Disclaimer: ogni pensiero e respiro di questi personaggi senza nome è mio
Note: Questo racconto nasce come pensiero scaturito da un discorso (in parte virtuale, in parte fatto di persona) con un’amica che, come me, è nata a settembre. Una volta appuntato su un file vuoto di word si è trasformato in questo brevissimo scorcio, che non ha la pretesa di raccontare una storia vera e propria, ma solo di riprodurre l’evolversi dei pensieri che si possono fare mentre si passeggia, di sera, in un posto di mare dove la stagione balneare volge al termine. Come già scritto sopra, i personaggi non hanno né volto né nome, proprio perché quello che volevo era catturare singole sensazioni istantanee.
Spero risulti di vostro gradimento.
Buona lettura.
 


Settembre

di Kuso Baba

 

…Perché fa freddo, per essere settembre.

Una frase che non va più via, conficcata nel cervello come un chiodo, col suo dolore pulsante che gonfia i nervi e li rende anche troppo sensibili, col fiotto di sangue che cola lento in piccoli rivoli su frammenti di una personalità ormai completamente infranta.
Una frase, la sua frase.
Quella detta poco prima di andarsene.
Una banale giustificazione per un gesto altrettanto banale, coprirmi le spalle con un giacchetto di jeans.
Un concerto al porto, gruppo sbagliato nel luogo sbagliato, una bomba alla Nutella, di quelle che non mangiavo più da quando avevo quindici anni, e poi passeggiata in spiaggia.
Quella spiaggia.
Isolata, priva di luci, suggestiva almeno quanto sinistra (perché sì, le spiagge di notte, a settembre, hanno qualcosa di sinistro), un ventre protettivo e scuro, una frangia di sabbia tra la scogliera di tufo e il mare.
Oro e azzurro separati da quel diaframma di schiuma bianca, ultima arma di difesa delle onde morenti, un dono per chi si trova a passare di là.
Perché noi abbiamo un’anima pagana, crediamo negli spiriti della natura, ce lo siamo ripetuti spesso durante i nostri incontri al caffé, le nostre serate in casa a bere vino rosso rubino, le passeggiate notturne sul lungotevere, con i platani che alzano al cielo i loro rami nudi come braccia in preghiera, scheletrici, denutriti, neri come il cielo con cui si confondono.
Inquieti.
Perché il nostro amore è sempre stato inquieto.
E’ nato in maniera discreta, lenta, eppure costante, insignificante come il filo d’inchiostro che riempie la pagina di un libro aperto a caso.
E il nostro amore odora proprio di libreria, uno strano miscuglio di legno, carta e polvere.
Odora di pioggia, tutta quella che abbiamo preso a novembre, mentre tentavamo di ripararci sotto giacche verde bosco.
Il nostro amore ha il suono fastidioso della suoneria del tuo telefonino, quello che ti è scivolato dalla tasca mentre scendevamo dal tram.
Muore in questo inizio di settembre, come una fenice fatta di ricordi.
Risorgerà quando potrà tornare a nutrirsi dei riflessi dorati del tufo di quella scogliera, del ruvido del sale sulla pelle, della sabbia tra lenzuola non nostre.
Risorgerà assieme a questi pensieri, perché il sole che li illumina verrà svegliato con essi, e potremo riderne seduti ad una panchina di Piazza Venezia, interrotti da un turista americano che ci chiederà cos’è l’Altare della Patria.
Risorgerà, basta solo un cappuccino caldo ed un cornetto che profuma di miele.
O la carezza con cui mi hai appena strappato a questi confusi pensieri.