É forse la fic cui mi sto dedicando con maggiore impegno... per la difficoltà del genere (western) che non ho mai trattato! La dedico a Mercy che mi ha aiutato con i nomi e che per ora studia lontano lontano!!! ^*^
Sfida all'OK Corral
di Fiorediloto
TITOLO: Sfida all'OK Corral
AUTORE: Fiorediloto
SERIE: Slam Dunk
PARTE: 8/9
STATO: In corso di lavorazione
PAIRING: tutti i canonici
RATING: AU/NC-17
DISCLAIMERS: I personaggi non sono miei, ma del divino Takehiko Inoue!
NOTE: I nomi dei personaggi sono tutti americanizzati. Li trovate tutti
con i corrispettivi in fondo alla pagina, ma vi consiglio di leggere prima la storia e provare ad indovinarli da soli... alcuni sono molto facili, altri un po' meno.
CAPITOLO OTTAVO: PROVE DI DUELLO
Della sequela di ciance disordinate che Ray Earp scaricò una volta rientrato in casa, Hisashi colse solo le parole “duello”, “Franklin” e “fottuto bastardo”, troppo poco per capirci qualcosa.
L’atmosfera s’era d’un tratto fatta incandescente. Kiminobu aveva cominciato a urlare al fratello che era un idiota e un incosciente, che si sarebbe fatto ammazzare, che non c’era bisogno di arrivare a tanto; poi era arrivato Kay Earp e per qualche motivo le parole grosse si erano dissolte. Non che il gemello avesse fatto niente per calmare gli animi… era semplicemente entrato, si era fatto spiegare l’accaduto, e poi facendo spallucce era passato oltre.
«Buona fortuna» aveva borbottato, unico segno di partecipazione al dramma familiare.
Mai come in quel momento Hike Clanton aveva desiderato la presenza del fratello Hisashi accanto a sé. Mai come davanti agli occhi sgranati di Nobunaga, e al suo frignare da moccioso.
«Ma… Ma Aki, avevamo detto…»
«Lo so cos’avevamo detto. Ma la situazione è cambiata.»
«Ma…»
«Ma loro hanno Hisashi, chiaro? Sta’ buono a fare la guardia, io torno prima di notte.»
«Ma… noi abbiamo…» E si guardò indietro, verso la porticina del covo.
La mano di Akira scattò a stringergli la gola. «Non ci pensare nemmeno, è chiaro?» sibilò. «Lui è mio!»
«Va bene… va bene» rantolò il fratello, divincolandosi.
Hike si contemplò la mano assassina per un istante. Stava diventando violento, più di quanto si consentisse di solito. Borbottò qualcosa che doveva suonare come una parola di scusa.
«Vedi di non disturbarci.» Ed entrò nella casupola.
Hiroaki aveva le mani sciolte, ed era in piedi. Neanche a dirlo, lo salutò con il solito sguardo di disprezzo.
«Ma che bravi» commentò. «Vi siete persi qualcuno per strada?» E alzò un angolo della bocca in una smorfia di compiacimento.
Akira lo guardò, infastidito. «Siediti.»
«No.»
Akira scrollò le spalle e sedette sul bordo della brandina, senza staccargli gli occhi di dosso. «Sai che lo ammazzerò senza problemi.»
Hiroaki non rispose.
«Quanto vale la vita di tuo fratello?»
«Dove vuoi arrivare?»
«Siediti.»
Hiro non si mosse.
«Siediti. Non te lo ripeterò.»
Ricky Earp trasse un lento respiro e poi andò a sedersi sulla branda, il più lontano possibile dal bandito.
«Allora?» Hike lo guardò con un sorriso agghiacciante. «Vuoi che lo ammazzi?»
«Voglio che ci lasciate in pace» sibilò Hiroaki, tra i denti.
«E io voglio te» mormorò Akira, avvicinandosi.
«Non mi toccare!»
«Perché?» Gli afferrò il polso, attirandolo a sé. «Ti piace quando ti tocco…»
Hiroaki si trasse indietro – o almeno ci provò. Con uno scatto, Akira lo spinse disteso e gli si accomodò sopra.
