É forse la fic cui mi sto dedicando con maggiore impegno... per la difficoltà del genere (western) che non ho mai trattato! La dedico a Mercy che mi ha aiutato con i nomi e che per ora studia lontano lontano!!! ^*^
Sfida all'OK Corral
di Fiorediloto
TITOLO: Sfida all'OK Corral
AUTORE: Fiorediloto
SERIE: Slam Dunk
PARTE: 6/???
STATO: In corso di lavorazione
PAIRING: tutti i canonici
RATING: AU/NC-17
DISCLAIMERS: I personaggi non sono miei, ma del divino Takehiko Inoue!
NOTE: I nomi dei personaggi sono tutti americanizzati. Li trovate in
fondo alla pagina, ma vi consiglio di leggere prima la storia e provare ad indovinarli da soli... alcuni sono molto facili, altri un po' meno.
CAPITOLO SETTIMO: A CIASCUNO IL SUO
Non erano riusciti a trovarlo. Avevano setacciato la città palmo a palmo, controllato le vie, frugato nei vicoli, finanche le traversine più insignificanti. Ogni angolo. Vivo o morto o moribondo, Ash Clanton era sparito.
Le luci di casa Earp erano rimaste accese ancora un po’, poi si erano spente tremolando come fiammelle. Passavano di là, quando i lumi della casa degli sceriffi si erano affievoliti e poi erano morti nella notte. Ma non era più notte. Un’alba leggera e tagliente come una lama di coltello aveva iniziato a sorgere.
E di Ash non c’era traccia.
Fu verso quell’ora che Hana disse: «Io vado da loro».
«Tu non vai da nessuna parte.»
«Chiedo il loro aiuto, non ce lo rifiutano. Non ce lo rifiutano, Aki, mi gioco la testa.»
«Tu non vai da nessuna parte» ripeté Akira, in un sibilo.
«Non mi faranno niente, se anche mi sbattono fuori a calci che mi importa?, voglio provare!»
«Tu non vai da nessuna parte» concluse il primogenito, stringendo la mano dalle dita sottili e callose intorno al braccio del rosso. E lo tirò via, più forte di lui che pure si dibatteva, disperato.
Rivoglio mio fratello era diventata la litania del rossino – e non sapeva che dall’altra parte della città an-che Nobu, nel silenzio della catapecchia, se la canticchiava e canticchiava in testa. Rivoglio mio fratello. Ri-voglio mio fratello. Nobunaga la alternava a non meno frequenti È colpa mia.
L’abitudine alle solitarie passeggiate di Hiro risparmiò agli Earp la preoccupazione, ma non la nottata inson-ne – a quella aveva già provveduto Ash Clanton. Mentre i Clanton battevano Tucson come cani da caccia, di-sperati di non trovare il fratello, Kiminobu sostava sulla soglia, e fissava il ricercato come si fissa chi torna dopo anni d’assenza – e non si vuole credere a quanto poco sia cambiato.
Non era riuscito a dormire, alla fine. Stringeva lo stipite nella mano, premendo forte coi polpastrelli, e il brac-cio contratto iniziava a urlare di silenzioso dolore. Ma, come al solito, non aveva importanza.
Nell’infinito mormorio della notte, un invisibile spettatore avrebbe visto Kiminobu Earp staccarsi dallo stipite, avanzare frusciando fino al tavolo-letto di Ash Clanton, e chinarsi lentamente sul ferito. L’avrebbe visto ap-poggiare le labbra sulle sue, gli occhi pieni di lacrime colpevoli, e ancor più lentamente rialzarsi. Poi avrebbe visto ogni goccia di stupore stillare giù dai suoi occhi al sentirsi sfiorato – perché la mano di Ash Clanton a-veva risalito il suo profilo e si era poggiata sul suo fianco. Avrebbe sentito Kiminobu mormorare: «Basta», e Hisashi rispondere: «Resta con me». Le coperte improvvisate del tavolo-letto si sarebbero aperte al guaritore dagli occhi di cervo, e poi gli si sarebbero richiuse sopra il corpo infreddolito.
«Ti riscaldo io» avrebbe sussurrato Hisashi Clanton, abbracciandolo forte.
«Basta stare da solo…» avrebbe replicato Kiminobu, e lo spettatore non l’avrebbe sentito, perché le coperte attutivano la sua voce impastata.
«Ti riscaldo io» avrebbe ripetuto Hisashi Clanton, posandogli un singolo, caldo bacio – uno solo – sulla fronte.
