Fic interamente dedicata e concepita per Ria, per festeggiare il suo compleanno, ma soprattutto per ringraziarla dell’allegria e dell’ottimismo che ci trasmette. Ho impiegato più del previsto a scriverla e so di essere colpevolmente  in ritardo, però le buone intenzioni c’erano… è mancato il tempo!

Tanti auguri, webmom!!

Un baciotto e un ringraziamento a Nausicaa e Calipso, come sempre indispensabili per il sostegno e l’aiuto che mi danno.

Un saluto particolare anche a Angie, Kira e Fra-chan, e a chiunque riterrà di aver passato dei minuti piacevoli leggendo questa storia.

I personaggi di SD non sono miei, così come non è mio il soggetto del film ‘Sette spose per sette fratelli’, che, pur completamente stravolto,  mi è stato di ispirazione.

Ultima cosa: a me piacciono tutti i personaggi di Slam Dunk, senza anche uno solo di loro questo manga bellissimo non sarebbe lo stesso. Se mi sono lasciata trasportare dall’ironia, nel descriverne alcuni, l’ho fatto con affetto.

Buona Lettura.


 

 


7 Basketmen for 7 Brothers

parte VI - Tori Scatenati

di Greta

 

Lo svilupparsi di una situazione più rilassata, su a Tetto Verde, riempiva Kogure di soddisfazione. Poteva sempre darsi che non seguissero sviluppi decisivi, però si sentiva finalmente più ottimista, più tranquillo, come se considerasse un successo personale, qualcosa di cui andare orgoglioso, il fatto che i ragazzi di città avessero scoperto che i fratelli Mitsui non erano, alla fine, animali rozzi e violenti.

Una sottile vena di tristezza emergeva però non appena la sua attenzione si trasferiva all’analisi della propria situazione con Hisashi.

Ormai erano arrivati a gennaio, e il compagno non era ancora tornato.

Le uniche notizie che aveva ottenuto gli erano state portate da Toru, quando era tornato a casa dopo essere salito ai pascoli estivi per controllare che tutto fosse a posto; l’imbarazzo con cui il ragazzo gli aveva detto che Hisashi stava bene, e che rimaneva dell’idea di tornare a metà marzo, gli aveva fatto facilmente comprendere che la rabbia dell’altro, per quello che era successo la sera del rapimento, era ancora intatta.

Eppure lui non poteva fare nulla: avrebbe ripetuto ancora mille volte le stesse parole, nelle medesime circostanze. Hisashi era il più grande dei fratelli Mitsui, stava a lui mostrare maturità quando gli altri si facevano prendere da impulsi o idee folli, e, invece, per il rapimento non aveva esercitato un minimo di freno, anzi, forse ne era stato l’ideatore.

Si staccò dalla finestra della camera da letto, distogliendo lo sguardo dalle montagne innevate. Era gennaio, ma la primavera non sembrava più così lontana: cosa sarebbe successo alla sua famiglia, a quei ragazzi che con il tempo erano riusciti a conquistare il suo affetto? Pensare a Takenori, Shinichi, Toru, Akira, Hanamichi o Minori senza i loro sei giocatori di basket sembrava impossibile.

Terminò di prepararsi e scese per aiutare Uozumi e Fujima con la colazione. Nel soggiorno, davanti al fuoco già crepitante, Hanamichi era seduto all’indiana sul pavimento, con il gomito appoggiato sul divano su cui dormiva Rukawa, incapace di distogliere lo sguardo dalla sua volpe. Sulla poltrona di fronte, invece, Koshino teneva in braccio il cagnolino bianco, battezzato per motivi oscuri ‘Bigetto’ da Akira, mentre il porcospino era impegnato a fare il trapezista sul bracciolo.

Toru e Fujima stavano apparecchiando, chiacchierando contemporaneamente a bassa voce, e infine Minori e Minami, seduti sulla panca di legno accanto al camino, tiravano stancamente freccette: il codino contro una fotografia di Hanamichi e il calimero contro quella di Minori medesimo.

In quel momento, dalla porta del retro entrarono Shinichi e Kiyota:

"Devi essere più paziente… Milly è fatta così. E poi, se le canti una ninna nanna dolce, lei si sforza di più e ti fa un altro secchio: devi solo farla rilassare" spiegava il pelle-gialla.

"Quella vacca bastarda…" cominciò lo stregone, ma fu fulminato dallo sguardo di disapprovazione del compagno, e allora continuò "…quella cara figliola di una vacca gran bastarda mi ha schizzato il suo latte schifoso e menagramo in un occhio! Se la pesco da sola, vedi che le faccio…" ma a questo punto si zittì, ricordava sin troppo bene la minaccia dell’orrido Tamarindo.

Dalla cucina si affacciò Takenori, avvolto dal grembiulone con i girasoli sorridenti:

"Venite a tavola, truppa! – tuonò – Stamattina Jun-kun si è superato!" e quindi esibì una specie di ghigno carico di orgoglio.

Kogure sorrise: il ricordo terribile dell’esperimento culinario del gorilla doc era impresso a fuoco nella memoria di tutti i presenti; per fortuna da allora la cucina era diventata regno esclusivo di Uozumi, e le cose erano considerevolmente migliorate.

La colazione trascorse abbastanza tranquillamente, se si tralascia il fatto che Akira non fece che insistere per aggiungere un seggiolino per Bigetto, per non farlo sentire un escluso; oppure che Hanamichi e Rukawa passarono il tempo a battibeccare per l’insistenza con cui il rossino rimarcava lo scarso appetito dell’altro, accusandolo di essere deperito e che il suo pallore fosse segno di malattia, rimproveri ai quali la volpe rispondeva con sguardi assassini, sguardi ai quali il più giovane dei Mitsui sembrava aver sviluppato una strana immunità; e infine, ad animare il pasto, ci fu anche una delle dure gare all’invenzione della minaccia più cruenta che riuscivano a tenere avvinti per ore Minori e il suo Tsuyoshi:

"Notte tempo ti strangolo con i tuoi stessi capelli!" sibilava il calimero.

"Non essere precipitoso, già a pensare alle nostre notti di passione! E poi il sadomaso… io che ti credevo un ragazzo per bene!" replicava l’altro, sfidandolo con uno sguardo carico di allusioni.

"Saranno notti che non dimenticherai facilmente, quando ti ritroverai avvelenato con l’antiparassitario delle pecore" continuava Minami.

"Sarai tu a non poterle dimenticare, considerando che non riuscirai a camminare per tre giorni…" sussurrava in risposta Minori, con un bel ghigno soddisfatto disegnato sul volto.

"Io… IO TI AMMAZZO!" e subito il povero Ace Killer tentava di far partire una delle sue famose gomitate.

"Non ti scaldare… risparmia le energie per quando saremo soli!"

Dall’altro lato del tavolo le cose sembravano più tranquille, Fujima e Toru parlavano di cavalli, di come Apu stesse di nuovo bene, e poi di Bucaneve, di come tentasse di proteggere il puledro da tutti gli altri animali, mentre Takenori e Uozumi un po’ partecipavano a questa conversazione, aggiungendo di tanto in tanto qualche commento, un po’ parlavano tra loro dell’emozione del raggiungimento degli ottanta, dei novanta, dei cento chili, un’esperienza che li rendeva unici, e diversi da tutti gli altri.

La giornata seguì la stessa routine di tutti quei giorni invernali. I fratelli Mitsui si distribuirono le diverse attività, pronti a ritrovarsi per lo spuntino del pranzo e poi, al calar delle tenebre, a riunirsi tutti insieme nel salotto della casa, prima di ritirarsi sul soppalco della stalla.

Quella sera, Hanamichi si ritrovò a chiacchierare con il gemello:

"Ehi, ci pensi mai che prima o poi arriverà la primavera?" gli chiese, masticando pensosamente un filo di paglia.

"E’ ovvio che ci penso! Ma la cosa non mi intimorisce di certo. Come dice sempre il Dottor Fuck, la paura è una reazione naturale, quando si avvicina una scadenza…" gli rispose Minori, lentamente.

"Non è che il dottor Fuck parlava della bolletta della luce?!" si inserì Akira, provandosi il vecchio cappello con cui d’estate andava al fiume a pescare trote, quello che lo faceva somigliare in maniera impressionante a Sampei – il ragazzo pescatore.

"Idiota! Il dottor Fuck era lo psicologo del pianerottolo, quello che…"

"…diceva sempre che ogni problema ha la soluzione nascosta sul materasso. Il problema è che noi non abbiamo più neanche quello!" si lamentò Takenori.

"Useremo quello su cui dorme Tsuyoshi…" gli replicò il codino, stringendosi nelle spalle.

"TE LO PROIBISCO!! MAGARI DORME SUL MIO LETTO" tuonò il gorilla, sconvolto dal solo pensiero dei due avvinghiati sul suo prezioso, e rinforzato, giaciglio ricoperto di pelli. Quell’opera d’arte avrebbe fatto da sfondo ad incontri con protagonisti di ben altro peso… sì, era proprio il caso di dirlo.

"E comunque non mi sembra una opportunità realizzabile… non so se hai notato, ma il tuo calimero fa sempre il 100% dei punti quando tira freccette sulla tua fotografia. Ormai hai il naso e l’occhio destro completamente distrutti…" fece notare Hanamichi, sogghignando soddisfatto. Non era solo lui ad avere problemi di comunicazione con la sua dolce metà, e il poter punzecchiare il gemello era sempre causa di grande soddisfazione.

"Io sono preoccupato… il mio Kosh sta rivelando inaspettate tendenze alla maternità. Avete notato il suo legame con Bigetto?" mormorò Akira, pensieroso.

"Se fossi in te, non mi preoccuperei: quel botolo bianco non ringhia abbastanza per essere davvero suo figlio" lo tranquillizzò subito Minori.

"E tu, … come procedono le cose con il grande Nobunaga Kiyota?" chiese Takenori, rivolgendosi a Shinichi, steso sulla schiena e perso nella contemplazione delle travi polverose del soffitto.

"Stanno imparando a conoscersi" rivelò l’altro, con voce sognante.

"Eh?!" si guardò intorno Hanamichi, che non aveva capito.

"Si sta avvicinando il giorno in cui Milly lo delizierà con una mungitura da tre secchi. Quello sarà il momento dell’accettazione" spiegò il pelle-gialla, calmo.

"Ehi, Shinichi… se poi Piciù riuscisse a trasformare il tuo Nobu-kun in una mucca, ogni tanto, avresti raggiunto la felicità perfetta! E poi aumenterebbe pure la produzione…" suggerì Akira, sempre felice di poter dispensare utili consigli, soprattutto quando questi avevano acuti risvolti imprenditoriali.

"Il buon padre voleva un maschietto, ma ahimé… sei nato tu!" esclamò Minori, tirando un uovo appena rinvenuto in mezzo alla paglia in testa al porcospino.

"I MIEI CAPELLI!!!"

"Dai che ho letto che l’uovo gli fa bene… ti cresceranno più forti" cercò di tranquillizzarlo Toru, intervenendo per la prima volta nella conversazione.

"Aaahhh, pensavamo che dormissi… ora ci devi svelare che succede nel box di Apu, quando venite a prendervi cura della bestiola!" lo assalì subito Takenori.

"Secondo me il povero puledro è perfettamente sano, è la loro scusa per fare le porcate indisturbati!"

"MINORI! Che diavolo dici?!" esclamò il quattr’occhi, cercando di riportare all’ordine il codino, ormai irrefrenabile nelle sue terrificanti interpretazioni di quello che gli accadeva intorno.

"Oppure lo faranno ammalare loro, il povero Apu. Sempre a fargli iniezioni per il solo gusto di rendere più realistico il gioco del dottore…" caricò Hanamichi, per dimostrare di non avere in comune con il gemello solo la data di nascita.

