É forse la fic cui mi sto dedicando con maggiore impegno... per la difficoltà del genere (western) che non ho mai trattato! La dedico a Mercy che mi ha aiutato con i nomi e che per ora studia lontano lontano!!! ^*^


Sfida all'OK Corral
di Fiorediloto

TITOLO: Sfida all'OK Corral
AUTORE: Fiorediloto
SERIE: Slam Dunk
PARTE: 6/???
RATING: AU/NC-17
PAIRING: tutti i canonici
DISCLAIMERS: I personaggi non sono miei ma del divino Inoue!!!
I nomi dei personaggi nativi americani sono realmente nomi indiani, ma non tutti Navaho, come dovrebbero essere. Le mie fonti non erano un granchè, lo ammetto, così li ho rimescolati un po'. Li ho aggiunti in fondo alla pagina.



CAPITOLO SESTO: LO SCAMBIO


Riappropriarsi dei sensi, per Hisashi Clanton, fu una lenta e straziante ordalia. Da ogni parte lo affliggeva la stanchezza – una spossatezza vischiosa e calda, anormale –, aveva la gola secca e le tempie in fiamme, la testa pulsava come se un esercito vi avesse marciato sopra e lì… lì, nella parte inferiore del suo corpo qualcuno gli stava ficcando un punteruolo infuocato dentro la carne… Dio! Fateli smettere, fateli… Non riusciva a riemergere. Ma che gli prendeva? Sentiva voci confuse e mischiate, parlottii concitati, poi d’improvviso lunghi e paurosi silenzi, e qualcosa che crepitava… un fuoco?
«Tu sei pazzo, sei pazzo, fratello mio, devo proprio dirtelo!»
«Dimmelo. Dimmelo pure. Non mi interessa.»
«L’hai visto bene? L’hai riconosciuto? È Hisashi Clanton!»
«Pensa quello che vuoi, ma io non lascio un ferito in mezzo alla strada, con un pallettone nella gamba, aspettando che si dissangui!»
«Dopo tutto quello che ti ha fatto, tu… tu…»
«… di cosa stai parlando, Ryota?»

Di nuovo quel silenzio, immoto eppure vibrante… insopportabile. Il punteruolo affondò con forza. Gridò, inarcando la schiena. Doveva ricordare… ricordare presto, sentiva la coscienza sfrangiarsi di nuovo e non voleva, non voleva affondare ancora più giù… era stato così difficile risalire… Un’immagine gli sovvenne in aiuto. Vi si aggrappò con tutte le sue forze. «Nobu… Nobu…»
«Lascialo fare, Ryo.»
«Ma…»
«Sta chiamando suo fratello.»
«Questo non significa che…»
«Significa che è abbastanza uomo da meritare che Kimi lo curi. Lascialo fare.»
«Ma tu non lo faresti, Hiro…!»
«Per sua fortuna, non sono io a decidere.»

Che gli stavano facendo? Dov’era Nobu? Dov’erano Akira e Hana?… Dio! Non ne poteva più. Il dolore si era fatto insopportabile. Cos’aveva tra i denti? Ah, non lo sapeva, non lo sapeva, ma lo strinse con tutte le forze che gli erano rimaste, fino a sentire i muscoli della bocca urlare di dolore anch’essi. Almeno l’avrebbero… distratto. Quanta gente c’era, intorno a lui? Non distingueva più…
Non dormi, Kae?
Troppo baccano.
Hai visto?
Hn.
Diglielo anche tu, diglielo a Kimi che curarlo non è una buona idea!
Hn. Se si diverte così…

Non riconosceva le voci, e sentirle affollarsi intorno era una tortura. Che volevano? Che cosa…? Chi…? Poi il punteruolo fu estratto dalla sua carne, sentì qualcosa di umido e fresco tamponare il suo dolore e lasciò ciò che stringeva tra i denti. Una stoffa fresca e leggera si avvolse intorno alla sua gamba. Questo riuscì a percepirlo distintamente.
Non c’erano più voci, ora. Lentamente, lottando contro sé stesso, Hisashi si costrinse ad aprire le palpebre. Piano… così pesanti… le dischiuse e con lentezza esasperante mise a fuoco la macchia di colori che era diventato il mondo.
… nessuna alternativa: doveva essere morto e quello era l’inferno, il più atroce, cupo, straziante degli inferni. Non poteva esserci altra spiegazione. Se così non fosse stato – se Dio non avesse voluto spedirlo nelle viscere della terra – mai e poi mai si sarebbe trovato davanti agli occhi il viso bello e accigliato di Kiminobu Earp.

