato nell’espressione temibile di chi sa di avere già la vittoria in pugno. .

“Questo significa che per recuperare qualche soldo sarò costretto a toglierti i buoni pasto per due mesi.” piegò le labbra in un sorriso perfido “Due mesi che, a fronte del tuo stile di vita dispendioso, potrebbero dilatarsi fino a diventare tre…o anche quattro, ho tutto il tempo decidere.”

Tsuzuki tirò su col naso, troppo terrorizzato per proferire alcun che.

“Bene, vedo che cominci a ragionare.”

Lo shinigami, appiattito contro il muro, annuì frettolosamente.

 “Ci troveremo tutti all’ingresso all’ora stabilita. Vi auguro una buona giornata.”

Quando il segretario lasciò la stanza Saya e Yume cominciarono a saltellare urlando, stringendosi l’invito al petto, troppo vicino a Terazuma, che temendo il peggio si allontanò di qualche passo.

Wakaba sorrise, poi con le dita incrociate dietro la schiena si avvicinò a Tsuzuki

“Pensa che bello, non hai nemmeno il problema di trovarti un cavaliere!”

Usò un tono di divertita cattiveria e senza badare all’espressione tirata dell’altro, gettò un’occhiata a Terazuma che continuava a far finta di niente

“Io invece…” mugugnò.

“Se vuoi ti accompagno io.” biascicò Watari, con del cavo elettrico tra i denti.

Una cartelletta piena di documenti attraversò  all’istante  la stanza diretta contro viso dell’inventore, il quale, dal canto suo, non fece che spostare la testa di qualche centimetro e lasciare che l’oggetto atterrasse sul naso di Tsuzuki, riversando poi a terra un fiume di carta bollata. Mentre il Gushoshin maggiore, depredato del suo preziosissimo faldone, con il becco aperto e gli occhi sgranati lottava disperatamente per convincersi che quanto era successo era in realtà un incubo, i più saggi si defilarono in tutta fretta. Solo Watari, spinto da un profondo senso di pietà, raccolse quello che restava di Tsuzuki  e se lo trascinò dietro, sottraendolo almeno all’ira del colto pennuto;  lo sapevano tutti: se qualcosa andava male nella gestione della biblioteca, la colpa era sempre di Tsuzuki.

 

Wakaba, avvolta in un vestito di voile dai toni rosa e gialli, saltellava allegra cercando di afferrare i petali che di tanto in tanto attraversavano la cancellata del Palazzo. Il Conte aveva fatto le cose per bene, facendo sì che il parco fosse straripante di piante fiorite e profumate.

“Ahhh uffa! Perché non arrivano?” borbottò.

Si voltò per vedere se finalmente Tsuzuki stesse arrivando, ma ancora una volta le sue speranza andarono deluse. Sospirò stanca e ricominciò a lisciare gli orli dell’abito..

“Insomma basta! Lasciatemi in pace!” sbottò seccato Hisoka.

Da che era arrivato si stava difendendo accanitamente da Saya e Yume, ben decise a infilargli una mantellina rosa con tanto di orecchie da coniglio uguale a quella che indossavano loro.

Watari, appoggiato al muro di recinzione, sbuffò annoiato, il Gushoshin minore lo imitò poco dopo.

“Mai una volta che sia puntuale.” si lamentò.

L’inventore avrebbe voluto ribattere che Tsuzuki aveva le sue buone ragioni per tardare, ma visto che il suo collega aveva debiti anche con i bibliotecari pensò che fosse saggio non aggiungere altro. Infine alle orecchie del gruppo giunse un lamento straziante e ben noto. Tatsumi comparve, avvolto in un elegante trench, trascinandosi dietro Tsuzuki, che puntava a piedi a terra come un mulo riottoso. Lentamente, tra minacce ed insulti, il kageshi riuscì a portare il collega di fronte al cancello.

Tsuzuki tirò su col naso, cercando inutilmente un po’ di comprensione da parte degli altri. Il cancello finalmente si aprì  e dal viale si cominciò ad udire un suono di campanelli.

Di lì a poco infatti eleganti calessi trainati da cavalli bianchi bardati a festa si fermarono di fronte agli ospiti. Sul primo sfavillava la figura del Conte, con addosso un costume francese di fine ‘700 in seta dorata e una maschera bianca che suggeriva un che di veneziano.

“Ohh Tsuzuki!” urlò balzando a terra.

Lo shinigami tentò di trovare rifugio da qualche parte, ma il nobile fu lesto come un gatto.