«Allora… vuoi che risparmi tuo fratello o no?» sussurrò, baciandogli il collo.
«Non provare a ricattarmi!»
«Non è neppure uno scambio equo… la sua vita in cambio di una cosa tanto più piccola…» alitò Akira sul suo orecchio.
«E chi mi dice che non lo ammazzerai comunque?» ansimò Hiro.
«Ti do la mia parola…»
«Non vale niente!»
«Bene…» Akira lo guardò negli occhi, con un dolce sorriso. «Dovrai fartela valere un po’ più di così.»
Hiroaki ringhiò, opponendo resistenza, ma più debolmente. «Non mi fido di te!»
«Stiamo già contrattando? Che bravo fratellino…» mugugnò Hike Clanton, divorandogli di baci il collo nudo.
«La… lasciami!»
Hike si fermò, appuntando gli occhi nei suoi. «Quindi vuoi che lo faccia fuori. Vuoi questo?»
«Non…»
«Va bene.» Si alzò, passandosi una mano tra i capelli all’insù. «Del resto, è quasi ora.»
Hiroaki si tirò a sedere, fissandolo con sguardo omicida. «Come faccio a fidarmi di te?» sibilò, tra i denti.
«Noi Clanton siamo di parola, non come voi Earp» ribatté il bandito, orgogliosamente. «Ma che importa? Hai detto di no, giusto? E io devo andare a regolare i conti con…»
«A-aspetta!»
La mano di Akira si fermò sulla maniglia. «Non farmi perdere tempo, Hiro-kun. Ho da fare.»
Gli occhi fissi sul pavimento, Hiroaki mugugnò qualcosa.
«Non ho capito.»
«… ne.»
«Eh?»
«VA BENE! Devo fidarmi di te» sibilò lo sceriffo.
Akira sorrise, soddisfatto. «L’ho sempre detto che eri tu il più intelligente» mormorò, con voce roca.
Ne aveva abbastanza. Ne aveva abbastanza di Ray, Kay e anche di Hiro rapito. Ne aveva abbastanza dei Clanton e di Hisashi. Ne aveva abbastanza della ferita che lo inchiodava al tavolo, dell’amore non ricambiato, del dolore al petto che non si era spento più. Ne aveva abbastanza di sognare Nahuel ora che Nahuel non c’era. Ne aveva abbastanza di stare in quella casa, la casa paterna, che aveva creduto di amare all’inverosimile e ora non riusciva a sopportare.
Ne aveva abbastanza di respirare la stessa aria di tutta quella gente pazza e incosciente, sempre in cerca di un treno sotto cui buttarsi.
«Hai capito benissimo, quindi è inutile che mi guardi con quella faccia. Alzati.»
«Tu sei uscito di testa, Kiminobu…»
«Alzati» sibilò il vice-sceriffo.
Hisashi si tirò su, puntellandosi su un gomito. «Perché?»
«Perché da qui la tua ferita può guarire anche da sola, perché dobbiamo liberarci di te e perché ingombri il tavolo del nostro soggiorno. In piedi» rispose Kiminobu, gelido.
«Che ti è preso, Kimi-kun?» mormorò Hisashi, scendendo lentamente dal tavolo-letto. «Non ti sarai mica offeso per la storia degli indiani…»
«Ti stiamo rispedendo dai tuoi fratelli, il che è più di quanto meriti. Muoviti.»
Hisashi poggiò i piedi a terra, trattenendo un gemito. «Sì… ti sei offeso… e mi odi, vero?» La domanda, in altri casi, sarebbe potuta apparire gravida di compiacimento, ma non lì. Con le mani piegate all’indietro, per sorreggersi al tavolo, e l’espressione sofferente che non poteva cancellare dal viso, Hisashi Clanton non sembrava affatto compiaciuto.
Kiminobu si concesse un lento sospiro. «Appoggiati.» Gli offrì la spalla. «Ti aiuto.»
Hisashi spostò cautamente il peso sulla gamba sana e ne scaricò una parte sul braccio di Kiminobu. «Se vi ingombro il tavolo posso sempre dormire nel tuo letto, Kimi-kun…» sussurrò, alitandogli un fiato caldo nell’orecchio.