Kiminobu si passò il dorso della mano sulla fronte, respirando rumorosamente. Era stanco, non dormiva da giorni e quell’operazione… aveva dovuto svolgerla da solo, perché nessuno dei suoi fratelli aveva accettato di aiutarlo. Al diavolo! Non aveva impedito a Ryo di sparargli un colpo in testa per poi lasciarsi vincere da una simile difficoltà. L’aveva estratto, il pallettone. Da solo. L’aveva già fatto un’altra volta insieme al vecchio Wapasha.
Negli anni i Kanagawa avevano sviluppato un’efficace branca della loro medicina volta a curare le ferite di arma da fuoco. Ai tempi della colonizzazione dell’Ovest avevano avuto talmente tanti morti, per colpa di fucili e pistole coloniali, che da varie generazioni alcuni dei loro sciamani si specializzavano in quello studio. Al loro nome premettevano il titolo onorifico Nina, che significava “fuoco”.
Tu hai gli occhi compassionevoli, Isi, e questo per un guaritore è bene. Ma tu hai gli occhi troppo compassionevoli, Isi, e questo per un guaritore è male.
Occhi compassionevoli, già. Li chiuse. Aveva le mani sporche di sangue, doveva lavarle. Ma si sentiva tanto stanco… Tra un attimo. Solo un attimo.
Si alzò lentamente. Buffo. Non era riuscito a prender sonno per tutta la notte, come anche la precedente e quella prima ancora, e adesso che aveva necessità di restare sveglio le palpebre si abbassavano da sole. Si morse il labbro inferiore, per tenersi sveglio, e sentì sulla lingua il sapore del sangue.
Lavò le mani nel catino posato sul tavolo, accanto alla testa del suo paziente. L’avevano steso sul grande tavolo da pranzo, perché l’alternativa sarebbe stata il suo letto, e lì non c’erano camini. Invece aveva bisogno di calore. La ferita si era infettata e la febbre stava salendo. Kiminobu inspirò. Calmati, Kimi. Calmati.
Ma non ci riusciva.
«Come sta?»
Alzò gli occhi. «Ha la febbre» rispose, a mezza voce.
«… non è un bello spettacolo.»
«Neanche tu lo saresti.»
«… questo è certo.» Scosse la testa. «Che ne faremo, poi?»
«Non lo so, Hiro. Davvero… non lo so.»
Le mani del fratello si posarono sulle sue spalle, prima di attirarlo a sé per un lento abbraccio. «Mi dici perché l’hai curato?»
Kiminobu respirò contro la sua spalla, inquieto. «Siamo cresciuti insieme… tutti e quattro, io, tu, Akira e lui. Questo io non posso dimenticarlo. Non chiedetemelo. Voi siete rimasti qui e tutti, tutti quelli che non sapevano vi hanno avvelenato i pensieri per cinque anni, dicendovi quanto i Clanton erano cattivi e perversi e… ma io sono andato via, Hiro, e ne sono felice. Io ricordo solo com’erano allora. Non lo lascio morire, Hiro. Io non lo lascio morire.»
«Va bene» mormorò Hiroaki. «Vorrà dire che lo rimanderemo ai suoi fratelli impacchettato e con un nastro rosso in testa.»
Kiminobu ridacchiò. «Hai ragione… che bella idea!»
«… Kimi?»
«Dimmi, Hiro.»
«Qualunque cosa deciderai di fare di lui, io ti appoggerò. D’accordo?»
«Grazie, Hiro.»
I passi di Hiroaki si persero nel corridoio, e Kiminobu tornò a sedersi alla propria sedia. Alzò una mano per toccare la fronte del suo paziente… e solo allora se ne accorse.
Era sveglio.
Si guardarono in silenzio a lungo, tanto che Kiminobu pensò anche che l’altro non lo vedesse, in preda alla febbre. Poi Hisashi si umettò nervosamente le labbra e mormorò, con voce gracchiante: «Mi dai… un po’ d’acqua?»
Prese la caraffa e riempì il bicchiere, poi passò un braccio intorno alle spalle di Hisashi, per farlo sollevare. La maggior parte del liquido cadde sul mento e sul collo, ma un po’ riuscì a superare la chiostra dei denti. Lo adagiò di nuovo sul cuscino – il suo.
Hisashi lo guardava da sotto le ciglia, stranito. «Perché?» mormorò, dopo un’eternità.
Perché non riesco a sopportare che qualcuno ti faccia del male.
Perché se qualcuno ti deve punire, quello sono io, e se non ne ho la forza nessun altro ne ha il diritto.
Perché hai ucciso la mia felicità, ma non riesco a odiarti.
Perché ho passato cinque anni tentando di dimenticarti e non ci sono riuscito.
Perché devo dimostrarti di essere migliore di te.
Perché…
Perché ti amo.