"Smettetela! Fujima ed io siamo legati solo dall’amore per gli animali e dal desiderio di curarli!" si difese ancora Toru.

"E poi almeno non davanti ad Apu, che è ancora minorenne!" intervenne Shinichi, da sempre il più strenuo difensore del telefono pezzato per la difesa degli animali, quello le cui operatrici muggivano invece di parlare.

Ok, non era il solo telefono ad avere dietro gentili donzelle che facevano versi animaleschi…

"Basta ragazzi, adesso state esagerando!" li rimproverò lo spilungone con tono più deciso, arrossendo leggermente al pensiero di come sarebbe stato fantastico se le insinuazioni dei fratelli fossero state vere.

"E’ rosso, è rosso… c’abbiamo preso, bingo! Fanno le cosacce nella stalla…" saltò su Hanamichi.

"Tu invece, pur essendo rosso, non batti chiodo!" lo punì subito il gorilla, desideroso di allentare un po’ la tensione sul fratello più serio.

"Ti piacerebbe sapere cosa faccio con la mia kitsune! Ma io non ti dico niente, nada de nada, che poi cerchereste di copiarci… te e quell’armadio!"

"Sapere cosa fai con la kitsune sarebbe noia profonda: lui dorme e tu sbavi… una goduria! E poi il mio Jun è un ragazzo di peso, e certamente è più resistente della tua volpe inappetente!" ribatté Takenori, punto sul vivo.

"Quante volte ti abbiamo detto… NIENTE PARTICOLARI INTIMI, FRATELLONE!" sbottò il codino, che provava sempre una strana sensazione alla bocca dello stomaco, quando pensava al gorilla impegnato in faccende… ‘private’, con l’altro bisonte.

"Non ti preoccupare, non te ne darò: non ho intenzione di umiliarvi" lo derise il gorilla, con un sorriso leggermente da maniaco. Qualcosa di molto inquietante.

"Il mio Bobby non teme rivali!" saltò su Akira, lanciando in aria il cappello da Sampei.

"Speriamo solo che il tuo Kosh non abbia esperienza in quel campo, magari il tuo bluff riuscirà a durare per due giorni. Prega sempre che non sbirci nella stanza dove io e il mio calimero…" Minori non terminò la frase, ma era ben chiaro a tutti cosa dovevano fare, in quella stanza, i due Rocky Balboa in erba.

"Ragazzi, non potremmo parlare d’altro?" provò ad inserirsi Toru, tentando di riportare la conversazione su un piano meno terra-terra.

"Nobu-kun si definisce il re dei tronchi… secondo voi è un altro titolo nobiliare?" lo accontentò immediatamente Shinichi, animato da genuina curiosità.

"Sì, a forza di ricevere legnate, i bernoccoli gli hanno formato una corona!" gli spiegò Minori, sempre il più disponibile.

"Uhhh – e il pelle-gialla strizzò gli occhi in una smorfia di dolore – Povero cucciolo…"

"Poveri noi, vorrai dire" fu l’epitaffio di Takenori, prima di spengere la lampada per dormire.

 

Intanto, su ai Pascoli Estivi, gelando nello spartano letto da campo, Hisashi pensava ancora a quello che era accaduto con il suo Kimi-kun, alternando momenti in cui avrebbe desiderato mettere in moto il gatto delle nevi e scendere senza fermarsi fino a raggiungere ‘casa’, ad altri in cui la rabbia ribolliva, portandolo a desiderare di distruggere qualsiasi cosa avesse a portata di mano.

Eppure di fondo c’era la ferma risoluzione di non permettere a Kogure di abbandonarlo. Questo non poteva neanche essere preso in considerazione: il quattr’occhi ormai gli apparteneva, forse più nel corpo che nell’anima, e questo portava alla necessità di trovare il modo per risolvere le loro incomprensioni caratteriali una volta per tutte, e a stabilire delle regole che permettessero loro una vita più tranquilla. E ovviamente queste regole dovevano essere quelle di Hisashi medesimo, visto che lui era sicuro che fossero le migliori possibili: del resto, dopo essercisi attenuto per una vita, non era diventato quella persona meravigliosa che era?

Pochi giorni prima, Toru lo aveva raggiunto, apparentemente per portargli delle provviste e ritirare alcune pelli per dare inizio alla concia.

Lui era stato contento di rivedere il fratello e di avere la possibilità di sapere come stessero andando le cose della famiglia, eppure non aveva fatto che ostentare un’aria distaccata, quasi infastidita, durante l’intera descrizione delle vicende della fattoria e dei sei ragazzi di città. Alla fine, però, come prevedibile, il tono della conversazione era cambiato, e il Mister Quattr’Occhi aveva rivelato le proprie vere intenzioni, cercando di spiegargli le posizioni del Quattr’Occhi Semplice… E la cosa aveva contribuito ad alterare Hisashi: possibile che lui dovesse apparire come un orco, un grizzly, solo per aver cercato, da bravo fratello maggiore, di aiutare quegli sfigati che costituivano la sua famiglia? E poi, da quello che aveva sentito, gli era sembrato di capire che l’azione mostruosa che aveva capitanato non avesse poi avuto queste orride conseguenze, anzi… le sei coppie bisbocciavano e Kogure faceva la chioccia… solo lui ne era uscito con le ossa rotte, a gelare in cima alla montagna.

"Non puoi non riconoscere che abbiamo sbagliato, Hisa-chan. Lo abbiamo fatto tutti insieme, non meditando abbastanza, ma non abbiamo agito correttamente…" gli diceva Toru, cercando di confortarlo con l’offerta di una condivisione di colpa e giustificando, contemporaneamente, le rimostranze di Kogure.

Per qualche istante lui non rispose. C’era qualcosa che premeva per uscirgli dalla gola, eppure non si sentiva ancora pronto per ammettere a voce alta quello che gli aveva dato più fastidio.

"Perché non mi dici cos’è che ti ha fatto venire fin quassù? Non è da te scappare dopo una discussione…" continuò il fratello, fissandolo come se cercasse di leggere la spiegazione nei suoi occhi.

Come dirgli che non erano affari di Kogure come lui decideva di gestire la propria famiglia e la propria vita? Questo era il punto: per lui era inaccettabile sentir messe in discussione le proprie scelte. E cosa altrettanto insopportabile era che la manifestazione di queste rimostranze, della disapprovazione, non fosse avvenuta nell’intimità della loro camera, ma davanti a tutti gli altri, quasi fosse un tentativo intenzionale di minare la sua autorità, qualcosa che nessuno, neanche il suo quattr’occhi, aveva il diritto di azzardare.

"Smettila, Toru. Un vero Mitsui non rinnega mai le proprie azioni… o forse stai diventando una mammoletta, a forza di stare con la principessina dagli occhi azzurri?"

Lo spilungone allontanò la testa, quasi a volergli guardare meglio il viso:

"Che ti sta succedendo, Hisa-chan: non è da te questa amarezza, questo orgoglio… stai reagendo in modo del tutto inappropriato alla situazione; sai benissimo che non dovevamo comportarci come abbiamo fatto, eppure continui a difenderti, a mostrarti offeso. Stai soffrendo, così come soffre Kogure-san, eppure vi basterebbe così poco per rimettere tutto a posto, e tornare insieme, voi che potete… tu sai che lui ti vuole bene!"

Lui si limitò a gelarlo con lo sguardo, riprendendo ad intagliare il bastone che usava per saggiare la neve.

"Hisashi…" insistette l’altro.

"E’ ora che torni a casa: le pelli sono pronte e il cielo si sta scurendo, rischi di farti cogliere dalla tormenta" gli ribatté definitivo, pur cercando di non offenderlo.

Toru scrollò le spalle:

"Non ti capisco. Spero solo che ci ripenserai e che tornerai presto da noi. Senza di te, alla fattoria, sembra tutto diverso… pure Shinichi ha ammesso che gli manchi, e considerando che gli unici esseri per i quali abbia mai mostrato affezione sono Milly e la bertuccia dai capelli lunghi, devi riconoscere che la cosa dovrebbe riempirti di orgoglio".

Per la prima volta, Hisashi sorrise. Il pensiero di quel pazzo del pelle-gialla, dei gemelli, del porcospino e del gorilla lo riscaldò, causandogli anche un po’ di malinconia: non erano mai stati separati così a lungo, e poi gli mancavano le pazzie che i fratelli riuscivano a combinare, i loro litigi seguiti sempre da sguardi di affetto, immediatamente mascherati dietro nuove battute acide o sarcastiche.

E poi c’era Kiminobu: per quanto li combattesse, l’attaccamento che aveva sviluppato verso il quattr’occhi e il desiderio di rivederlo, di abbracciarlo, erano forti… peccato che forte era anche il desiderio di punirlo, di fargli capire che le regole tra loro dovevano essere chiare, e che lui non avrebbe mai permesso critiche alle proprie scelte.

Quando Toru risalì sulla slitta che lo avrebbe portato verso casa, lo salutò brevemente, tornando subito nella baracca, come a voler evitare qualsiasi tentazione di montare sul sedile e buttare alle ortiche tutti i propri propositi.

Quella sera, in piedi dietro i vetri della finestra del soggiorno, Kogure si era accorto immediatamente che sulla slitta che tornava dai pascoli estivi c’era una sola persona.

Per tutta la giornata si era rimproverato quell’assurda speranza di veder arrivare Hisa-kun, eppure non aveva potuto fare a meno di desiderare che il ragazzo tornasse, che tutto potesse essere chiarito. Per quanto, poi, cercasse di rimproverare se stesso e di giustificare il compagno, il quattr’occhi arrivava sempre alla medesima conclusione: Hisashi aveva la responsabilità dei fratelli minori, e quel che aveva fatto, anzi, quel che aveva organizzato, non era giustificabile in alcun modo.

Quando Toru era entrato in casa, lui aveva cercato di comportarsi come se l’altro fosse tornato da una qualsiasi giornata di lavoro. Non era riuscito a fargli domande o a chiacchierare con spensieratezza, però, e dopo poco aveva accampato la scusa della cena per ritirarsi nella cucina.

Fortunatamente, con tredici persone sotto quel tetto, in casa c’era sempre qualcosa da fare, e presto si era ritrovato impegnato nell’organizzazione del pasto. Stava preparando il condimento per gli oden, quando aveva sentito i passi sicuri e tranquilli di Toru fermarsi a pochi metri da lui. Non si era neanche girato, era rimasto in silenzio a mescolare gli ingredienti.

"Hisashi sta bene" lo aveva sentito mormorare.

"Ah… ne sono contento! Mi passeresti il sale? Sta proprio dietro di te. Uozumi dovrebbe tornare più tardi, è andato con Takenori a prendere la legna per il camino, e ormai sono così abituato a far cucinare tutto a lui, che temo sempre di scordarmi qualche cosa importante, oppure di mettere zucchero al posto della farina… buffo, eh?" aveva blaterato lui, esageratamente festante.

"Non credo che tornerà presto, ma stare un po’ solo gli farà bene… ha bisogno di chiarirsi le idee, di accettare le regole di un rapporto che non ha mai avuto con nessuno. Spero che non gli ci voglia molto: è ingiusto e doloroso vedervi lontani, ma voi riuscirete a risolvere tutto, ne sono sicuro. Voi vi amate, ma siete due testardi… sì, anche tu, dietro la tua aria tranquilla e arrendevole…".

Kogure lo aveva guardato, inizialmente sorpreso e poi aveva accennato un sorriso appena percettibile:

"Il sale, Toru, dietro di te…".

 

Febbraio aveva portato le prime giornate di sole, un sole tiepido e gentile. La neve brillava ancora sulla montagna, e all’apertura del passo mancava ancora un mese, ma l’allungarsi delle giornate e il cielo azzurro invitavano sempre più spesso a stare all’aperto.

