I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati al maestro Inoue



 


 

 

Si impara crescendo

 

parte I

 

di Chayrou

 


La guardavano tutti perché era semplicemente bella. Irraggiungibile, inafferrabile.

Metteva in soggezione gli altri studenti, anche i più popolari, perché era diversa da ognuno di loro.

A volte credo che la mia vita adesso sarebbe migliore se lei non ci fosse stata. Altre volte mi rendo conto che il suo modo di essere mi ha inferto coraggio. Non mi pentirò mai di quel giorno.

-Nana?- non ricordo esattamente come lo feci i perché lo feci, rammento solo che accadde. Mi avvicinai, la chiamai per nome ed ella si voltò, inchiodandomi sul posto con quei profondi occhi scuri.

-Terashima.- rispose. Io feci un sorriso. -Nobu per gli amici.- ribattei. Il suo sguardo era confuso, non poteva credere che un ragazzo della sua classe (solitamente piuttosto introverso e riservato) le rivolgesse la parola.

-Ho sentito dire che tu ascolti questo genere di musica.- Proseguii. –Volevo che mi dicessi cosa ne pensi di questo CD.- glielo porsi. Nana rimase interdetta, immobile a fissarmi. –Sai... sono un gruppo uscito da poco e molto sottovalutato ma...- Il suo sguardo un po’ mi intimoriva. –Ehm... dicevo... ma secondo me sono molto talentuosi.- Lo afferrò improvvisamente.

-Non ho nulla da fare, proverò ad ascoltarlo.- Il nostro primo approccio fu questo. Strano, ora che ci penso mi rendo conto della banalità e circostanza delle sue parole. Eppure fu la frase che cambiò la mia vita, letteralmente.

È soltanto grazie al Cd di quel gruppo, adesso sconosciuto, che sono potuto diventare suo amico.

 

L’inverno cadeva la neve. Cadde quel giorno.

Un mantello di cristalli ghiacciati aveva ricoperto tutto, rendendo l’atmosfera surreale e nostalgica.

Guardando lo scorcio di mondo dalla mia finestra pensavo che il tempo si ferma quando cade la neve. Tutto è ghiacciato e trattenuto dalle spire del freddo. E che gli alberi, le strade, le case, che rifulgono del riverbero che il poco sole crea nel biancore, sia una delle cose più belle che esistano.

Camminai rattrappito nel mio giaccone, con la faccia pressata contro la stoffa della sciarpa e il cappello ben abbassato sulla fronte. Il freddo mi piace anche se è difficile sopportarlo. Fa sembrare il calore di un fuoco ancora più caldo.

Quando giunsi a scuola Nana fu la prima persona che mi rivolse la parola. Mi porse il CD con gentilezza e fece un sorriso. –Mi piacciono, ma credo che verranno troncati, è uno stile un po’ difficile.- affermò. –Senti Nobu, ho sentito che tu suoni la chitarra.- Mi gonfiai d’orgoglio.

–Si!-

-I ragazzi del club di musica hanno detto che per ora sei una schiappa ma il talento non ti manca.- l’orgoglio se ne andò a spasso, lontano da me. –Io canto.- le mie orecchie si drizzarono e i miei occhi puntarono nella sua direzione.

-Davvero?-

-Beh, ci provo.-

-E con questo?- la provocai con un sorriso sghembo in viso. –Mah... che so.... potremmo fare un duetto qualche volta.-

Qualche volta non fu il termine adatto per definire le miriadi di volte in cui suonammo assieme. Prima eravamo impacciati nel nostro rapporto, io le passavo Cd lei mi diceva che ne pensava; poi, magari, intonava una canzoncina ed io le stavo dietro con qualche accordo. Cominciai a conoscere la sua voce aspra e forte che rispecchia alla perfezione il suo carattere.

Al giungere dell’estate eravamo diventato amici, molto amici, uscivamo assieme la sera, bevevamo qualche birra e la nostra tecnica musicale si affinò fino a diventare ascoltabile.

Una sera fece quella domanda. –Potremmo creare un gruppo.-

-Da soli? Io e te?-

-Trovando anche altri componenti, è ovvio.- Potete immaginare la mia risposta.

 

Il mio rapporto con Nana fu, però, solo l’inizio di un’esistenza che si sarebbe presentata irta di difficoltà e carica di sentimenti. Quello che accadde in seguito cambiò definitivamente il mio modo di essere. Una sera delle tante Nana non era potuta venire al solito bar con me, peccato perché era proprio una serata speciale.

