É forse la fic cui mi sto dedicando con maggiore impegno... per la difficoltà del genere (western) che non ho mai trattato! La dedico a Mercy che mi ha aiutato con i nomi e che per ora studia lontano lontano!!! ^*^


Sfida all'OK Corral
di Fiorediloto


TITOLO: Sfida all'OK Corral
AUTORE: Fiorediloto
SERIE: Slam Dunk
PARTE: 9/10
STATO: In corso di lavorazione
PAIRING: tutti i canonici
RATING: AU/NC-17
DISCLAIMERS: I personaggi non sono miei, ma del divino Takehiko Inoue!
NOTE: I nomi dei personaggi sono tutti americanizzati. Li trovate tutti con i corrispettivi in fondo alla pagina, ma vi consiglio di leggere prima la storia e provare ad indovinarli da soli... alcuni sono molto facili, altri un po' meno.




CAPITOLO NONO: Mezzogiorno di fuoco


Anche quella notte Kay tornò a casa Earp verso l’alba. Lo accolse un affannato Kiminobu, più pallido e più stanco del solito.
«Dio, Kaede… siamo stati in pensiero» mormorò, vedendolo tornare con l’aria tranquilla e assonnata di chi non ha dormito un istante.
«Hn. Sono stato in giro.»
«Poteva succederti qualcosa» ribatté il guaritore, corrugando la fronte.
«Mi so difendere.» Lo scostò da parte, diretto alle scale, ma Kiminobu gli afferrò un polso con quella sua stretta lenta e decisa.
«Devi smetterla» gli disse.
«Hn.» Si liberò con uno strattone e proseguì per la sua strada.
A una settimana dal rapimento di Hiroaki e dal duello con Akira Clanton, Kiminobu si era assunto il ruolo materno su tutti loro, anche sul primogenito.
Ray mal sopportava tanta apprensione, ma ormai passava la maggior parte del suo tempo al saloon, con Aya, e Kim evidentemente riteneva Sean una protezione adeguata per suo fratello. Kaede non aveva cambiato di un punto il comportamento solito, anzi passava ancora più tempo lontano da casa, specie la notte. L’unico a non lamentarsi era Hiroaki, che la mattina si recava all’ufficio dello sceriffo, esercitava i suoi doveri, e la sera tornava a casa senza sgarrare un minuto dal coprifuoco stabilito da mamma Kiminobu.
Se possibile era diventato ancora più taciturno e chiuso, quasi quanto Kaede, ma nessuno ci aveva fatto caso. E nessuno, neppure Kiminobu, aveva osato chiedergli cosa gli fosse successo durante quel giorno di prigionia, né lui ne aveva parlato spontaneamente. Sull’accaduto era calato un pietoso velo di silenzio.