«Non parlare, dormi, è meglio.»
«Rispondi…»
«No.»
Hisashi deglutì, a fatica. «Ho visto… tuo padre.» Richiuse gli occhi, mentre un sorriso amaro gli tendeva le labbra. «Sono… diventato pazzo…»
«Non era mio padre, era Ryota» rispose Kiminobu.
«Ah… questo spiega… perché mi voleva ammazzare…» ridacchiò Hisashi, con un filo di voce distorta.
L’altro non parlò.
«Lui… lui lo sa… sai?» bisbigliò il bandito.
«… sì. L’ho capito.»
«Quando mi voleva sfidare… e tu… mi hai fermato…»
«Capisco» disse Kiminobu, in tono asciutto.
Hisashi riaprì gli occhi. «Dov’è… Nobu?»
«Non lo so. Era con te?»
«Sì, noi… lui… lascia stare» bisbigliò, esausto.
«Da quanto sei sveglio?»
«… da un po’.»
«Mi hai sentito parlare con Hiroaki?»
Il malato lo guardò a lungo, intensamente, come faticasse a focalizzare il pensiero. «Sì» rispose infine. «Ma io… sai, Kimi… io non ti credo.» Fece un sorriso, un sorriso tutto storto e poco amichevole. «Tu mi… farai ammazzare. Non lo farai tu… no. Ma mi farai ammazzare.» Espirò. «E questo è giusto» aggiunse, in un soffio.
Il viso di Kiminobu si chinò sul suo, inespressivo. Gli occhi marroni bruciavano. «La differenza tra noi, Hisashi, è sempre stata che tu non mi conosci neanche metà di quanto io conosco te. E quel che è peggio, non ti è mai importato.»
«No… hai ragione… perché doveva importarmi? Mi bastava fotterti…» disse il bandito, sarcastico.
«Esatto» mormorò Kiminobu, allontanandosi. L’interno degli occhi pungeva di lacrime represse. «Ti bastava fottermi.»
Il malato distolse lo sguardo.
La conversazione con Hisashi non era mai stata facile. E comunque non avevano più niente di cui parlare. Niente che non lo facesse soffrire terribilmente.
«… l’unico modo…»
«Cosa?»
«Era l’unico modo per averti…»
Kiminobu strinse i denti. Una contrazione improvvisa gli attraversò il volto. Doveva star calmo. Doveva. Stare. Calmo. Era la cosa che gli riusciva meglio, no?
Isi? Cosa vuol dire Isi, Nahuel?
È quello che nella tua lingua dite “cervo”.
… perché mi chiami così?
Perché tu sei un cervo. La sua calma è la tua… ma se ti toccano fuggi… fuggite veloci. Non è così?
… io non fuggo da chi mi ama, Nahuel.
Allora starai con me per sempre.

«… non c’era più tempo…»
«Tempo per cosa?» scattò Kiminobu, a denti stretti.
Hisashi si volse a guardarlo, vagamente stupito. «Il vecchio» rispose, a voce bassa.
Joe Clanton… e l’OK Corral. Kim impallidì. «Tu… lo sapevi?»
«Che domande fai… Kiminobu. Lo sapevo… e anche Hike. Ti pare che…»
«Mi avevi giurato di non saperne niente!»
Gli occhi di Hisashi lampeggiarono divertiti. «L’ho detto?»
Kiminobu strinse i denti e si allontanò. Non ne poteva più. Lo odiava… lo odiava!
«Ah… Kimi… la… la gamba… Dio… Kimi…!»
Il guaritore si volse di scatto, sbiancando. Lo raggiunse in un passo. «Che c’è? Dove ti fa male? Brucia? Tira? Un crampo? Hisashi, parla!»
«… no.» Raccolse le sue mani nella sinistra, sentendole subito cedere con stupita remissività, posò la destra sulla sua nuca e gli piegò il viso sul proprio. Lo baciò con calma assoluta, assaporando di nuovo la consistenza morbida e rassegnata delle sue labbra. Non si opponeva. Perché? «Era un po’ che volevo farlo» mormorò poi, sulla sua bocca ritrattasi come scottata.
«Tu… tu sei un bastardo e un farabutto…»
«Sì… tutto questo e anche peggio… ma… Kimi…» Lo attirò giù, con insolita dolcezza, e lo baciò di nuovo. «Non ho mai voluto niente come voglio te… mai… mai…»
«Smettila, Hisashi, smettila…»
«No, troppo facile, no. Ti voglio, Kiminobu. Hai capito? Ti voglio. Non ricordo un istante in cui non ti ho voluto! Pensavo che prendendoti mi sarebbe passata la voglia… non è successo! Cinque anni, e se potessi…» Lo circondò in un abbraccio stretto, ma debole. «Se non avessi questa gamba che bestemmia dal dolore ti avrei già fatto mio!» E di nuovo lo baciò, furiosamente. «Sei bellissimo, Kimi… più di cinque anni fa… sei uno splendore…»
Kiminobu ebbe un lieve sussulto, ma non si sottrasse. Giaceva rassegnato tra le sue braccia… remissivo, troppo.
Aprì un occhio. «Perché non mi sfuggi, Kimi? Hai capito che solo io posso portarti in paradiso?» ghignò.
«All’inferno» sussurrò Kiminobu, tetro. «Vacci. Solo.» Si divincolò dalle sue braccia. «Curerò la tua gamba, dopodiché ti rimanderemo ai tuoi fratelli. E spero di non vederti mai più.»
Ash scosse la testa. «Invece ci rivedremo. Lo sai.»
«In una fossa, Ash Clanton.»
E senza aggiungere altro uscì dalla sala da pranzo chiudendosi la porta alle spalle.

Perché? Perché gli aveva permesso di baciarlo, non una, non due, ma tre volte? Passi per la prima, ma le altre due le aveva lette chiaramente nel suo sguardo. E allora?
Kiminobu gettò via gli occhiali e affondò la faccia nel cuscino. Aveva bisogno di dormire. Dormire… un dolce oblio. E che lui non lo visitasse anche in quello. Dio gliel’aveva mandato in casa… che glielo inviasse anche nei sogni gli sarebbe parsa un’insopportabile, sadica crudeltà.