Lo avvertì distintamente rabbrividire.
«Smettila, Hisashi.»
«Perché? Tu mi piaci, Kiminobu, e lo sai. Da sempre. Da impazzire…» Gli posò le labbra sul collo, caldissime.
«Smettila, Hisashi…» si lamentò Kiminobu, senza muoversi d’un millimetro.
«Perché vuoi che vada via… Tu mi ami…» sussurrò Hisashi, attirandolo con sé sul giaciglio improvvisato.
«Smettila… di farmi questo…»
L’umido alle ciglia di Kiminobu servì a fermare Hisashi come non erano riuscite le parole e le preghiere. Il bandito gli passò l’indice all’angolo dell’occhio, e lo ritirò con un gocciolone salato in bilico sulla punta.
Si passò una mano tra i capelli, fissando il soffitto.
Sbuffò.
«Mi sono proprio rammollito…»
«Devi andartene.» Kiminobu si asciugò gli occhi frettolosamente. «Ora, Hisashi.»
«E chi lo vuole? Tu? I tuoi fratelli?»
«I tuoi. Così ci ridaranno Hiro… Non far finta di non saperlo» concluse Kiminobu, con voce spenta. «Alzati, ti accompagno fino alla porta.»
«Non sapevo che Akira…» Fece un sorrisetto. «Ma che bravo. Ha imparato.»
«Ha avuto un bravo maestro» sussurrò Kiminobu, guardando altrove.
«Eri così maledettamente pudico, Kiminobu… e io non avevo tempo…» Gli posò una mano sul braccio e lo strinse forte. «Non avevo il tempo…»
«Non ti credo più, Hisashi. Te l’ho detto, per me tu sei morto.»
«E allora perché hai voglia di fare l’amore con me?» bisbigliò Hisashi, sollevandogli il mento con due dita. «Perché sei venuto stanotte?»
«Per fare l’amore bisogna amare in due» sibilò Kiminobu, ritraendosi.
«E io ti amo.»
«Hai… hai uno strano modo di dimostrarlo!»
«Ti amo, Kiminobu, Dio, smettila di far finta di non capire! Ti amo. Ti voglio. Tu sei mio!»
Silenzio.
«Muoviti, Hisashi…»
«No.» Gli afferrò le braccia, saldamente, e lo baciò stendendoglisi sopra. «Finché non mi dici chiaro e tondo che mi odi – guardami negli occhi – finché non me lo dici io non ti lascio.»
Kiminobu strinse i denti. «Ti odio.»
«Peccato, non ti credo» mormorò Hisashi, tornando a baciarlo.
Quando Nobunaga entrò nella casupola, Hiro si stava lentamente rivestendo. Il quartogenito non commentò, e se aveva sentito qualcosa non ne fece parola. Andò ad accucciarsi in un angolino, le ginocchia al petto, e rimase a fissarlo.
«Che hai da guardare?» ringhiò Hiroaki.
Bob Clanton non rispose. Aveva lo sguardo lontano, e sembrava più pallido del solito. L’ematoma sul viso era ancora ben visibile. «Ray è il fidanzato di Aya…»
Hiroaki lo guardò, corrugando la fronte. «Embè?»
«… e Aya è la sorella di Sean» continuò Bob, come se non avesse parlato. «Se Ray muore Aya soffrirà, e se soffre Aya…»
Lo sceriffo lo guardò, perplesso.
«… soffre anche Sean.»
«E a te importa di Sean O’ Connor?»
«Potrebbe anche vincere Ray» ragionò ancora il bandito, e dopo un attimo si smentì. «Bah. Questo è difficile.»
Hiroaki si infilò la maglia, scuotendo la testa. Anche quand’erano ragazzi aveva pensato che Bob Clanton fosse un po’ spostato, ma ultimamente si stava confermando matto come un cavallo.
«Quindi?»
Nobunaga saltò in piedi con uno scatto, facendolo sobbalzare.
«Quindi tu sei la soluzione» esclamò, folgorato, indicandolo col dito.
