MitKo PG-17/S Nota:
La mia prima lemonfic… ohmiodio. Era da tempo che bazzicavo titubante nei
pressi di Lemonlandia… e alla fine ho trovato il coraggio di fare una piccola
incursione in questo territorio periglioso, scortata dalla mia coppia preferita,
ovvero Mitsui e Kogure. Disclaimers:
La fic paga un grosso debito a due canzoni ma saprete quali sono alla fine,
perché non voglio condizionarvi la lettura… anche se titolo e alcune
parafrasi nel testo sveleranno l’arcano a più di una persona!^__^ Ah…
già… i personaggi di SD sono di Takehiko Inoue… beato lui. Poiché
si tratta della mia “prima volta”, siate feroci nella critica ma gentili nei
modi… il detto lo conoscete, sbagliando
s’impara…Arigato!
Sezionare la notte e il cuore di Stella
Mi
alzo dal letto cercando di fare meno rumore possibile. Non voglio
svegliarti, anche se so benissimo che non stai dormendo davvero:
come me, stai solo cercando di sfuggire alla situazione nel modo meno
doloroso possibile; come me non hai il coraggio di affrontarla a viso
aperto. Ci rifugiamo tra le lenzuola per cercare di romperla, ma tutto
questo dibatterci non fa che aggrovigliare i fili della ragnatela in cui
siamo caduti, ogni giorno di più. Comincio a rivestirmi lentamente, recuperando i pezzi del mio guardaroba
dal pavimento, poi esco dalla stanza e scendo piano le scale. E’ una
fortuna che i tuoi siano usciti a fare compere, oggi proprio non sarei in
grado di affrontare lo sguardo inquisitorio di tua madre e quella traccia
di disapprovazione che le leggo negli occhi quando mi vede… Credo non
dimenticherò mai la volta che è entrata in camera tua all’improvviso,
per chiedere se mi fermavo a cena, e ci ha beccati nudi come vermi. Devo
aver perso almeno vent’anni di vita, e mi stupisco di non avere tutti i
capelli bianchi per lo shock. E dire che non ci siamo ancora mai spinti a farlo
sul serio, e a questo punto dubito che ci spingeremo mai… Sempre in silenzio mi infilo le scarpe e apro la porta, poi finalmente sono fuori da casa tua e dalla tua vita. Accelero il passo e mi fermo solo quando mi accorgo che sto correndo come un pazzo e la gente mi fissa con aria preoccupata. Riprendo a camminare, il respiro affannato, mentre il significato della decisione che ho appena preso per entrambi esplode nella mia mente con tutta la sua violenza. Mi ripeto che il fatto che tu non abbia neppure accennato a trattenermi deve per forza essere una conferma della sua giustezza… Alla
fine decido di entrare in un bar, ho bisogno di bere qualcosa di caldo. Mi
siedo all’unico tavolo libero e, mentre aspetto che la cameriera mi
porti il caffè, come un fesso pronuncio a mezza voce le parole che
trasformano i pensieri in realtà. Non so dov’è che l’ho sentito,
qualcosa del tipo “finché non lo dici non è vero”. Bene:
con Kogure è tutto finito. Kami-sama, che qualcuno mi aiuti… *** Seduto
al tavolino, Mitsui lasciò vagare lo sguardo al di fuori della vetrata.
La cameriera appoggiò sul tavolo la tazza di caffè fumante e indugiò
per un attimo, lanciandogli un’occhiata di apprezzamento. Un bel ragazzo
tutto solo… a volte anche un lavoro noioso come quello poteva riservare
piacevoli sorprese, in fondo. Mitsui ricambiò lo sguardo e sorrise: la
ragazza era carina, tutte le curve al posto giusto e begli occhi castani
dietro agli occhiali dalla montatura sottile, proprio come… Merda,
non c’è niente da fare. Posso scappare fino alla morte, ma alla fine è
da te che torno sempre, Kogure. La cameriera si allontanò subito,
colpita dalla luce malinconica e al tempo stesso feroce che era affiorata
negli occhi del ragazzo. Mitsui
cominciò a girare il cucchiaino nella tazza, un gesto più meccanico che
utile dato che il caffè lo beveva nero, ma che gli serviva per
concentrarsi. Tutto quello di cui aveva bisogno era mettere in ordine i
pensieri, ed era esattamente quello che si apprestava a fare. Si rese
conto però che da solo non ne sarebbe mai venuto a capo: sarebbe stato
molto meglio avere qualcuno con cui confidarsi, in grado magari di farlo
riflettere su aspetti della situazione che, per quanto si sforzasse, a lui
non sarebbero mai venuti in mente. Sicuramente Kogure avrebbe chiamato
Akagi, erano sempre stati molto amici e il capitano aveva la tendenza a
fare da parafulmine ogni volta che c’erano litigi e incomprensioni tra
loro. La percezione dell’estrema solitudine che lo circondava si fece
dolorosa, quasi fisica. Da
quando era rientrato a scuola e nel club di basket, sei mesi prima, non
era ancora riuscito a farsi un vero amico, a parte Kogure naturalmente.
Aveva ricucito il rapporto con Miyagi e scherzava con Sakuragi ma non era
possibile parlare di amicizia vera, che era una cosa ben diversa. “Io ho
solo te”, pensò Mitsui, ma fu costretto a correggersi subito. “Avevo
solo te.” L’amarezza lo avvolse e per la prima volta da mesi sentì
l’impulso di mettersi a piangere. Si
portò alle labbra la tazza e assaggiò un sorso del caffè amaro e forte,
quindi riprese il filo dei suoi pensieri. Da un lato era consapevole del
fatto che stava raccogliendo quanto aveva seminato, capiva che fosse
difficile per le persone fidarsi nuovamente di lui (Nemmeno
io mi fido troppo di me stesso), e dall’altro lo stupiva quanto
lo fosse: c’erano giornate in cui gli sembrava di portare addosso un
cartello con scritto “delinquente, state alla larga”. Invece Kogure
era rientrato nella sua vita senza chiedere niente, non aveva preteso
scuse o giustificazioni: lo aveva accolto come amico e, da pochi mesi,
anche come compagno con una naturalezza tale da farlo quasi sentire in
colpa. Forse il problema era proprio quello, pensò Mitsui. Si sentiva
dannatamente inadeguato, dannatamente insicuro, e c’era sempre una parte
di lui che vedeva nella gentilezza di Kogure, nella sua fiducia e nel suo
affetto incondizionati qualcosa di falso, di insincero. Era stato Mitsui a
fare il primo passo, a lasciar cadere qua e là i primi incerti segnali,
meravigliandosi ogni volta di come Kogure non mostrasse fastidio o peggio
disprezzo, ma al contrario li raccogliesse e li restituisse amplificati.