Se fosse rimasto ad osservare, il silenzioso spettatore avrebbe poi scorto Ray Earp, intento a guatare la cop-pia stesa sul tavolo-letto con aria rabbiosa, l’avrebbe visto muovere un passo come a raggiungerli – poi ritira-re la gamba.
Lo spettatore, però, con ogni probabilità non avrebbe visto la mano di Kay Earp stretta intorno al braccio del gemello, al di fuori della stanza da pranzo, nel buio del corridoio senza una fiammella.
«Pensa ai fatti tuoi, Kae.»
«Lo stesso vale per te.»
Dall’altra parte della città, Hiroaki Earp avrebbe chiuso gli occhi e si sarebbe abbandonato ad uno stanco dormiveglia, cullato dallo scricchiolio incessante degli stivali di Nobunaga sul pavimento. Si era alzato, alla fine, l’ultimogenito, e aveva preso a muoversi avanti e indietro per la casupola. Il dolore diffuso, la stanchez-za, l’angoscia – tutto era amplificato dalla notte e dalla presenza di Ricky Earp accanto a sé.
«Sean» avrebbe sibilato infine, tra i denti, tanto piano da non sentirsi neanche lui stesso. E si sarebbe lascia-to scivolare di nuovo a terra, tra un gemito trattenuto e una protesta del suo stomaco vuoto, e come il suo prigioniero avrebbe chiuso stancamente gli occhi, verso l’alba.
Fu un senso di scomodità prolungata e di dolore alla schiena a spingere Kiminobu a risvegliarsi. Percepiva, sotto il fianco, la durezza di un giaciglio che non era un letto, né un morbido sacco a pelo, e neppure freddo pavimento. Il suo braccio cingeva qualcosa… qualcuno, a giudicare dal respiro. Non aprì gli occhi. Non voleva svegliarsi e non sapeva perché. Addormentandosi aveva avuto il desiderio improvviso che il risveglio non ve-nisse mai – questo lo ricordava bene – perché poi si sarebbe spezzato tutto. Tutto cosa?… L’incanto.
I ricordi tornarono con lentezza esasperante. Il corpo di Hisashi era comodo, forse appena un po’ spigoloso, e non profumava esattamente di fresco, ma non se n’era curato per tutta la notte, quindi perché pensarci ora? Era caldo. Caldo? Forse gli era salita un po’ la febbre… Kiminobu alzò gli occhi e incontrò il suo mento pun-teggiato di barba. Il guaritore e l’uomo si mischiavano in lui, si addensavano, si alternavano con una rapidità che non riusciva a prevedere. Ma era tempo di mandare via l’uomo… quell’uomo sfacciato che aveva gettato alle ortiche la sua dignità… e di lasciare che il guaritore facesse il suo lavoro.
Silenziosamente scivolò fuori dall’abbraccio delle coperte – e da quello amato del fuorilegge.
«Mmm… torna qui…» mugugnò Hisashi, affondando mezza faccia nel cuscino.
«Fatti controllare la febbre. Forse è salita» mormorò Kiminobu, toccandogli la fronte.
«Kiminobu…» soffiò il bandito, con voce dolce.
Earp si fermò.
«Kiminobu, ho voglia di fare l’amore con te…» Si sollevò su una mano e gli cinse il torace con il braccio libero, attirandolo giù, di nuovo sul tavolo-letto, di nuovo nelle pastoie delle coperte tiepide. Gli chiuse la bocca con la propria, d’impulso.
Il guaritore che era in Kiminobu scalciò e si ribellò, ma finì inevitabilmente soppresso. Rassegnato e al tempo stesso felice, Kiminobu si strinse al bandito, lasciandosi toccare, abbracciare – sovrastare. Chiuse gli occhi, abbandonandosi a lui e ricambiandolo, mordicchiandogli il collo con dolcezza. Era un gesto che faceva sem-pre impazzire Nahuel.
«Da quando sei così esperto… Kimi-kun?» gli sussurrò Hisashi nell’orecchio.
Kiminobu riaprì gli occhi, di scatto. «Co… cosa?»
«Sì… con chi l’hai fatto, in questi cinque anni? Mmm? Non me lo vuoi dire? Ti sei sbattuto qualche muso ros-so, di’ la verità…»
«Smettila» sibilò Kiminobu, irrigidendosi.