«Eh?»
«Ma sì, ma sì» borbottò il ragazzo, passeggiando per la casupola. «Se io ora ti lascio andare, tu vai dai tuoi fratelli, il duello non si fa più… certo!... il duello non si fa più, Ray vecchia sega non muore, Aya non piange, Sean… Sean! Tu riferisci un messaggio a Sean!»
Gli occhi di Nobunaga brillavano esaltati.
«… mi pare un’ottima idea» commentò Hiroaki, a cui sembrava che il cuore stesse per esplodere nel petto. Si concesse perfino un sorriso accomodante… gli angoli della bocca su… così, proprio così, bravissimo. «Che messaggio?»
La fronte di Nobunaga si riempì di rughe sospettose. «E chi mi dice che non andrai a dirlo a tutti, poi?»
«Nessuno sa tenere un segreto meglio di me» rispose Hiroaki, serio. «Chiedi in giro.»
«Anche questo è vero…» Nobu continuò a fare avanti e indietro per cinque minuti, poi si fermò. «Sono un genio!» esclamò, e trasse fuori dalla tasca un pezzo di carta tutto unto e stropicciato, si morse un dito a sangue e intingendo la punta del pugnale nella ferita vergò qualche segno frettoloso. Contemplò il lavoro con soddisfazione. «Sono un genio!» ripeté, compiaciuto. Dopodiché tirò fuori dalla tasca una stringa e la usò per avvoltolare e chiudere il biglietto.
«Ecco qui» concluse, porgendoglielo.
«Mi stai liberando davvero?» domandò Ricky, sospettoso.
«Sì, sì, muoviti! È il tramonto. Hike mi farà a pezzi, ma…» si passò una mano tra i capelli, «pazienza. Guai a te se non dai quello a Sean!»
Hiroaki si rigirò il biglietto tra le mani per qualche secondo, poi lo ficcò in tasca. «La mia pistola.»
Nobu gli porse anche quella.
«Ti fidi parecchio, vedo.»
«Sì, lo so, sono un santo» rispose Nobu, con sussiego. «La strada la trovi subito, siamo poco fuori città. Vai! Presto!»
«… grazie.» Ricky aprì la porticina del covo e corse via, senza voltarsi indietro.
Di nuovo e per l’ennesima volta solo, dato che pure Hanamichi se n’era andato, Nobunaga si distese sulla branda e sorrise. Ancora qualche ora. Chiuse gli occhi e cercò di prendere sonno.
Ti amo, Hisashi… Ti amo…
Ash Clanton si calò il cappello sugli occhi. Era tardi e la gamba ferita non lo aiutava, né i pensieri. Aveva fretta, una fretta dannata, ma non poteva correre. Trascinava il polpaccio leso come un’appendice inutile.
Ti accompagno.
Posso farcela da solo.
No che non ce la fai…
Sì.
Maledetta la sua testardaggine.
«Bisogno di aiuto, Clanton?»
Si volse, di scatto.
«Casemite» ringhiò. «Che vuoi?»
Il bandito scese con un salto giù dal muro di mattoni rossi.
«Aiutarti.»
«Sta’ zitto.»
«Non è consigliabile per un ferito aggirarsi così per Tucson. È una città pericolosa, la vostra… Clanton.»
Hisashi sfoderò la pistola, spianandogliela contro. «Non ho bisogno di aiuto né di protezione. Vattene.»
«È strano che un banditucolo come te passi tanto tempo a casa Earp. Cos’è, avete fatto pace?» ghignò Mean Casemite, avvicinandosi lentamente.
«Questo non ti riguarda» sibilò Hisashi.
«My friend, non sei gentile. Io parlo per il tuo bene. E se quel fiorellino di Kim Earp decidesse di piantarti una pallottola nella schiena?»
«Credo che di questo dovresti preoccuparti più tu» sorrise Ash Clanton, improvvisamente allegro.
Casemite si voltò.
«Butta la pistola» disse Kiminobu, con voce salda.
«Vice-sceriffo, non l’ho neppure tirata fuori! Disarmate questo bandito che mi minaccia!» esclamò Casemite.