Manteneva comunque sempre una certa distanza e un certo controllo, come se
le sue azioni fossero dettate più dal desiderio di compiacerlo, di non
offenderlo o deluderlo che dalla spontaneità. A volte poi lo sorprendeva
a fissarlo con un’espressione indecifrabile sul viso che lo lasciava
sconcertato; altre volte vedeva chiaramente che era sul punto di fargli
una domanda, ma poi lasciava perdere, come se non avesse il coraggio di
dare corpo alla proprie emozioni. In quelle occasioni lo sentiva
allontanarsi, estraniarsi quasi, e non c’era niente che lo facesse
impazzire di più. Allora lo prendeva tra le braccia e cominciava a
baciarlo con urgenza, terrorizzato all’idea di perderlo di nuovo,
cercando di infondere in quei baci appassionati e rabbiosi tutte le parole
e i sentimenti che il suo caratteraccio gli impediva di comunicare. Kogure
rispondeva con la stessa foga, come se i loro corpi e le loro labbra
potessero ergersi a scudo contro tutte le paure e tutti i fantasmi. Fantasmi
e paure, ecco le sole cose che condividiamo.
“Posso
portarle qualcos’altro?” La ragazza lo stava di nuovo fissando, ma
questa volta era più imbarazzata che curiosa, consapevole di aver
interrotto i suoi pensieri. Il caffè si stava svuotando, fuori cominciava
a fare buio. “No, grazie. Sto andando via.” Mitsui si alzò in piedi e
prese il giaccone, lasciò sul tavolino i soldi del conto e si diresse
verso l’uscita. “Aspetta!” Lei lo raggiunse sulla porta e gli porse
la sciarpa. “Ti è caduta questa…” Arrossì accorgendosi di avere
dato del tu a un cliente e si piegò in un inchino, mormorando “Scusi,
non volevo essere sfacciata…” Mitsui prese la sciarpa dalle sue mani e
la ringraziò per la gentilezza, quindi uscì dal locale. Lo vedi Kogure, quanto sarebbe facile… se me ne fregasse qualcosa?
Non
ci mise molto ad arrivare a casa e si stava ancora togliendo le scarpe
quando sentì il telefono squillare. Trilli forti, impazienti, infiniti.
Si avvinò all’apparecchio, immaginando benissimo chi era anche senza
leggere il numero sul display luminoso. Uno, due, tre… sette, otto,
nove…Click. “Non siamo in casa, lasciate un messaggio dopo il segnale
acustico.” Beeep. Mitsui
trattenne il respiro e tese le orecchie come un gatto. Click.
Niente, aveva riattaccato. Sollevò il ricevitore, cominciò a comporre il
suo il numero ma si bloccò dopo le prime tre cifre, sbattendolo giù con
forza. Assalito dalla frustrazione colpì il muro con un pugno e salì in
camera sua, facendo i gradini quattro a quattro. Si buttò bocconi sul
letto e strinse forte gli occhi, ripetendosi per la miliardesima volta che
era giusto così, che era meglio per tutti finirla lì… mentre sentiva
montargli in corpo la rabbia che conosceva fin troppo bene, la stessa che,
dopo tutti quegli anni, non aveva ancora imparato a gestire. Ecco un altro problema. C’erano
momenti in cui era lui stesso il primo a essere spaventato dalla quantità
di rabbia che non riusciva a buttare fuori, e odiava ammetterlo ma la
soluzione più semplice era sfogarla contro Kogure, il vecchio e
comprensivo quattr’occhi. Prendersela con lui o trascinarlo in
situazioni assurde era quasi un cliché:
lo ignorava a scuola, non lo chiamava per giorni… e poi, poche settimane
prima si erano ubriacati di sakè e Mitsui lo aveva prima spogliato e poi
si era messo a giocherellare con il suo “affare”, incurante delle sue
vivaci proteste. Alla fine gli aveva fatto un pompino e le proteste si
erano assopite in fretta, lasciando il posto a gemiti di piacere, ma
l’indomani si era sentito veramente un pezzo di merda: non per il gesto
in sé, non era così ipocrita ed era una vita che voleva farglielo, ma
per l’espediente di cui si era servito per raggiungere il suo obiettivo.
“Mi dispiace Min-kun, ero ubriaco…” Aveva visto la rabbia esplodere
dietro agli occhiali, ed era sicuro che in quell’istante lui lo avesse
odiato con tutte le sue forze. “Non fa niente Mitsui, stai
tranquillo,” aveva sibilato tra i denti. Kogure si era in genere
dimostrato curioso del sesso, ma era comunque meno esuberante di lui,
aveva tempi più lunghi e Mitsui era sicuro di averlo forzato a fare una
cosa che, se solo avesse saputo aspettare, sarebbe venuta naturale da
entrambe le parti, come poi era in effetti accaduto. Ma lui era quello che
sbagliava sempre tutto, tempi e modi e reazioni… Litigavano fino a
sbranarsi e poi finivano a letto baciando, leccando, mordendo e succhiando
ogni centimetro dei loro corpi… ma per quanto lo desiderasse, Mitsui non
aveva il coraggio di andare fino in fondo. Era sicuro che se solo ci
avesse provato sarebbe stata la fine di tutto, lo leggeva chiaramente
negli occhi di Kogure. Per questo aveva deciso di rompere definitivamente.