“Sono contento che tu abbia accettaturgh…”

Il tentativo di tastare il sedere del suo ospite con la scusa del benvenuto venne brutalmente sventato dalle dita rapide del segretario, che gli pizzicò il dorso della mano senza troppo riguardo. Gettò un’occhiata feroce all’impiegato, non traendone però alcuna soddisfazione..

Gli altri nel frattempo si erano già accomodati sui sedili e chiacchieravano eccitati, quindi chiamarono a gran voce i ritardatari. Il Conte scrollò le spalle: la serata era lunga. Consegnò ad ogni gruppo di partecipanti una mappa e una lanterna, quindi con un sorriso sornione che nessuno faticò ad immaginare, informò i loro ospiti che chi tra loro sarebbe arrivato per primo al palazzo avrebbe ricevuto un regalo sontuoso. Gettò un’ultima occhiata a Tsuzuki, nascosto dietro le spalle del segretario e quindi scomparve ridendo in un turbinio di caramelle e stelle filanti, mentre il cancello si richiudeva pesantemente..

“Lo sapevo che c’era la fregatura.” brontolò Hisoka, guardando sospettoso il viale che improvvisamente aveva perso ogni attrattiva “Cavolo.” concluse sbuffando, mentre scartava imbronciato una caramella che gli era caduta in grembo.

Tatsumi sospirò, rassegnato. Avrebbe dovuto immaginare qualcosa di simile; si aggiustò gli occhiali sul naso e voltò il viso per guardare il suo compagno da sopra la spalla.

“Hai intenzione di restare lì ancora per molto?” ringhiò.

Tsuzuki uscì dal suo rifugio, guardandosi rapidamente intorno.

“ Sbrigati a salire, gli altri se ne sono già andati.”

Una volta accomodato in cassetta, Tatsumi affidò le briglie al collega e prese la mappa dalle sue mani.

“Cosa avrà in mente quell’uomo stavolta?” brontolò l’impiegato “Ogni volta che veniamo qui ne ricaviamo solo guai. “

Mentre l’altro studiava la carta, Tsuzuki dovette ammettere con se stesso che la sua vicinanza gli causava ancora una certa emozione. Il suo abbandono ingiustificato lo aveva ferito e lo aveva gettato nello sconforto per lungo tempo, eppure non aveva percepito il distacco profondo che sarebbe stato logico prevedere; infatti, per quanto facesse e dicesse, Tatsumi non aveva mai smesso di preoccuparsi per lui.

Un urlo pressoché disumano li scosse dalla contemplazione della cartina e tra uno sfolgorio di lampi fucsia e nuvole di glitter  dorato videro in lontananza Watari e i Gushoshin che cercavano di sfuggire ad un improbabile dragone cinese color pervinca.

“Ahhhh.” sospirò Tatsumi, scuotendo la testa “Lo sapevo.”

Smontò dal calesse e cominciò ad arrotolare la cartina, confortato solo dal fatto che sarebbe riuscito a racimolare qualche soldo per sanare il bilancio.

“La carrozza fa troppo rumore.” sentenziò “Andiamo a piedi.”

Tsuzuki annuì sospirando. L’idea di fare tutta quella strada non gli piaceva ma era certo che se non avesse ubbidito il segretario lo avrebbe lasciato lì a cavarsela da solo. Tatsumi percorse con decisione solo un tratto del viale, poi trascinò il suo compagno di ventura in una fitta macchia  di magnolie.

“Certo che fa davvero le cose in grande!” brontolò mentre cercava di orientarsi tra gli alberi carichi di fiori bianchi.

Tsuzuki guaì appena, a testa bassa. In cuor suo avrebbe preferito rimanere nascosto tra le piante fino al giorno dopo tuttavia si guardò bene dall’esprimere quel pensiero.. Si strinse nel trench, sospirando. Il sole era calato da un pezzo e cominciava  a fare freddo. Il kageshi brontolò qualcosa, quindi lo prese per un braccio e lo trascinò con sé.

“Mai che quell’uomo organizzi qualcosa di normale!” ruggì “Scommetto che non vede l’ora di venirti a salvare da chissà quale diavoleria!”

“Eh?”

Tatsumi era talmente furibondo che non udì nemmeno quel monosillabo e continuò imperterrito la sua marcia, gli occhi sulla cartina e le dita strette con forza attorno al braccio del collega. Al limitare degli alberi finalmente cominciarono a scorgere le luci del palazzo.

“Eccoloooo!Eccoloooooooo!!!!!!!!!”

Saya passò come un fulmine di fronte a loro, seguita a ruota daYume e da Hisoka; tutti e tre stavano cercando di sfuggire ad un branco enormi, paffuti, rapidi  e inquietanti conigli giallo limone. Tsuzuki sbatté le palpebre, sfoderando un’espressione tra l’ottuso e il rassegnato.