I padroni avevano indetto un’iniziativa, nella quale musicisti novelli potevano improvvisare al momento. Io non mi esibii, un po’ perché sentivo la lontananza di quella ragazza e la mia timidezza si acuiva. La sua voce mi spronava e caricava, senza mi sentivo sempre impacciato.

Avevo troppa paura di sbagliare.

Questo non si poté dire degli altri ragazzi, che suonarono assieme senza nemmeno conoscersi e che, dopo un paio di accordi sbagliati, note stonate, filarono lisci come l’olio.

La mia serata proseguiva solitaria e così fu, fin quando entrò nel palco un bassista, in attesa di trovare qualcuno che suonasse con lui. Nella batteria vecchia ed antiquata si sedette un tipo strano, giovane ma meno di tutti gli altri nel bar. Con occhiali da sole neri e la pelata che sembrava tirata a lucido.

Sorpreso dall’aspetto di quel tipo non mi soffermai su bassista. Quando lo feci il mio cuore perse un battito. Doveva avere circa la mia età ma lo sguardo serio, lo stile da duro, i movimenti studiati lo facevano sembrare ben più grande a maturo di quanto io fossi.

Il suo viso era bello, i lineamenti quasi perfetti. I capelli neri gli piovevano sul viso dalla carnagione chiara. Pensai che io non ero nulla di quello.

Qualcosa dentro la mia testa mi disse che non bastava solo la bravura per essere un musicista ma che forse era anche una questione di immagine, di stile, che fra venti chitarristi non mi avrebbero nemmeno guardato, tanto ero banale e insulso.

Oltre ad avere uno strano fascino un po’ oscuro, se la cavavano davvero splendidamente come musicisti. Rimasi attonito a fissarli stringendo la mia chitarra al petto, per un lungo attimo avrei voluto nascondermi dietro di essa per non farmi più vedere da loro.

Quando finirono scoppiò il delirio fra la folla, molte ragazze applaudivano estasiate all’immagine di quei due e soprattutto del bassista moro che aveva un volto degno di un modello per le riviste.

-Ringraziamo Ren, Yasu, Daisuke e Key per la splendida improvvisazione ed ora passiamo ad altri tre ragazzi che...- Distolsi l’attenzione dal proprietario del locale per focalizzarla oltre il bancone.

-Ren... Ren... Ren...- bisbigliai quel nome a bassa voce per qualche secondo prima di sospirare mesto. Io non sarei mai stato così, probabilmente gli mancava quel carisma e quel fascino. Il mio  viso era quello banale di un giapponese, l’unica cosa particolare che possedevo erano i miei occhi, che svettavano quasi sul grigio ed erano più chiari della norma. Ma che altro? Ero uno come tanti, non ero degno di nulla.

-Non mi sembra di averti visto suonare.- al suono di quella voce sussultai. Mi girai di scatto trovandomi inchiodato dallo sguardo d’onice di Ren.

Oddio. La mia testa non riuscì a formulare altro.

-Sei muto o cosa?- incalzò l’altro cortesemente.

-Io... io non suono, perché...-

-Perché?-

-Non... non sono all’altezza di tutti voi, ecco sono autodidatta io...-

-Anche io.- Ren piegò la testa di lato e sorrise. -Secondo me sei solo timido.-

-Magari... la prossima volta che fa un evento così...-

-Potrebbe non esserci una prossima volta.- Replicò Ren.

-Lo so ma, no...- Non avevo intenzione di cedere, nemmeno se era lui stesso a chiedermelo. Non volevo assolutamente fare una pessima figura davanti a tutta quella gente brava. Se solo ci fosse stata Nana, se solo mi avesse tirato un pungo in testa per darmi il coraggio, se fosse stata accanto a me. Fu uno dei momenti in cui sentii maggiormente la sua mancanza.

-Ok, non insisto, ma mi incuriosisci, sei l’unico ad essere solo in questo locale.-

-Ti incuriosisco o ti faccio pena?- Rise, credetti di essermi reso ridicolo davanti a lui ed invece fece una cosa inaspettata. Allungò la mano verso di me.

-Ren, piacere chitarrista timido, posso sapere il tuo nome?-

-Io sono Nobu.-  Afferrai la sua mano, tutto ciò che accade dopo fu l’inizio della mia vita.

 

-Si, erano così bravi Nana! E ne ho conosciuto uno! E’ stato gentile con me, davvero gentilissimo, mi ha detto che ci saremo visti ancora e che... insomma che era curioso di sentirmi suonare, ma io mi vergogno troppo e...- Se non fosse chiaro quando sono allegro divento logorroico, è fastidioso perfino per me.

-Sicuro che non fosse un gay che ci provava?- arrossii alla sua risposa.