Kiminobu abbassò impercettibilmente la mira. «Sparisci.»
«Posso aiutarvi a far fuori questo Clanton, vice-sceriffo!»
«Sparisci!»
Casemite chinò il capo e si volse.
«KIMINOBU! ATTENTO!»
Troppo tardi. Il colpo, rapidissimo, lo raggiunse prima che avesse in tempo non solo di schivarlo, ma perfino di accorgersi che era stato sparato. Hisashi, col sangue agli occhi, sparò un singolo colpo contro Casemite, che si accasciò a terra.
«Kiminobu… Kimi… come stai?»
Il vice-sceriffo si contorse, tenendosi il fianco. «Vai… Sto bene… Vai…»
«Non se ne parla!»
«Sono… un guaritore! Vai!»
Hisashi lo rivoltò e tirò su la camicia per valutare il danno. Non sapeva per quale miracolo, ma il proiettile l’aveva solo ferito, senza entrare nella carne.
«Visto?» ansimò Kiminobu, con la fronte imperlata di sudore. «Sto bene… Vai!»
«No!» Hisashi lo afferrò per un braccio e lo mise in piedi, poi, faticosamente, si avviò con lui verso la casa della vedova Franklin.
«Così non arriveremo mai…»
«Non mi conosci abbastanza, Kimi-kun.»
Con la mano premuta sul fianco, il guaritore alzò lo sguardo su di lui. «Se sopravviviamo a questa giornata…»
«Cosa?»
«… niente, niente.»
«Non è ancora arrivato.»
«Hn.»
«Se la sarà fatta sotto.»
«Hn. Risparmia il fiato.»
Ray Earp rivolse l’ennesimo sorriso trionfale ad Aya, che guardava la piazzetta con aria angosciata. Poi il sorriso gli morì sulle labbra.
«Pronto a morire, moccioso?» ghignò Hike, sistemandosi a gambe larghe di fronte a lui.
«E tu, bandito? L’hai raccomandata l’anima ai santi?»
«Sì, ma non l’hanno voluta.»
«Ti hanno riconosciuto, insomma.»
Hike incrociò le braccia al petto. Era solo. Si passò una mano tra i capelli, poi disse: «Possiamo cominciare».
«Perfetto.»
Kay Earp si fece da parte, accostandosi ai fratelli O’ Connor. Stranamente per lui, aveva la mascella contratta e i suoi occhi vagavano nervosi tra i due contendenti.
«La pensi come me, Kay?» mormorò Sean, preoccupato.
«Hn. Non farmi domande, O’ Connor» sibilò il migliore tra i pistoleri di casa Earp.
Il vice-sceriffo e il bandito si fissarono con reciproca aria di sfida. Poi, apparentemente senza muoversi, si misero in guardia – differenza che solo un altro pistolero poteva cogliere, il lieve irrigidirsi dei muscoli della braccia, il leggero flettersi delle ginocchia.
«È cominciata» bisbigliò Sean, stringendo Aya a sé.
Il vento fischiava, minaccioso. La terra rossastra alla luce del tramonto crepitava sotto gli stivali.
«Geene?»
L’orologiaio lo guardò, con il viso estremamente contratto.
«Ma sono impazziti?» bisbigliò, pallido.
Sean scosse la testa, sconsolato.
La concentrazione dei due era assoluta, ma Sean era certo che avessero colto perfino i loro lievi bisbigli. Per questo si ritrovò a maledire quel lieve grattare che udiva in lontananza, che disturbava i contendenti.
«Geene! Smettila!» sibilò.
«Non sono io, Sean!»
«Ma che…»
Passi. Erano passi, affrettati e pesanti – confusi.
Le dita di Ray si flessero a un centimetro dal calcio della pistola. «Sei morto, Akira Clanton» sibilò, e fece fuoco.
«NO!»
Ryota ruzzolò a terra, costretto da un altro corpo su di sé, che emise un gemito nel momento in cui si accasciò sopra di lui.
«Hiro!»