Il segretario sospirò affranto e si maledisse per esserci cacciato in quel guaio. Se non avesse acconsentito a trascinare con sé il suo collega ora avrebbe potuto starsene in pace nella sua casa. Gettò un’occhiata rapida al suo compagno e di nuovo si materializzò nella sua mente la pila di fatture di quel solo mese, quindi decise stoicamente che quel sacrificio era davvero minimo a fronte del vantaggio che ne avrebbe tratto. Gettò un’occhiata cauta lungo il viale, cercando di cogliere qualche particolare che potesse rivelargli dei pericoli incombenti. Sbuffi dorati tra le cime degli alberi segnalavano la furia inalterata del bizzarro drago color pervinca, ma erano troppo lontani perché dovessero preoccuparsi. Tatsumi avanzò, lentamente, tenendosi lontano dalla luce dei lampioni ottocenteschi che illuminavano il viale. Temeva qualche altro tiro mancino ora che il cielo si era completamente oscurato. Gettò un’occhiata alle proprie spalle, per controllare se il suo collega gli stesse vicino. Socchiuse gli occhi vedendolo con le braccia strette attorno al corpo..

“Hai freddo, Tsuzuki?”

Colto alla sprovvista dal suo tono di voce gentile, lo shinigami lo guardò perplesso..

“Ah…un po’.” biascicò, imbarazzato.

Il segretario scrollò le spalle e inaspettatamente gli prese il viso fra le mani.

“Sei gelido.”commentò distaccato

Tsuzuki si tirò indietro e sorrise a disagio.

“L’aria è un po’ fredda, non è niente.”

L’impiegato gli diede all’improvviso le spalle, come se avesse udito qualcosa, poi sbuffò.

“Facciamo in fretta, sono stanco di questo posto.”

Tsuzuki sospirò sommessamente e si affrettò a seguirlo.

Finalmente, quando arrivarono al portico del palazzo, il kageshi si concesse un’esclamazione liberatoria. Si sistemò con gesti rapidi il trench, controllò che le sue scarpe fossero ancora lucide, quindi si voltò verso il collega. Tsuzuki stava ripulendo impacciato il bordo dell’impermeabile dalle foglie. Tatsumi piegò all’insù un angolo della bocca, vagamente intenerito. Rapido allungò una mano e gli afferrò il mento, quindi con l’altra gli ravviò i capelli arruffati liberandoli da qualche petalo che vi era rimasto impigliato; Tsuzuki non cercò di sottrarsi a quel gesto di ruvida tenerezza, rimase immobile, con l’animo in subbuglio, aspettando che terminasse di rassettarlo. Il segretario sorrise apertamente notando le occhiate furtive e cariche di apprensione che gettava al palazzo.

“Non preoccuparti.”

“Come?”

L’impiegato gli batté piano le mani sulle spalle.

“Gli impedirò di andare troppo oltre, sta tranquillo..”

Lo shinigami arrossì appena e chinò gli occhi, di nuovo a disagio.

“Sì…grazie.”

Tatsumi si sistemò gli occhiali sul naso con un gesto distratto, quindi sfoderò la sua espressione arcigna e bussò con forza alla porta, che ruotò sui cardini al primo colpo. Entrò con decisione, seguito da uno Tsuzuki più guardingo che mai. La festa era sul punto di cominciare e le ragazze stavano ridendo tra loro gettano occhiate cariche di desiderio a delle enormi uova infiocchettate. Erano gli ultimi. Allarmato da qualcosa di indefinibile, l’impiegato si guardò intorno, inquadrando subito il Conte che stava già insidiando Tsuzuki. Si schiarì rumorosamente la gola, raggelando il nobile.

“Abbiamo un accordo.” disse in tono professionale.

Senza nemmeno rimettere al loro posto le mani, il padrone di casa scrollò le spalle.

“Sì…ma se il primo ha diritto ad un premio, chi arriva ultimo paga pegno” ribatté seccato, quindi sogghignò sotto la maschera “Il contratto parla chiaro.”

Il suo tono canzonatorio e maligno allarmò l’impiegato-

“Quale…contratto?” sibilò.

“Quello che ha in tasca.” rispose l’altro con aria di sufficienza.

Tatsumi estrasse la mappa, quindi la scrutò con attenzione.

“Non vedo clausole e non è mai stato firmato.”

“Guardi meglio.”

Il kageshi si irrigidì, sentendosi beffato;  mise il foglio controluce: i termini del contratto erano scritti in  filigrana, praticamente invisibili. Ringhiò, poi agitò il foglio  nervosamente.