-Ma che dici! Non è vero! È solo che gli stavo simpatico... e mi voglio fare biondo platino.-

-Come?-

-Ma si! Guardami! Tu sei così bella, con le tue unghie nere e il trucco pesante, tutti ti guardano, io sono un ragazzo troppo normale, voglio che quando ci vedano passare assieme pensino che siamo una coppia stravagante, la più stravagante della scuola!-  Nana scoppiò nella sua risata prepotente e canzonatoria.

-Sei davvero la persona più strana e folle che io abbia mai incontrato, sei... sei così dolce Nobu.- Quella frase non la capii mai. Non ho mai ambito ad essere più di un amico per Nana e sinceramente non è che la cosa mi fosse mai interessata più di tanto. Ma quando mi parlò allora, scrutandomi con un espressione bonaria che non avevo mai visto sul suo volto, qualcosa mi disse che forse le piacevo davvero. Arrossii all’istante, chiedendomi come sarebbe stato diventare il suo ragazzo. Poi afferrai la sua mano con dita tremanti, cercando di essere sicuro le dissi.

-Diventeremo famosi io e te, saremmo i musicisti migliori del Giappone... anzi del mondo! Te lo prometto.- Una volta fatta quella promessa a Nana mi misi a lavorare sul serio. Cambia tattica di studio della chitarra ed invece che provare brani mi concentrai su esercizi presi dal libro, che resero le mie dita più elastiche e mobili. Anche lei si diede più al tecnico, la sua voce crebbe come lei.

Mi intristii un po’, perché nel mese che seguì né Ren, né Yasu si fecero vedere al locale e le mie speranze di incontrare il bassista si stavano spegnendo. Nana mi chiese se non fossero stati allucinazioni dal alcol o da spinello, ma io a quell’epoca ero un bravo ragazzo, astemio e non fumatore.

Una sera, però, la mia “sera fortunata” sentii una mano bussare alla mia spalla e quando mi voltai lo rividi, rividi Ren! Che mi fissava sorridendo.

-Non ti riconoscevo nemmeno, ti è bastato poco per cambiare eh Nobu.- i miei occhi si fecero quasi lucidi per l’emozione.

-Si, perché non ti piace il mio nuovo stile?-

-Direi che finalmente sembri un chitarrista serio.-

-Beh io...-

-Lui è un asso e ora ti facciamo sentire... ehi Tanaka prepara il palco che ci esibiamo.- si intromise Nana sbattendo il suo bicchiere di birra sul bancone.

-Ma non è la serata...- replicò il proprietario del locale alzando le mani in maniera allarmata, per fortuna lo conosceva da quando era una bambina e si poteva permettere certe insolenze.

-Sta zitto e metti gli amplificatori, solo chitarra e voce.-

-Nana non ho la chitarra qui!-

-C’è la vecchia Stratocaster di Tanaka dietro!- altro appunto da prendere su quella ragazza, era molto difficile dirle di no.

Fu così che salimmo sul palco, io e lei. Fra la folla sorpresa che ci fissava stralunata cercai lo sguardo di Ren, che però era calamitato su Nana. Come dagli torto, era proprio il suo ideale di ragazza, stavano benissimo assieme. Sentii una sensazione all’altezza dello sterno che non riuscii a decifrare. Mi dava fastidio che lui non mi guardasse, che non guardasse me, dopo aver insistito tanto perché suonassi non sembrava particolarmente interessato.

Ma che fare? Era un ragazzo, era normale che non fossi io l’oggetto delle sue attenzioni. Quello che dovevo fare era dare il mio meglio, sempre e comunque, così che mi notasse e mi facesse i complimenti. Il perché di tutta quella voglia di piacergli, di essere considerato e rispettato da lui ancora non lo capivo. Ero troppo giovane, troppo inesperto, non comprendevo fino in fondo i miei sentimenti. Nonostante ciò feci ciò che dovevo fare, suonai. Ci misi tutto l’impegno e la bravura che avevo, dopo poco la folla applaudiva, nel delirio dei miei sensi sentivo l’odore degli alcolici, del sudore, della voglia di ballare e dogarsi nella musica, morire in un sogno. Così, in mezzo alla gente estasiata dalla voce aspra di Nana e dal tocco più languido che dava la mia chitarra, incrociai lo sguardo di Ren, che era fisso sul mio.

Non decifrai la sua espressione, non ci riuscii, era un sorriso sornione, quasi soddisfatto, quasi ammiccante. Mi ipnotizzò, tanto che per uno o due minuti suonai fissando lui, le mia dita si muovevano da sole. C’era qualcosa nel fondo dei suoi occhi che brillava, una fiamma ballerina e grigiastra che era in grado di bruciarmi dentro.