Lo sceriffo strinse le palpebre, premendosi una mano sulla spalla. «Merda… Ecco che succede… a pensare ai fratelli…»
Il colpo di Ray Earp, conficcatosi nel muro dietro Akira Clanton, era la prova tangibile che c’era mancato veramente poco. Quello del bandito era andato a segno – ma al bersaglio sbagliato.
Per una volta anche Kay Earp pareva sgomento.
«Che diavolo ci fai qui, Hiroaki?» gridò Hike Clanton.
«… però, di parola…» mormorò Hiro, stringendo i denti.
«La tua mira non la ricordavo così schifosa, fratellone, sai?» ansimò Hisashi, appoggiandosi al muro.
Kay Earp andò a sorreggere Kiminobu, che gli si accasciò in braccio.
«Kiminobu!» gridò Hiroaki.
«Credo che questo metta fine al duello» constatò Sean O’ Connor, mentre Aya correva ad abbracciare il suo fidanzato.
Ma gli occhi di Hike Clanton bruciavano. Rinfoderò la pistola e avvicinandosi a Hisashi, disse ad alta voce: «Nessuno qui aveva il diritto di interrompere questo duello. Era una questione tra me e Ray Earp».
«La questione è chiusa» sibilò Hiroaki, mentre si rimetteva in piedi con l’aiuto del fratello.
«Chiusa? Non lo è affatto» ribatté il bandito.
«Che altro vuoi?»
Hike lo guardò dall’alto in basso, congestionato in volto. «Lo saprai presto, Ricky Earp.» E preso Hisashi sotto braccio si allontanò con lui.
Solo uno colse il movimento con cui Hisashi torse il collo indietro, e gettò un ultimo sguardo a chi di diritto.
«Hiro… come stai?» mormorò Kiminobu, a denti stretti.
«Potrei stare meglio. Tu?»
«… potrei stare peggio. Fammi vedere quella ferita.»
«Tra un istante.» Con uno sforzo, Hiroaki raggiunse Sean e gli mise in mano il biglietto di Bob Clanton. «Idiota sì, ma non è poi così cattivo» sibilò, prima di allontanarsi anche lui con Kiminobu e Ryota.
«Che fine ha fatto Kaede?»
Ray si guardò intorno, perplesso. «Era qui… fino a un attimo fa.»
Appena un’ora prima
La camicia di Ricky Earp volò nella stanza fino a planare sul pavimento, poco lontano dalla branda.
«Ti piacerà, Hiro… ti piacerà da morire…» mormorò Hike Clanton, baciandolo.
Hiroaki non si mosse. Teneva il viso volto di lato e così sarebbe rimasto fino alla fine. Immobile.
«Se tu collaborassi sarebbe più bello…»
«Scordatelo.»
«Non costringermi a violentarti…»
«Ho detto che avrei acconsentito, non partecipato» sibilò lo sceriffo.
Akira si fermò, guardandolo. Sospirò. «Perché sei così testardo, Hiroaki Earp? Non mi hai mai dato una possibilità…»
«Domandati se c’è un motivo!»
«No, non c’è» mormorò il bandito, baciandogli la guancia. «Sono sempre stato gentile con te. Ero l’unico che giocava con te quando eravamo bambini, l’unico che ti aiutava ad allenarti, l’unico che ti voleva bene…» Mentre parlava, man mano lasciava scivolare le mani giù lungo il suo corpo.
«Non dire stronzate! Io avevo i miei fratelli!»
«Sì, e poi? Io ti amavo… e tu non ne hai mai voluto sapere…»
«Non potevi costringermi a volerti!»
«Potevo… e non l’ho fatto…» bisbigliò Akira nel suo orecchio.
«Lo stai facendo ora. È sufficiente» ribatté Hiroaki, voltandosi dall’altra parte.
Hike lo guardò con aria sconsolata. «Qualunque cosa faccia, non mi vorrai mai, vero?»
Hiro non rispose.
«Perché?»
Silenzio.
«Mi sa che Hisashi si sbagliava. Violentarvi non basta» mormorò Akira, tirandosi in piedi.
«Che stai facendo?»
«Vado al duello.»
«Abbiamo fatto un patto!» esclamò Hiroaki, inferocito.