Non avrebbe potuto reggere il colpo, se Kogure lo avesse lasciato… La
miglior difesa è l’attacco, non solo nel basket… Mitsui
agguantò il cuscino e se lo premette sulla testa, come uno struzzo sotto
la sabbia. Non mi ha mai detto che
mi ama. Nemmeno quando ci siamo messi insieme. D’altra parte, insinuò
una vocina nella sua testa, nemmeno tu glielo hai mai detto… Certo che no. Non ho intenzione di farmi ridere in faccia… Lo
squillo del telefono lo fece sobbalzare. Di nuovo quei trilli laceranti,
ma questa volta volò giù per le scale e sollevò il ricevitore, il cuore
il gola e lo stomaco annodato. “Pronto?” “Hisashi? Sono io. Volevo dirti che farò tardi… se vuoi mangia pure, c’è della roba nel microonde…” “Ah…
d’accordo ma’. A dopo allora...” Depositò con cura la cornetta
sulla forcella e appoggiò la fronte al muro, fresco contro la sua pelle
bollente. Sei
un povero demente, Mitsui Hisashi… *** Quando
il lunedì dopo Mitsui entrò in classe avvertì tutti gli occhi puntati
su di lui, e la sensazione fu simile a quella di una vertigine. Lui e
Kogure non avevano affisso manifesti o distribuito volantini, non si
baciavano in pubblico né si tenevano per mano come teneri fidanzati, ma
il filo che li univa e la corrente che li attraversava quando erano vicini
non poteva lasciare dubbi a chi aveva occhi per vedere. Sentì bisbiglii,
e qualche risatina. Le voci corrono,
hanno avuto un intero weekend per farlo, e sono sicuro che tutti sanno già
tutto. Facendo buon viso a cattivo gioco Mitsui si diresse verso il
suo banco, si sedette e tirò fuori un libro senza guardare in faccia
nessuno, anche perché era sicuro che, nel caso, avrebbe finito col
reagire commettendo un’azione impulsiva o ridicola, tipo picchiare il
primo a portata di pugno oppure mettersi a piangere. E questo era
assolutamente vietato, dal momento che si era dato un obiettivo preciso
per la giornata: arrivare in fondo con una certa classe e un certo stile. La
campanella suonò la fine delle lezioni, fin qui era andato tutto bene: a
mensa si erano seduti allo stesso tavolo con gli altri della squadra e si
erano scambiati un breve saluto. Lo sguardo di Kogure lo aveva
attraversato da parte a parte, ma non aveva fatto commenti di alcun tipo.
“Che succede?” aveva chiesto Sakuragi, e nessuno si era azzardato a
rispondere: era bastato osservare le facce di Mitsui e Kogure (e a
margine, anche quella di Akagi) per capire che non era il caso di
approfondire. Alla fine comunque Mitsui non riuscì a conseguire
l’obiettivo della giornata. Vide Kogure parlare fitto fitto con Akagi e si chiuse in bagno a prendere a calci e pugni la porta per almeno un quarto d’ora; quando finalmente si sentì pronto a uscire (Classe e stile, Mitsui… classe e stile!) si diresse verso la palestra per affrontare la parte più difficile, l’allenamento. I suoi compagni avevano già iniziato il riscaldamento e lui, dopo essersi scusato con Anzai per il ritardo, non si azzardò a cercarlo con lo sguardo, tanto sapeva benissimo dov’era, faceva gli esercizi di stretching sempre nella solita area del campo. Per un attimo pensò che sarebbe morto quando Akagi chiamò lo schema che prevedeva la sua marcatura a uomo su Kogure, e viceversa. Valutò la possibilità di sparare una balla e andarsene (del tipo “Mi è morto il gatto”, “Mia nonna si sposa”, “Ho un attacco di epilessia”) ma sapeva che il capitano lo avrebbe incenerito seduta stante se solo ci avesse provato, quindi optò per la celebre “modalità bastardo”, quella che gli riusciva sempre alla perfezione. “Forza quattr’occhi, fammi vedere che sai fare!” Con queste parole Mitsui gli rubò la palla dalle mani e iniziò a correre verso il canestro, fermandosi sulla linea dei tre punti e centrando l’ennesimo tiro. “E
vai così, Micchy!” “Taci,
rosso-scimmia incapace! Lo sai che odio quel nome!” Mitsui rivolse la
sua attenzione a Kogure, ancora immobile nello stesso punto del campo.
“Allora quattr’occhi, sei decisamente una mezza-sega oggi…” Bravo, fallo incazzare, fatti odiare… Vide chiaramente che la sua
arroganza aveva fatto scattare qualcosa nel ragazzo, che stringeva i pugni
e si preparava all’azione successiva. La marcatura di Mitsui era
strettissima, ai limiti della correttezza, tanto che nel tentativo di
liberarsi Kogure lo spinse forte e finirono col rovinare a terra entrambi.