Con una calma innaturale, che impose il silenzio nella stanzetta, Hiroaki si chinò sul corpo senza vita e ne chiuse le palpebre spalancate. Poi rimase un attimo a fissare il cadavere.
Un colpo in fronte, un lavoro preciso e pulito. A giudicare dall’ampiezza del foro, era stato colpito da vicino – forse la canna gli era stata addirittura appoggiata sulla fronte. L’omiciattolo aveva un’espressione terrorizzata, i denti stretti come si fosse preparato al colpo, le mani contratte intorno al bordo della scrivania.
Chiunque l’avesse ammazzato, doveva aver agito in tutta tranquillità. La porta non recava segni di scasso, nulla era stato rubato, gli scaffali erano polverosi e in ordine.
Con tutta probabilità era stato un cliente, visto che il cadavere non dimostrava più di qualche ora dalla morte.
«Sceriffo…»
«Silenzio» sibilò Hiroaki.
Sulla scrivania di fronte al morto, un foglio bianco e una penna in bella posa dentro il suo calamaio.
Hiroaki socchiuse le palpebre sotto la tesa del cappello.
A quanto ne sapeva, Dick lo scrivano non aveva mai fatto del male a nessuno. Era un vecchino innocuo, viveva solo e non aveva ricchezze che potessero essergli rubate. I suoi unici beni, contenuti in un sacco nascosto in una botola sotto il letto, erano rimasti intoccati.
La folla intorno allo sceriffo e al morto taceva. L’agitazione era palpabile ed elettrica.
Hiroaki prese il foglio bianco posato sul tavolo e lo studiò per un attimo. Poi lo arrotolò rapidamente.
«Andate a chiamare mio fratello Kim» ordinò, con voce inespressiva. «Ditegli di portare le sue cose.»
Qualcuno uscì di corsa, qualcun altro domandò: «Sceriffo, chi può essere stato? Il povero Dick…»
«Uscite.»
«Ma…»
«Uscite tutti. Subito.»
La folla che ingombrava la stanza si dileguò a malincuore. Rimasto solo col cadavere, Hiroaki tirò un lento respiro e poi tornò ad osservarlo.
«Hiro? Che… oh Dio santo» ansimò Kiminobu, giunto di corsa.
«Chiudi la porta. Hai portato i ferri?»
Il secondogenito annuì, posando la sua sacca sulla scrivania.
«Vedi di estrarre quella pallottola. E poi…» gli tese il foglio arrotolato, «prima di morire deve aver scritto qualcosa. Dick era miope, scriveva molto grande e calcando forte. Riesci a ricavarci qualcosa?»
Kiminobu srotolò lentamente il foglio. «Proverò.»
«Bene.»
«Hai qualche sospetto, Hiro?»
Lo sguardo del fratello si posò su di lui, neutro. «No. Non su chi pensi tu, comunque.»
«Io non penso a nessuno, Hiro. Non è il loro stile.»
«E da quando conosci il loro stile, Kiminobu?»
«Da quando so che non ammazzano a sangue freddo, Hiroaki.»
Il primogenito si fece da parte, indicandogli il corpo. «Estrai la pallottola, ma chiunque l’abbia ammazzato in pieno giorno non avrà lasciato la sua firma sul proiettile. E poi vedi di combinare qualcosa con quel foglio.»
«Va bene.»
«Io torno in ufficio. Fatti vedere appena hai finito.»
E uscì dalla casa dello scrivano. La folla lo assalì con le sue inutili e ciarliere domande.
Non rispose.

Fu un paio d’ore dopo che Kiminobu bussò alla porta del suo ufficio.
«Combinato qualcosa?» domandò Hiroaki, raddrizzandosi sulla sedia.
Il fratello annuì. Gli posò sulla scrivania un pezzo di stoffa con avvolto dentro il proiettile. «Guardalo tu, per me sono tutti uguali» mormorò. «Questo invece…» aprì sul tavolo il foglio, ora colorato con un leggerissimo strato di grafite nera, «dice molto di più, a mio parere.»
«Riesci a leggere?»
Kiminobu si spinse gli occhiali su alla radice del naso. «Abbastanza.» Avvicinò una seggiola alla scrivania, studiando il foglio da vicino. «Voi volete vendetta. Adesso potete averla. Cosa…»