«È vero, io lo so… l’ho capito… da chi ti sei fatto sbattere, Kimi-kun? Ce l’aveva più lungo di me…? Ah, no, questo non è possibile…»
«Smettila… stai zitto…»
«E perché? Non è vero? Chissà quanti te ne sei fatti, là tra i selvaggi… tutti uomini… ti pare che non lo so co-sa fanno, i Kanagawa? Chissà quanti…»
«Sei… sei sempre lo stesso bastardo!» ansimò Kiminobu, scrollandoselo di dosso. Rabbioso, scivolò giù dal tavolo-letto e lo contemplò con occhi di fuoco. «Non ci riesci proprio, vero? Non ci provi nemmeno!»
«A far che?» ghignò Hisashi, guardandolo tranquillo.
«A… a… Vai al diavolo!» gridò Kiminobu, marciando verso la porta.
«Ahi… Kiminobu… ahi… la gamba…!» gemette Hisashi, con una vocina stridula.
Kiminobu si voltò di scatto, e il bandito scoppiò a ridere forte. «Vai!» gli gridò quand’era già uscito. «Torna dal tuo indiano! Sei solo una puttana, Kiminobu! Mi hai sentito? Sei solo una puttana!» E continuò a ridere, a sghignazzare con gusto.
«Solo una puttana…» ripeté infine, lasciandosi cadere sul cuscino. «Nient’altro… nient’altro che una puttana.»
«Io lo ammazzo.»
«Esci.»
«Lo ammazzo, Kimi, un colpo, un colpo solo in mezzo alla fronte. Lo ammazzo. Faccio un favore al mondo.»
«Esci da questa casa, Ryota. All’istante.»
«Ma lo senti? Lo senti come ti chiama?»
«ESCI DA QUESTA CASA, RYOTA EARP!»
L’ultimo nato degli Earp rimase a fissare gli occhi del fratello per un lunghissimo istante. Erano due braci ardenti – ardenti di lacrime nascoste, ma questo non poteva saperlo. Fu il primo a distogliere lo sguardo. «Ho paura di quello che ti può fare, Kiminobu.»
«Non sono una ragazzina. Vai. Vai al saloon, vai a baciare la tua fidanzata.»
«Non è la mia… va bene» borbottò Ryota, cupo. «Stai attento.»
Con la faccia scura e le mani in tasca, Ryota Earp lasciò la casa di famiglia. Non bastava solo quel bandito in casa, no! Non poteva certo dirglielo, a Kiminobu, ma il problema rimaneva. Ma che avevano fatto di male?
In ufficio non c’era, dannazione, e neppure al saloon, né da Hansel, né dai McPerson, né all’OK Corral, né in nessuna fottutissima parte di Tucson, maledizione! Sparito. Volatilizzato. Evaporato.
Pensò di raggiungere Kaede e fare qualche tiro con lui, ma al gemello non piaceva esercitarsi in compagnia, e in verità neanche lui aveva voglia di metter mano alla pistola. Tranne che per far saltare le cervella di Ash Clanton, beninteso, ma quella era un’altra storia.
Preda di cupi pensieri, si diresse curvo verso le porte del saloon.
«Stavolta le cartucce le ho portate.»
Un lieve sorriso sotto una cascata di ciuffi rossastri indorati dal sole. Così si sarebbe potuto definire Mitch Clanton, quella mattina.
Kaede alzò lo sguardo dalla mira, senza muovere altri muscoli che quelli fragilissimi e fulminei degli occhi. Stava piantato a gambe larghe di fronte al consueto monticello di mattoni e bottiglie da colpire, le pistole an-cora nelle fondine, ovvio, ma caricate e pronte al tiro. Alzò lo sguardo e la concentrazione gli si sfrangiò e frantumò in un mare di piccoli cocci di pensiero.
Si era distratto.
E lui odiava distrarsi.
«Mpf.» Scompose un po’ la posizione, buona per prepararsi al colpo, ma non esattamente comoda.
«Che c’è, volpino? Ti sei mangiato la lingua?»
Gli occhi di Hanamichi erano segnati da due profonde borse scure, il sorriso era teso e sbiadito. Fece finta di non notarlo.
«… volpino?» ripeté, vagamente sorpreso. Era il nomignolo che Mitch gli aveva affibbiato quando erano bam-bini, non sapeva bene perché. Gli occhi, forse. Istintivamente provò l’impulso di toccarsi l’angolo della palpe-bra – Mitch non avrebbe notato la forma inusuale, il retaggio di sua madre?
Ma del resto non l’aveva notato il giorno prima, quindi perché preoccuparsi? Anzi… perché preoccuparsi in generale? Se anche l’avesse scoperto, non sarebbe cambiato nulla. Una provocazione, una sola, e l’avrebbe impallinato al volo.