Nella grande tenuta dei Mitsui, si susseguivano scontri a palle di neve e partite di basket nel campo quotidianamente spalato da Hanamichi… compito che il rossino si era accollato per far felice la sua kitsune e poter giocare quegli one on one che finivano sempre più spesso con i due a terra per strani falli che il piccolo Mitsui commetteva del tutto casualmente, e che, sfidando qualsiasi legge statistica, finivano sempre con lui spalmato sopra al compagno.

Quel pomeriggio, terminato il lavoro alla segheria, Takenori e Uozumi decisero di andare a fare una camminata nel bosco. La scusa ufficiale era la raccolta dei primi crochi, quelli che Kogure desiderava per abbellire la tavola in vista della cena del giorno successivo, il giorno del compleanno di Minami… ma in realtà si trattava solo di cedere al desiderio di passare un po’ di tempo in solitudine.

"Non capisco perché non poteva venirci Minori, a raccogliere i fiori per il suo calimero…" si stava lamentando il gorilla, fingendo di non ritenere adatta al proprio ruolo di gigante valoroso la ricerca di gentili fiorellini.

"Non ce lo vedo tuo fratello a raccogliere fiori… sarebbe capace di strappare, completa di radici, la prima pianta scampata alla neve, e sbatterla in faccia a Tsuyoshi. Non credo che questa sia l’idea di cena di compleanno pensata da Kogure…" gli rispose l’ex capitano del Ryonan prima e dello Shohoku poi, guardandosi intorno.

"Continuo a non essere d’accordo…" si lamentò ancora Takenori, tenendo il punto. La cosa non gli era certamente così insopportabile, visto che gli permetteva di trascorrere un po’ di tempo da solo con Jun-san, però aveva pur sempre una reputazione da difendere, e che diavolo!

Camminarono fino a raggiungere la radura in cui il secondogenito dei Mitsui ricordava di aver visto i teneri vegetali, ma sembrava che la sua memoria, non elefantiaca, al contrario della stazza, lo avesse ingannato.

"Pare proprio che qui non ci siano…" lo confortò il cuoco, strizzando gli occhi nello scrutare la distesa di neve e ponendoci la stessa attenzione che un generale avrebbe mostrato nel passare in rivista il proprio esercito schierato.

"Qualcuno deve averli trafugati" rivelò Takenori, rabbioso che qualche screanzato, probabilmente con i capelli rossi, gli stesse facendo fare la figura dello smemorato, se non del bugiardo, con il suo Jun.

"Beh, non ci resta che continuare, magari li troveremo passato il costone. Questo è il loro periodo, mica potranno essere spariti da tutta la montagna!"

Come sempre, l’ottimismo e la forza d’animo del gigante dal cuore impavido, sciolse qualcosa nel petto del gorilla, e così, di buona lena, i due si misero in cammino verso il fianco della montagna esposto a sud, quello sul quale doveva essere più facile trovare forme viventi.

Forse la bussola non funzionava, forse non lo sapevano e quello era l’anno della carestia dei crochi, oppure i bastardi si erano nascosti sotto la neve non appena li avevano sentiti arrivare, ma dei fiori neanche l’ombra… Nuvole grandi e minacciose cominciavano invece a coprire un cielo sempre più scuro.

"Temo che stia per arrivare una tormenta…" mormorò Uozumi, osservando i nembi grigi.

"No, non credo. E’ il tipico annuvolamento pomeridiano che si ha in montagna. Assolutamente niente di preoccupante…" lo rassicurò Takenori, felice di poter mettere ancora una volta a disposizione la propria infinita conoscenza di Ermanno, come i fratelli Mitsui chiamavano il monte Fujimori.

Mezz’ora dopo, i due arrancavano nella neve cercando riparo dalla fitta cascata di fiocchi gelidi che pioveva dal cielo.

"Annuvolamento pomeridiano…" sibilava Uozumi tra i denti, attaccandosi con la mano alla giacca del compagno per non perdere la strada.

"Non esistono più le mezze stagioni…" biascicava l’altro in risposta, cercando di recuperare il terreno perduto ricorrendo alle massime popolari.

Per fortuna che almeno il gorilla aveva finalmente capito su quale versante della montagna si trovavano: poteva aver sbagliato con la radura e con l’analisi del cielo, ma sapeva benissimo che lì vicino avrebbero finalmente trovato riparo…

Allungò ancora il passo, portando il braccio indietro per afferrare il polso di Jun-kun: la neve sempre più fitta rendeva difficile anche solo vedere ad un metro di distanza, e loro dovevano rimanere vicini, insieme. Senza di lui, Uozumi non ce l’avrebbe mai fatta… e questo pensiero lo riempiva di orgoglio.

Finalmente raggiunsero il boschetto che Takenori ricordava, e, dopo qualche passo, si ritrovarono davanti alla porta di una piccola baracca di legno, di quelle che servivano come base quando, durante l’estate, pecore e mucche venivano portate ai pascoli più alti.

"Siamo arrivati; qui saremo al riparo, e potremo aspettare che la tormenta passi… non durerà molto" esclamò il gorilla, chiudendo la porta alle loro spalle e scuotendosi la neve dalla giacca.

A questo punto Uozumi si guardò intorno: non era che una piccola stanza priva di stufa e con una finestra con il vetro appannato.

Alzò lo sguardo interrogativo sul compagno:

"E’ per l’estate, quando il riscaldamento non è necessario… dovremo arrangiarci" gli spiegò Takenori.

"Dici che la tormenta non durerà molto?"

Il gorilla annuì.

"Allora vuol dire che dobbiamo organizzarci per una lunga permanenza – Jun si fermò, guardandosi intorno, poi riprese – apri gli scaffali, dobbiamo vedere se c’è qualcosa da mangiare".

"Sardine, lenticchie, sardine, sardine, biscotti… - Takenori si fermò ad annusare - …stantii, sardine…"

"Allora il piatto forte sarà a base di sardine" rivelò inaspettatamente il cuoco.

Il compagno gli sorrise: se c’era una cosa sicura, era che con Uozumi vicino non sarebbe mai morto di fame!

Avevano mangiato, sardine, e bevuto del tè che doveva risalire al mesozoico; ormai era completamente buio, e la tormenta non accennava a placarsi. Avevano anche acceso un piccolo fuoco con la poca legna che erano riusciti a rimediare in casa… considerato che era inutile avventurarsi fuori, visto che si rischiava di rimanere sepolti sotto la neve, e di trovare al massimo qualche zeppetto bagnato.

Cos’era quel rumore? Sembrava quasi un topo che stesse rosicchiando le pareti… tic, tic, tic, skretch, crunch… che il Grande Topo di vegasiana memoria stesse attentando al loro unico riparo?

"Ehi, cuccio… ehm, Jun, non senti uno strano rumore?" Takenori chiese al compagno, praticamente steso sulla cenere ormai quasi spenta.

"No… - rat-rat-rat - …non sento niente!"

"Ma… sei tu! Cosa ti succede?!" il gorilla si era subito spaventato: come mai il suo pulcinone emetteva quei versi strani?

"Non… - rat-rat-rat - …preoccuparti… è solo un po’ di freddo…".

Quando il gioco si fa duro, i gorilla cominciano a giocare!

"Schhhhhh, adesso ci penserò io. Rischiamo di morire congelati, se non facciamo qualcosa… dai, vieni più vicino" gli mormorò, cercando di addolcire la propria voce tonante.

"Credo che ci congeleremmo di più" provò ad obiettare l’altro, un leggero rossore diffuso sul viso.

"Nel manuale delle Giovani Marmotte, il rimedio consigliato per ripararsi dal freddo, in queste situazioni, prevede la condivisione del ‘calore umano’… - Takenori si fermò, un po’ imbarazzato e un po’ emozionato al pensiero che quella era la sua prima possibilità di sfiorare il compagno – so che non è esattamente quello che vorresti, ma credo che non ci sia altro da fare…"

"Hn. Allora avvicinati" gli rispose Jun, l’emozione che finalmente gli aveva placato il battere dei denti.

Si stesero sul lettino da campo sistemato sotto la finestra, stringendosi per entrarci in due… ecco, questo poteva sembrare davvero uno scherzo dei gemelli, obbligare i due giganti a dividere un letto che non sarebbe stato sufficiente neanche per uno solo di loro!

"Senti ancora freddo?" mormorò Takenori, praticamente alitandogli sul collo e facendolo immediatamente rabbrividire "Stai tremando ancora…".

Come dirgli che quei brividi non erano dettati dal freddo? Uozumi cercò di sistemarsi meglio, e di controllare le proprie reazioni. Dalla prima volta che si erano visti, al ristorante giù in città, Takenori Mitsui gli aveva lasciato una impressione indelebile. Non ci aveva messo molto a capire che a legarli non era solo il fatto che l’altro apprezzasse la sua cucina, che fosse una persona con cui aveva parecchi interessi in comune, che condividessero il destino di essere due montagne umane, argomento che a chiunque altro sarebbe potuto sembrare assurdo, ma che aveva perfettamente senso, invece, per qualcuno abituato ad avere sempre a che fare con persone al cui confronto sembrava di essere Gulliver, con porte progettate per i puffi e con mobili che sembravano sempre pensati per Barbie. No, non erano solo queste cose, c’era qualcosa di più profondo che lo legava al giovane taglialegna, qualcosa che gli serrava lo stomaco quando se lo ritrovava accanto inaspettatamente, un qualcosa che lo aveva portato anche a mangiare quell’orrore che l’altro aveva cucinato…

In qualche modo, in una situazione totalmente inappropriata, gli venne da sorridere: non avrebbe mai neanche immaginato di potersi… affezionare? Sì, ma forse anche qualcosa di più, ad un tale disastro dei fornelli!

"Ehi, cosa c’è da ridere? - gli mormorò Takenori, allontanando il viso per poterlo guardare meglio - Se non facciamo così, moriremo congelati!"

Jun gli sorrise:

"Non ti ho chiesto di smettere…- e gli passò le braccia intorno alla schiena - Questo letto è troppo stretto…" si giustificò poi, appoggiandogli la testa sulla spalla.

Rimasero in silenzio, il rumore della tempesta continuava a cullarli, mentre il vento fischiava attraverso le fessure delle imposte.

Era una bella sensazione, qualcosa a cui non sarebbero arrivati in altre circostanze, sebbene entrambi lo desiderassero.

L’unico problema era che solo la pelle a contatto l’uno dell’altro era calda, qualsiasi altra superficie era gelata:

"Hai i piedi ghiacciati, vediamo se posso fare qualcosa…" mormorò Takenori, abbassandosi improvvisamente.

"NOOO, che fai?!" lo fermò Uozumi. Che diavolo gli era venuto in testa?

L’altro si risollevò, una espressione genuinamente stupita sul viso:

"Beh, volevo spostare il giaccone, in modo da coprirteli… perché?"

Cosa rispondere? Non poteva certo dirgli che aveva temuto… aveva temuto…

"No, niente".

Il gorilla lo guardò un po’ perplesso, ma decise di non dar peso alla cosa. Del resto la situazione era tale che la sua attenzione non poteva soffermarsi su stupidi particolari. Si sistemò meglio, strofinando con le mani le spalle di Uozumi, e pensò che forse, senza l’intralcio dei vestiti, lo scambio di calore umano sarebbe stato certamente più efficace. Presto però cominciò ad agitarsi, a tentare di allontanarsi… sembrava punto da una tarantola.

"Che ti prende? Stai scomodo?" la voce roca di Jun non fece però che aggravare il problema: stava ‘troppo’ comodo, e, soprattutto, aveva una parte che si stava ‘scaldando’ troppo…

"No… è solo che…" un ulteriore movimento rese chiaro anche a Uozumi il problema, e l’improvvisa consapevolezza fu evidente dal rossore che gli si diffuse sul volto.