“Sfondamento,
sfondamento!” stava urlando Sakuragi. “Ti piacerebbe che ti sfondassi sul serio, vero Min-kun?” gli bisbigliò Mitsui all’orecchio mentre impiegava un tempo infinitamente lungo per toglierselo di dosso e rialzarsi. Kogure era di solito un tipo calmo, per cui quando gli altri sentirono la sua voce ringhiare un “Vaffanculo, Mitsui!!” e li videro accapigliarsi, il silenzio si fece totale. Akagi era esasperato da quell’assurda situazione e corse a dividerli, ma fu necessario anche l’intervento di Sakuragi per riportare la calma in palestra. Kogure ansimava rauco, mentre Mitsui scoppiò in una risata fragorosa e si girò verso Ayako. “Tu che dici, arbitro? Era sfondamento o no?” La ragazza annuì. “Fallo per il numero 5. Due liberi per il numero 14!” “Lo
vedi Kogure, era sfondamento…” commentò il ragazzo passandogli a
fianco e urtandolo con la spalla. Kogure strinse gli occhi e fece per
replicare, ma la voce di Akagi tuonò: “Piantala di fare l’idiota
Mitsui, e concentrati sul gioco. Lo stesso vale per te, Kogure.” Alla
fine dell’allenamento Mitsui si trattenne per oltre mezz’ora con
Rukawa, ufficialmente per provare una serie di tiri da tre e fare qualche
esercizio supplementare, ma il vero scopo era evitare un incontro
ravvicinato con Kogure in accappatoio. Quando entrò nello spogliatoio e
non vide né la sua borsa né i suoi vestiti si sedette sulla panchina e
sorrise soddisfatto. Anche questa era passata, aveva superato indenne o
quasi la sua prima giornata senza Kogure Kiminobu. Con
classe e stile, proprio così. *** "Hisashi,
sei sicuro che non vuoi venire con noi?” “No pa’, te l’ho già detto”, urlò Mitsui dal salotto. Stava guardando una vecchia cassetta dell’NBA e non ci pensava nemmeno lontanamente ad accompagnare i suoi a cena fuori. Un po’ gli dispiaceva, avrebbe voluto recuperare meglio il rapporto con loro dopo tutti i grattacapi che gli aveva dato, ma era distrutto e voleva solo infilarsi sotto le coperte e spegnere il cervello, almeno per una notte. “Va
bene, allora noi andiamo…” Invece della porta che si chiudeva sentì
la voce di sua madre, ma non capì che cosa stesse dicendo fino a quando
non girò la testa verso l’ingresso e lo vide lì, in piedi davanti a
lui, nel centro della stanza. “Hai
visto chi è venuto a trovarti?” Lo
vedo eccome… “Hisashi, non essere il solito maleducato… tirati
su da quel divano e fai gli onori di casa… Mi dispiace Kogure, noi
stiamo uscendo… faremo due chiacchiere la prossima volta,
d’accordo?” Il ragazzo sorrise educatamente e scambiò un altro paio
di convenevoli, poi finalmente i genitori uscirono di casa, lasciandoli
soli. Come in trance, Mitsui si alzò e si diresse verso la cucina, aprì
il frigorifero e tirò fuori una bottiglia di succo di frutta. “Ti
va bene questo?” “A-ha.” “E’
un sì o un no?” replicò Mitsui sempre più nervoso. “E’
un no.” Lapidario. Mitsui strinse la maniglia del frigo e contò
lentamente fino a dieci, poi chiese senza voltarsi: “Che diavolo sei
venuto a fare, Kogure? Credevo ci fossimo lasciati.” “No,
tu mi hai lasciato, Mitsui.”
Doveva aver colmato la distanza in silenzio, perché la voce gli risuonò
proprio dietro la schiena. “Senza spiegazioni, senza ragioni, senza
parole. Senza rispetto.” “Senza
rispetto?” Mitsui si girò di scatto e si trovò il viso di Kogure a un
centimetro dal suo. Nei suoi occhi brillava una furia malcelata, e la sua
voce era un sibilo quando ripeté “Senza rispetto.” Era più basso di
lui, ma gli sembrò alto quanto Akagi quando piantò le mani ai lati delle
sue spalle e scandì ancora una volta quella frase, “Senza rispetto,
Hisashi.” “Che
vuoi fare, tappo? Insultarmi e poi portarmi a letto?” Mitsui si mostrò
spavaldo, ma in realtà era molto vicino al panico, non l’aveva mai
visto in quello stato e non sapeva come reagire. “Ti
piacerebbe, vero?" ghignò Kogure. “Ma io non sono come te…”
Spostò lentamente le mani dalla fredda superficie del frigo al calore
delle braccia di Mitsui, stringendo forte i muscoli sotto la maglietta. “Perché devi sempre essere così dannatamente stronzo, Mitsui? Che cosa vuoi dimostrare?” Lui non rispose ma lo fissò diritto negli occhi, aspettando che continuasse. “Perché devi rendere sempre le cose più complicate di quanto già non siano?” “Devo,
quattr’occhi? Non sarebbe meglio dire dobbiamo?”
Kogure
sorrise sardonico e aumentò la stretta. “Non mi dirai che il grande
Mitsui Hisashi, Mitsui Hisashi il duro ammette di aver sbagliato…
Sarebbe una vera notizia!” “Kogure,
mi stai facendo male…” Come
se avesse realizzato solo in quel momento che gli stava artigliando le
braccia, lui sbatté le palpebre e aprì la morsa che erano diventate le
sue dita, ma non abbassò lo sguardo e lo stesso fece Mitsui. “Che
cazzo vuoi, Kogure? Falla corta e mettiamo fine a questa farsa.” La
veemenza della risposta lo investì come un camion lanciato in piena
discesa. “Che cazzo vuoi TU, Mitsui! Sei venuto tu
da me tre mesi fa, no?”, urlò Kogure. “ALLORA CHE CAZZO VUOI TU
DA ME? Parlami, dimmi qualcosa, non chiuderti sempre in quel
maledettissimo guscio che ti porti dietro come una merdosa tartaruga!
PARLAMI, CAZZO!” Toccò
a Mitsui sbattere le palpebre e sentire le forze abbandonarlo. Kogure era
fuori di testa, stava letteralmente tremando, ma non accennava a smettere
di gridare. “Mi vedi Mitsui?? Sono proprio qui davanti a te, e allora
parlami!” Quando il ragazzo allungò una mano per calmarlo la respinse
con uno schiaffo. “Non azzardarti a toccarmi. Questa volta non sarà così
facile Mitsui, non seppelliremo a letto i nostri problemi… pretendo
delle spiegazioni, e vedi che siano convincenti se davvero hai deciso di
farla finita con questa farsa, per usare le tue parole…” Scioccato
da quella reazione incontrollata, Mitsui disse la prima cosa che gli venne
in mente. “Scusa…” Una parola molto semplice ma pressoché
sconosciuta al vocabolario di un tipo cocciuto e chiuso come lui. Scusa per essere stato un idiota, scusa per aver permesso alla paura di
inghiottire la mia vita e portarsi dietro la tua, scusa per non essere
stato in grado di capirti, scusa per aver sempre preteso e non aver mai
dato… “Scusa…”, ripeté piano, facendola rotolare sulla lingua
e assaporandone il suono, come se volesse accertarsi di aver davvero fatto
uscire dalle sue labbra quelle due minuscole sillabe. “Tutto
qui? Tutto quello che hai da dirmi è scusa?
