Disclaimers: i personaggi sono miei nonostante l'evidente ispirazione a qualcuno che sicuramente, conoscendomi, non avrete difficoltà a riconoscere.


Shari

di Shun Andromeda

Parte 4/?


Incatenati come bestie da soma, Shari e i suoi compagni di sventura, un tempo suoi sudditi, erano stati condotti sulla piazza di Liys, una città di media grandezza, il paese principale della vasta e omonima contea.
Da Valgum era partito un consistente numero di prigionieri, coloro che i barbari avevano definito "merce preziosa": uomini vigorosi, forti, utilizzabili nei lavori pesanti e in truci spettacoli di guerra in voga da secoli in alcuni paesi ma anche donne e ragazzi destinati ad abbellire le case di ricchi gentiluomini. Shari era tra questi ultimi e non si era mai sentito così umiliato, a disagio, mentre gli sguardi interessati di possibili acquirenti scrutavano, anche toccandolo senza ritegno, ogni millimetro del suo corpo, facevano osservazioni su di lui, sul suo viso, sulle sue forme graziose ancor più allettanti di quelle di donne e ragazzine che si trovavano su quella piazza con lui.
In parecchi avevano espresso l'intenzione di comprarlo per poi ritirarsi di fronte all'esorbitante prezzo minimo preteso dai mercanti di schiavi. 
Cosa aspettavano, si chiedeva il piccolo principe, che si presentasse il gran signore facoltoso disposto a pagare cifre assurde per lui?
"Per chi mi prendono? Cos'ho di così prezioso io che non sono neanche stato in grado di fare qualcosa per salvare i miei familiari?"

...

"Ho detto che non ci vengo!"
"C'è festa in paese, la popolazione ci aspetta, ha il diritto di vedere i suoi signori!"
"Sei tu il loro signore, grazie a Dio dato che io non ci tengo per nulla!" 
Arwis, conte di Liys, perse la pazienza; si avvicinò minaccioso al figlio e lo strattonò per un braccio: "Ti ricordo che sei il mio unico erede, mio successore, futuro signore di Liys che tu lo voglia o no!" poi aggiunse mestamente "Voglia il cielo che quel momento arrivi il più tardi possibile, voglia il destino concedermi di vivere ancora a lungo; manderesti tutto in rovina con il carattere che ti ritrovi!"
Con una smorfia, il ragazzo si liberò bruscamente dalla stretta del padre e, sprezzante, gli diede le spalle, allontanandosi a testa alta, seguito dalla lunga scia dei suoi capelli biondi danzanti intorno alle sue forme eleganti.
Arwis sospirò: Aster assomigliava come una goccia d'acqua a quella meraviglia della natura che era stata sua madre, scomparsa un anno prima in seguito a una grave malattia. In quanto a caratterino, però, la superava di gran lunga. e pensare che già lei sapeva far valere le sue ragioni in maniera piuttosto energica.
Il conte si rassegnò a scendere in paese da solo, con il suo seguito.
Avrebbe desiderato che il figlio cavalcasse al suo fianco. i ricordi gli facevano male; riviveva con la memoria, nitidi e dolorosi come pugnali nel cuore, i giorni in cui tutti e tre, con il loro sontuoso corteo, cavalcavano insieme attraverso la contea: lui, la sua splendida Rowin al fianco e, a poca distanza, il loro amato gioiello, Aster, il quale, con la sua bellezza, con l'ammirazione che destava negli sguardi, oscurava persino loro due.
Ma da quando Rowin se n'era andata, il carattere già difficile del ragazzo, che solo lei riusciva a contenere, era notevolmente peggiorato. Il dialogo tra loro era scomparso; il ragazzo se ne stava rinchiuso nelle sue stanze, tiranneggiando i servi, immergendosi in una sorta di malinconia contemplativa dalla quale usciva solo per lasciarsi andare a incontrollabili esplosioni di rabbia.
Arwis salì a cavallo dopo aver sollevato un'ultima volta lo sguardo verso la finestra dietro la quale il figlio si era sicuramente confinato, in quella stanza buia. Aster faceva di tutto per non lasciar entrare neanche un raggio di sole e trascorreva giornate intere sdraiato a letto, nelle tenebre. Non dormiva. semplicemente stava lì, immobile, immerso in chissà quali labirinti mentali.
"Cosa ci sarà mai in quella tua testa bionda, figlio mio" mormorò mentre si apprestava a discendere verso il paese con la sua scorta. 
La contea di Liys si stendeva intorno al rigoglioso colle dominato dal castello a pianta ottagonale, ricco di torri merlate che si stagliavano con il loro profilo alto e slanciato nel cielo limpido di quelle terre dal clima mite.
Il corteo del conte giunse nella cittadina addobbata a festa; nella piazza centrale era allestito un mercato ricco di colori e merci di ogni genere, tipici prodotti della zona e rarità importate da paesi lontani ed esotici.
Un'ampia zona era riservata al triste spettacolo degli schiavi in vendita.
La mente del conte fu attraversata da un improvviso pensiero: un regalo per il figlio, qualcuno che vivesse giorno e notte al suo fianco, qualcuno di speciale, che sopportasse i suoi mutabili umori e il suo carattere ombroso e magari capace di mitigarlo.
Arwis scosse il capo ridacchiando; perché avrebbe dovuto trovare una simile creatura, in grado di compiere miracoli, proprio in mezzo a quegli infelici in catene? E perché quell'idea campata in aria si affacciò alla sua mente mentre passava al mercato di schiavi, con l'occhio che si posava distrattamente sul gruppetto dei più giovani, dei ragazzini destinati a diventare servetti, coppieri e, purtroppo, oggetti di piacere nelle case dei nobili?
Si fermò.
Forse un motivo c'era, forse non per caso si era messo a osservare quel gruppo.
Fu allora che il suo sguardo fu attratto da un'esile figurina che teneva il volto costantemente abbassato.
Scese di sella e si accostò, continuando ad osservarlo.



 
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