Ancora una volta, nella piccola baracca calò il silenzio, sebbene stavolta più teso e meno confortevole di prima.

"Takenori…"

"Hn?" meglio non azzardarsi a tirare fuori la voce, stava pensando il gorilla.

"Mi stai trapanando un fianco…" e vide che Jun non era riuscito a reprimere un sorriso un po’ imbarazzato e un po’ divertito.

"Beh… quando fa freddo, sai… è una reazione naturale… per bilanciare la perdita di calore" provò ad inventare, cercando ancora una volta di scostarsi.

"Questa è la prima volta che la sento… - gli mormorò l’altro, sollevando leggermente la testa dal cuscino - Vediamo se posso aiutarti a riscaldare anche altre zone…".

Cavolo!! Jun lo stava baciando!! JUN LO STAVA BACIANDO!!!!

"Mi sento un fuoco…" riuscì ad esalare, non appena le loro labbra si separarono.

"Il calore sta già migrando verso il resto del corpo?" e Uozumi accompagnò le parole con un sopracciglio sollevato.

"Sì, ma quella parte è ancora la più torrida…" lo gelò Takenori, rituffandoglisi sopra.

Il vento continuò ad urlare, la neve riprese a volteggiare, il letto cominciò ad ondeggiare… tutto come previsto: nessuno, neanche un gorilla, poteva ostacolare il corso della natura.

 

Con la primavera sempre più vicina, Hiroaki Koshino non faceva che pensare che presto sarebbe tornato a casa. Per quanto questo pensiero fosse stato in grado di portargli sollievo e coraggio durante i mesi precedenti, ultimamente la cosa gli metteva un po’ di ansia: era stato lontano da casa per ben tre mesi, e lo sarebbe stato per almeno un altro… si era perso la cena di Natale, i regali dei familiari, e quello era l’anno in cui la sorella gli aveva finalmente promesso quei semi di piante velenose per le quali lui aveva già preparato la piccola serra sul terrazzo, e poi il capodanno al tempio, occasione solenne in cui avrebbe potuto finalmente guardare male tutte quelle persone insolenti che era costretto a sopportare quando lavorava al negozio, e le lezioni serali che seguiva per riuscire a prendere una specializzazione, visto che non era certamente il suo sogno nel cassetto lavorare tutta la vita al Pet Shop, le uscite con gli amici, le chiacchierate con Fukuda… pensandoci bene, quel deficiente con i capelli da porcospino gli aveva rubato una fetta importante della sua vita: quattro mesi da ventenne che sicuramente avrebbe rimpianto, una volta canuto e rugoso, ancorato su una sedia a rotelle.

Quel bastardo!

Meglio non pensarci. Si abbassò ad accarezzare Bigetto, che gli stava mordicchiando il bordo dei pantaloni… sentiva una strana affezione verso questo cagnolino, quasi fosse sangue del suo sangue, ma ovviamente non lo avrebbe mai ammesso davanti a nessuno, tanto meno di fronte a quell’idiota di Akira, che lo considerava un anticipo della loro famiglia, e blaterava spesso di figli e nipoti.

All’inizio Koshino aveva pensato che la causa dell’assoluta demenza del ragazzo fosse il gel al napalm con cui intrideva la propria capigliatura, ma poi si era convinto che il problema fosse congenito, ci doveva essere un latente gene anomalo, nella famiglia Mitsui, che aveva deciso di manifestarsi in Akira e nel fratello Shinichi… non che gli altri fossero propriamente normali, ma a quel livello di scervellataggine non ci arrivavano ancora.

"Ehi, smettila di mordermi le dita…" mormorò al cucciolo che adesso gli stava accoccolato in braccio. Raramente si lasciava andare a giocare con il cane, non voleva che qualcuno pensasse che si fosse intenerito, e così, in presenza di un pubblico, manteneva il proprio sguardo truce e l’atteggiamento scontroso.

Accarezzò il pelo morbido e cominciò una lunga conversazione a suon di grugniti con il morbido quadrupede.

"Solo tu lo capisci così bene…"

Ecco, non ci si poteva sbagliare, il porcospino aveva terminato il lavoro nel bosco e, invece di andare ad annegarsi in qualche laghetto gelato, aveva deciso di tornare a casa, a tormentarlo!

"Grrrrrr…" risposero in coro lui e Bigetto.

Akira rise, non esattamente qualcosa di sorprendente, e poi sparì verso la cucina, per tornare pochi minuti dopo con un vassoio con due tazze fumanti e un piattino.

"Puoi scegliere, amore: tè o crocchette?"

Koshino roteò gli occhi: no, non c’era alcuna speranza!

Appoggiò in terra il piattino per il cane e si impossessò della tazza di tè, pronto a versare la bevanda bollente addosso al compagno, se non la piantava di sorridergli con la bocca aperta… un giorno aveva letto sul Gazzettino di Kanagawa di una donna che era morta perché una vespa l’aveva punta in bocca. Non c’erano vespe, a febbraio, sul Fujimori?

"Amore… credo che dovremmo parlare" e di nuovo i denti del giudizio in bella evidenza. Ma aveva la bocca di gomma?! Sarebbe stato bene in un circo: l’uomo-sorriso-a-360°.

"Non credo proprio…" e Hiroaki riprese a bere, voltandogli le spalle.

"E’ una cosa importante, prima o poi dovremo assumerci le nostre responsabilità…"

Se non fosse stato per l’espressione felice, e la chiostra di denti che ricordava le bianche scogliere di Dover, poteva quasi sembrare un discorso serio… anche se loro non avevano alcuna responsabilità comune da assumersi.

"Mi stai ascoltando? – e il porcospino si chinò su di lui – Non possiamo ritrovarci ad affrontare il problema all’ultimo momento… causerebbe solo sofferenza, e adesso invece potremmo evitarla. Dobbiamo solo discuterne un po’ e mettere a punto i particolari tecnici".

Di cosa stesse parlando rimaneva davvero un mistero, ma tanto sarebbe bastato aspettare…

"Non possiamo permettere che i suoi amici lo prendano in giro perché è l’unico a non avere una famiglia alle spalle!"

"Di che diavolo vai blaterando?! Il maremoto di segatura che sta agitando il tuo cervello crea solo parole sconnesse! E adesso, lasciami in pace" ecco, calmo, pacato, efficace… come sempre, Hiroaki sapeva di riuscire a trovare il modo giusto per condurre una conversazione

"SEI UN GENITORE DEGENERE!!!!"

Ma che diavolo…

"SI DA’ IL CASO CHE IO NON ABBIA FIGLI!!!" gli replicò lui, stando ben attento a non abbassarsi al tono da mercato del giovedì del compagno.

"Cooo… coooo…"

"Coccodé?" provò a suggerirgli, vedendolo in difficoltà.

"COSA DIAVOLO DICI?! NON TI SENTI UN GENITORE???? E BIGETTO COS’E’ PER TE, UN GIOCATTOLO???!!!"

Oddio… no! Non poteva aver capito bene! Akira aveva detto qualche altra cosa, ma le onde acustiche avevano cominciato a combattere tra loro, creando quell’incredibile combinazione assolutamente priva di senso!

"Ho capito bene? Stai parlando del cane??" e Hiroaki portò lo sguardo sul cucciolo che mangiava felice, e inconsapevole, le sue crocchette.

"CANE?? Così lo sminuisci… sto parlando della nostra creatura: il piccolo batuffolo che c’è stato affidato dal destino!"

Lo sguardo perso nel vuoto e il tono lirico delle parole del porcospino fecero rabbrividire la riserva dello Shohoku.

"Non mi sento suo padre…" notò lui, cominciando ad accusare la stanchezza.

"Il padre sono io, infatti… tu sei la madre" gli chiarì subito l’altro, soddisfatto di poter segnare un punto.

"IO NON SONO UN CANE!!!" forse così la sua obiezione era più chiara.

Gli occhi di Akira divennero tondi per lo stupore:

"Quando state insieme, io non colgo differenze… sembra sangue del tuo sangue, pelo del tuo pelo, coda della tua coda…"

Questa osservazione diede a Koshino da pensare: possibile che ad un occhio esterno potesse esserci tutta questa somiglianza? E comunque era vero che anche lui sentiva forte l’attaccamento per Bigetto…

Pronto ad approfittare del momento di defaillance del ragazzo, Akira Mitsui continuò:

"Non vorrei che i compagni di giochi lo chiamassero ‘bastardo’, ho paura che possa diventare lo zimbello del branco… abbiamo il dovere di dargli una famiglia" constatò, irremovibile.

"Non siamo già la sua famiglia?" come era finito a partecipare a quel discorso da commedia dell’assurdo? Nelle loro parole c’era qualcosa di vagamente surreale.

"Quello che gli stiamo dando è un insipido surrogato dell’amore familiare, un amore che non è solo verso la creatura, ma che anche i genitori devono provare tra loro, che devono manifestare, in modo che il cucciolino capisca e goda appieno del calore domestico".

"Non basta metterlo vicino al camino? E cosa intendi per ‘manifestare’?" insistette Hiroaki, ancora non del tutto convinto dalle parole del compagno.

"Questo!!" e Akira si lanciò su di lui, afferrandolo per un braccio.

"CHE STAI FACENDO?! LASCIAMI!!!"

"No! E’ un sacrificio che dobbiamo compiere, è per il bene di Bigetto…" e cominciò a trascinarlo verso le scale, senza fermarsi neanche davanti alla stanza che i sei basketmen avevano usurpato ai fratelli Mitsui, ma proseguendo verso la soffitta.

Aprì la porta con un calcio, chiudendola poi sul muso del cagnolino che aveva trotterellato dietro di loro:

"Non volevi che godesse del calore domestico?" lo interrogò Hiroaki, cercando di liberare il polso.

"Lo può godere anche da dietro la porta".

Con un ultimo sforzo, Akira trascinò il compagno sul vecchio divano, quello da cui uscivano le molle e l’imbottitura di lana, facendolo sdraiare e stendendosi sopra di lui.

"Spero che tu non stia tentando mosse azzardate..." cercò di intimidirlo Koshino.

"Assolutamente no…" ma il sorriso di Akira era tutto meno che rassicurante, mentre si sistemava i capelli prima di passare all’assalto vero e proprio "…è una mossa che ho studiato per tre mesi".

Il ghigno del porcospino era sempre più incombente sul suo viso: cosa fare? Aveva ancora la possibilità di cercare di scappare, di fuggire dal ragazzo che stava cercando di coinvolgerlo in quella strana famiglia interrazziale…

Per prendere tempo, cominciò a ringhiare e a cercare di graffiare le braccia portentosamente muscolose del compagno, approfittando della situazione anche per palpeggiarselo ben bene: era ad un bivio… cosa fare?

Cominciò ad accarezzare la schiena di Akira, e avendogli permesso di avviare quel bacio mozzafiato, comprese che il dado era tratto. Con un ultimo sforzo, cercò di costruirsi davanti agli occhi l’immagine sorridente di un Bigetto entusiasta per la loro elezione come famiglia dell’anno, al barbecue estivo Genitori&Cuccioli…

Koshino scosse la testa: per Bigetto, solo per Bigetto… così, nonostante tutta la propria timidezza, lasciò le mani cominciare a vagare sotto il maglione del porcospino, sperando solo che quegli aculei unticci non sostenessero un ruolo attivo nel loro primo tentativo di dare alla loro creatura una vera mamma e un vero papà…

"Ehi! Ma perché io devo essere la mamma?" si lamentò all’improvviso.