Andiamo Mitsui, puoi fare di meglio… Parlami, fammi sentire la tua
voce…" bisbigliò Kogure. "Dimmi quello che mi serve, dimmi
quello che ci serve…”
continuò in un soffio. Mitsui era come ipnotizzato dalla sua voce.
“Toccami, Mitsui.” Il ragazzo lo guardò dubbioso, poi allungò di
nuovo una mano. “No.” Mitsui bloccò il gesto a mezz’aria.
“Toccami il cuore, Mitsui... devo proprio insegnarti tutto?” “Kogure…”
Mitsui deglutì. Soppesò per un attimo i rischi e i vantaggi
dell’azione che stava per impostare, poi lasciò che fosse l’istinto a
decidere per lui. In partita funzionava sempre… perché non adesso? “Ti
amo.” Lo buttò fuori in un solo fiato, abbassando la testa e chiudendo
gli occhi, neanche fosse un bambino che cerca di proteggersi dal ceffone
in arrivo. Nelle orecchie il battito del cuore rimbombava sordo. Bene. Ridimi in faccia. Non me ne frega niente. Ma nessuno stava
ridendo. “Ti
amo anch’io, Mitsui Hisashi. Hai una vaga idea di quanto avessi bisogno
di sentirtelo dire?” Mitsui
spalancò gli occhi. “E tu? Hai una vaga idea di quanto bisogno avessi io
di sentirlo dire a te?” Kogure si era allontanato da lui e stava per
uscire dalla cucina… Ma come… Con uno scatto raggiunse la porta e si
parò davanti a lui, bloccandogli la strada. “Dove stai andando?“ “A
casa, Mitsui. Ho avuto quello che volevo e quindi me ne vado. La farsa è
finita.” “Ma…”
Mitsui sentì la disperazione inghiottirgli la mente, come quando il
medico gli aveva detto che il ginocchio gli era partito ma mille volte più
intensa… “Ma… t-ti ho d-detto che… che…” ripeté come un
balbuziente… Kogure
sorrise: “Coraggio, puoi farcela… non ti cadrà la lingua se me lo
ripeti…” Alla vista di quel sorriso Mitsui sentì che il sangue
rincominciava a scorrere, il cuore riprendeva a battere e perfino il
cervello, almeno quel poco che aveva, dava anche lui deboli segni di vita.
Le sue labbra si curvarono in un ghigno malizioso, mentre con un braccio
agguantava Kogure per la vita. “Che ti amo!” disse ridendo forte.
“Che sono un idiota, un demente, un cretino e un fesso.” Kogure si
tuffò contro il suo torace, respirando forte il suo odore. “Tutto
perfetto, Mitsui. Parola per parola. E lo stesso vale per me. Ero
terrorizzato all’idea che tu stessi con me solo perché ti sentivi solo
e spaventato… sembrava che ti facesse quasi schifo toccarmi…” Mitsui
lo scostò con forza e gli piantò in faccia due occhi furenti. “Ti
sembrava che mi facesse schifo toccarti?? Ma se fin dall’inizio è
stata una lotta continua per non saltarti addosso…” “E
allora perché ti sei giustificato dicendo che eri ubriaco quando…”
Kogure arrossì, la solita timidezza che prendeva il sopravvento. “Perché
temevo che tu mi odiassi per quello che avevo fatto, credevo di averti
costretto ad assecondarmi… io non avevo capito…” “Che
non aspettavo altro, idiota?” “Ma tu non facevi mai il primo passo, ero sempre io a chiedere, a provarci… ero sicuro che mi avresti lasciato se avessi osato qualcosa di più, che a te facesse schifo quello che facevamo…” “Mitsui,
ti rendi conto che sono dieci minuti che non facciamo altro che parlare
allo specchio? Esiste una coppia più stupida di noi?” Lui
gli chiuse la bocca con un bacio, appassionato e lungo. Quando il calore
della lingua di Kogure si fuse al suo, in una lenta ma serrata
schermaglia, pensò che no, non c’era una coppia più stupida di loro…
ma probabilmente nemmeno più innamorata. Le loro labbra si staccarono e,
dopo aver ripreso fiato, Kogure mormorò: “Hisashi… tu credi che… i
tuoi…” “Non
prima delle undici, Kimi-kun. Abbiamo un sacco di tempo…” Gli
mordicchiò il labbro, e poi l’incavo del collo. Kogure emise un flebile
gemito. “Parlami, Kogure”, lo imitò Mitsui. “Dimmi quello che
voglio sentire…” “Hisa…
i- io… voglio…” “Sì?
Coraggio, non ti cadrà la lingua, Kimi…” lo canzonò. “Fare
l’amore con te” concluse seppellendo il viso tra le sue braccia.
Mitsui lo strinse forte a sé e sentì un nodo chiudergli la gola. Dovette
fare una lunga pausa prima di rispondergli. “Sei sicuro, Kimi?” Lui
annuì vigorosamente, strappandogli un sorriso. “Bene, perché anch’io
non desidero altro.” *** Una
piccola luce illuminava fioca la stanza di Mitsui, ma non impediva alle
loro pupille di vedere distintamente i loro volti affannati e le loro mani
muoversi incerte. Mitsui
slacciò lentamente la camicia di Kogure, un bottone per volta, indugiando
sulla pelle liscia e bollente del ragazzo e seguendo con le labbra lo
stesso percorso delle dita, depositando piccoli baci alternati a delicati
morsi. A ogni sospiro che usciva dalla gola di Kogure sentiva il suo
desiderio crescere, ma non avrebbe assecondato l’istinto selvaggio di
strappargli via tutti i vestiti e affondare nel suo corpo. Negli occhi del
suo compagno c’era desiderio mescolato a paura, e questa volta era
deciso a non fare errori, a non ripetere gli sbagli del passato. Dopo
averlo spogliato, Mitsui afferrò le mani di Kogure e le appoggiò sul
proprio torace, quindi le fece scivolare verso i fianchi, guidando le sue
carezze. Sollevandosi a sedere sul letto, Kogure le infilò sotto la
maglietta, risalendo di nuovo verso l’alto lungo la spina dorsale di
Mitsui. Poi di nuovo verso il basso, fino ad afferrare il lembi del
tessuto. “Via
questa roba…”, e un secondo dopo ecco la maglietta sul pavimento.