Forse.
Mitch aveva l’aria distrutta.
«Già. Era il soprannome di… un amico.»
«Chi?» domandò Kaede, d’impulso.
Il rosso lo guardò e scrollò le spalle. «Lo sai che non so ancora come ti chiami? Ci pensavo ieri» riprese, tran-quillo.
Come aveva fatto lui, Kaede non rispose. Tornò a fissare il bersaglio, poi con uno scatto tirò fuori la pistola e fece fuoco. Centro.
«Sei bravo… non quanto me, s’intende, ma bravo. Chi ti ha insegnato?» La consueta arroganza si era così sbiadita che a malapena Kaede ne riconobbe il tono.
«Mio padre» mormorò. Gli fece un cenno col mento, indicandogli di cimentarsi.
«Chi è tuo padre? Conoscevo tutti, a Tucson, qualche anno fa» indagò Hanamichi, incuriosito.
Kaede evitò ancora il suo sguardo. «Hn. Spara, invece di parlare tanto.»
«Una sfida?»
«Sei troppo incapace per me.»
«Come ti permetti, kitsune spelacchiata…! Ti batto anche a occhi chiusi, ti batto!»
«Ah, li chiudi gli occhi, quando spari. Per questo le manchi tutte.»
«Ma come…» Hanamichi ringhiò, «spara, invece di parlare tanto!» gli fece il verso.
Kaede scrollò le spalle e divaricò leggermente le gambe. «Sei, come l’altra volta» lo avvisò, con voce già distan-te, concentrata.
Sentì sulla guancia lo sguardo di Hanamichi. Lo stava fissando. Perché? Strinse i denti, innervosito. «Idiota, guarda le bottiglie, non me» sibilò.
«Mi ricordi tanto una persona» mormorò il bandito.
«Idiota.»
«Ecco, esattamente quando fai così…», poi scrollò le spalle e distolse gli occhi.
Spararono insieme. Kaede aveva dimenticato di cambiare la cartuccia esaurita un attimo prima, così dovette limitarsi a colpire cinque bottiglie e poi si fermò. Dal canto suo, il do’hao si dimostrò stranamente concentra-to e distrusse i cinque bersagli rimasti.
«Io quando sono in tensione sparo meglio» annunciò, con un sorriso di trionfo.
Io invece di merda, pensò Kaede, infastidito. «Hn. Avevo dimenticato di ricaricare» borbottò.
«Sì, come no! Perché non ammetti la tua sconfitta, kitsune?» berciò il bandito dalla bocca larga.
«Perché è parità e perché ti ho già sconfitto» rispose, seccamente.
«TU? Sconfitto me? Hai sbagliato persona! O deliri?» ghignò Hanamichi.
«Stai zitto» sibilò Kay Earp, aprendo il caricatore e lasciando cadere a terra le cartucce usate. Una rotolò più in là. La calpestò sotto lo stivale, come un mozzicone di sigaro.
«Nervosetto, eh… com’è che ti chiami?»
«Stai zitto» ripeté Kaede, fra i denti. Non costringermi a massacrarti, do’hao, non costringermi! Oggi ne sarei capace.
«Ma insomma, perché non mi dici il tuo nome?» insistette Hanamichi, con aria maligna. «È brutto come la tua faccia?»
«STAI ZITTO!» gridò Kaede, voltandosi di scatto. La frangetta nera gli frustò gli occhi. «Stai zitto» ripeté, in un soffio. «Sei fastidioso.»
Il bandito fece una smorfia di disappunto. «Hai voglia di fare a botte? Sempre pronto!» dichiarò, parando i pugni di fronte al volto.
Non oggi, do’hao, non oggi… «Non ne vali la pena» replicò, sputando a terra.
Un pugno niente male si schiantò contro la sua mascella. «E questo era il primo» ringhiò Hanamichi, con un bel sorriso di sfida sulle labbra. Si divertiva, il do’hao. Dove c’era da menare le mani si divertiva da matti.
Sempre il solito.
«Peggio per te» ruggì, e gli si scagliò addosso.
A Sean O’ Connor il consueto vociare del saloon risultava sgradito, quella mattina. Scagliò un boccale nelle mani del cliente con tanta forza che quello, un cercatore alto e robusto con due braccia da toro, lo guardò con aria perplessa.
«Ehi, che t’è preso, Sean? T’ha morso la tarantola?» lo apostrofò, ghignando.