“Non è firmato:”

“Chi lo sa?” bisbigliò il Conte, mentre la mano destra scivolava pericolosamente verso il coccige della sua vittima.

Il segretario impallidì e atteggiò le labbra in una smorfia. Saggiò la carta con le dita, sfregandola tra pollice e indice.

“Lei…” ringhiò.

Il Conte dal canto suo gli rise in faccia, mentre Tsuzuki guaiva pietosamente.

“Lo avete firmato nel momento in cui lo avete toccato, mi stupisco che *lei* non se ne sia accorto.” lo canzonò “Quindi…”

Gli occhi dell’impiegato si ridussero a due fessure.

“Faccia come vuole.” sibilò “Vorrà dire che sarà il *nostro* accordo a risentirne.”

Il nobile si irrigidì, brontolò, infine sbuffò sconfitto. Tsuzuki fece per liberarsi, ma le mani del nobile non abbandonarono la presa. Gettando un’occhiata al suo collega, lo shinigami scoprì inorridito lo sguardo predatorio di un impiegato con la possibilità di risanare almeno  parte del bilancio. Si chiese preoccupato se Tatsumi avrebbe onorato la promessa che gli aveva fatto o se lo avrebbe lasciato completamente in balia degli eventi.

“Allora?”

“Le fatture dal primo di  gennaio alla fine dello scorso mese.”

“Coosa?! Stai scherzando!”

L’impiegato si sistemò gli occhiali, con fare calcolatore.

“Niente affatto.” le lenti colsero uno strano riflesso, dando al suo sguardo una parvenza omicida “In questo modo i debiti di Tsuzuki aumenteranno ancora, quindi anche la sua necessità di essere *riconoscente*.” concluse, marcando il tono sull’ultima parola “Ci ha pensato?”

Tsuzuki comprese di essere in trappola, senza nessuna via di fuga; cercò di divincolarsi ma il nobile lo tenne ben fermo mentre con un cenno del capo indicava Watson che reggeva un vassoio d’argento con adagiato sopra un blocchetto degli assegni..

“E allora Tsuzuki.” sussurrò quindi  benevolo il padrone di casa “Che ne dici di venire di là e farmi un po’ di compagnia?”

Tatsumi gettò appena un’occhiata alle sue spalle quando senti Tsuzuki strillare disperato. Lo shinigami si era letteralmente aggrappato ai tendaggi mentre alle sue spalle il Conte gli sussurrava continuamente qualcosa, che probabilmente aveva a che fare con la “cosa” brillante di paillettes che faceva capolino da una tasca della giacca settecentesca. Brontolando si versò un bicchiere di Porto rosso e si voltò ad osservare la tragicommedia che si stava svolgendo nella sala. Dopo una lotta serrata ed inutile, Tsuzuki venne pietosamente salvato da Wakaba che lo reclamò come cavaliere per il valzer. Dal momento che anche Saya e Yume decisero di provare il valzer, il segretario giudicò che sarebbe stato al sicuro abbastanza  a lungo per concedersi un po’ di respiro. Abbandonò la sala di soppiatto e una volta in corridoio sospirò, stanco. Camminò tranquillamente, gettando occhiate distratte ai quadri e ai mobili antichi. Si fermò di fronte all’ingresso della Sala delle Candele. Le ricche porte intarsiate erano aperte, mostrando migliaia di ceri che ardevano in perfetto silenzio. Con passo lento superò la soglia e rimase ad osservare le fiamme che bruciavano ogni secondo la vita degli uomini. La sua attenzione fu attirata da una fiamma che si stava lentamente spegnendo nelle ultime gocce di cera liquefatta. Si chinò per osservarla. Gli uomini avevano una visione così distorta delle cose da aver reso la morte qualcosa di mostruoso e tragico, se avessero potuto percepire da vivi la quiete che irradiava dalla fiamma, la loro esistenza sarebbe stata sicuramente abitata da meno fantasmi. Quando il fuoco si spense sfrigolando, Tatsumi avvertì una pace profonda, la tranquillità di chi è arrivato alla fine di un lungo viaggio. La cera rimasta si consumò all’improvviso avvolta da avide lingue fiammeggianti di un incredibile colore viola. L’impiegato quindi si voltò, senza fretta, avvertendo una presenza alle proprie spalle. Il Conte era poco distante da lui, incredibilmente altero e nobile, come mai lo aveva visto.

“Amo questa sala, per quanto sia doloroso soggiornarvi.”

Avanzò di qualche passo per avvicinarsi ai lumi, mentre la seta dorata della giacca raccoglieva la luce in un incanto cangiante.