"Ora lo capirai…" ghignò l’altro, allontanandosi di pochi centimetri dal suo viso, giusto il tempo di togliersi un pezzo di lana dalle ciocchette "E poi… quando lo tieni in braccio e gli ringhi, è evidente che tra voi il legame è a livello di cordone ombelicale…"

Koshino non ebbe tempo e modo di replicare: il calore domestico lo stava ormai bruciando…

 

Dopo l’esperienza vissuta con l’oca Evelina, Kiyota aveva cercato in ogni modo di evitare contatti con la parte animale della fattoria Mitsui, categoria che comprendeva ovviamente anche lo stesso Shinichi; la cosa, però, si era rivelata più ardua del previsto: il pelle-gialla, nonostante macumbe, amuleti, corni e quant’altro, era sempre vispo e arzillo, pronto ad affiancarglisi nei momenti più imprevisti.

E così, nelle settimane precedenti, Nobunaga aveva anche dovuto presentare i propri omaggi alla mucca Milly. La bestia, che fino a quel momento lui aveva considerato una vittima sacrificata alla pazzia del terzogenito dei Mitsui, ma che d’altra parte costituiva un comodo paracadute, vista la sua capacità di catalizzare l’attenzione di quel pazzoide, durante il primo incontro gli sembrò, però, una gran bastarda.

Durante la presentazione ufficiale, cosa considerata altamente offensiva da ogni Galateo che si rispetti, si era rifiutata di stringergli la mano, e anzi, gli aveva slappato il braccio con quella lingua umidiccia… una cosa leggermente rivoltante. E poi, quando lui le aveva generosamente presentato l’amuleto di Piciù, aveva muggito e agitato la coda, non propriamente pulita, e lo aveva colpito facendo cadere la piccola divinità nel trogolo.

Come poter costruire un rapporto amichevole con una bestiaccia indisponente come quella? Neanche per amore di Shin-kun ci sarebbe riuscito!

SHIN-KUN???!!! AMORE???!!!

Stava impazzendo… completamente, senza speranza.

No, lui non era interessato a quella specie di idiota scervellato! Uno che parlava con gli animali… Certo, lui parlava con gli spiriti delle tenebre, ma la cosa aveva tutt’altro spessore, c’era una tensione mistica che era invece assolutamente assente nel mungere una mucca o nel versare il pastone nella ciotola dei maiali! E poi il pelle-gialla non era la persona adatta a lui, lo sapeva bene… avrebbero vissuto una vita carica di infelicità se fossero rimasti insieme, glielo aveva detto anche Piciù.

Kiyota scosse la testa, prendendo ancora una volta in mano l’amuleto che aveva consultato così spesso, ultimamente:

"Oh mio Piciù, puoi salvarmi solo tu!" lo invocò. Ma gli occhi della piccola divinità rimasero calmi ed imperturbabili, come sempre. Era inutile, ma decise di fare un ultimo tentativo: afferrò carta e penna e cominciò a buttare giù l’ennesimo test di compatibilità. Chissà che questa volta il responso degli Dei non si rivelasse favorevole…

"Cosa stai facendo, Principe Kiyota?"

E chi poteva essere se non il ragazzo a cui stava pensando, appena liberato dalle incombenze lavorative della giornata?

"Sto scrivendo, non lo vedi?!" gli replicò lui, cercando contemporaneamente di nascondere i fogli.

Per quanto il linguaggio delle stelle fosse molto complesso, persisteva sempre una possibilità che Shinichi riconoscesse il proprio nome, vedendolo scritto su un pezzo di carta.

"Non dovresti affaticarti tanto… il lavoro intel… inte… beh, senza le mani, spesso debilita il corpo più di quello fisico…" leggere Il Gallo del Pollaio, uno dei fumetti da collezione di Minori, gli aveva fatto scoprire tante notizie interessanti come questa. Non aveva però capito perché, nonostante il titolo, non si parlasse esattamente di galli e galline…

"E a te che te ne frega?" gli ribatté Nobunaga, ancora infastidito per quella interruzione inopportuna, proprio quando stava parlando con Piciù del loro futuro.

"Sei di malumore? Qualcuno ti ha fatto qualcosa? Chi è stato… dimmelo, che io, Milly e Tamarindo partiamo subito in spedizione punitiva!"

Ecco, si era di nuovo agitato… era troppo apprensivo dietro quella sua maschera di imperturbabilità che vestiva in presenza di estranei. In qualche modo, però, Kiyota era contento di quella differenza di comportamento, lo faceva sentire l’unica persona, quindi tralasciando gli animali, importante per il pelle-gialla.

"Non è successo niente, solo che stavo meglio da solo…"

Sentì la grande mano del compagno appoggiarglisi consolatoria sulla spalla, ed avvertì di conseguenza il crick delle sue ossa in seguito a quella pressione.

"Stai troppo da solo, ricordati che fa parte dei tuoi nuovi doveri sociali stare… sempre con me!!" e Shinichi si abbassò fino a sfiorargli la fronte con la propria.

Lui si voltò di scatto:

"Ti ho detto mille volte che tra noi non può funzionare!!! Appena si riaprirà il passo, io tornerò a Kanagawa, e questo non rimarrà che uno spiacevole ricordo!" era stato duro, ma era necessario. Con gli auspici sfavorevoli, era impossibile pensare che tra loro potesse nascere qualcosa: questo era uno dei precetti fondamentali che gli aveva insegnato la madre, insieme a come truccare le predizioni dei tarocchi a seconda delle aspettative della persona che se li faceva leggere.

"Perché fai così?"

Ecco, non ci mancava che quell’espressione da cucciolone abbandonato…

"Senti, io ci ho provato… ho fatto il test di compatibilità venticinque volte. Le cose non funzionerebbero…"

"Anche Milly ed Ezechiele sembravano incompatibili, eppure si amavano!!!" l’immagine della mucca e del cavallo dalla lunga criniera nera era sempre stata per Shinichi la personificazione dell’amore ideale che supera ogni ostacolo.

Anche Raperonzy aveva lunghi capelli scuri…

"No, no e no!!! Io non posso contravvenire a quelle che sono le convinzioni di tutta la mia vita!"

"Ma qui non ci sono i vigili… perché temi la contravvenzione?!"

"VEDI?! Lo vedi che non riusciamo neanche a capirci quando parliamo?" e Nobunaga scosse la testa ancora una volta.

"Fammi vedere il test di compatibilità. Sono sicuro che la risposta di Piciù non può essere negativa!"

Il fare deciso di Shinichi portò Kiyota a liberare i fogli, e a porgerli al compagno:

"Piciù non deve pronunciare neanche un voto sotto il sei, altrimenti è un caso di ‘incompatibilità conclamata’, qualcosa contro la quale nessun umano può fare nulla" spiegò, conciso.

Il The Best, come usava chiamarsi, o The Beast, come lo avevano soprannominato i gemelli, non volendo imparare la giusta pronuncia, cominciò a scorrere le varie voci:

"Nomi: Shinichi e Nobunaga…"

Raperonzy cominciò a far oscillare l’amuleto sulla tavola delle risposte:

"Entrambi orridi – lesse lentamente – compatibilità: 7".

Il pelle-gialla si fregò le mani:

"Beh, siamo partiti bene!

Residenza: Fujimori, Kanagawa…"

"Compatibilità: 7".

"Attività per il tempo libero: parlare agli animali, arti magiche…"

"Meglio se praticate a breve distanza da un manicomio – lesse ancora Kiyota – Compatibilità: 8".

"Occhi: marroni, marroni…"

"Compatibilità: 9, soprattutto se in tutto sono quattro".

"Mi sembra che stiamo procedendo alla grande – notò Shinichi, che aveva temuto una sfilza di tre – Biancheria intima: Slip e Boxer… come fai a sapere che biancheria indosso?!"

"Lascia perdere, è meglio…" non era il caso di spiegare che aveva cercato in tutti gli armadi di casa, e che alla fine si era dovuto arrendere e riconoscere che i mutandoni di lana con cucita la S erano proprio del pelle-gialla…

"Compatibilità 6. Piciù consiglia il perizoma…"

"Il peri-ché?"gli chiese il compagno, sconcertato.

"Vai avanti! Faremo notte, e Piciù non può stare a nostri comodi per ore e ore!"

"Segni particolari: pelle gialla, intelligenza sublime… è vero, Rapy, sei davvero un genio!!"

"Lo so. Compatibilità: 6,5… Anche se una persona intelligente non si metterebbe con uno che parla agli animali. Ehm, Piciù ogni tanto è troppo drastico".

Ma Shinichi non aveva rimostranze, fintantoché il verdetto finale fosse stato positivo.

"Gelati: pantera rosa, puffo… mi commuove vedere come hai imparato a conoscermi; neanche Milly sapeva della pantera rosa…"

"L’avrebbe considerato un tradimento! – un po’ di livore per il rapporto decennale che legava Milly e Shinichi era inevitabile – Compatibilità: 8. Nessun altro li mangerebbe" fu il responso completo di Piciù.

"Principe Kiyota, ci manca l’ultima domanda… ce l’abbiamo quasi fatta!"

Lui scosse la testa, quella era la domanda su cui si sarebbero arenati, quella che avrebbe decretato la loro incompatibilità.

"Età: quarantatre, ventuno…"

"Compatibilità: 3. Esattamente come tutte le altre volte… non c’è niente da fare, il destino non ci assiste" e Kiyota scosse il capo, sconsolato.

"Cucciolo, ma per me non è un problema… avrai l’età che hai, ma non la dimostri affatto!! Fra l’altro, nella tua previsione mi hai anche tolto un paio d’anni, e poi io non mi farò problemi: ti ricordi il film Highlander? Tu sei come il protagonista, i tuoi poteri magici ti impediscono di invecchiare!"

Ci fu un momento di silenzio, come se entrambi stessero riflettendo su quello che si erano appena detti… poi Kiyota sollevò la testa con sguardo interrogativo:

"I miei poteri magici non mi permettono di invecchiare? Ho ventun anni, non credo di dimostrarne dodici!" e il ragazzo cercò di specchiarsi nel vetro che incorniciava la fotografia di Piggy.

"E allora perché hai detto di averne quarantatre! Stai falsando il test di compatibilità…" gli replicò il pelle-gialla, profondamente offeso.

"Non sono io ad averne quarantatre, sei tu!! Almeno a guardarti… e poi ho sentito i gemelli chiamarti Old Man!"

"Perché… che significa? Comunque ne ho ventitre di anni: del resto, Hisashi ne ha venticinque ed è mio fratello maggiore…"

Accidenti, un ragionamento non da poco, pensò Kiyota.

"Beh, fatti un lifting, allora. Sembri averne il doppio".

"Pensavo ti piacesse il fascino maturo! Evelina, quando aveva dieci mesi, si innamorò di un cigno di cinque anni. Una storia molto romantica" e il ragazzo si perse nei ricordi pennuteschi.

"Cigno pedofilo!"

Shinichi non rispose, Rapy sarebbe diventato romantico, volente o nolente, stando con lui; aveva così tanti esempi di amori bestiali da portargli…

"Cosa dice Piciù? E’ l’ultima domanda del test…"

"Ventitre e ventuno: compatibilità complessiva…"

Stettero entrambi con gli occhi incollati all’amuleto oscillante, finché Raperonzy non si chinò a guardare in quale casella si era fermato:

"Non posso crederci… NON POSSO CREDERCI!!!! COMPATIBILITA’ 10!!!!!!"

E Kiyota si abbandonò contro lo schienale, completamente privo di forze. Poi sollevò lo sguardo sull’amuleto:

"Tu che potevi salvarmi… adesso sono proprio destinato a rimanere con questo zoticone!"

La risposta di Piciù non arrivò, lo raggiunsero invece due braccia forti, muscolose, che lo sollevarono, buttandoselo su una spalla.

"EHI!!! Che diavolo stai facendo?!" cominciò a gridare e ad agitarsi, come era giusto per un’anima candida come la sua in una simile situazione, ma in realtà sperando solo che il compagno si sbrigasse a trovare un posto tranquillo in cui arrivare al sodo.