Hiroaki Earp si richiuse alle spalle la porta di casa. L’aria della notte era fredda e tagliente, come la adorava. Si tolse il cappello dalla testa, accogliendo grato un alito di vento leggero.
L’insonnia era sempre stato uno dei suoi problemi, ma aveva imparato a conviverci. Tutto il paese sapeva che verso la mezza lo sceriffo vagabondava circa un’ora per le strade di Tucson, ne faceva il giro e rientrava in casa. E anche le notti in cui un sonno più profondo gli dava ristoro, Hiroaki per quell’ora si ritrovava sveglio, pronto come in pieno giorno, e non rinunciava alla sua passeggiata notturna.
Era diventato un piacere, solitario e per questo ancora più gradito. Del resto, Hiroaki era solitario per sua stessa natura.
Le stelle si riflettevano nell’abbeveratoio, creando strani giochi di luce con l’acqua. Per un po’ Hiro rimase a fissarli, fermo. Con la punta dello stivale scavava lenti cerchi nella terra secca della strada, ma forse non se ne accorgeva neanche. Poi si rimise il cappello in testa, le mani in tasca e si avviò.
Aveva pensato di non uscire, quella notte. L’idea che Ash Clanton, malato o no, innocuo o no, riposasse sul tavolo della loro stanza da pranzo, bastava a fargli riconsiderare tutte le sue priorità. Ma in casa c’erano anche Ryo e Kaede – e sull’ostilità del primo non c’era da dubitare. Perché poi lo odiasse così tanto, non gli era mai stato del tutto chiaro, ma non aveva importanza.
Quanto a Kiminobu… di lui non si fidava per niente.
Troppo buono, Kim, troppo buono… ma quando imparerai?
Aveva sinceramente sperato che la convivenza con i selvaggi lo temprasse. Per carità, lo adorava. Lo adorava esattamente per com’era, perché in un certo senso era la sua metà migliore, la faccia che lui stesso non avrebbe mostrato mai, e in lui si ritrovava – quando aveva l’onestà di guardarsi dentro.
Ma Hiroaki era contento della propria diffidenza e sì, anche del proprio brutto carattere. Nessuno si era mai permesso di fargli del male – nessuno. Le scottature si fermavano al corpo, e non trapassavano l’anima.
Il cuore di Kiminobu doveva essere poltiglia sanguinante.
… ma perché faceva questi pensieri? Scosse la testa. Era sveglio e lucidissimo, ma era anche stanco. Stanco di tante cose. Di quella città, per esempio. Se avesse potuto, avrebbe raccolto le proprie cose e lasciato tutto, come aveva fatto Kimi. Certo che gli sarebbe piaciuto. Quel vagabondare senza meta che era il momento più bello di tutta la giornata, quella era la negazione e il contentino che dava al proprio desiderio di andarsene. Si sentiva come il pesce che gira in tondo nella boccia di vetro. Costretto.
Ma non poteva, e allora evitava di pensarci. E si trincerava dietro le considerazioni sull’onore, sul privilegio, sul dovere, sul merito di essere Earp. La legge. La legge siamo noi.
Ma poi quel “noi” gli stonava terribilmente alle orecchie. Noi chi? Io sono Hiroaki. Non sono una cosa coi miei fratelli. Non siamo una cosa sola. Io sono Hiroaki Earp.
Non aveva la stella al petto. Non la portava mai, di notte. Per qualche motivo i concittadini si erano convinti che la sua fosse una specie di ronda notturna – un pattugliamento che lo sceriffo, lui in persona, eseguiva per la loro sicurezza, malgrado l’ora tarda e i brutti incontri. Si sentivano protetti da lui come lo erano stati da Fletch.
Ma la responsabilità cominciava a pesargli. C’erano i Clanton, adesso. Avrebbe dovuto dimostrare di essere forte in guerra come in pace, ma lui in guerra non c’era mai stato. Da quando i Clanton erano tornati, il sonno era svanito del tutto, e le sue passeggiate si prolungavano anche fino al primo mattino.
Non sapeva quanto avrebbe retto.
«Sempre in giro, sceriffo?»
Si volse, troppo lentamente per i suoi gusti. Malgrado le sue asserzioni, non era pronto quanto credeva. Fosse stato un Clanton…
Era un uomo sulla trentina, alto e con lisci capelli neri spalmati sulla testa, un cappellaccio dalla tesa morsicata e l’aria di non lavarsi da molto tempo.
«Ci conosciamo?» replicò.
Un secondo uomo si accostò al primo, più robusto di stazza, con una lunga coda di capelli neri a far capolino da sotto il cappello. «Sceriffo, sceriffo… non ci riconoscete?» Aveva un sorriso ampio e inquietante da faina.
Ricky sfiorò con il dorso della mano la fondina. Non si sa mai, nella vita. La pistola non è mai troppo vicina. «Dovrei?»
«È il buio, sceriffo, è il buio. Voi ci conoscete bene… anche vostro padre ci conosceva bene. Benissimo.» Il primo uomo si sfilò il cappello e lo fece volteggiare in aria con un perfetto inchino. «Josh Meenham al vostro servizio, sceriffo. E lui è Mean Casemite, il mio compagno.»
Hiroaki deglutì un paio di volte a vuoto, prima che il colorito si decidesse a tornargli in volto. I gemelli. I banditi gemelli… a Tucson. Dio, Dio, no… insieme ai Clanton… no. «E… cosa posso fare per voi?» domandò, sforzandosi di suonare tranquillo.
Meenham sorrise, ancora più inquietante dell’altro. «Cosa possiamo fare noi per voi, dovete chiedervi, sceriffo Earp. Cosa possiamo fare noi.»
«Bene… Cosa potete fare per noi?» mormorò Ricky.
«Abbiamo saputo che avete dei problemi… con dei banditucoli di strada, i Clanton, se non sbaglio… I Clanton, vero, Mean?»
«I Clanton, i Clanton, quei mocciosi…»
«Ebbene, sceriffo, voi siete un uomo fortunato, sapete? For-tu-na-to.»
«Ma non mi dite» sibilò Hiroaki, iniziando a subodorare.
«Ve lo dico, ve lo dico.» Meenham gli passò un braccio intorno alle spalle e cominciò a camminare, tirandoselo appresso. Casemite li seguiva a un passo. «Il mio compagno ed io siamo i migliori, in questo campo, lo sapete. Lo sapeva anche vostro padre, sì…»
«Che c’entra mio padre?»
«Non vi distraete, sceriffo, quella è un’altra storia. Dicevo… noi siamo i migliori. Un modico compenso, sceriffo Earp, un’inezia, una sciocchezza, e ve li leveremo di torno. Questi mocciosi sono piuttosto temuti qui in Arizona, mi sbaglio?» Non lo lasciò replicare. «Ma noi abbiamo girato tutti gli States e ve lo posso assicurare… sono solo dei poppanti. Noi abbiamo prezzi modici, sceriffo Earp, e non all’altezza della nostra bravura, ma… che volete farci? S’ha da campà. Cosa ne dite?»
Hiroaki si divincolò. «Mi state proponendo di assumervi come… tagliagole?»
«Voi sì che andate dritto al sodo! Vi ammiro, sceriffo, vi ammiro. Proprio come vostro padre.»
«Cosa c’entra mio padre!» sibilò Hiroaki.
«Ma nulla, nulla, altri tempi, cosa volete che contino? Allora, sceriffo? Che dite? Non è una proposta convenientissima? Voi vi liberate dei Clanton e a noi… be’… ci liberate di qualche taglia di troppo, giusto per alleggerire il groppone. Mmm?»
Hiroaki rivolse uno sguardo a Meenham, e un altro più breve a Casemite. Poi rispose, lapidario: «Non collaboro con i banditi».
«Ma sceriffo…! Che brutte parole» replicò Meenham, con lo stesso immutato sorriso.
«Non c’è altro da dire» ribatté. «Non voglio il vostro aiuto, ai Clanton possiamo pensarci noi. Tornatevene da dove siete venuti.»
Meenham alzò le braccia, con un sospiro. «Non la penserete così quando i Clanton cominceranno a darvi seri problemi.»
«Fatti nostri.»
«Ricordatevi che noi saremo qui… pronti ad aiutare la legge.»
Hiroaki ebbe un sorriso tutto storto. «Certo, certo. Come no.»
Erano arrivati alla fine del paese, quasi ai cancelli dell’OK Corral. Un principio di emicrania pungolava le tempie di Hiroaki. Attese che i due si fossero allontanati, poi meditò seriamente di presentarsi da Tower e Ken e domandargli una tazza di quel tè che si facevano mandare direttamente dal Giappone. I loro sonni, probabilmente, non erano più tranquilli dei suoi.
E si era quasi accostato alla staccionata con l’intenzione di scuotere il campanaccio attaccato al cancello, quando un rumore alle sue spalle gli fece tendere le orecchie. Si volse, troppo – troppo – lentamente.
«Di nuovo tra le mie braccia, dolcezza… Non curarti del sacco, è solo una formalità.»