«… cosa aspettate a prendervela? Voi avete sospetti. Ora sono certezze. Leggete, Clanton, leggete. Cinquanta monete d’oro. Tanto è valsa la morte di Joe Clanton. Leggete. Cosa aspettate a vendicarvi?»
La voce di Hike Clanton si spense in uno sbalordito silenzio, mentre studiava l’altro foglio. La carta era ingiallita e vecchia di anni, l’inchiostro quasi cancellato, ma ancora leggibile.
Con mani incerte, aprì lentamente il foglio piegato.
I fratelli lo guardavano con espressioni variamente accigliate. Si andava dal cipiglio rabbioso di Hisashi alla stolida fissità dello sguardo di Hanamichi, e ancora alla preoccupazione ansiosa degli occhi di Nobunaga. Si schiarì leggermente la voce impastata.
«3 aprile, OK Corral, mezzogiorno. Cinquanta come pattuito. Non puoi sbagliare. F. E.»
Le iniziali dello sceriffo erano uno svolazzo frettoloso e largo in fondo al foglio. Akira accartocciò il messaggio tra le mani, con un moto convulso.
«Dopo questo…»
«Calmati, Akira» bisbigliò Nobu.
«Dopo questo» proseguì il primogenito, come non avesse parlato, «non c’è più niente da aspettare.» Scagliò i fogli appallottolati insieme nell’angolo più lontano della casupola. «Meenham ci ha mandato questo per un suo tornaconto, è ovvio. Non so qual è, ma non mi importa. Mi sono stancato di aspettare.» Sbatté il pugno sul tavolo. «Chi è con me lo dica, chi non è con me se ne vada al diavolo, non è più mio fratello. Allora?»
Hisashi sollevò una mano. «Sarà una cosa regolare, Akira?»
«Certo» ringhiò il fratello. «Non siamo come loro.»
«Allora lasciatemi Kiminobu» concluse Hisashi, a voce bassa.
«E sia. Kim Earp sarà tuo. Hanamichi?»
Il rossino inspirò, con aria eccitata. «Kay Earp è mio! È da quando siamo tornati che aspetto di farlo fuori, quell’arrogante che dice di essere più bravo di…»
«Sì, sì» annuì Akira, con fare sbrigativo. «Nobu.»
Il più giovane si passò una mano tra i capelli, lentamente. «Senti…»
«Mi hai già deluso due volte, Nobunaga» mormorò Akira, spietato. «Vuoi farlo ancora?»
Nobu scosse la testa. «Allora lasciami Hiroaki Earp.»
«Hiroaki è mio!»
«Non voglio ammazzare Ray!»
«Allora vattene, faremo senza di te» concluse il primogenito, senza più guardarlo. «Hisa, dammi un pezzo di carta.»
Mentre il fratello vergava rapidamente sul foglio stropicciato datogli da Hisashi, Nobunaga rimase a guardarlo in silenzio. Aveva i pugni serrati, e le labbra prese da un leggero tremito che preludeva al pianto.
«Va bene» mormorò alla fine, guardando il pavimento. «Io… io penso a Ray.»
«Bravo, Nobu» sorrise Akira, senza allegria. «E adesso va’ a portargli questa.»
«Io? Perché io?» ansimò Nobunaga, impallidendo.
«Perché sì» sibilò Akira, mettendogli il foglio in mano. «Vai.»
Non appena fu uscito, e Hanamichi con lui per fare una passeggiata, Akira si lasciò cadere sulla sedia, espirando.
«Akira…»
«Lo so, lo so. Non preoccuparti. Lo ammazzerò senza pietà.»
«Akira, noi non avremo problemi a vincere. Ma Hana e Nobu…»
«Ho addestrato io Nobu. So di cosa è capace. Piuttosto, perché dubiti di Hana? Ti sei occupato tu di lui.»
Hisashi strinse le labbra. «Non è veloce quanto Kay Earp. L’ho visto sparare, non sarà mai veloce quanto lui.»
Akira si rialzò. «Allora dovremo fare fuori in fretta i nostri, e poi ammazzare anche Kay Earp.»
Un sospiro fu l’unica risposta di Hisashi Clanton.
«Pensi di non riuscirci?»
«Penso che per la prima volta ci peseranno dei morti sulla coscienza, Akira.»
«Tu non hai una coscienza. L’hai seppellita cinque anni fa. Come me.»
«Credevo di non avere neanche un cuore, se proprio lo vuoi detto. E lo credevi anche tu.»
«La differenza è che il mio sta zitto, se così voglio.»
«E starà zitto anche al duello?»
«Parli come una donnetta, Hisashi.»
«Sì, e spero di sbagliarmi. Ma non credo.»
Akira lo guardò spazientito. «Ti sbagli. E mi hai stancato.» Con uno sbuffo, uscì anche lui dalla casupola.

«Cos’è questa, Nobu?»
L’ultimogenito dei Clanton si strinse nelle spalle. «Va’ a casa e poi leggetela, tu e gli altri.» Dovette fare uno sforzo per impedirsi di incrociare lo sguardo di Aya prima, e quello di Sean dopo. Girò sui tacchi e scomparve fuori dalle porte ondeggianti del saloon.
Ryota, con Aya appoggiata alla spalla, aprì il foglio spiegazzato e ne diede una veloce lettura.
Pallido come un morto, corse fuori.

Ora come cinque anni fa, sceriffi, a mezzogiorno all’OK Corral. Quattro contro quattro. Un duello regolare. Lì ci renderete conto della vergogna di vostro padre.