“I vivi ignorano troppe cose, le loro paure avvelenano le fiamme…solo  quando le candele arrivano a consumarsi i loro occhi si aprono.” intrecciò le dita “Le fiamme si colorano e la candela finisce di bruciare profumando di mirra e di fiori e questo mi è di conforto, anche se non cancella il rammarico per gli uomini, che si dibattono in lotte prive di senso per cose che abbandoneranno non appena varcheranno la soglia.”

Tatsumi annuì, osservandolo con circospezione.

“E voi shinigami non siete poi molto diversi dai vivi, che si fanno condizionare da troppe cose.”

Il segretario aggrottò le sopracciglia, con la netta impressione di aver fatto un errore nell’allontanarsi dalla sala. Il Conte gli gettò un’occhiata tagliente attraverso la maschera e le candele d’improvviso cambiarono posizione e forma. Il nobile ne indicò un gruppo in particolare, dai colori tenui e sfumati.

“Quelli siete voi, nel Meifu.”

Tatsumi cominciò ad avvertire una spiacevole sensazione di pericolo.

Le candele erano molto vicine tra loro, alcune quasi si sfioravano, altre erano un po’ più discoste le une dalle altre.

“Da sempre osservo Tsuzuki attraverso le fiamme e da sempre le candele strette attorno a lui non hanno fatto che aumentare.”

“Tsuzuki è un idiota amabile.”ammise il segretario “E’ difficile non affezionarsi a lui.”

Il Conte socchiuse gli occhi.

“E’ strano sentirtelo dire...non sei stato tu ad abbandonare il tuo incarico precedente?”

Il segretario si irrigidì. Aveva apprezzato inconsciamente il fatto che l’uomo non avesse puntualizzato il fatto che era fuggito da Tzuzuki, ma questa intromissione lo irritò parecchio.

“Questo non significa che gli auguri qualcosa di male.“ rispose, freddo.

“Non ho detto questo; ma gli sei molto affezionato, mi chiedevo perché avessi deciso di cambiare sezione.”

“Con tutto il rispetto, non è cosa che vi riguardi.”

“Tutto ciò che riguarda Tsuzuki mi interessa da vicino.”

La voce del nobile era mortalmente seria.

“Al di là del mio comportamento tengo davvero a lui, vederlo soffrire mi addolora più di ogni altra cosa.” incrociò le braccia sul petto “Non voglio sapere il perché delle tue scelte, non è cosa che mi debba interessare; quello che non comprendo, e che in verità non approvo, è il fatto che tu gli abbia negato la verità e che continui a farlo con una testardaggine a dir poco ottusa.”

Tatsumi scrollò le spalle, stanco.

“Sono egoista.”

Il Conte emise un suono secco, di disappunto.

“Un egoista che si preoccupa enormemente per lui;.” voltandosi appena, indicò con sicurezza una candela, talmente vicina ad un’altra da sfiorarla “Lasciamelo dire, hai davvero uno strano modo di interpretare questa parola.”

L’impiegato arrossì, d’un tratto, come se un incendio gli fosse fiorito sulle guance; indeciso se propendere verso l’ira o la vergogna, chinò semplicemente il capo.

“Comprendo il tuo desiderio di proteggerti.” continuò serio il nobile “E bada, non è mia intenzione condannarti né giudicarti, ma sono stanco di vedervi soffrire ogni giorno intrappolati in una rete di incertezze e paure.” sospirò profondamente, poi la sua voce divenne autorevole “Risolvi questa questione, Tatsumi, definitivamente, per il bene di tutti e due.”

Il kageshi deglutì a vuoto, ma quando gettò un’occhiata al suo fianco il nobile era già scomparso, di lui rimaneva solo un lontano echeggiare di passi. Il segretario respirò a fondo, lasciando indugiare lo sguardo sulle candele. Con un gesto stanco si massaggiò le tempie. L’intervento del Conte era stato rude e chirurgico, si chiese da quanto tempo osservasse la dinamica dei loro rapporti e soprattutto che cosa potesse averlo turbato tanto da spingerlo ad agire a quel modo. Spinse lo sguardo sulle due fiamme vicine, cercando di capire quale fosse la sua, quindi, sconfitto, diede le spalle alla distesa di luci e si apprestò a tornare nella sala da ballo. Appena udì le voci allegre degli altri però si fermò, esitando qualche istante. L’urgenza che aveva intuito nella voce del nobile gli stava stringendo la gola con una leggera ansia che gli rendeva difficile prendere qualsiasi decisione. Infine, dopo essersi rimproverato per la sua debolezza, spinse la porta. I rumori della festa lo travolsero, strappandogli in un solo istante tutta la pazienza e la cautela che aveva deciso di usare. Hisoka sbraitava contro le ragazze dopo aver superato da un pezzo il limite della sopportazione, Watari e i Gushoshin invece sembrano troppo presi dal godersi i piaceri della tavola per badare ad altro, Terazuma brontolava contro tutto e tutti. Tsuzuki invece stava godendosi un attimo di riposo, rintanato sotto un tavolo in compagnia di una fetta di torta. Quando Tatsumi sollevò un angolo della tovaglia lo shinigami lo accolse con un’espressione terrorizzata che sfumò all’istante in un sollievo profondo.