«Adesso mi dici che cazzo stiamo facendo?» sibilò Hanamichi, irritato. Era più di mezz’ora che stavano appostati nei pressi di casa Earp, stranamente illuminata, ad attendere. Attendere cosa? Non ne poteva più.
«Non lo capisci solo?»
«No!»
Akira lo guardò con il serio dubbio di avere di fronte un idiota. «Stiamo aspettando, Hana. Aspettando.»
«Ma chi?» gridò Hanamichi.
La mano di Akira gli tappò la bocca senza gentilezza. «Scimmia, re degli imbecilli, guarda!»
Gli occhi di Hana si spalancarono. Ricky…? Ricky Earp? Ma allora… «Vuoi fare come ha detto Hisa…»
«Adesso è tempo» rispose Akira. «Vieni. Seguiamolo.»
Lo seguirono fino alla periferia del paese, una zona perfetta per un agguato. Ma Hiroaki non era più solo. Akira bestemmiò sottovoce. E adesso chi erano quelli…
«Josh Meenham al vostro servizio, sceriffo. E lui è Mean Casemite, il mio compagno.»
«Merda!» sibilò. «I gemelli!»
«Quelli che hanno…»
«Sì, Hana, loro.»
«Gli sparo un colpo in fronte» disse Hanamichi, sfoderando la colt.
«No!»
«Come no? Quelli lì hanno…»
«Non ora. Ci sarà tempo. Fermo e muto, Hana. Fammi sentire.»
«… ci liberate di qualche taglia di troppo, giusto per alleggerire il groppone. Mmm?»
«Non collaboro con i banditi.»
Tutto d’un pezzo, Hiroaki. Akira non poté trattenere una smorfia. Almeno non era come suo padre. I banditi gemelli si allontanarono, rifiutati, e Hiro rimase solo in fondo alla via del paese.
Era il momento. Fece cenno ad Hana, si fece porgere il sacco, poi con uno scatto gli calò la juta ruvida sopra la testa. Quanto aveva sognato quel momento…
«Di nuovo tra le mie braccia, dolcezza… Non curarti del sacco, è solo una formalità.»
«Clanton!» ruggì Hiroaki, impotente. Prese a divincolarsi. «Lasciami subito! Clanton!»
«Akira, dolcezza, per te solo Akira. Non agitarti troppo, ce ne sarà il tempo più avanti. Hana?»
«Tu e tuo fratello finirete impiccati, quant’è vero Dio vi vedrò penzolare da una…»
Un pugno allo stomaco, forte e calibrato, lo fece accasciare lentamente tra le braccia di Akira Clanton. Hanamichi si tirò indietro, guardandosi le nocche. «Lo vuoi così tanto, Aki?» mormorò in tono strano.
«Non te lo immagini neanche» rispose il maggiore. «Andiamo al rifugio. A quest’ora Hisa e Nobu saranno tornati.»
Ma Hisa e Nobu non c’erano, e Akira spedì Hana fuori, ad attenderli. Qualche piccolo ritardo, chissà, un lucchetto più difficile da scassinare. Questione di pochi minuti. Nel frattempo poteva dedicarsi alla sua preda.
Gli tolse il sacco di dosso e lo adagiò sul pagliericcio sporco, che era la cosa più simile a un letto di tutta la topaia. Hiro era ancora svenuto. Gli legò i polsi dietro la schiena con un giro di corda, poi lo svegliò con uno schiaffo.
Gli occhi di Hiroaki vagarono, incerti, poi si posarono sui suoi.
Odio.
Akira si sedette accanto al suo corpo disteso, accarezzandogli il torace con il palmo aperto. Davvero poteva averlo? Era stato così facile? Poteva… semplicemente spogliarlo e farlo suo? Sentì un brivido risalirgli la spina dorsale. Si era eccitato.
Hiroaki aveva voltato il capo dalla parte del muro, senza una parola. Fremeva.
«Hiro…» Le labbra di Akira si posarono sul suo collo, in un bacio leggero. Soffiò un alito caldo, facendolo rabbrividire. «Hiro, voglio farti sentire quanto mi sei mancato in questi cinque anni…», la mano passò sotto il gilet e la camicia, accarezzando, pizzicando, lisciando la pelle sensibile, «… quanto ti voglio…» indice e pollice strinsero piano un capezzolo, «… quanto piacere posso darti.» La camicia venne spostata e la bocca di Akira si chinò a baciare il bottoncino di carne rosata, succhiandolo dolcemente.
«Smettila… smettila!» sibilò Hiroaki, con voce incerta.
«Smettere? Oh, no…» La destra di Akira scivolò tra le sue gambe… e com’era eccitato, lo sceriffo! «Non lo vuoi neanche tu…» Si chinò a succhiare l’altro capezzolo, con voluttà.
Si era disteso sul suo fianco, il bacino a premere sulla coscia di Hiroaki, e una mano spudoratamente in mezzo alle sue gambe. La lasciò scivolare dentro i calzoni e continuò a massaggiarlo piano.