Quella notte, l’ultima prima del duello, la trascorsero nei modi più diversi.
Ricky Earp, destatosi in mezzo alla notte dalla consueta insonnia e dall’agitazione, si trovò Kiminobu in piedi accanto alla soglia della sua stanza. Lo guardò con occhi ancora fatti di sonno, che subito stropicciò per mettere a fuoco la scena.
«Ti disturbo?» domandò il fratello, avvicinandosi a piedi nudi.
Hiroaki scosse la testa. Non era la prima volta che si svegliava, quella notte.
Kiminobu si avvicinò, tendendo la mano verso di lui. Stringeva nel pugno un mazzo di carte da gioco.
«Per ammazzare il tempo» propose, poi scosse la testa di fronte all’infelicità di quell’espressione. «Scusa.»
Hiroaki sorrise leggermente. Incrociò le gambe all’indiana, lisciò le coperte e attese le sue cinque carte dal dorso blu.
«Agitato?» mormorò, mentre studiava la mano capitatagli.
Kiminobu inspirò.
«Agitato» ripeté Hiroaki. «Se ti può consolare siamo in due. Tre carte.»
«Se anche tutto andasse a finire per il meglio, e non lo credo, Hiro, non sarà risolto proprio niente» sussurrò Kiminobu.
«Che cos’è il meglio, Kiminobu?»
«Non lo so neanche» rispose il guaritore, cambiando due carte.
«Pensiamo a sopravvivere, Kimi. Non c’è altro, per ora.»
«… io non credo che papà abbia assoldato Meenham per uccidere Joe Clanton.»
Hiroaki alzò gli occhi su di lui. «Però loro ci credono.»
«Se le parti fossero invertite, ci crederesti anche tu» mormorò Kiminobu.
«Me le parti sono quelle che sono, e non si cambiano» rispose Ricky, con voce decisa. «Full d’assi.»
Ray Earp andò da Aya solo verso il tramonto, e le disse – con schiettezza, senza giri di parole: «Domani potrei essere morto».
Aya non disse una parola. Lo abbracciò, premendo le labbra sulle sue in un bacio disperato, e gli si strinse addosso con l’enfasi di quelle donne e fanciulle che salutavano i mariti in partenza per il fronte.
«Fammi salire…» sussurrò Ryota, accennando alle scale del saloon.
Aya scosse la testa. Sopra, al primo piano, risuonavano le voci e i rumori di Sean e di Bob Clanton. «Andiamo a casa tua» sussurrò invece, posandogli un bacio sulla punta del naso.
Il giorno che le si era inginocchiato davanti, offrendole l’anello e il matrimonio, Aya O’ Connor l’aveva guardato in modo strano.
«Sono troppo giovane per sposarmi» aveva risposto, con un broncio infantile sulle labbra.
«Ma io ti amo» aveva replicato il vice-sceriffo, accorato.
«Ho detto che sono troppo giovane per sposarmi…» aveva sussurrato allora la proprietaria del saloon, chinandosi su di lui, «non per…» Un bacio lungo e intenso aveva chiuso definitivamente la questione, uno come quelli che si stavano scambiando ora nel letto di Ryota, avvinghiati in un abbraccio famelico – tanto più famelico perché poteva essere l’ultimo.
Kiminobu si schiarì la gola, ignorando l’ennesimo gemito. «… full di jack, e tu?»
«Donna» ghignò Hiroaki, scoprendo le carte, «donna, donna e ancora donna.»
«Sì, anche Ryota» sospirò il fratello.
Kay Earp rimase chiuso nella sua stanza. Aveva accolto la notizia del duello con la solita aria fredda, eppure Kiminobu aveva visto l’apprensione passargli negli occhi; poi si era rintanato in camera.
«Tu lo conosci meglio di me» mormorò Kiminobu, studiando l’ennesima mano sfortunata. «Non pensi che ci nasconda qualcosa?»
Hiroaki scosse la testa. «Non sarebbe l’unico» rispose, cupamente.
«A cosa ti riferisci?»
«A te», alzò gli occhi, «a Ray», accennò alla parete, «e a me.» Tornò a guardare le carte. «E nessuno conosce Kaede.»
Kiminobu ripensò alla prima notte dopo il suo ritorno, quando Kay era riuscito a spiazzarlo con poche parole. «Però lui conosce noi» mormorò, tra sé.
Mitch Clanton passò la sua forse ultima notte ad aspettare – il che, per una persona impaziente come lui, fu terribile. Aspettò il suo Ed fino al mattino inoltrato, quando poi, convintosi dell’abbandono, se ne tornò al covo, a macerare la rabbia e la frustrazione. L’ultima notte e il suo amante neppure si presentava? Tornò al rifugio meditando vendetta, ma quando poi si distese a riposare la rabbia svanì nel sonno, e la bella immagine del giovane gli rimase come ultimo pensiero. Pensò, addormentandosi, che comunque tra qualche ora l’avrebbe rivisto – che davanti ai suoi occhi avrebbe vinto il suo duello con Kay Earp.
Hike e Ash Clanton dormirono tutta la notte – ma non è dato sapere se e quanto tranquillamente.