“Non comportarti come un bambino.” brontolò il segretario.

“La fai facile tu,” boffonchiò l’altro di rimando, imbronciato.

L’impiegato sorrise, piegando appena le labbra; aveva scoperto che la compagnia del Conte era migliore quando recitava la parte dell’idiota, ma preferì tenere questa considerazione per sé.

“Dai, vieni fuori da lì.”

Tatsumi gli tese la mano, come avrebbe fatto con un bambino, Tsuzuki lo guardò con sospetto, quindi gli passò il piatto vuoto e sgusciò fuori. Il nobile stava facendo il galante con le ragazze, per il momento sembrava non aver intenzione di tormentarlo ancora. D’un tratto Wakaba batté le mani ridendo e saltò letteralmente al collo del padrone di casa. Terazuma ringhiò e gli spuntarono le orecchie ma lei non ci fece caso e continuando a ridere corse incontro a Watson, comparso sulla scena trascinandosi dietro un carretto carico di cesti infiocchettati. Distratto da quanto stava accadendo Tsuzuki si accorse del pericolo solo quando una mano ben poco casta saggiò il suo fondoschiena.

“Tsuzukiiii...c’è la caccia alle uova nel parco…” gli sussurrò sensuale il Conte “Voglio mostrarti i miei roseti…”

Il kageshi assunse un’espressione truce, lottando contro il desiderio di prenderlo a calci; dopo il discorso che gli aveva fatto si era aspettato un contegno ben più onorevole. Assunse la sua espressione più formale e si aggiustò gli occhiali.

“Di questo non ero informato.”

“Fa sempre parte della festa.”

“Il parco è pericoloso.” puntualizzò il segretario.

Il nobile sbuffò, contrariato.

“E va bene...” brontolò.

Bisbigliò qualcosa di spaventosamente lascivo alla sua vittima preferita, quindi tornò a fare il galante con le sue ospiti prima di accompagnarle fuori. Tsuzuki tirò un sospiro di sollievo esagerato, tuttavia appena si avvicinò alla finestra sorrise.

“Wakaba ha sempre desiderato andare a caccia di uova colorate in un giardino, come fanno a volte sulla Terra…ma è sempre stata troppo importante per potersi concedere un gioco così infantile.” intrecciò le dita dietro la schiena “Quell’uomo sa essere sensibile, se vuole.”

L’impiegato aggrottò le sopracciglia; nonostante il comportamento discutibile, il Conte non era mai andato troppo oltre nell’avanzare pretese sul suo compagno; se avesse voluto davvero quello che sembrava chiedere si sarebbe stancato presto di giocare a quel modo: possedeva tutto il potere necessario per avere ciò che pretendeva.

Tsuzuki si servì un bicchiere di vino rosso, godendosi l’improvviso silenzio della sala. Il segretario lo imitò e sembrò perdersi a  lungo nei suoi pensieri rimirando il colore intenso del liquido che oscillava lentamente nel bicchiere.

“Non mi hai mai chiesto perché.” disse infine.

“Di cosa?”

Tatsumi lo invitò con un gesto misurato a sedere su un divano.

“Quando ho cambiato sezione, non mi hai chiesto il motivo.”

L’altro sorrise, a disagio.

“Lo hai fatto perché non mi sopportavi più. Non c’è nulla di strano in questo, capisco che…”

Lo shinigami si zittì, di fronte all’espressione seria dell’altro e al lieve gesto di dissenso che fece con il capo.

“La colpa è stata mia; non sapevo come comportarmi con te, quindi ho preferito rinunciare a trovare il modo di farlo.” confessò d’un fiato, poi intrecciò le dita con forza “Perché mi ricordavi una persona con cui ho fallito e per cui ho sofferto…perciò mi sono limitato a fuggire perché non sopportavo il pensiero di sbagliare di nuovo.”

Tsuzuki si mosse un poco, a disagio.

“Non devi giustificarti.”

“Mi sembra giusto che tu sappia come stanno le cose.”

Tsuzuki arrossì un poco e distolse lo sguardo.

“Ah…ti ringrazio.”

Il kageshi respirò leggermente più a fondo. La timidezza che Tsuzuki gli stava mostrando era in assoluto la cosa che sapeva gestire peggio.