"Ormai abbiamo anche la benedizione delle divinità, non c’è più necessità di aspettare" e, attraversata l’aia, il pelle-gialla usò i piedi del suo Raperonzy come ariete, spalancando la porta della stalla.

Sotto gli occhi stupiti di Milly, Bucaneve ed Apu, i due si inerpicarono sul soppalco. Dopo qualche minuto, i tre animali cominciarono a guardarsi con gli occhi sgranati: neanche ai tempi di Ezechiele in quel luogo erano risuonati muggiti così intensi…

 

Anche a Fujima l’idea dell’avvicinarsi dello scioglimento della neve, e quindi dell’agibilità del passo, portava pensieri contrastanti. Si era abituato alla presenza continua dei compagni di squadra, a Uozumi, che aveva perso di vista per un po’ troppo tempo, a Rukawa, che non era mai riuscito a conoscere a fondo, a Koshino, di cui ormai sapeva riconoscere il ringhio a chilometri di distanza, a Kiyota e al suo Piciù, allo sguardo fiero di Minami, e si era affezionato ancora di più a Kogure, alla presenza calma e serena che il quattr’occhi, nonostante i suoi problemi, riusciva a mantenere in quella gabbia di matti.

Quattr’occhi: questa parola gli faceva venire in mente qualcun altro, e non era assolutamente il caso di perdersi in pensieri poco costruttivi, pensieri che purtroppo lo assillavano sempre di più, ultimamente…

Scosse la testa, e riaprì il libro di batteriologia che Toru gli aveva prestato. Era un testo universitario che faceva parte della biblioteca che il ragazzo si stava costruendo per formarsi delle basi serie e poter curare gli animali della fattoria.

Avrebbe studiato un po’, prima di andare a dormire. Ormai trascorreva quasi tutte le sue serate così: cenava con gli altri, rimaneva un po’ a chiacchierare davanti al camino, e poi saliva in questo vecchio studio nel quale Toru aveva raccolto i frutti delle spedizioni nelle librerie di Kanagawa. Quando Kenji aveva rivisto per la prima volta il libro che li aveva fatti incontrare, non aveva potuto trattenere un sorriso, soprattutto per quella frase scritta nella prima pagina: i loro nomi, la data, l’indirizzo della libreria. C’era qualcosa di dolce, di commovente, in quelle parole vergate dalla grafia decisa di Toru…

Ecco, ci stava cadendo di nuovo, di nuovo si stava perdendo in pensieri che non lo avrebbero portato da nessuna parte. Provò ancora una volta a concentrarsi sullo studio, ma sembrava proprio che non fosse la serata giusta, perché presto sentì dei colpi leggeri contro la porta.

Si voltò, sebbene non potesse certamente sorprenderlo scoprire chi fosse a cercarlo a quell’ora.

"Minori e Hanamichi hanno deciso di fare le castagne arrosto, ho pensato di portartene qualcuna…".

Già, non solo quelle, però, anche una tazza di cioccolata calda e un bicchiere d’acqua.

"Grazie, non dovevi disturbarti" disse lui, a disagio. Ormai la presenza dell’altro ragazzo lo metteva in difficoltà, come se non si sentisse più in grado di controllare la propria calma leggendaria; gli sembrava di essere messo a nudo…

Che diavolo!! Perché sempre le parole sbagliate?

"Nessun disturbo, stai studiando?" continuò Toru, rimanendo in piedi.

"Sto tentando… siediti un po’ qui con me".

No, non avrebbe dovuto farlo, ma era stanco di controllarsi, e aveva voglia di trascorrere un po’ di tempo con l’altro ragazzo, di poter finalmente parlare con qualcuno che aveva i suoi stessi interessi.

Toru si sedette sul divano, lasciando un po’ di spazio tra loro.

"E’ l’ultimo esame, ci tengo a darlo bene" continuò Fujima, poggiando la matita sui fogli pieni di appunti.

"Se vuoi, posso aiutarti a ripetere… farebbe piacere anche a me, mi aiuterebbe a colmare qualcuna delle mie infinite lacune" gli sorrise il compagno, appoggiando la testa sullo schienale del divano, e strofinandosi delicatamente il naso, dopo essersi sfilato gli occhiali.

"Stanco?"

"No, non più del solito. Vogliamo cominciare?"

Erano le due di notte quando chiusero i libri. Kenji si era accorto che l’altro si sminuiva quando parlava della propria preparazione, infatti in certi campi aveva conoscenze molto più approfondite delle sue. Studiare insieme era stato piacevole e produttivo, e adesso lui non aveva assolutamente voglia di tornare nella camera con i compagni dello Shohoku, e distruggere l’atmosfera che si era creata tra loro.

"E’ un peccato che tu non sia andato all’Università, si vede che sei proprio portato per la materia… ci metti passione" mormorò, fissando lo sguardo sul camino acceso.

"La fattoria era più importante, e un po’ di conoscenze sono riuscito comunque ad acquisirle… quel tanto che basta per poter aiutare la nostra famiglia; andare in città avrebbe comportato troppe difficoltà".

Già, glielo aveva già detto che la scelta era stata in qualche modo dettata dalla necessità di sostenere la propria parte di lavoro nella fattoria. Un vero peccato, poche persone avevano la stessa passione di Toru per la veterinaria.

Kenji era contento della scelta fatta, l’aveva ponderata coscientemente, eppure sentiva che gli mancava qualcosa… qualcosa che l’altro, invece, possedeva. Stava cominciando a pensare che forse quel che gli mancava era l’amore per tutti gli animali, il desiderio di vederli sani, l’emozione di curare anche una gallina, oppure un maiale maleodorante. Stava cominciando a rendersi conto che la sua vera idea del mestiere di veterinario ricalcava il modello esibito dai lindi studi medici di città, in cui gatti siamesi dai sorridenti occhi azzurri si acciambellavano felici, per sottoporsi, con grazia, alla vaccinazione di turno… interpretazione della professione che lui aveva sempre disprezzato, perché sapeva che essere un medico degli animali significava curarli tutti, sporcarsi le mani, lavorare di notte in stalle fredde e buie… eppure lo stereotipo del giovane veterinario di città aveva contaminato anche lui.

Scosse la testa: era terribile riconoscersi in quello che si criticava negli altri!

La voce di Toru lo riscosse dai propri pensieri: "Beh, forse è il caso che io vada… si è fatto tardi".

Gli sorrise:

"Ah, sì, è meglio…" ma non si mosse dal divano.

"E tu non vai a dormire?" il compagno sembrava aver notato la stranezza del suo comportamento.

"Non ho sonno – spiegò – Rimarrò un po’ qui; devo aver superato il momento di crollo, e ora credo che potrei andare avanti fino a domani mattina".

L’altro si rilassò di nuovo contro lo schienale del divano:

"Ti va di chiacchierare?"

Sì, gli andava, gli andava anche solo di stare seduti vicini, a guardare le fiamme che ardevano nel camino, ma forse questo non era il caso di dirlo.

Parlarono di veterinaria, ovviamente, di animali, di quell’inverno così freddo, almeno per il ragazzo abituato a vivere a valle a temperature ben più miti, e poi degli altri abitanti della casa.

Non fu nominata Kanagawa, non ci furono cenni all’imminente scioglimento della neve e quindi alla prossima partenza.

"…e quindi il tuo primo intervento è stato la ricomposizione di una mascella?"

Kenji sorrise:

"Primo anno di praticantato. Avevo una paura terribile di sbagliare; inoltre, giocare a pochi centimetri dai denti acuminati di un alano non era esattamente rassicurante! Mi sembrava di aver dimenticato tutto quello che avevo letto sugli interventi di quel tipo… tabula rasa!"

"Sono sicuro che sia andato tutto bene" gli replicò Toru, con la sua voce calda.

"Sì, andò tutto bene, ma credo fu quasi un caso. Quel briciolo di tranquillità che mi era rimasta era dettata dalla presenza del professore, accanto a me. Scioccamente mi sentivo come il ragazzo che impara a guidare con l’istruttore seduto affianco, peccato che quando hai il bisturi in mano non esistano i doppi comandi!"

Rimasero qualche secondo in silenzio, poi fu il ragazzo più alto a parlare:

"Una cosa del genere capitò con Blackie: si era azzuffata con un altro cane e aveva rimediato un bel po’ di morsi. Rimetterla in sesto non fu facile, si dibatteva e ringhiava… dovemmo legarle il muso con un laccio per renderla inoffensiva".

"Tra le cose più utili che insegnano all’Università ci sono i metodi da utilizzare per immobilizzare gli animali. Per gli interventi di questo tipo c’è una presa particolare…"

Kenji avvertì subito lo sguardo incuriosito dell’altro, e proseguì:

"Devi afferrare un orecchio dell’animale, in modo da torcergli il muso quel tanto da fargli capire che non gli conviene fare scherzi, e poi sederti sul suo torace, per bloccargli le zampe".

"Ah, davvero?" ma il ragazzo sembrava tutt’altro che convinto.

"Guarda che funziona!" insistette lui, un po’ divertito e un po’ offeso dallo sguardo di sufficienza del compagno "Stenditi, adesso ne avrai una dimostrazione pratica".

L’altro, sorridendo, si lasciò sistemare sul divano… e del resto era evidente che Toru fosse più che felice di prestarsi a qualsiasi sperimentazione decisa da Fujima.

Kenji lo scavalcò con una gamba, ancora troppo infervorato nella dimostrazione della validità della tecnica per rendersi conto di quanto la situazione potesse diventare imbarazzante.

Con le ginocchia bloccò gli avambracci di Toru, poi gli afferrò un orecchio, pronto a voltargli la testa.

"Beh, prima di continuare magari questi è meglio toglierli…" lo interruppe il ragazzo moro, liberando un braccio per sfilarsi gli occhiali.

Seduto sul suo stomaco, una mano a tormentargli il lobo dell’orecchio, le ginocchia a bloccargli le braccia, Kenji finalmente si rese conto della particolarità della loro posizione, e di come il suo basso ventre si stesse rapidamente infiammando.

E gli occhi… quegli occhi finalmente liberati dallo schermo delle lenti erano semplicemente meravigliosi! Stava quasi per dirlo, quando la voce del compagno lo interruppe:

"Sono sicuro che Blackie sarebbe riuscita a morderti comunque!".

Il sorriso ironico del ragazzo servì ad allentare la tensione e a riportare Fujima allo scopo originario di quella dimostrazione.

"Non ho ancora finito!" e con mossa decisa gli voltò il viso da una parte, esponendogli completamente il collo "Ora sei nelle mie mani!" concluse ridendo.

"Non ho paura" fu la risposta tranquilla di Toru.

Kenji sentì quel qualcosa che era cresciuto dentro di lui, e a cui finalmente era riuscito a dare il nome di desiderio, venire sempre più prepotentemente in superficie… e l’avere il ragazzo immobilizzato sotto di sé non lo aiutava di certo.

Si abbassò lentamente, quasi fosse un altro a controllare i suoi movimenti, e presto si ritrovò con le labbra sulla pelle fresca e liscia del collo del compagno…

Non appena si rese conto di cosa aveva fatto, si ritrasse come scottato.

Quegli occhi che di nuovo si fissarono nei suoi bruciavano però della sua stessa passione.

Toru liberò le braccia intrappolate sotto le sue ginocchia e gliele portò intorno al petto, serrandoselo contro:

"Non scappare…" gli sussurrò, senza però tentare di baciarlo.

Fu Fujima a prendere di nuovo l’iniziativa, a stringergli le braccia dietro il collo e ad accarezzargli lentamente le labbra con le proprie.