Spinse Mitsui sulla schiena e fece scorrere le dita fino al bordo dei
pantaloni, indugiando sull’addome piatto. “Via
anche questi…” Mitsui sollevò il bacino per aiutarlo, ed ecco i
pantaloni fare compagnia alla maglietta. “E questi…” Il pavimento si
fece più affollato, pantaloni e maglietta diedero il benvenuto ai boxer.
La lingua di Kogure accarezzò il membro di Mitsui con movimenti lenti,
l’istinto e quel poco di esperienza gli dicevano dove leccare e come
leccare, poi la sua bocca lo avvolse completamente e iniziò a succhiare.
Mitsui chiuse gli occhi, completamente in balia delle sensazioni che la
bocca di Kogure gli stava procurando: le conosceva bene, ma in qualche
modo gli sembravano del tutto nuove. “Kimi…” Kogure si interruppe e
sollevò il viso, appena in tempo per vedere Mitsui venirgli incontro e
baciarlo con foga. Lui ricambiò entusiasta, il corpo abbandonato tra le
sue braccia. Rotolò su un fianco per lasciare il campo libero a Mitsui,
che non ebbe bisogno di ulteriori inviti e inghiottì l’erezione di
Kogure fino in fondo, sentendola pulsare calda contro il proprio palato.
Aiutandosi con la lingua fece in modo che dalla gola del ragazzo uscissero
gemiti dapprima deboli e poi sempre più intensi, ma quando sentì le mani
di Kogure stringersi con forza attorno ai suoi capelli si interruppe
bruscamente. “Oh, no Mitsui… no… che stronzo che sei…” “Shhh…” Mitsui gli posò l’indice sulle labbra. “I bravi bambini non dicono le parolacce…” Gli sfiorò le labbra mentre più giù le sue mani lo invitavano ad allargare le gambe. Quando il primo dito si introdusse nella piccola apertura un lampo di panico passò negli occhi di Kogure. Mitsui lo baciò di nuovo, era sempre una strana sensazione sentire il proprio sapore sulla lingua del proprio compagno e Kogure si lasciò ancora una volta andare alle emozioni. Il fastidio iniziale era scomparso, anche perché la mano libera di Mitsui aveva di nuovo afferrato il suo membro e lo stava accarezzando, anzi tormentando… e questo fece passare quasi inosservata l’intrusione di un secondo dito, quasi. Mitsui muoveva la mano sulla sua erezione e le dita all’interno del suo corpo seguendo un ritmo antico ed eterno, e lui stava rispondendo come uno strumento accordato alla perfezione, gli occhi serrati dal piacere, ma quando avvertì le dita uscire e una nuova presenza premere contro l’entrata li spalancò e si ritrovò specchiato in quelli scurissimi di Mitsui, che lo stavano fissando da una distanza infinita. “Kimi…”
si sforzò di articolare. Kogure
deglutì, quindi gli prese il viso tra le mani ed annuì. “Io…
dimmi se ti faccio troppo male… non voglio…” “E se invece mi dovesse piacere da impazzire…” bisbigliò sulle sue labbra… “Devo dirti anche questo?” Una
cortina calò sui sensi di Mitsui. Senza nemmeno rendersene conto, fece
sdraiare Kogure sulla schiena, appoggiò la punta contro l’entrata e
iniziò a spingere. Kogure
sapeva che ci sarebbe stato dolore, ma quello che avvertì era davvero al
di là di ogni sopportazione. Non era neanche dolore, era un’unica nota
ininterrotta e intensa. All’inizio chiuse gli occhi e serrò le
mascelle, cercando di controllare quell’ondata spaventosa, ma più
Mitsui affondava e più lui si sentiva lacerare e bruciare, e prima ancora
di rendersene conto le lacrime cominciarono a rotolargli sul viso.
“Mitsui, ti prego, io… io non…” Lo aveva gridato o lo aveva solo
pensato? Mitsui non si fermò se non quando fu arrivato in fondo, esalando
un sospiro lungo e profondo. Poi appoggiò le labbra su quelle di Kogure,
e quest’ultimo si stupì nell’avvertire un sapore salato diverso dal
suo. “H-Hisashi?” Mitsui scostò il viso e Kogure vide le lacrime
morirgli sulle labbra. “Kimi, Kimi… dio, pensi di farcela…” NO,
stava urlando il suo cervello, ma lui annuì. “Va tutto bene Sashi… più
o meno…” si sarebbe chiesto tutta la vita da dove gli veniva la voglia
di scherzare in un momento come quello… “Adesso
comincio a muovermi… cerca di seguire il mio ritmo…” mormorò Mitsui.