Il respiro di Hiroaki si alzava e si abbassava frequente, interrotto da risucchi d’aria che parevano singhiozzi. Gli voltò il capo e si appropriò della sua bocca, con foga. «Hiro… non lo vedi l’effetto che ti faccio?» sorrise, di fronte ai suoi occhi lucidi e sgranati. Tornò a baciarlo. «Non vedi quanto mi vuoi?» La mano continuava a infierire. «Non senti che… se smetto ora…» Si fermò, e una luce di disappunto e fastidio tinse tutto il viso dell’altro. «Vuoi che smetta?» lo provocò.
«Schifoso bastardo d’un Clanton, non provare neanche a… a…»
«… smettere?» Tornò a massaggiarlo, con estremo piacere. L’avrebbe ridotto a supplicarlo, era solo questione di tempo…
Hiroaki si contorceva sul pagliericcio come su un letto di braci, ed era comico vederlo immobilizzato, i polsi legati dietro la schiena, muoversi in quel modo che neanche lui sapeva quanto sensuale. Si chinò sul suo viso, lentamente, e ne baciò ogni centimetro di pelle, la fronte, gli occhi a mandorla, la punta del naso, una guancia e l’altra… le labbra. Vi posò sopra un bacio dolce e leggero, che l’altro non doveva aspettarsi, perché spalancò gli occhi e lo fissò, immobile.
«Perché non ammetti che mi vuoi, Hiro?» sussurrò sulla sua bocca.
«Io ti odio… Hike Clanton» sibilò il maggiore degli Earp. «Non te lo scordare mai. Ti odio.»
«E io quando ti vedo brucio» ribatté il bandito, senza cessare di torturarlo con la mano infilata dentro i suoi calzoni. «Sempre. È sempre stato così…»
«Smettila… Hike Clanton, ti ho detto di… smetterla!» ansimò Hiroaki, riprendendo a contorcersi.
«… cinque anni fa tu mi volevi, te lo ricordi quanto mi volevi? Ma tuo padre mi odiava… mi odiava… e tu facevi tutto quello che diceva tuo padre…» La mano ora infieriva con violenza e ritmo cadenzato. «Tuo padre e Kiminobu… ascoltavi solo loro… ed io ti guardavo e ti ho toccato una volta sola, una sola, e mi hai scacciato come si scaccia un serpente… no, Hiro, no, se qualcuno deve odiare quello sono io, ma non ti odio… io… ti amo…» Gli si piegò addosso, e con un ultimo scatto della mano gli strappò un lungo gemito, che prontamente spense nella propria bocca. Giocò con la sua lingua fino a ridurla alla sottomissione, e poi, lentamente, a una stupita partecipazione… si sentì soddisfatto solo quando capì che Hiroaki lo stava ricambiando. Trasse fuori la mano dai calzoni dello sceriffo e se ne portò alle labbra il palmo bagnato, leccandolo con voluttà.
L’erezione bruciava nei pantaloni.
Hiroaki aveva le guance rosse e il respiro spezzato; quanto agli occhi, erano leggermente lucidi. «Che cosa… credi di avermi dimostrato?» mormorò, ansante. «Chiunque… avrebbe potuto.»
Non era vero, no che non lo era. E Hike lo sapeva benissimo. «Potevo averti cinque anni fa, potevo prenderti e legarti come ha fatto Hisa, potevo…»
«Cosa?»
Un lieve sorriso increspò le labbra del bandito. «Non lo sai, Hiro? Sei l’unico a non saperlo, e tuo fratello era convinto che fosse un segreto per tutti! Hisashi. Hisashi ha fatto quello che avrei dovuto fare anch’io… con la differenza…» si chinò sulla sua bocca, «che violentarti non mi avrebbe dato alcun piacere!»
«Kimi… nobu?» sussurrò Hiroaki, gli occhi sgranati. «Hisashi ha… ha…»
«Si è preso tuo fratello, sì. Ma non so quanto gli sia dispiaciuto, a giudicare da quello che mi ha raccontato Hisa…»
«È una sporca bugia, sei il figlio di una baldracca! Kiminobu non avrebbe mai… mai…»
«Kiminobu moriva dietro a mio fratello. Gli avrebbe concesso tutto… Hisa ha avuto fretta, tutto qui. Ma basta parlare di loro…», con uno scatto gli si distese sopra, «e pensiamo a noi.» Gli passò il dorso della mano sulla guancia. Scottava.
«Non… non ti darà alcun piacere… vero?» ringhiò Hiroaki.
«Se tu avessi aspettato quanto ho aspettato io…»
«E dici di amarmi? Sei solo un figlio di puttana!»
«Non c’è altro modo, dolcezza mia… nessun altro…» E fece per baciarlo, a rischio di finire azzannato dal compagno poco consenziente, quando la voce di Hana risuonò limpida nella notte, seguita da un bussare concitato.
«Akira! Akira! Nobu è tornato! Ma Hisashi… Vieni fuori, Aki!»
Una ruga profonda scavò tra le sopracciglia di Akira Clanton, poi si distese. Lasciò un bacetto sulla punta del naso di Hiroaki e gli sussurrò: «Solo un attimo. Non ti preoccupare». Poi uscì dal rifugio.