Quando si separarono, Toru gli sorrise dolcemente, poi, con un colpo di reni, ribaltò le posizioni:

"La tua tecnica funziona, ma spero che non sia finita in questo modo anche con l’alano…" non diede però tempo all’altro di dare voce a quell’espressione disgustata che gli si era dipinta sul viso, perché, improvvisamente, visto l’aumento della temperatura della stanza, la cosa più importante sembrava essere diventata liberarsi di tutti quei vestiti non più necessari…

 

Kaede Rukawa era appena tornato dagli allenamenti, che, indefessamente, continuava a praticare ogni mattina dall’alba fino all’ora della colazione, e ogni pomeriggio, dopo il pranzo.

Rimanere allenato era fondamentale per lui; se voleva veramente arrivare a giocare in America, non poteva permettersi di perdere un minuto… e invece erano già passati più di tre mesi.

Fortunatamente si stava avvicinando Marzo, e quindi lo scioglimento della neve, e finalmente sarebbe potuto tornare a Kanagawa a giocare vere partite con veri campioni.

Oddio, quel campo alla fattoria era sempre meglio di niente, ma non poteva certamente dargli la sensazione del parquet!

Si soffiò sulle dita, che, dopo lo sforzo, si stavano di nuovo gelando rapidamente.

"Ehi Kits! Non avrai preso freddo? Hai il nasino arrossato…"

Non poteva essere che quell’idiota del rossino, che fra l’altro aveva pure cercato di dargli una botta leggera sull’organo in questione.

"Lasciami, do’aho!" gli replicò lui duramente, cercando di allontanarlo.

"Ma Kits…" e di nuovo quello sguardo da cucciolo abbandonato. Cominciava ad odiarlo, per il potere che sapeva esercitare su di lui…

"Sto andando a fare merenda" gli borbottò, ritrovandosi però ancora una volta ad avere un tono meno brusco di quando non fosse nelle sue intenzioni iniziali.

"Sì, sì, andiamo a fare merenda! Ti preparerò una torta a quattro piani, così sarai felice e metterai un po’ di carne sopra a quelle ossa!"

Eccola un’altra ossessione del do’aho: la sua magrezza. Sembrava che fosse diventata la missione di quello scimmione farlo ingrassare… perché non riusciva a capire che lui stava benissimo senza per forza doversi strafogare con le cose più grasse custodite nella dispensa?

"…e sopra la torta metterò la panna di Milly… quella mucca è fenomenale! Oddio, meglio che Shinichi non ci senta, tu non sai quanto possa essere geloso!"

"Do’aho… dacci un taglio!"

"Uh? Perché?"

E così si avviarono insieme verso casa… casa: non che quella lo fosse veramente, la sua ‘casa’ era a Kanagawa, con la madre.

Dalla morte del padre, lei era stato il suo unico riferimento, fra loro c’era un legame di affetto e comprensione che il ragazzo non aveva mai avuto con nessun altro. Chissà cosa stava facendo in quel momento? Come aveva reagito alla sua scomparsa? Uscito per recuperare il gatto, era finito con un do’aho…

Si voltò a guardare velocemente il compagno: non lo aveva ancora ucciso solo perché il suo blaterare continuo e le sue attenzioni lo prosciugavano anche a livello fisico, inibendogli qualsiasi tentativo di metterlo fuori uso.

"A cosa stai pensando, Kaede?"

"A niente" ripose lui, brusco. Gli faceva impressione che quella testa rossa lo chiamasse per nome, non erano davvero in molti a farlo.

"Sembravi preoccupato… nulla sfugge all’attenzione del grande Hanamichi Mitsui!"

Non gli rispose neanche, tanto l’ego sconfinato del do’aho non sarebbe uscito ridimensionato da una qualsiasi sua osservazione acida, e poi, tutto sommato, neanche lui aveva voglia di farne. Era cambiata più di una cosa in quei mesi di segregazione, e una di queste era proprio il rapporto con la scimmia rossa, che, sebbene rimanesse una piattola fastidiosa per il 95% del tempo, ogni tanto riusciva quasi a farlo stare bene, a farlo sorridere. Beh, del rossino non si poteva certamente dire che non fosse un tipo solare… e poi era bello il rapporto che lo legava ai fratelli.

Rukawa aveva guardato con più di una punta di invidia certi battibecchi con Minori, le prese in giro a Shinichi e Akira, la stima e l’affetto dimostrati per Toru, le discussioni con il gorilla, che terminavano sempre con un pugno in testa, e il modo rispettoso che aveva di parlare del fratello maggiore. Era una bella famiglia, numerosa e calda, qualcosa di completamente diverso dagli standard della città.

Terminata la merenda, in cui era riuscito ad evitare tutti i tentativi di Hanamichi di trattarlo come un polletto all’ingrasso, l’asso dello Shohoku decise di uscire per una passeggiata: qualche settimana prima aveva scoperto un posto fantastico, nascosto nel bosco di abeti.

Prima di uscire, salì in camera da letto, per indossare lo yukata nero di Hisashi che gli aveva dato Kogure, e poi prese alcune cose dal bagno.

Hanamichi, rimasto in cucina, non si era accorto che l’altro si fosse allontanato:

"Ehi, quattr’occhi semplice, non hai visto la mia kitsune, da qualche parte?" interrogò subito Kimi-kun, impegnato nella nobile arte del pelar patate.

Kogure sollevò lo sguardo:

"Era qui con te, fino a pochi minuti fa…" notò acutamente.

"Questo lo sa anche il genio… pensi che sia deficiente?!" e il rossino scosse la testa "Adesso però è scappato via: si è approfittato di un momento di distrazione del grande tensai… di appena cinque minuti dedicati alle necessità fisiologiche – spiegò con fare cospiratorio – e si è dileguato!"

"Mi sembra di aver sentito aprire la porta sul retro. Prova a vedere se è tornato ad allenarsi; conoscendo Rukawa non è una cosa del tutto impossibile!" fu il suggerimento dell’altro.

Possibile che la kitsune fosse così drogata di basket da essere tornata a giocare? Beh, poteva anche essere. Stavolta, però, lo avrebbe sfidato e battuto, senza farsi problemi per il fatto che Kaede ci sarebbe rimasto male, tra l’altro il broncio di Rukawa non gli dispiaceva per niente, e poi era giunto il momento di dimostrargli chi fosse a portare i pantaloni, in famiglia! Certo, se avessero giocato a Pachinko, questa dimostrazione sarebbe stata più semplice, ma il motto della famiglia Mitsui era stato, nei secoli, ‘quando il gioco si fa duro…’ e quel che segue.

Si incamminò verso il campo di basket, ma improvvisamente qualcosa di scuro, verso il limitare del bosco, attrasse la sua attenzione.

Possibile che fosse proprio la kitsune? I capelli corvini e la figura elegante che si muoveva dentro uno svolazzante yukata nero lasciavano pochi dubbi.

Hanamichi accelerò il passo: un dolore sordo gli affliggeva il petto: che il suo… ‘suo’… SUO Kaede avesse un appuntamento con qualcuno?

Chi… chi osava frapporsi tra lui ed il suo amore?!

Il calimero! Doveva essere il sordido calimero: non contento della relazione con Minori-il-trivellatore-folle, aveva deciso di infastidire la sua volpe! Forse lo stava ricattando… Sì, doveva essere così: aveva minacciato ripercussioni contro il grande genio, e così Kaede non aveva potuto rifiutarsi di andare all’appuntamento! Il volpino, però, non avrebbe ceduto alle avances del pennuto: avrebbe dichiarato il suo amore imperituro per il do’aho… no, lo avrebbe chiamato Hana-amore, e poi avrebbe estratto dalla manica dello yukata un lungo coltello affilato, presumibilmente quello che Takenori aveva usato per intagliare le statuette dei settanta nani disseminate per il giardino, e si sarebbe ucciso, virtuoso e innocente come un giglio bianco, sotto lo sguardo crudele dell’orrido calimero…

"NO! KITSUNE NON LO FARE!!!" urlò Hanamichi, cercando di raggiungere il suo amore, ma la distanza era tale che la figuretta scura che si apprestava al sacrificio non lo sentì. E allora il rossino si lanciò all’inseguimento… avrebbe sventato il piano del pennuto ed avrebbe salvato il suo amore… era sempre stato predestinato al ruolo dell’eroe! Poi si sarebbero sposati ed avrebbero avuto tanti pargoli con gli occhi blu e i capelli rossi… sicuramente con l’incetta di Tramonto di Autunno a cui si era sottoposto, anche il gene responsabile del colore dei capelli doveva aver assorbito la tintura!

Ecco, finalmente era ad una quindicina di metri da Kaede… come era bello e determinato mentre si avviava verso il luogo del sacrificio! Non avrebbe mai dimenticato una scena così commovente…

Stavano salendo parecchio, notò, e lui non era mai stato in quei posti… a dire il vero, aveva sempre pensato di perdersi in quel bosco così fitto. Il suo amore, invece, si arrampicava con agilità, e quindi anche Hanamichi strinse i denti… ne andava del suo onore!

Poco dopo si ritrovò sul limitare di una piccola radura, che si era aperta all’improvviso proprio quando sembrava di essere nella parte più fitta del bosco. Kaede aveva rallentato l’andatura, poi si era fermato a guardare qualcosa…

Il rossino si sporse, sicuro di vedere emergere il becco giallo del calimero, e invece… era incredibile! Sembravano proprio delle piscine naturali! C’erano delle pozze di acque termali dalle quali si sollevavano nuvole di vapore…

Oddio, oddio, oddio… perché Kaede si stava allentando la cintura che teneva chiuso lo yukata? E poi cos’era quella boccetta che aveva tirato fuori dalla tasca? Non intendeva… non intendeva mica FARE IL BAGNO?!

Ma… a cosa pensava quella testa vuota? E se qualcuno lo avesse visto? Ok, lui doveva rimanere a controllarlo, nel caso si fossero rivelate presenze moleste.

Uh, uh, uh!!!! Si stava lasciando scivolare dalle spalle la stoffa scura... com’era bella la pelle lattea delle spalle, e poi la schiena liscia, perfetta, le braccia lunghe, sottili, e poi…

PERCHE’ DIAVOLO PORTAVA I BOXER??!! Lo aveva fatto apposta, per rovinare tutto l’effetto!!

Uuuhh… ecco le gambe! Slanciate, lunghissime…

Hanamichi dovette portarsi le mani a coprirsi il viso: maledì il freddo, anche se sapeva bene che la responsabilità vera era da attribuire allo spettacolo che aveva davanti, e cercò di arginare la perdita niagaresca di sangue dal naso.

Nonostante la sofferenza, però, sarebbe rimasto a vegliare il suo tesorino… tesorino che si stava rapidamente immergendo nell’acqua calda.

Il rossino cercò una posizione più strategica, in modo da poter seguire ogni movimento della sua volpaccia inappetente. E così lo vide mentre rovesciava la testa all’indietro per bagnare i capelli, e poi mentre si versava il sapone sul corpo… più di una volta Hanamichi dovette trattenersi dall’impulso di uscire dal proprio nascondiglio e tuffarsi sopra la volpaccia per aiutarla ad insaponarsi bene tutta la schiena, spinto ovviamente solo da spirito caritatevole…

Oddio… di chi erano quegli occhi che scrutavano tra le fronde? Chi osava avvicinarsi e posare lo sguardo sul corpo meraviglioso del suo amore?

Con un balzo improvviso, il tensai saltò fuori dal proprio nascondiglio, un altro balzo e fu sul bordo della pozza d’acqua limpida in cui era immerso Kaede, un terzo balzo e fu proprio ‘sulla’ kitsune…

"Che diavolo stai facendo qui, do’aho!"

"Non vedi che c’è qualcuno che ti spia? Sto cercando di proteggerti!" gli rispose lui, continuando a scrutare tra le fronde.

"Ci sei solo tu a spiarmi! E adesso togliti di dosso, IMMEDIATAMENTE!!"