Il barista non lo guardò e non rispose. Aveva per la mente pensieri più urgenti – alcuni dolcissimi, altri tre-mendamente cupi. Pensava a Bob… no, a Nobunaga. Il suo Nobunaga. Pensava a come lo aveva lasciato tor-nare a casa, così malandato che a ogni passo doveva trattenere un gemito.
Certo, forse il dolore nel camminare non era dovuto ai lividi, dopotutto. Ma era preoccupato. Hike era una volpe, maledetto lui. E se avesse capito? Nobu, Nobu, perché non sei voluto rimanere…
Una mano di Aya passò in una carezza leggera sulla sua schiena. «Su, su» borbottò la ragazza, sporgendosi di fronte a lui per afferrare un boccale. «Tutto si aggiusterà.»
«Mpf. Sono preoccupato.»
«Scommessa che prima di sera sarà tra le tue braccia?»
«Non dirlo, porta male.»
«Una coppietta felice» sorrise Aya. «Stai su, fratellone...»
«Proprio tu mi parli di coppie felici?» ribatté Sean.
«Certo, io. Non posso?»
«Dopo che hai trattato così male il povero Ray?»
La ragazza arrossì fino alla radice dei capelli. «Non l’ho trattato affatto male, Sean. Affatto male.»
«Sarà… To’. Il tuo fidanzato.»
«Non è il mio… oh, va’ al diavolo, Sean» ribatté la sorella, scuotendo la testa.
Ray Earp attraversò la sala con aria cupa, che si accentuò quando posò lo sguardo sulla proprietaria del saloon. Male. Malissimo. Il viso di Ray si illuminava sempre, quando la guardava. Senza una parola di saluto per nessuno, raggiunse un tavolino in ombra e si lasciò cadere a peso morto sulla sedia.
Dopo un attimo di esitazione, Aya lo raggiunse. Sean vide Ray gesticolare in modo concitato, poi acquietarsi con aria ancora più cupa e in viso una specie di preoccupata rassegnazione. Gli si avvicinò, proprio nel mo-mento in cui la sorella posava la sua mano su quella del giovane.
«Qualche problema, Ray?» gli domandò a bassa voce.
Il fratello dello sceriffo scosse la testa. «Ricky. È scomparso.»
«Vuoi dire che non è tornato, stamattina?»
«Voglio dire che non è in nessun fottuto angolo di questa città, Sean. L’abbiamo cercato dovunque.»
Sean strinse le labbra, pensoso. In effetti gli veniva in mente un solo luogo dove con ogni probabilità non a-vevano cercato. «I Clanton…?»
Al nome, Ray si irrigidì immediatamente. «Io e Kay non possiamo spuntargli in casa. Quelli ci vogliono am-mazzare.»
«Tu e Kay? E Kim?»
«… Kim non può aiutarci, per ora.»
Sean incrociò le braccia al petto. Ray aveva lo sguardo fisso sulle scanalature del tavolo, la mano stretta in-torno a quella piccola di Ayako.
«Forse non gli è successo niente» provò, senza troppa convinzione.
«… già, forse» mormorò Ray. Alzò gli occhi. «Chi ti ha pestato, Sean?»
Sean si portò una mano al viso, imbarazzato. «Ah… nessuno. Sono caduto dalle scale.» E con un improvviso rossore se ne tornò dietro al suo bancone.
Per la verità, più che all’imbarazzo, il rossore era dovuto a una subitanea immagine di sconcezza sortagli alla mente nel ricordare la notte prima. Inspirò. Bob lo assorbiva completamente. Chi l’avrebbe mai detto? Alla sua età… a trent’anni… era convinto che non si sarebbe innamorato più.
Non sei più un ragazzino, Sean, gli aveva detto Aya, ridendo dolcemente.
E di chi, poi? Di chi si era andato a infatuare?
Lui non è come gli altri, fratellone.
… di un bandito. Ma Dio se lo amava! Così tanto che solo ricordare la notte insieme gli mandava vampate di calore su alla faccia.
Scosse la testa. Non sapeva neanche quando l’avrebbe rivisto… Prese un boccale usato dal bancone e lo ripu-lì con uno straccio.
E allora lo vide.
Il colorito abbronzato della sua pelle nascose gentilmente un improvviso pallore.
«Che vuoi, Clanton?» sibilò.
«Una birra.»
«Una pallottola in bocca, ti posso servire.»
«Non giocare a fare l’uomo, O’ Connor. Non ti conviene.»