Ren...

Quella parola rimbombò nella mia testa, più e più volte, lo chiamai, lo pregai di non smettere di guardarmi, di dimenticarsi di Nana e del resto del mondo. In un certo senso lui mi rispose.

 

-Siete stati bravi.- ero uscito a prendere un po’ d’aria quando la sua voce mi raggiunse.

-Si, lo so, non so come però.- risposi ridacchiando, appoggiato ad una staccionata di legno. Quella sera faceva freddo ed io ero vestito poco, lo svantaggio delle magliette strappate.

-Nobu, sei molto strano lo sai?- Mi voltai a fissarlo, non so perché ma il suo tono mi aveva allarmato. -Ti incontro due volte, la prima sembri un pulcino spaesato che arrossisce ad un solo sguardo. La seconda hai i capelli biondo platino e ti vesti come un punk.- sospirò appoggiandosi accanto a me. -Prima sei la persona più impacciata del mondo, poi vai sopra quel palco e sembra che persino i lineamenti del tuo volto cambino, anche se qualcosa mi dice che dentro sei sempre un bravo ragazzo in cerca di ribellione.-

Non risposi subito, perché non sapevo che rispondere. -Tu... credi?-

-Io credo che c’è molto di più di quello che vuoi mostrarci, dentro di te.-

Ci sarebbero state un sacco di parole per descrivere quello che provai nel sentire quelle parole pronunciate dalla sua bocca. Un sacco di frasi, pensieri, metafore. Eppure, dentro di me, sapevo che non servivano fronzoli per immaginare quell’emozione. Sprecare fiato e parole inutili, per esporre un concetto semplice. Che conoscessi o no Ren da pochissimo tempo, tanto da non sapere nemmeno da dove veniva, volevo che non se ne andasse mai dalla mia vita. Era diventato un altro pilastro fondamentale nella mia esistenza, assieme a Nana.

Ci guardammo senza parlare per alcuni minuti. Poi sentii qualcosa di leggero sfiorarmi la mano, quasi come un fiocco di neve vellutato, ma caldo. Le sue dita scivolarono sulle mie velocemente, strinsero appena il mio polso nella notte. Per poi scomparire via, lasciando solo un alito di vento, la parvenza di un sogno infranto.

E tu? Cos’è che non vuoi mostrarmi Ren?

Ma quel momento fu interrotto da una presenza totalmente fuori luogo. Era una ragazza, molto carina, formosa e alta quasi quanto me. Il mio primo pensiero fu che volesse Ren, ma i suoi occhi erano inchiodati ai miei.

-Sei Nobu vero? Il ragazzo che ha suonato la chitarra prima?-

-Si, sono io.- Il suo viso si illuminò, salutò anche il bassista e poi mi afferrò la mano con prepotenza.

-Ti dispiace se te lo rubo?- disse ridacchiando.

-Fa pure.- rispose Ren. -Ehi Nobu, divertiti.- mi fece l’occhiolino. Subito dopo mi sentii strattonato dalla ragazza.

Sia chiaro, il gentil sesso non era mai stato uno delle mie prerogative, non mi interessava, era un arcano, un mistero, una dimensione aulica che non mi apparteneva. Però l’adolescenza è l’adolescenza e gli ormoni sono gli ormoni. Per questo quando la sconosciuta si presentò frettolosamente come Naruko per poi cingermi il collo e appoggiare il suo seno contro il suo petto, il fuoco mi prese. Se fosse lei che vedevo mentre sfioravo le sue curve generose, oppure qualche altra mia fantasia, qualche mio sogno sconosciuto che nemmeno a me stesso ammettevo, non lo sapevo.

Fu la mia prima esperienza, la mia prima donna ed è patetico pensare che era ubriaca e che non l’avrei mai più rivista. Ma il corpo chiamava, era prepotente e fastidioso. Quando abbassò la zip dei miei pantaloni non mi lamentai, la lasciai fare quello che voleva.

Il mio involucro di carne debole godette, la mia mente no. Io che sono un inguaribile romantico, che sognava la ragazza perfetta, il posto perfetto, mi ritrovai accecato dallo squallore di quella situazione, tanto che non riuscii ad andare fino in fondo con lei. Non appena le cose si fecero più spinte mi divincolai dalla sua presa, agitandola con forza. Mi avrebbe insultato se solo non si fosse messa a vomitare davanti a me.

Chiamatemi codardo ma me ne andai trafelato, chiudendo la zip con mani tremanti. Volevo solo farmi una dannata doccia. 

 

***