Ancora legato sul pagliericcio, Hiro chiuse gli occhi e rimase in ascolto. Io ti amo… No, non doveva pensarci. Meglio ascoltare. Gli pareva di avere in mano il tassello mancante ai Clanton. Se avesse prestato attenzione, forse sarebbe riuscito a ricostruire tutto il mosaico.
«Nobu? Che hai fatto? Stai bene? Chi ti ha…»
«È stato… è stato Sean, Aki. Ci ha scoperti, ha sparato a Hisashi, poi…»
«L’ha ammazzato!»
«No, no, alla gamba… solo alla gamba, Aki, alla gamba… poi l’ha buttato fuori e… e io sono rimasto, abbiamo lottato un po’… lo vedi… sono riuscito a prendere… solo questo, il lucchetto l’avevo scassinato subito… non lo so come ho fatto, sono… scappato… Hisashi… Hisashi… è qui?»
«Non c’era nessuno, quando siamo tornati.»
«Non… non c’è? Dio… io… pensavo che…»
«Sta’ tranquillo, Nobu. Tu ora resti qui. Io e Hana andiamo a riprenderlo.»
«Dove può essere, Aki? Non… non l’avrà trovato qualcuno, vero? Vero, Aki?»
«Non lo so, Nobu. Entra e riposati e fa’ la guardia. Stai bene?»
«… sì, Aki. Ho solo qualche livido.»
«Bene. Metti i soldi dove sai e poi entra. A Hisa ci pensiamo noi.»
Ecco cos’era successo… Avevano svaligiato il saloon! Hiroaki scosse la testa, fissando il soffitto. Banditi. Erano solo degli sporchi banditi.
Io ti amo…