«E lo rispetterò. Anche se tu non hai fatto la tua parte» rispose Akira, raccogliendo la cartucciera che s’era sfilato e uscendo dalla casupola.
«Kiminobu…»
«Mmm?»
«Hisashi ti ha toccato?»
Il guaritore avvampò. Distolse in fretta lo sguardo. «Perché me lo chiedi?»
«Non mi devi rispondere per forza.»
«… lo so, Hiro.»
«Voglio solo sapere se saresti pronto a ucciderlo.»
Kiminobu rimase in silenzio.
«… è proprio un vizio di famiglia» sospirò lo sceriffo, scuotendo la testa.
«Sei venuto…»
«Hn. Che vuoi da me?»
Hanamichi sorrise, il suo sorriso pieno e largo da do’hao, poi gli si avventò addosso. Lo abbracciò e lo addosso al muro vicino, baciandolo.
«Te. Voglio te.»
«Mmm…»
Kaede chiuse gli occhi. Perché lo stava lasciando fare? Perché non si ribellava? Forse gli era inferiore per forza fisica, ma poteva ancora ficcargli una pallottola nello stomaco, no?
Gli passò le braccia intorno al collo. Quand’era che la scimmia aveva cominciato a piacergli?
Neppure si avvide che Mitch lo aveva portato in un vicoletto buio.
«Non per nulla i Clanton sono gli amanti migliori degli States…» borbottò Mitch Clanton.
Kaede dischiuse le palpebre. «Non l’hai mai fatto.»
«… che importa l’esperienza?» esclamò Mitch, avvampando.
Il vice-sceriffo sorrise lievemente nell’oscurità.
«Tirati su, idiota. Ti sei fatto mettere KO da due mocciosi!»
Mean Casemite non si mosse. Teneva gli occhi chiusi. La ferita si era aperta in una larga pozza di sangue sul petto.
Meenham lo tentò con un calcetto nel fianco, un punto illeso. «Casemite! In piedi!»
Casemite rimase immobile.
Josh Meenham corrugò la fronte. «Mean?»
Non ricevette risposta.
«Sacco di merda, non ho tempo da perdere.»
Silenzio, profondo e preoccupante.
«Mean, God damn’it! Non puoi esserti fatto impallinare da quei bambocci!» esclamò Josh, chinandosi su di lui e scuotendolo per le spalle.
«Mm…»
«Mean… Stai bene? Rispondimi!»
«Meenham…»
«Dove ti hanno colpito? Parla!»
«Che carino… ti preoccupi per me…» ghignò Casemite, con aria sofferente.
L’altro corrugò la fronte, se possibile, ancora di più. «Sacco di merda…»
«Per servirti, dolcezza…»
Senza particolare sforzo lo tirò su in piedi, sorreggendolo. «Vieni, imbecille. Vediamo di tirar fuori quella pallottola, visto che ti fai colpire pure dai mocciosi…»
Blaterando e insultandolo, lo portò in un vicoletto ed estrasse dalla tasca il pugnale.
«Mmm…» mugugnò il ferito, fissando l’arma con aria seccata.
«Sta’ zitto.» Gli sfilò la camicia, già ridotta a uno straccio e adesso pure lorda di sangue, e strizzò le palpebre per veder meglio nella penombra. «Dov’è che ti hanno preso?»
«Josh… ci vedi?» ansimò Casemite, preoccupato.
«Dove ti hanno preso?»
«Vicino alla spalla… ah!»
«Non lamentarti, mi distrai» borbottò Josh Meenham, armeggiando con la punta del pugnale dentro le carni dell’altro.
Quando ebbe finito, si gettò alle spalle la pallottola incriminata con uno sbuffo. Fece a brandelli la camicia dell’altro e lo fasciò stretto, poi si lasciò cadere accanto a lui.
«Ecco qui. Un ottimo lavoro come al… Mean?»
Il ferito era svenuto, da diverso tempo probabilmente, per la perdita di sangue. Josh gli tirò un ceffone e prese a scuoterlo. «Mean! Mean, svegliati! Sveglia!»