Gli occhi chiari di Sean ebbero un lampo. «Esci dal mio saloon, Hike Clanton.»
«Al tempo.»
«Che diavolo vuoi?» ringhiò.
«Te lo spiego subito.» La mano del bandito corse fino alla sua gola e strinse nel pugno l’orlo della camicia. «Dimmi dov’è mio fratello» sibilò.
«Fra… tello?» mormorò Sean, impallidendo di colpo. Bob… Bob non era tornato a casa? Gli era successo qualcosa?… «Quale fratello…?»
«Non fare l’indiano, figlio di puttana, sai benissimo di chi parlo!» ruggì Hike Clanton, sporgendosi sul banco-ne. «Dimmi dov’è Ash. Subito.»
Click. «Levagli le mani di sopra, Clanton. Te lo dirò una volta sola.»
Hike si volse, lentamente, di nuovo trasfigurato nel solito sorriso felino – così rapidamente che nessuno l’avrebbe più riconosciuto nel viso devastato dall’ira di un momento prima. «Non mi prenderesti neppure a questa distanza, moccioso. Mettila giù.»
«Scommettiamo, bandito?»
Le mani di Hike si ritirarono da Sean, lentamente.
«Non so dov’è Ash» borbottò il proprietario del saloon. «Ma dovunque sia, spero che sia freddo e cadavere.»
«E così…» frusciò la voce di Ryota, con uno strano tono, «cerchi Hisashi.»
Gli occhi di Hike si ridussero a due fessure sottili.
«So dov’è» continuò Ray Earp, con voce strascicata. «Ma non te lo dirò.»
«Stai giocando col fuoco, poppante.»
«Il tuo fuoco non mi riscalda il culo.»
E lì Hike Clanton, uno degli uomini più tranquilli e riflessivi cui Tucson avesse dato i natali, non ci vide più dagli occhi. Strinse il pugno e lo abbatté sulla mascella indifesa di Ray Earp. La pistola del vice-sceriffo volò con una lunga parabola, Aya gridò, e ogni tavolo e sedia del locale rombò contro il pavimento di legno, men-tre gli astanti si alzavano come un sol uomo. Ray si asciugò l’angolo della bocca sanguinante e mandò una sonora bestemmia.
«Questa me la paghi, figlio di una baldracca» ringhiò.
E poi fu il caos.
«Levati di sopra, idiota.»
«Dici?»
«Levati di sopra, ho detto.»
«Ah, sì?» Gli occhi di Hanamichi Clanton scintillavano di una luce che non gli aveva mai visto, e che non gli piaceva affatto. Sinistra – decisamente sinistra. «A me piace proprio stare così» ghignò. Era accomodato a ca-valcioni sopra il suo bacino, le mani forti, callose, strette a bloccargli i polsi contro il terreno arido. «A quanto pare ho vinto un’altra volta» rise, piegandosi sul suo volto.
Kay strinse le palpebre. Il fiato di Mitch puzzava di whisky, ma non sembrava ubriaco. Forse.
«Mi piace fare a pugni con te, mi mette di buonumore» sorrise il bandito. «Mi mette di buonumore vincere» puntualizzò, sempre più vicino al suo viso.
L’aveva già vista quell’espressione, ma non riusciva a ricordare a chi. E continuava a non piacergli.
«Levati di sopra» ringhiò. «Puzzi.»
«Embè? Non è mica festa» ribatté il bandito, piccato. «E comunque» un ciuffo rosso scivolò giù lungo l’orecchio e sfiorò la faccia del vice-sceriffo, «un vero uomo puzza sempre.»
«Un vero maiale, sicuro» sibilò Kaede, scocciato. «Ti vuoi levare? Perdente.»
«Perdente a me?! Te lo faccio vedere io chi… anzi, no! Io ho già vinto! Ahahah! Ti brucia, eh?»
«Per… den… te» sillabò Kay Earp.
Una ruga di fastidio separò le sopracciglia del bandito. «Anche di fronte all’evidenza… sei più cocciuto di un mulo! Ma tanto ho vinto io… ah! Ce l’hai un nome?»
Kaede non rispose.
«Se me lo dici ti lascio…»
«Hn. Ed. Mi chiamo Ed. Alzati.»
«Tutto sommato sto comodo così…» ghignò Hanamichi. Poi lo sguardo assassino di Kaede gli fece nascere un sorriso divertito. Si alzò e gli porse la mano. L’altro non la prese. «Ed. Sei divertente, lo sai, Ed?»
Kay lo guardò in tralice.