“Mi dispiace di averti ferito.”

Tsuzuki scosse piano il capo chino. Impercettibilmente si era allontanato dal suo collega, finendo per arroccarsi sulla parte opposta del divanetto, le braccia strette attorno al corpo come  proteggersi da chissà quale pericolo.

“Non fa niente.” sbatté le ciglia e finalmente tornò a guardarlo in viso “Hai continuato a preoccuparti per me.”

Tatsumi fu sul punto di ribattere con un incredulo “quando”, ma la parola gli morì sulle labbra; per Tsuzuki qualsiasi gesto nei suoi confronti poteva essere una gentilezza, anche un semplice saluto durante la giornata. Il segretario scrollò le spalle, indeciso se continuare o lasciare al suo collega solo il sollievo per le sue parole.

“Vuoi ancora un po’ di vino?”

Tsuzuki si era già alzato, asenza spettare una risposta e ora stava tormentandosi nervosamente le dita. L’impiegato ebbe l’impressione che volesse solo sfuggire al disagio e si limitò a scuotere la testa, ma quando l’altro gli diede le spalle aggrottò le sopracciglia. Aveva altro da dire e ormai si era reso conto di aver abbandonato il proposito di lasciare perdere. Tsuzuki nel frattempo si era avvicinato ancora alle finestre, nel tentativo di scorgere qualcuno dei suoi colleghi. Intravide Watari e Wakaba, che sembravano divertirsi parecchio alle spalle di un furente Terazuma costretto a portare i cesti di tutti e tre. Lo shinigami rise piano e forse si sarebbe concesso un commento divertito, se la voce non gli fosse sfumata in gola nel momento in cui il kageshi gli circondò la vita con le braccia. Tsuzuki non si irrigidì: il suo ex partner gli aveva già mostrato simili riguardi quando lo aveva sorpreso perso nei suoi pensieri cupi. Si allarmò solo quando sentì la bocca dell’altro sfiorargli leggera il collo. Si morse il labbro inferiore, ben conscio di quale azzardo avesse rappresentato per il suo collega quel gesto e quanto fosse profondo il suo significato. Tatsumi era freddo e temibile, ma sempre sincero quando decideva di scoprirsi. Trasse un respiro profondo, conscio d’un tratto del calore che sentiva al viso ora che le braccia lo cingevano con più forza, all’altezza del petto e il volto dell’altro era affondato contro la sua spalla. Espirò piano, il più silenziosamente possibile, catturato dal piacere della leggera contrazione muscolare che gli stava percorrendo la schiena con una lentezza altrimenti esasperante.  Si mosse nell’abbraccio, girandosi per guardare in viso l’altro. Esitando alzò le mani, intrecciando le dita dietro la nuca del segretario, le labbra piegate in un piccola smorfia nervosa. Impercettibilmente l’impiegato piegò all’insù un angolo della bocca, arrossendo leggermente di fronte alla completa, sincera accettazione che riuscì a leggere nei tratti del compagno. Si sporse con cautela a toccargli la guancia con la propria, quindi scivolò lentamente su di essa per chiudere le labbra su quelle di Tsuzuki. Lo sentì abbandonarsi alle sue braccia e poi offrirgli la bocca, ma senza pretendere nulla. Quando il segretario si ritirò leggermente dal suo viso, lo shinigami trovò il coraggio di sorridergli, timidamente, prima di affondargli il viso contro il collo. Tatsumi si concesse un sospiro profondo, chinando leggermente il capo, pervaso da un’emozione simile al sollievo. Si concesse di percorrere la schiena del compagno con una lunga, lenta carezza. Sentì le labbra dell’altro piegarsi contro il suo collo; chiuse un attimo gli occhi, estasiato dal movimento lento e leggero della sua bocca, ma si scostò in modo piuttosto brusco quando sentì distintamente i denti affondare con dolcezza nella pelle.

“Hey.” protestò a bassa voce.

Lo shinigami rise in modo sommesso, quindi alzò finalmente il viso: Gli occhi viola gli sorrisero più delle sue labbra. Tatsumi sentì il sangue salirgli al viso e gli fu estremamente grato per il suo silenzio; aveva temuto di dover pronunciare od ascoltare frasi scontate che aveva sempre trovato aride, ma Tsuzuki sembrava conoscerlo meglio di quanto si fosse aspettato.

“Seichiro.” sussurrò.