Il sole a mezzogiorno picchiava sulle teste dei quattro Earp con particolare cattiveria. Impietoso come solo sa essere dopo vari giorni di pioggia, a picco nel mezzo della giornata, strappava a tutti loro sottili gocce di sudore stillanti dalla fronte.
Con lentezza, e quasi per un segnale convenuto, gli Earp si sfilarono le giacche e le posarono sulla staccionata.
Kay Earp fu il primo a vederli. Fu seguendo il suo sguardo che gli altri tre vennero colti dal medesimo brivido.
Mitch Clanton, in testa al gruppetto, sorrideva scioccamente. Hike, dietro di lui con Ash appoggiato alla spalla per via della gamba ferita, aveva un’aria indefinibile sotto la tesa larga del cappello. A chiudere la fila, Bob Clanton, che fissava ostinatamente il terriccio smosso del ranch.
Kiminobu socchiuse gli occhi, per difenderli dal sole e per evitare quelli di Ash Clanton.
«Ed!»
Sotto gli occhi esterrefatti degli altri Earp, degli altri Clanton, dei McPerson, degli O’ Connor, di Hanagata, di Fujima, e perfino degli inglesi Meenham e Casemite, arrivati in quel momento, Mitch Clanton fece l’ultima cosa che ci si potesse aspettare da lui. Andò ad abbracciare Kay Earp e gli catturò la bocca in un bacio avvolgente.
«Ka… ede?» mormorò Ryota, il più vicino, contemplando sgomento il gemello prigioniero delle braccia forti del bandito. Non che il vice-sceriffo stesse opponendo grande resistenza, comunque.
Quando Kay gli puntò i palmi sul petto per allontanarlo, Mitch lo guardò con un gran sorriso. «Sei venuto a vedere come batto Kay Earp, eh? Di’ la verità, sei preoccupato per me! Non ti devi preoccupare per il Genio, lo batterò in cinque secondi, ahahah!»
«Ma che razza…» Hiroaki lo afferrò per il colletto della camicia, scostandolo di forza da Kaede. «Che diavolo pensi di fare, idiota?»
Hanamichi lo guardò sprezzante. «E tu che vuoi?»
«Sei così imbecille da baciare chi sta per ammazzarti, Mitch Clanton? Che hai nella testa?»
«Forse non sappiamo tutto, Hiro» mormorò Kiminobu, posando una mano sulla spalla del fratello e guardando Kaede.
Anche Hanamichi lo stava guardando. Aveva un’aria sinceramente sgomenta, la fronte corrugata di preoccupazione. «Ma…»
«Io sono Kay Earp» disse l’interessato, in tono neutro.
«Tu… sei…»
In quel momento Hike Clanton fece due passi avanti e andò a recuperare il fratello. Gli inflisse un sonoro ceffone, cui Hanamichi non tentò neanche di ribellarsi, e poi gli sibilò in faccia: «Ma che bravo. Era Kay Earp quello che ti scopavi. E informarti prima, no?»
Hanamichi non rispose. Il fratello lo tirò indietro, sotto gli occhi impassibili e fermi del secondogenito degli Earp.
«Possiamo cominciare» disse Hike Clanton.
Hiroaki annuì, impercettibilmente.
Si disposero ognuno di fronte al suo sfidante, in silenzio. La tensione non era neanche paragonabile a quella con cui, una settimana prima, si erano affrontati Hike Clanton e Ray Earp.
L’aria scoppiettava.
Nel silenzio profondo della concentrazione – la concentrazione assoluta che significa vita o morte – si udivano a malapena piccoli passetti di assestamento dei contendenti, ricerca di un migliore equilibrio. Il più inquieto era Mitch, come non avesse ancora chiarito a sé stesso quale fosse il suo posto in quell’assurda pantomima. Il più tranquillo Kiminobu, perfettamente immobile. Aveva negli occhi una risoluzione profonda, e addosso la calma che ne seguiva.
«E sia» lo sentì mormorare Hiroaki, prima di posare, con lentezza estrema, la mano sul calcio della colt.
Hisashi si irrigidì.
«Sta’ tranquillo» sussurrò, guardandolo con un disarmante, lieve sorriso. Estrasse la pistola, tenendola per l’impugnatura come ne disconoscesse l’uso, e percorse sotto gli occhi degli altri i venti passi che li separavano.
Di fronte ad Ash Clanton, ne aprì il tamburo.
«Perché?» soffiò il bandito.
Kiminobu lasciò cadere a terra la pistola scarica. «Perché sì» mormorò in risposta. «Scusatemi» disse poi, alzando la voce. «Sono un vigliacco. So solo scappare. Ma… io…» la voce si spense in un sussurro tanto flebile che solo Ash Clanton lo udì.
«Anch’io ti amo» bisbigliò il bandito, prendendogli il viso tra le mani. E lo baciò, sotto gli occhi di tutti, mentre Kiminobu gli gettava le braccia al collo.
Hiroaki e Akira si passarono una mano sulla faccia nel medesimo, desolato gesto di scoramento. «Niente da fare, vero, Sashi?» sibilò il primogenito dei Clanton.
«Niente da fare» rispose il fratello, scostando un ciuffo dagli occhi di Kiminobu. Lo tirò da parte, lontano dagli altri, incurante delle occhiate omicide di Hike che minacciavano di incenerirlo.
La concentrazione infranta era difficile da ricostruire. Mitch guardò lungamente il fratello abbracciato a Kim Earp, poi puntò gli occhi in quelli neri-bluastri della sua volpe.
Come aveva potuto essere così stupido?
«Perché non me l’hai detto?»
«Hn. Non ti sarebbe piaciuto.»
«Non mi è piaciuto neanche così!»
Gli occhi di Kay Earp si distolsero un attimo, poi tornarono a fissarlo. «Non ti deconcentrare, Mitch.»
Un angolo della bocca del bandito scattò verso l’alto. «Ti batto quando voglio, lo sai.»
«Ma davvero?»
«Non vuoi ammettere la tua inferiorità?»
«E tu?»