Nobunaga sotterrò con cura il sacco coi soldi dietro la casupola, poi andò alla porta. Mentire ad Akira era stato più penoso di quanto aveva creduto. E accusare Sean dei suoi lividi… pregò che ai suoi fratelli non venisse in mente di fargliela pagare. Sean. Sospirò. Già gli mancava.
Si era trasformato in una donnetta.
«… Earp? Che ci fai tu qui?»
Gli occhi di Hiroaki lo fissarono, inespressivi. «Piacerebbe saperlo anche a me» borbottò.
Il ragazzo avanzò nella catapecchia a passi lenti. Oltre al bruciore, comprensibile, al fondoschiena, accusava anche il dolore per le ammaccature sparse, quelle che aveva richiesto a Sean. Lentamente si lasciò scivolare a terra, la schiena contro il muro, le ginocchia al petto.
Si sentiva tutto un dolore.
«Akira…?»
«Già.»
«Allora era questo, che doveva fare…»
«E tu, invece?» Hiro voltò il capo di scatto, con aria feroce. «Svaligi il saloon. Ma bravo. E io che pensavo che almeno uno di voi si salvasse!» Sputò a terra. «Tutti uguali, voi Clanton.»
Nobunaga appoggiò la guancia sulle braccia conserte. «Sì, Ricky, hai ragione… se dite tutti così, finirà che è vero… tanto… cosa vuoi che mi importi?»
«Sean ti aveva sempre trattato bene.»
«Ci servivano i suoi soldi.»
«Se glieli avessi chiesti…»
«Chi presta soldi a un bandito?»
Hiroaki lo guardò come se il ragazzo non riuscisse a vedere una verità più che ovvia. «Un fesso che questo bandito lo ama?»
Nobunaga voltò il viso dall’altra parte. «Non parlare troppo, Hiroaki Earp, ti consumi la voce. Dormi e lasciami stare.»
«Mi fai schifo, Nobu.»
«Non è del tuo schifo che mi fotte, sceriffo. Stai zitto.»
«E cosa ci hai guadagnato? Che l’unico che ti avrebbe aiutato in questo paese ora se ti vede ti impallina? Cosa ci hai guadagnato, Nobunaga Clanton, a fare il bandito?»
«Sta’ zitto!» Nobu sfoderò la pistola e gliela puntò contro. «Sta’ zitto, Hiroaki. Non mi fotte di ammazzarti, non mi fotte anche se tolgo ad Akira il suo giocattolo. Se io non posso avere chi voglio, allora…»
Hiro ammutolì. «… allora lo ami» mormorò, stupefatto.
«Sta’ zitto!» Un colpo si conficcò nel muro di legno appena sopra la testa di Hiroaki. «Un’altra parola, solo un’altra, e…»
«Va bene» mormorò Hiroaki. «Va bene. Calmati.»
Voltò il capo verso il muro. Il proiettile conficcato odorava leggermente di polvere da sparo. Sentì che Nobu riponeva la pistola e si rasserenò. Ma che c’era da stare sereni?
Hisashi a casa Earp, e lui prigioniero dei Clanton. E nessuna delle due famiglie sapeva dove si trovasse il fratello perduto. L’unico a sapere tutto era lui – e non poteva parlare.
Avrebbe riso, se la situazione non fosse stata così fottutamente drammatica.
Io ti amo…


PERSONAGGI E INTERPRETI (in ordine di apparizione):

Ricky Earp ------> Hiroaki Koshino
Hike Clanton ------> Akira Sendo
Ash Clanton ------> Hisashi Mitsui
Kim Earp -------> Kiminobu Kogure
Mitch Clanton ------> Hanamichi Sakuragi
Kay Earp --------> Kaede Rukawa
Bob Clanton ------> Nobunaga Kiyota
Ray Earp -------> Ryota Miyagi
Mean Casemite ------> Minori Kishimoto
Josh Meenham ------> Tsuyoshi Minami
Keith McPerson ------> Kitcho Fukuda
Geene McPerson ------> Soichiro Jin
Sean O' Connor ------> Shin'ichi Maki
Aya O' Connor ------> Ayako (ma ce l'ha un cognome, 'sta ragazza???)

NOMI NATIVI AMERICANI:

Isi ------> Choctaw, significa cervo
Nahuel ------> Mapuche, significa giaguaro
Wapasha ------> Dakota, significa foglia rossa


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