Il segretario strinse le labbra, inconsciamente, turbato dal tono della sua voce. L’altro sorrise, con un che di indefinibilmente malizioso, quindi gli toccò le labbra con le proprie prima di scioglierlo dalle sue braccia. Tatsumi lo lasciò andare, accorgendosi del vociare che proveniva dal corridoio. Si aggiustò la cravatta con un gesto nervoso e si affrettò a fare altrettanto per il collega. Era incredibile con quanta facilità Tsuzuki riuscisse ad apparire sciatto. Lo shinigami ridacchiò, quindi si allontanò di un paio di passi e afferrò la prima fetta di torta che gli capitò sotto mano, fingendo di non aver fatto altro che ingozzarsi. Il Conte gli piombò addosso come un rapace in caccia, terrorizzandolo con le sue avances. Mentre Tsuzuki cercava di divincolarsi con più forza del solito il nobile si accorse della lieve traccia odorosa sui suoi abiti; riconobbe l’acqua di colonia del kageshi e sorrise sotto la maschera. Non gli piaceva interferire nella vita altrui, ma Tsuzuki era un caso a parte, avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere perché potesse godere di un po’ di felicità. Tatsumi osservò con occhio critico il nobile quindi sbuffò, rinunciando del tutto a capire il motivo per cui si dovesse comportare come un emerito idiota; pensò tuttavia che ne dovesse esistere qualcuno, forse serio, se quella commedia continuava ancora dopo decenni. Incurante degli strilli disperati del collega si appoggiò alla tavola, incrociando le braccia sul petto. Watari gli si avvicinò poco dopo, porgendogli un piatto colmo di frammenti di uova di cioccolato.

“Non vuoi fare nulla per lui?” chiese, indicando con un cenno uno Tsuzuki ormai ridotto alla disperazione.

Il kageshi assaggiò un pezzo di dolce e scrollò le spalle.

“Abbiamo un accordo, interverrò solo se sarà necessario.”

Watari annuì, per nulla convinto: se Tatsumi avesse potuto uccidere con lo sguardo, del Conte sarebbe rimasto ben poco da un pezzo; per la propria salvezza evitò qualsiasi commento.

Quando finalmente , tardi per alcuni e troppo presto per altri, la festa si concluse, il Conte si sedette a godersi un attimo di riposo. Gli piaceva ripercorrere le tappe di feste vivaci come quella appena conclusa, il ricordo riusciva a scacciare per un po’ la tetraggine del palazzo. Sospirò profondamente, affondando la schiena nella poltrona. Era contento di aver forzato la mano a Tatsumi, anche se la sua coscienza continuava a rimordergli fastidiosamente. Osservò senza interesse Watson che sgambettava qua e là nel tentativo di rimettere un po’ di ordine. Chissà che fine aveva fatto il suo libretto degli assegni.

Il segretario sogghignò, sbattendo piano nel palmo della mano un blocchetto dall’aria familiare. Tsuzuki si sporse a guardarlo, approfittando del cono di luce di un lampione.

“Che intenzioni hai riguardo a quello?” chiese preoccupato, riconoscendo la grafia nitida del Conte.

“Ci penserò.” ribatté serafico l’altro

“Non approfittare della situazione.” strinse le dita attorno al braccio del collega “Per favore.”

“Hai paura che potrei prosciugargli il patrimonio?”

Tsuzuki sorrise.

“Sei troppo avveduto per farlo.” si appoggiò a lui “Non è un uomo cattivo.”

“Lo so.”

Con un gesto lento si liberò il braccio per allacciare la vita del compagno.

“Vorrà dire che riscuoterò solo quello che mi ha promesso.”

Tsuzuki imbronciò il viso.

“Mi hai venduto.” brontolò.

Il segretario scrollò le spalle.

“Noleggiato, direi che è più corretto.” rise piano “E lo rifarò, se così riuscirò a sanare il bilancio.”

“Cosa?” piagnucolò lo shinigami.

Tatsumi si chinò a baciarlo.

“Sei davvero ingenuo.”

L’altro brontolò qualcosa, senza scostarsi. Chiuse un attimo gli occhi, godendosi il suono dei loro passi lungo il viale. In momenti come quello si rendeva conto di quanto fosse stato bizzarro il suo destino: quando era in vita nessuno gli aveva mai dimostrato amicizia o affetto…e quelli che lo avevano fatto erano morti. Tatsumi lo trattenne, stringendolo in un abbraccio protettivo.

“Smettila. Quello che è stato è stato, ora vivi qui, con noi.”

Lo shinigami emise un suono lieve, di approvazione. Il kageshi sapeva cogliere il significato di ogni mutamento delle sue espressioni, doveva averlo osservato davvero bene nel corso degli anni. Sorrise contro la sua spalla, sollevato, assaporando una felicità che in fondo non aveva mai conosciuto e persino la notte parve divenire meno fredda.