Ray Earp spiò il viso del gemello, con la fronte corrugata. Da quando Kaede parlava così tanto? Davanti a sé, Nobu Clanton guardava Mitch con aria divertita. Le fanfaronate del rossino non erano storia nuova, ma l’interessamento di Kaede sì. Davvero loro due avevano…?
Non aveva tempo di pensarci. Si sentiva addosso gli occhi di Aya, e forse come lui anche Nobunaga avvertiva su di sé lo sguardo amoroso di Sean.
«Buona fortuna, Bob» mormorò, preparandosi a sfoderare la pistola – ma qualcosa lo bloccò. Una risata, secca e fredda, forzata, priva di allegria.
«No, non voglio» proseguì Mitch Clanton, scuotendo la testa. «Le condizioni non erano queste.» Scrollò le spalle.
«Siete voi che ci avete sfidati» sibilò Kaede, tra i denti.
«Tu non mi hai detto chi eri!»
«Qual è la differenza?»
Mitch Clanton gonfiò il petto, come preparandosi ad una delle sue micidiali testate, ma altrettanto rapidamente si gonfiò. «Questa è la differenza.» Girò sui tacchi, anch’egli incurante dello sguardo di fuoco di Hike, e si allontanò.
Ray vide gli occhi di Nobunaga spostarsi freneticamente su Kaede. «No. Kay non spara alle spalle» gli disse.
Kaede Earp trasse un lento sospiro, poi scostò il palmo dal calcio della sua colt. In silenzio si scostò dal gruppo e lasciò il ranch in direzione opposta al bandito.
Ora gli occhi di Nobunaga andavano dal suo contendente al fratello rimasto, dubbiosi.
«Continua, Nobu» sibilò Hike.
Lo sguardo del più giovane si fermò con particolare apprensione su Ray.
«Nobu…»
Bob Clanton sospirò. «È Ray…»
«È un Earp» sibilò il primogenito.
«Ma è Ray.» Nobunaga scosse la testa, freneticamente, poi alzò le braccia in segno di resa. «Non ce la faccio, Akira, non ce la faccio davvero. Mettila come vuoi, io…» guardò ancora Ryota, con aria desolata, «non posso.»
Fece tre passi indietro, le braccia lente lungo i fianchi.
«Vieni qui, vecchia sega» borbottò Ray, andando ad afferrarlo per il collo e mettendoselo sotto braccio. Poi si abbracciarono, anche se lo sguardo di Bob seguitava a tornare con apprensione al fratello maggiore, il quale però aveva smesso di ricambiarlo.
«Sai cosa significa questo, vero, Nobu?» commentò Hike Clanton, con voce sostenuta.
«Ma smettila» borbottò Hiroaki. «Siamo rimasti soli, non lo vedi? Non ti senti ridicolo?»
«Io voglio vendetta per mio padre!» sibilò il bandito, stringendo il pugno sull’elsa della colt.
«E l’hai avuta! Uccidendo il nostro!» ribatté lo sceriffo.
«Non è abbastanza!» gridò Hike. «Non è abbastanza per quello che ci ha fatto!»
«E voi cosa avete fatto a noi? Quando la smetterai di inseguire i fantasmi, Hike Clanton?» gridò Hiroaki, più forte di lui.
Il bandito trasse un lento respiro. «Io e te, Hiro. Mi basta. È giusto così, siamo i più grandi, no?»
«Credi che mi piaccia?»
«Credi che piaccia a me?»
Hiroaki trasse fuori la pistola, con un moto rabbioso, e la gettò lontano verso la staccionata. «Mi hai stancato, Akira Clanton. Ora vediamo quanto sei coraggioso.»
Il bandito sgranò leggermente gli occhi. «Raccoglila.»
«No.»
«Raccoglila, ti ho detto!»
«Sennò che fai, mi spari?» replicò Hiroaki, con una smorfia ironica. Incrociò le braccia al petto. «Avanti. Sono qui. Ce la fai a prendermi?»
Il vento ruggì con particolare forza, mentre Hike Clanton sollevava la colt e mirava contro di lui.
Hiroaki lo guardò con calma. Il pallore che gli era usuale nascondeva quello sopraggiunto nel vedersi spianata contro l’arma. Senza mostrare nulla, strinse le braccia al petto e squadrò orgogliosamente il bandito.
Kiminobu si conficcò le unghie in un braccio.
Nobunaga mormorò tra i denti: «Non può farlo, non può farlo, non lui, non può farlo».
Geene McPerson, stretto tra le braccia del cugino, emise una specie di singulto.
«Se le parti fossero invertite, tutti pregherebbero perché tu mi ammazzassi» mormorò Akira Clanton, stringendo più salda la presa intorno alla pistola. «Invece ora tutti tifano per te, non è carino? E se anche non sparo poco cambierà. Tu non sei il bandito, bellezza mia. A te è tutto concesso. Ci hai mai pensato?»
«Stai solo prendendo tempo» replicò lo sceriffo. «Spara.»
Il bandito scosse la testa. «Mio padre, che aveva più onore del vostro, mi ha insegnato a non sparare alle persone disarmate.» Abbassò la pistola, poi sputò per terra dinanzi a sé. «Questo è per l’onore di Fletch Earp.» Accennò a Hisashi, appoggiato alla staccionata lì vicino, a Mitch, poco distante, e a Bob, accanto agli O’ Connor. «Andiamo.»
Hisashi annuì. Evitò lo sguardo interrogativo di Kiminobu, appoggiò le labbra sulle sue per un ultimo bacio e poi seguì il fratello. Così fece anche Bob con Sean. Mitch, l’ultimo, rimase a guardare desolato nella direzione in cui era scomparso Kay Earp, poi seguì i fratelli fuori dal ranch.
«Sceriffo! Li lasci andare così?» proruppe Tower Hanagata.
Hiroaki alzò gli occhi dalla piccola macchia di saliva biancastra sul terriccio umido. «Sì, mandriano. Qualcosa in contrario?»
L’allevatore si morse la lingua e abbassò gli occhi.
«Andiamo anche noi» mormorò lo sceriffo, raccogliendo la sua giacca dalla staccionata.
«Hiro…» tentò Kiminobu.
«Parleremo a casa, Kiminobu. Ray?»
«Arrivo…»