Kogure annuì di nuovo e chiuse gli occhi. Mitsui si ritrasse
delicatamente, quindi tornò a spingere piano verso l’interno. Kogure
gemette e affondò le dita nella schiena di Mitsui. La seconda spinta fu
un po’ più profonda e forte, e così la terza… seguendo le istruzioni
di Mitsui, Kogure assecondò quel movimento, e il dolore cominciò pian
piano a diluirsi in una sensazione differente. Non era scomparso, ma stava
passando in secondo piano per lasciare il posto a piccoli brividi di
piacere. Attento a cogliere anche la più piccola sfumatura, Mitsui percepì
il cambiamento nei gemiti di Kogure e si sentì incoraggiato ad aumentare
l’intensità e la forza dei suoi movimenti. Nello stesso momento prese
in mano il membro di Kogure e riprese a massaggiarlo. Piccoli lampi
colorati danzarono davanti agli occhi di Kogure. “Sashi…
q-questo mi piace…” Quando poi Mitsui ruotò i fianchi in modo da
premere in un punto ben preciso, il dolore arretrò decisamente sullo
sfondo e potenti ondate di piacere attraversarono il suo corpo. “Sashi!”
gridò. Mitsui mormorò qualcosa di incomprensibile e accelerò le spinte,
ansimando e gemendo. “Sashi, io…” I lampi stavano adesso esplodendo
dietro i suoi occhi in un carosello di colori, avvolgendolo in una spirale
di sensazioni senza ritorno. Kogure sentì qualcuno gridare e mentre con
gli ultimi bagliori di coscienza realizzava che quella voce distorta era
la sua, venne nella mano e
contro lo stomaco di Mitsui. Quest’ultimo assestò un altro paio di
spinte incontrollate e violente prima di perdere contatto con la realtà e
liberare il suo seme all’interno di Kogure, crollando esausto sul suo
corpo con un rauco gemito. Per
diversi secondi l’unico suono all’interno della stanza fu il respiro
affannato e spezzato dei due ragazzi. Mitsui fu il primo a uscire da quel
caldo torpore, rotolando su un fianco e liberando Kogure dal peso del
proprio corpo. “Kimi…
” Puntellandosi su un gomito gli scostò i capelli dalla fronte sudata.
“Io…” Kogure
teneva ancora gli occhi chiusi, l’accenno di un sorriso sulle labbra e
il torace che si alzava e si abbassava ritmicamente. “Mh?” “No,
niente…” Kogure
si girò e aprì gli occhi. “Non mi hai parlato per mesi e adesso non
riesci a stare zitto… mi farai morire, Mitsui Hisashi…” Vide
un’ombra di risentimento oscurare lo sguardo di Mitsui e si affrettò a
rifugiarsi tra le sue braccia, appoggiando la testa sul suo torace. “Ti
amo Hisa… grazie.” Lo sentì deglutire e avvertì la sua mano tra i
capelli. “Ti amo anch’io Kimi… e sono io quello che deve
ringraziare…” Kogure rise e si accoccolò meglio in quell’abbraccio.
“Mmmhh, sì… direi che sei tu quello che deve ringraziare…” disse
prima di scivolare in un sonno sereno. **** La
lama di luce che proveniva da sotto la porta non prometteva nulla di
buono. “Mitsui!”
bisbigliò Kogure. Nessuna risposta. Kogure si sollevò sul letto e vide
vicino a sé la schiena di Mitsui, che dormiva beato su un fianco. Si
avvicinò al suo orecchio e bisbigliò di nuovo “Mitsui! Sveglia…
ohmiodio, sono arrivati i tuoi!” Mitsui
spalancò gli occhi e si sollevò su un gomito. “Che cosa? Ma che ore
sono?” La sveglia sul comodino segnava 11:45 p.m. “Ohmiodio,
e adesso?!” “Kogure,
piantala di dire ohmiodio!! Non si accorgeranno mai che sei qui…” “Col
cavolo, ci sono le mie scarpe all’ingresso!” “Ohmiodio!” I
due scoppiarono a ridere, soffocando il suono tra i cuscini. “Beh,”
disse Mitsui, “domattina possiamo sempre dire che ti sei fermato qui a
dormire, non è la prima volta che capita…” “E
che succede se tua madre entra per controllare che tu mi abbia dato almeno
un futon, preoccupata che io dorma sul pavimento?! Hisashi è il solito irresponsabile…” “Sarebbe solo giusto, finalmente saremmo pari!” Il ricordo di quel momento imbarazzante oltre ogni immaginazione non fece che aumentare le loro risate, che i due faticavano sempre più a soffocare. “Smettila
di ridere! Li farai insospettire!” “Hai
cominciato tu!” Mitsui
stava per avere un attacco di riso incontrollato quando i passi nel
corridoio in direzione della sua camera gli gelarono il sangue. Kogure gli
chiuse la bocca con una mano, altrettanto raggelato dalla visione della
madre del suo compagno che apriva la porta per controllare che tutto fosse
a posto… Sentirono una voce femminile: “Fai piano, tesoro… non
svegliamo i ragazzi… avranno studiato fino a tardi…” I passi si
allontanarono e poi si sentì il rumore di una porta che si chiudeva. Mitsui
si tolse la mano di Kogure dalla bocca e lasciò che la risata scorresse
libera nel suo petto. “Studiato fino a tardi… mia madre è un
fenomeno…” Anche Kogure rise di gusto, appoggiando la testa alla
schiena di Mitsui. “Uff,
ci è andata bene… adesso cerchiamo di dormire Kimi… Kimi? C-che stai
facendo?” La mano di Kogure era scivolata tra le gambe di Mitsui e stava
accarezzando il suo pene in maniera inequivocabile. “Io
niente… fa tutto da sola…” L’erezione di Mitsui fu quasi
immediata. Fece per girarsi ma Kogure lo bloccò. “No… resta così…
vuoi?” mormorò… Mitsui non rispose, ma rilassò il corpo contro
quello di Kogure e sentì il suo membro duro picchiargli contro le
natiche. Il ricordo di una notte d’estate fece capolino, una notte in
cui aveva dato e preso ben consapevole di quello che stava facendo, spinto
solo da desiderio e passione. Non ci aveva visto niente di male allora e
continuava a trovare perfettamente giusto rispondere alla fisicità pura,
ma quello che stava provando adesso sotto il gentile ma deciso tocco di
Kogure era diverso. Emozioni mai sperimentate che attingevano alle vecchie
e le arricchivano e completavano con un’intensità tale da levargli il
respiro, facendogli provare una punta di rammarico per non aver saputo
aspettare la persona giusta. “Hisa?