«Saresti un bandito decente, certo, di molto sotto al sottoscritto, però spari… uh… discretamente. Devi impa-rare a fare a pugni, comunque, ti mette sotto pure mio fratello Nobu… Bob, voglio dire.»
«Imbecille» sibilò Kaede. «Non ho intenzione di diventare un bandito.»
Hanamichi scrollò le spalle. «Peccato.»
Peccato? Kay si volse, di scatto.
«Peccato, sei divertente» spiegò Mitch.
«Non sono il tuo giocattolo» ringhiò.
E di nuovo quel sorriso inquietante… cos’aveva in mente il do’hao? Mitch gli si avvicinò, fino a fargli percepi-re chiaramente la puzza di alcool. No. Non era lucido. Non del tutto, almeno.
«Hai bevuto, idiota?» sibilò Kaede.
«Un po’… ma mica sono ubriaco! Eheh! Lo sai, Ed, che ero preoccupato? Adesso non mi preoccupo più!» E gli si appoggiò addosso, un braccio intorno alle sue spalle, le labbra a un pollice dalle sue. Kaede fece per ritrar-si, ma il do’hao gli si avvinghiò più stretto.
«Non ti allontanare, Ed. Tu mi piaci, mi piaci tanto…» mormorò Mitch.
Kay provò un brivido al constatare quanto facilmente il do’hao fosse capace di metterlo sotto. Meglio non fare passi falsi, non che lo temesse, una pallottola in fronte era sempre la miglior soluzione, ma…
«Preoccupato perché?»
«Mmm… ti ho detto che mi piaci, Ed… non dici niente?»
«Non mi interessa, idiota.»
«Oh, sì che ti interessa…», la voce di Mitch si fece più bassa, più roca, più… sensuale? Dio, perché notava un particolare del genere? «Prima ti ho sentito…»
«Imbecille, era la pistola» sibilò Kaede, mentre le sue guance avvampavano.
«… hai proprio una bella pistola, allora…» ghignò Mitch, allungando una mano.
Kaede decise all’istante che il gioco era durato troppo. «Basta sibilò, allontanandosi.
«Eh no» bofonchiò il bandito, con uno scatto di gambe poco degno di un ubriaco. Gli strinse la spalla con una mano e lo spinse contro il muro, premendoglisi addosso.
«Ma come siamo difficili…» mormorò, sulla sua bocca. «Io non volevo, ma si vede che ha ragione Sashi…» E lo baciò di prepotenza.
Premuto contro il muro, Kaede si dibatté per diversi istanti, finché non si rese conto che era tutto inutile, che Mitch lo teneva in una morsa di ferro. Mai si era sentito così impotente, neppure quando erano bambini e lui finiva sotto.
«Mmm… L’hai capito, eh? Hai capito che mi ami alla follia…» sussurrò Hanamichi, con il sorriso scintillante di quando le sparava più grosse.
E Kaede vide i suoi propositi omicidi sciogliersi come neve al sole di fronte all’innocenza spudorata di quel sorriso. Era il do’hao, per Dio! La parte del bandito violento gli donava quanto quella della damina imbelletta-ta a suo fratello Hiroaki! La fitta di preoccupazione per Hiro venne sommersa da un’improvvisa, spontanea risatina. Con quella faccia, il do’hao era veramente ridicolo.
«Mmm» fece Mitch, grattandosi la testa. «Almeno ridi…» Sorrise sulla sua scia, poi alzò gli occhi a scrutare la posizione del sole.
«Devo andare» borbottò. «Ci vediamo questa sera?»
Il viso di Kaede si fece serio di botto. «Perché?»
«Perché ti voglio vedere. A mezzanotte al saloon, va bene?»
«Perché dovrei venirci?» mormorò Kay, diffidente.
«A mezzanotte al saloon» ripeté Mitch, strappandogli un ultimo bacio a fior di labbra. «Guai a te se non ci sei.» E scappò via di corsa.
Completamente pazzo, pensò Kaede, passandosi il dorso della mano sulla bocca.
Hike mi ammazza, pensò Hanamichi, correndo verso il saloon.
Vi giunse in un attimo. Il velo che gli annebbiava gli occhi – l’immagine di Ed – si squarciò in un secondo, di fronte allo spettacolo che gli si parò dinanzi.
In altri tempi avrebbe gridato: “Rissa!” e si sarebbe gettato nella mischia per fracassare un po’ di ossa, ma non quel giorno. Schivò il tizio che gli era volato addosso, scaraventato fuori dalle porte, e si precipitò all’interno.