Un mese dopo
Fuori la pioggia era una cappa fredda e cupa, e le strade erano ammassi disabitati di fango appiccicoso. I muri e le finestre di casa Earp ticchettavano.
«Kiminobu?»
Le mani affondate nel vecchio baule Earp, una gocciolina di sudore rotolò lungo la tempia del secondogenito, del guaritore, del mezzo-indiano.
«Kiminobu?»
Spinse le mani più in fondo, a prendere quella cosa, sì, proprio quella, a dispetto delle centinaia di altre accatastate sopra. Tirò forte, con testardaggine, accanendosi. Perché non veniva via? Poi l’oggetto scivolò fuori di colpo, e Kiminobu fece un volo indietro, a gambe per aria, la conquista stretta in grembo.
Sospirò, tossendo per il nuvolone di polvere sollevato.
«Kiminobu?»
«Sono qui!» ansimò, pulendosi la bocca col dorso della mano.
I passi di Ryota risuonarono pesanti sui fragili scalini di legno tarlato. «Che fai quassù? Aya voleva sentirti cantare una di quelle ninnananne indiane, dice che calmano il bambino…»
Kiminobu alzò gli occhi. Con i baffoni castani che si era lasciato crescere, Ray somigliava incredibilmente a Fletch Earp, ma non lo voleva detto. Anche se non se n’era più parlato, la questione dell’onore dello sceriffo era rimasta tra loro come uno spettro mai sedato.
«Sì, dille che scendo subito.»
«Che fai?» chiese Ryota, accoccolandosi sui talloni.
«Nulla, metto in ordine» rispose il fratello, scrutando l’oggetto per cui aveva tanto combattuto.
«Lo scrigno di mamma?» Gli occhi di Ray si posarono sulla scatola, sgranati. «Che ci fa qui?» Tese una mano per prenderlo, ma Kiminobu se lo tirò da parte. «Kimi…» Ryota lo guardò con aria severa. «Sei tu che dovevi occupartene! Avevi detto…»
«Lo so cos’avevo detto» borbottò Kiminobu. «Ma non l’ho fatto.»
«L’aveva chiesto espressamente, Kiminobu!»
«E lo so! Ma non… non abbiamo altri ricordi suoi» mormorò il fratello. «Nella tomba non le servirà…»
«Quasi non ti riconosco, Kim. Che ti prende?» domandò Ryota, guardandolo sospettoso.
Il secondogenito scosse la testa. Esitò un istante, poi aprì il cofanetto di latta. «… e questa?»
«È il diario della mamma…»
«… no.» Kiminobu richiuse il libriccino. «Non è giusto.»
«Be’… che male può farle?»
Il secondogenito esitò, ma dovette convenire che, be’, alla povera Yukari Earp sarebbe importato ben poco di questa violazione della sua intimità. Aprì il quadernetto e lo sfogliò sino all’ultima pagina, dove si soffermò a leggere ad alta voce. Era un giapponese ordinato e minutissimo. Ryota lo ascoltava da sopra la sua spalla.
Arrivati al termine, si guardarono in faccia per un lungo istante.
«Questo significa…»
«Dobbiamo dirglielo.»
«Certo che dobbiamo dirglielo!»
«HIROAKI!!!»