Sei qui?” “Anima
e corpo.” “Io…
tu credi di … potermi…” Ancora
una volta Mitsui non rispose ma si girò sulla schiena, lasciando che
fosse Kogure a prendere l’iniziativa, a guidare il gioco. Kogure gli
montò a cavalcioni e cominciò ad accarezzare piano il torace e le
spalle, ammirando la compattezza dei muscoli e la setosità della pelle. “Hai
le mani fredde…” “Scusami…
sono molto più teso di prima… non so come…” “Rilassati
Kimi… non c’è niente da sapere…” Mitsui si sollevò sui gomiti
per catturare il suo sguardo. “Segui le emozioni, e loro ti porteranno
da me…” Abbassò di nuovo la testa sul cuscino e chiuse gli occhi, le
mani di Kogure che riprendevano a esplorare il suo corpo. Avvertì il
respiro caldo vicino all’orecchio e la lingua morbida e fresca che
accarezzava il lobo, poi piccoli denti che mordevano piano. Mitsui inarcò
la schiena. Kogure scese di nuovo verso il basso e prese in mano
l’erezione del compagno, durissima e calda. Non si era mai sentito tanto
eccitato, aveva l’impressione di essere tornato bambino la notte di
Natale, con tutti quei pacchetti scintillanti e il non sapere da quale
cominciare. Leccò e baciò per qualche minuto ogni piccolo anfratto,
beandosi dei gemiti sempre più acuti di Mitsui. “Hisa…
fai piano… i tuoi…” ridacchiò al suo orecchio. Il
sorriso del ragazzo gli mozzò il fiato. “Non è colpa mia, Kimi…” “Voltati,
adesso…” Mitsui
non se lo fece ripetere e si girò carponi, mentre Kogure prendeva
posizione dietro di lui appoggiando le mani sulle natiche e allargandole
piano. Prese in mano il proprio pene eretto e lo avvicinò all’entrata.
Spinse un po’ per saggiarne la resistenza ma appena sentì Mitsui gemere
si ritrasse. “Ti
faccio male?” Mitsui
rispose con un grugnito di impazienza. Era il segnale che aspettava, e
Kogure spinse in avanti il bacino, affondando nel corpo di Mitsui.
Contemporaneamente allungò la mano, afferrò il pene di Mitsui e strinse.
L’altro si inarcò e quando Kogure iniziò a muoversi si morse le labbra
per non gridare. Le spinte seguivano un ritmo costante, fuori e dentro,
fuori e dentro, i loro respiri affannati sempre più difficili da
controllare. Mitsui stava impazzendo, stretto in una morsa di piacere da
cui era impossibile sfuggire. Nella nuova posizione Kogure provava un
piacere diverso ma altrettanto intenso e sconvolgente. Percepiva i muscoli
di Mitsui contrarsi lungo il proprio pene, una sensazione molto vicina
all’estasi. Sentì il suo cervello addensarsi e farsi di gelatina e si
allungò su Mitsui, incapace di controllare la frenesia che lo stava
assalendo. “Kimi… Kimi…” Mitsui affondò la testa nel cuscino e strinse forte le lenzuola, non poteva resistere oltre e allentò ogni controllo, impiastricciando la mano di Kogure con un getto di sperma caldo e vischioso. Il lungo brivido che attraversò Mitsui si trasmise a Kogure e gli fece esplodere ancora una volta quelle luci scintillanti dietro agli occhi. Spinse, e spinse, e spinse finché tutti i legami con la realtà si sciolsero e lo svuotarono, piantando i denti nella spalla di Mitsui per reprimere un grido. “Kimi…
non sembra ma sei pesante sai?” Kogure
era ancora abbandonato sulla schiena di Mitsui, la guancia appoggiata alla
spalla e le gambe intrecciate in quelle del compagno. “Lo
so, ma questo materasso mi piace troppo…Non possiamo dormire così?”
Sfregò il naso sulla sua nuca e Mitsui rise. “Sashi,
hai mai pensato a farti ricrescere i capelli?” “Naaah,
sono troppo scomodi per un atleta… Perché, tu mi preferiresti con i
capelli lunghi?” “No,
era solo per dire…“ “Guarda
che se ti piaccio di più me li faccio crescere, non c’è problema…” “Ho
detto di no, Sashi!” Kogure strinse le braccia attorno al suo collo. “Mi
stai soffocando…” Kogure gli depositò un ultimo bacio sul collo e
cambiò posizione, sdraiandosi a pancia sotto e girando il viso per
fissare gli occhi di Mitsui. “Che
cosa c’è?” “Ti
guardo, tutto qui.” “E
che cosa vedi?” “Un
sacco di cose…” “Anche
senza occhiali?” Kogure avvicinò la fronte a quella di Mitsui. “Non farmi mai più una cosa del genere, Hisashi. Mai più.” “Mai
più”, ripeté Mitsui tutto contrito. “Aspetta, non ho capito… ti
riferisci a stanotte? Ahia!” “Sul
serio, baka! Non allontanarti mai più da me…” “Sul
serio, Kimi.” Mitsui lo trasse a sé e lo baciò tra i capelli. “Non
mi allontanerò e non ti allontanerò. Mai più.” Tu
affogando per respirare *** Uff, proprio non riesco a sfuggire ai finali stucchevolmente dolci… è una cosa che mi porto nei geni! Però ecco, non volevo il solito Kogure passivo e femminuccia e Mitsui machomen… e non volevo nemmeno scrivere una ff in stile pornazzo… proprio non ci riesco (e il mio pc sa quanto ci ho provato…)!^^ You can’t always get what you want… E
adesso i crediti alle canzoni, che sono: Tutti
i miei sbagli
(Subsonica) - che per me E’ Mitsui Cerca
nel cuore
(Ligabue) - che ha “ispirato” le parole di Kogure. Commenti?
mailto freesoul14@hotmail.com E
passate dal mio sito, se ne avete voglia: http://digilander.iol.it/stellafic
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