«Ah… smettila… smettila di pestarmi, figlio di puttana!» mugugnò Mean, tornando tra i vivi.
Meenham si tirò indietro. «E io pure mi preoccupo per te» borbottò, scuotendo la testa.
Il frinire dei grilli sostituì per diverso tempo i loro discorsi. Poi…
«Grazie, comunque.»
«Figurati.»
«Sta andando tutto a rotoli, eh?»
Meenham evitò di guardarlo. «Neanche per sogno.»
E dirgli che per un attimo aveva voluto mollare tutto, ma proprio tutto, e scappare dove nessuno li conosceva e farsi una vita… incredibile per lui… onesta? Come dirgli che era stato quando aveva creduto che fosse morto?
«Solo un intoppo. Niente di che.»
«Che vuoi fare?»
«Ho tutto. Aspetta e vedrai.»
La Queen Victoria ballava nella tempesta – l’Atlantico ruggiva contro di loro, o con loro, chissà. Casemite era una figura confusa nel buio, saltuariamente rischiarata da un lampo. Aveva i lineamenti contratti – per una volta, una sola, il piacere. Gli occhi semiaperti lo guardavano, pure in quel momento, con la solita aria di sfida.
Si riscosse con un sussulto. Non v’era sciabordio d’onde, né grida di galeotti, né rumore di lotta. E tuttavia strinse le palpebre, aspettandosi il frastuono della chiglia che si conficcava, spaccandosi, in mezzo agli scogli.
Le mani di Casemite (non dolci, non delicate, non premurose) gli slacciarono i calzoni.
«Mi sento meglio» ghignò il bandito, sovrastandolo.
Le mani di Mitch – dolci, delicate, premurose – iniziavano a piacergli malgrado la loro goffaggine, o magari proprio per quella. Con un sorrisetto che l’altro non vide, Kay Earp si lasciò spingere con gentilezza spalle al muro e sfilare la blusa.
Le labbra di Hanamichi lo riempivano di baci affamati dappertutto – viso, gola, bocca – con la smania ansiosa dei giovani e degli inesperti, e se gliel’avessero chiesto Kay non avrebbe neppure saputo dire che ci faceva lì – ma gli piaceva starci.
Gli piaceva, già. Era la prima volta che trovava di suo gradimento qualcosa oltre ai suoi allenamenti. La constatazione lo colpì a fondo. La prima volta. Guardò Mitch, che armeggiava frettolosamente con i suoi calzoni.
«Mi piaci» mormorò, più a sé stesso che all’altro.
Il bandito alzò gli occhi. Sorrise, un sorriso da lupo affamato. «Anche tu mi piaci…»
Kaede colse il suo sguardo e lo ignorò. Non finirà come pensi tu, do’hao… Sorrise, ancora una volta, nel buio.
«Tu sei pazzo, Nobu! E se ci scoprono?»
«Non ci scoprono…» Bob Clanton lo abbracciò, con trasporto, nel buio del saloon deserto.
«Hai liberato tu Ricky Earp?» mormorò Sean, passandogli una mano tra i capelli.
«Certo.»
«… avevo ragione io…»
«Cosa?»
«Niente, niente.» Sean sorrise, attirandolo a sé per baciarlo. «Andiamo di sopra?»
PERSONAGGI E INTERPRETI (in ordine di apparizione):
Ricky Earp ------> Hiroaki Koshino
Hike Clanton ------> Akira Sendo
Ash Clanton ------> Hisashi Mitsui
Kim Earp -------> Kiminobu Kogure
Mitch Clanton ------> Hanamichi Sakuragi
Kay Earp --------> Kaede Rukawa
Bob Clanton ------> Nobunaga Kiyota
Ray Earp -------> Ryota Miyagi
Mean Casemite ------> Minori Kishimoto
Josh Meenham ------> Tsuyoshi Minami
Keith McPerson ------> Kitcho Fukuda
Geene McPerson ------> Soichiro Jin
Sean O' Connor ------> Shin'ichi Maki
Aya O' Connor ------> Ayako (ma ce l'ha un cognome, 'sta ragazza???)
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