Gente che se le dava ovunque, sopra e sotto i tavoli, vicino al pianoforte, dietro al bancone, davanti al banco-ne, sulle scale, sulle sedie, con le sedie…
«Hike! Akira!»
Lo distinse subito dalla capigliatura. Si stava ammazzando con Ray Earp, anche se non era chiaro chi stesse vincendo. Ray Earp era basso di statura, ma sgusciava come un furetto e pestava sodo.
Camminando rasente i muri per evitare che gli spaccassero una sedia in testa, Mitch si avvicinò a Sean e Aya O’ Connor, che guardavano in disparte.
«Perché se le danno?» domandò, tranquillo.
«Capirlo» sospirò Aya, scuotendo la testa.
«Non lo so, c’entra tuo fratello Ash» rispose Sean, con una ruga profonda tra le sopracciglia.
«Hisashi?» Mitch si fece subito attento. «Che c’entra Hisashi?»
«Hike è venuto a cercarlo qui, Ray gli ha detto qualcosa e hanno cominciato a darsele di santa ragione.» Sean gli si avvicinò e gli posò una mano sul braccio, stringendolo fermamente. «Dimmi una cosa, Mitch.»
«Mmm?»
«Bob è tornato a casa?»
«Che ti frega?»
«È tornato o no?»
«Sì, è tornato.» Mitch lo squadrò da capo a piedi, poi sorrise. «Ti ha conciato per le feste, Nobu-scimmia» sog-ghignò.
«Sta’ zitto» sibilò il proprietario del saloon. «Finirete sulla forca, tutti e quattro.»
«E perché non ci denunci?» ribatté Mitch.
Sean non rispose.
«Hai un debole per Nobu, confessa…»
«Eh?»
Mitch gli diede una gomitata allegra. «Lo sappiamo, lo sappiamo…»
«Un’altra parola, Mitch, e ti faccio un buco in fronte» sibilò Sean O’ Connor, allontanandosi.
Il duello cavalleresco intanto volgeva al termine senza un chiaro vincitore. Entrambi ansanti e stanchi, i due gentiluomini rimasero a fissarsi in cagnesco senza muoversi.
«Dimmi… dov’è… Hisashi!» ruggì Hike Clanton, con voce rauca.
«Scordatelo!» ghignò Ray Earp.
Mitch trasalì. Ray sapeva dove…? «Senti un po’, nanerottolo…!» Lo afferrò per una spalla e lo sbatté contro il bancone. «Tu sai dov’è Hisashi, tappo?»
«Mollami, idiota!»
«Tu sai dov’è?!»
Vide l’esitazione scintillare negli occhi di Ray Earp, come se stesse valutando rapidamente pro e contro della situazione. «E voi?» sputò alla fine. «Dov’è Hiroaki?!»
Mitch cercò gli occhi del fratello, che si erano socchiusi in un impeto d’odio.
Nel saloon era caduto il silenzio.
«Akira…»
«Allora?» insistette Ray Earp.
Il maggiore dei Clanton fendette l’aria con una mano, in un gesto nervoso e stanco. «Questa sera al tramonto, dietro la casa della vedova Franklin. Chi vince si riprende suo fratello.» Guardò Mitch. «Andiamo.»
«Ma…»
«Ho detto “andiamo”» sibilò Hike Clanton.
Ray Earp infilò i pollici nella cintura, con fare spavaldo. «Non ho paura di te! Ci sarò!»
Il saloon ormai vuoto era uno sfacelo inenarrabile. Sean e Aya lo contemplarono con aria desolata.
Come si diceva ai tempi del vecchio Joe, un Clanton quando passa lascia sempre il segno.
PERSONAGGI E INTERPRETI (in ordine di apparizione):
Ricky Earp ------> Hiroaki Koshino
Hike Clanton ------> Akira Sendo
Ash Clanton ------> Hisashi Mitsui
Kim Earp -------> Kiminobu Kogure
Mitch Clanton ------> Hanamichi Sakuragi
Kay Earp --------> Kaede Rukawa
Bob Clanton ------> Nobunaga Kiyota
Ray Earp -------> Ryota Miyagi
Mean Casemite ------> Minori Kishimoto
Josh Meenham ------> Tsuyoshi Minami
Keith McPerson ------> Kitcho Fukuda
Geene McPerson ------> Soichiro Jin
Sean O' Connor ------> Shin'ichi Maki
Aya O' Connor ------> Ayako (ma ce l'ha un cognome, 'sta ragazza???)
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