Caro diario,
spero di aver fatto la cosa giusta, ma se pure così non fosse, mi consolerà sempre sapere di aver fatto ciò che ritenevo migliore per me, per Fletch e per i bambini.
A lui non lo dirò mai; e neppure a loro. Se lo sapessero, forse mi capirebbero, ma allo stesso tempo imparerebbero a dubitare di me, e non penso che potrei sopportarlo. Dopotutto, l’ho fatto solo per amore della mia famiglia.
Spero sia stato giusto per noi. Ma so che non lo è stato per Joe, per Saeko e per i suoi bambini. Povera amica mia! Non dovrei dirlo, ma sono felice che sia morta da tempo. Altrimenti, forse, non avrei avuto il coraggio di farlo. E forse, dico forse, avrei perso il mio Fletch.
Fletch, Fletch, amore mio! Non riesco neanche a pensarci. Quando medito che avrei potuto perderlo, che a quest’ora potrei essere una vedova, e i miei figli orfani… sono felice e fiera di ciò che ho fatto.
Perché non è stato forse onorevole, così dice Fletch, andare da un bandito di bassa lega come quell’inglese, e forse non è stato onorevole scrivergli con le iniziali di mio marito, e forse non è stato onorevole accordarmi perché garantisse la vita del mio onorevole marito.
Ma io lo amo. Ed egli è il padre e lo sposo migliore del mondo, ed io non ero pronta a perderlo.
Sono fiera di ciò che ho fatto. Il tempo mi dirà se non è stato lo sbaglio più grande – il tempo mi dirà se aveva più ragione Fletch o se ne avevo più io…


PERSONAGGI E INTERPRETI (in ordine di apparizione):

Ricky Earp ------> Hiroaki Koshino
Hike Clanton ------> Akira Sendo
Ash Clanton ------> Hisashi Mitsui
Kim Earp -------> Kiminobu Kogure
Mitch Clanton ------> Hanamichi Sakuragi
Kay Earp --------> Kaede Rukawa
Bob Clanton ------> Nobunaga Kiyota
Ray Earp -------> Ryota Miyagi
Mean Casemite ------> Minori Kishimoto
Josh Meenham ------> Tsuyoshi Minami
Keith McPerson ------> Kitcho Fukuda
Geene McPerson ------> Soichiro Jin
Sean O' Connor ------> Shin'ichi Maki
Aya O' Connor ------> Ayako (ma ce l'ha un cognome, 'sta ragazza???)


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