Ma il rossino era ancora troppo calato nella parte del supereroe per ascoltare le parole che gli venivano rivolte:

"Eccolo! E’ laggiù, lo vedi?"

E in quel momento la creatura mostruosa abbandonò il nascondiglio nella boscaglia per pararglisi davanti.

"Lo sapevo che c’era qualcuno! L’occhio del tensai non sbaglia mai…".

"E’ un ermellino, e DUBITO che sia qui per spiare me!" la voce di Rukawa stava diventando sempre più tesa. Era proprio una cosa degna del do’aho saltargli addosso per proteggerlo dalle proposte lascive di un ermellino.

Un istante ancora ed entrambi i ragazzi si resero conto della posizione imbarazzante in cui l’assalto improvviso li aveva lasciati.

Sentendosi avvampare, e non solo in viso, Hanamichi decise di farsi aiutare da un altro dei motti di famiglia, quel o la va, o la spacca che aveva causato innumerevoli corse al pronto soccorso, ma che qualche volta aveva condotto anche ad insperati successi.

Si chinò sul viso della kitsune, non fermandosi neanche quando la testa dell’altro, nel vano tentativo di allontanarsi, finì completamente sotto l’acqua.

Il loro primo bacio sarebbe stato un bacio subacqueo!! C’era qualcosa di particolarmente emozionante anche in questo primato.

Alla ricerca della bocca della kitsune, e contemporaneamente tentando di bloccargli braccia e gambe, come neanche le tecniche veterinarie di Fujima avrebbero potuto fare, anche il rossino si ritrovò completamente immerso nell’acqua calda. Purtroppo, però, fece l’errore di ridere di felicità, e così dovette momentaneamente abbandonare la presa, rischio annegamento.

Sputacchiando acqua, riemerse dalla pozza… stupito però del fatto che il volpacchiotto continuasse ad agitarsi anche ora che il tensai aveva scampato il pericolo di morte.

Allentò inconsapevolmente la presa sulle braccia del compagno, e finalmente dall’acqua emerse anche la testa bruna:

"Razza di demente! Stavi cercando di annegarmi?"

"Beh… - cominciò, grattandosi la testa bagnata – veramente stavo pensando di baciarti… tecnicamente è una cosa un po’ più complessa, sebbene comporti sempre uno scambio di liquidi" spiegò, cogitabondo.

Subito, però, il suo spirito battagliero, che si era manifestato sotto le sembianze del viso di Kaede a pochi centimetri dal proprio, ebbe la meglio: c’era andato così vicino… non poteva perdere quell’occasione! E così, passata una mano dietro il collo del volpacchiotto, ancora sdraiato sotto di lui, gli attirò con decisione il viso contro il proprio, impedendogli ulteriori repliche.

Era fantastico baciarlo!! Quella pelle di seta, i capelli sottili, le labbra morbide, profumate, i denti candidi, con la giusta percentuale di calcio… e che sarebbero stati ancora più ammirevoli se non si fossero subito ostinati ad impedire l’accesso della sua lingua…

Dopo vari minuti di battaglia, però, Hanamichi cominciò a sentire dei segnali di cedimento, ai quali probabilmente non era estraneo il gomito che aveva strategicamente piazzato nel diaframma della sua kitsune… e così il bacio divenne più vero, più passionale.

Quando si separarono, il piccolo Mitsui si accorse subito degli occhi velati e del respiro affannoso del suo Kaede:

"Stai bene? Hai la febbre? Mal di testa? Dolori reumatici?" chiese, pronto ad aiutarlo qualsiasi fosse la causa di quella improvvisa sofferenza.

La kitsune scosse debolmente la testa, poi però sollevò le braccia fino ad intrecciargli le mani dietro al collo:

"Ancora…" mormorò, chiudendo lentamente gli occhi azzurri.

E ovviamente il tensai non se lo fece dire due volte.

 

Tsuyoshi Minami stava leggendo per la ventesima volta lo stesso fumetto. L’unica cosa che aspettava, da tre mesi, era lo scioglimento della neve, ed impiegava tutto il suo tempo nel cercare qualcosa che lo distraesse da quel pensiero che stava diventando ossessionante.

Sarebbe tornato a Kanagawa, avrebbe ripreso a giocare a basket, avrebbe dimenticato per sempre quella casa, avrebbe dimenticato per sempre Minori…

Serrò i denti: quell’idiota!! Non riusciva più a sopportare il suo sarcasmo, le sue continue prese in giro, le battutine a doppio senso. Chissà perché l’aveva aiutato a sbarazzarsi dei vicini, quando poteva essere l’occasione buona per liberarsene. Certamente non ne avrebbe sentita la mancanza, assolutamente no!

Si voltò sulla schiena, osservando il soffitto della stanza: aveva passato tutto il pomeriggio sul letto, era diventato una specie di tartaruga abbrutita e alienata, invece del vitale Ace Killer che rappresentava il terrore delle squadre di basket dell’intero Giappone.

Improvvisamente, proprio mentre stava meditando se alzarsi ed andare a prendersi una mela in cucina, qualcuno, evidentemente a bordo di un carro armato, aprì la porta della stanza:

"EHI, BOCCA DI BACI! Ecco dove ti eri nascosto!!!"

E chi poteva essere se non quell’essere insopportabile ed invadente? Non lo degnò neanche di uno sguardo, mentre si alzava e poi gli passava davanti, imboccando il corridoio come se neanche esistesse.

"Dove stai andando? Ehi, sto parlando con te!"

La casa cominciò a tremare; poteva sembrare un terremoto, ma erano solo i passi di Minori, leggeri come quelli di un ballerino di tiptap, che risuonavano sulle scale. Minami non si voltò, ma mantenne la sua espressione accigliata, rifugiandosi in cucina.

"Ma t’ha morso una tarantola?! Si può sapere che accidenti ti piglia… torno a casa dopo una giornata di duro lavoro, pensavo che almeno… - e il codino gli si avvicinò, sfiorandogli delicatamente il mento con la mano – …che almeno un sorrisino me lo meritassi!"

Sorrisino un corno! Uno scatto fulmineo e Tsuyoshi aprì la bocca, serrando poi i denti sul pollice con cui l’altro gli stava accarezzando il labbro inferiore.

"AHIA, BASTARDO!" succhiandosi il dito, Minori gli lanciò un’occhiata inceneritrice.

Per il codino, però, fu uno sforzo non indifferente evitare di sorridere: era molto più contento così, quando l’altro evitava di fare il romantico sentimentale, e il loro rapporto ritornava agli scontri violenti che lo avevano caratterizzato sin dall’inizio.

"E adesso dove stiamo andando?"

La mano sul pomello della porta di casa, finalmente il calimero decise di girarsi verso quella presenza importuna che gli blaterava intorno:

"IO vado nel granaio a prendere le mele per Uozumi, TU fai quello che ti pare!"

"Vengo con te, sono sicuro che troveremo un impiego interessante anche per la frutta… e poi sono certo che qualche buona idea sia venuta in mente anche a te!" e gli lanciò una delle sue solite occhiate ironiche.

"Vai all’inferno, maiale!" gli rispose lui.

"No, mai fatto niente con Piggy, io!" gli ribatté subito l’altro, mettendoglisi accanto e facendogli scivolare un braccio intorno alla vita: "Solo con i bipedi… calimeri compresi!"

Minami odiava quello stupido nomignolo che gli aveva trovato quell’altro demente, Hanamichi, ma sembrava che più erano evidenti le cose che gli davano fastidio, più gli altri fossero pronti ad accanirsi ad utilizzarle contro di lui.

Cercò di conficcare la forchetta, che teneva sempre in tasca, nel dorso della mano del codino, ma il demente sembrava aver previsto la mossa: gli bloccò il polso, sollevandogli poi la mano fino a sfiorarla con le labbra.

"Bastardo!" lo insultò.

"Passerotto!" fu la replica immediata.

Scosse la testa, disperato, ma non poté evitare che Minori lo seguisse nel granaio/dispensa. Quando entrarono nell’edificio, Minami, indicando la scala che portava al soppalco, comunicò freddamente:

"Ecco, dobbiamo salire lassù. Credo che due ceste possano bastare".

"Considerando quanto mangiano lui e la sua dolce metà, credo che quattro sarebbero appena sufficienti" notò il codino, avvicinandosi alla base della scala "Comunque non ci resta che salire. Vado prima io, sia mai che nascosto lassù ci sia un drago pronto ad attentare alla tua innocenza…".

Minori cominciò a salire, ridendo per la gomitata ricevuta dal suo piccolo amore. Era davvero felice di aver trovato un ragazzo come Minami: lui era un tipo che odiava le svenevolezze, aveva sempre pensato ad un rapporto di coppia come ad uno scambio alla pari, e, per stare alla pari con lui, era necessario qualcuno dotato di aspetto maschio, muscoli e una lingua tagliente… il calimero, in poche parole.

Certo, gli sarebbe anche piaciuto che la loro relazione finalmente imboccasse un binario più passionale, che desse maggiori soddisfazioni ‘fisiche’, ma per quello c’era sempre tempo.

Una volta raggiunto il soppalco, fece un ampio gesto con il braccio, tipo John Wayne che raduna la carovana, invitando Minami a raggiungerlo.

Il soppalco era pieno di uva lasciata ad essiccare, di mele, di patate. Costituiva il prolungamento della dispensa della cucina, e ogni tanto qualcuno di loro veniva mandato in missione per riportare a casa qualche scorta.

Improvvisamente un pipistrello si alzò in volo, disturbato nel suo sonno pomeridiano dall’arrivo dell’ospite importuno; Minori, nonostante il suo coraggio più che acclarato, non poté trattenere la sorpresa e urlò, buttandosi a terra sulla paglia.

Mentre stava maledicendo a mezza bocca tutti i pennuti, con la sola eccezione del calimero, sentì i passi frenetici di quest’ultimo sugli ultimi pioli della scala di legno, e poi fu raggiunto dalla sua voce trafelata:

"Cosa è successo?! Stai bene?" oh, oooohhh, e chi era questa creaturina affezionata e preoccupata che si era subito chinata accanto a lui per soccorrerlo?

Nascose abilmente un sorrisetto soddisfatto, sfoderando invece una maschera di sofferenza pura, di quelle che neanche gli sfigati che finivano al pronto soccorso più sanguinolento d’America, in E.R., riuscivano ad esibire.

Oddio, il defibrillatore no, però! Se proprio doveva essere risvegliato da un apparecchio elettrico… beh, aveva altre preferenze.

"AAAAHHHH, AAAHHHHH!!!!" cominciò a lamentarsi, esibendosi nella migliore imitazione di un maiale sgozzato.

"VUOI DIRMI CHE HAI?! Minori… tieni duro…"

E c’era bisogno di dirglielo?

"Resisti, adesso ti aiuto io… accidenti, ma come hai fatto a farti male! Lo sapevo che dovevo venire da solo…"

Frase sospetta, molto sospetta…

"Riesci a muoverti? E’ la gamba, vero?"

Lui fece una espressione neutra: era accettata, come risposta, ‘fuochino’?

"In questi casi si dovrebbe legare un bastone di legno alla gamba, in modo che tu possa appoggiarti senza aggravare la frattura… aspetta, che cerco un laccio e il legno adatto".

Ehm, lui non era mai stato contrario a sperimentare qualcosa di un po’ ardito, ma lacci e bastoni di legno già al primo approccio gli sembravano un po’ prematuri…

"Non è la gamba… - rantolò, un verso che però sembrava più un grugnito animalesco - …ho sbattuto lo sterno…".

Ok, come faceva ad aver sbattuto lo sterno, cadendo? In quella situazione, però, era sicuro che il calimero non sarebbe stato troppo fiscale. E poi lo sterno costituiva una scelta strategica.

Minami gli premette le mani sulla zona incriminata, poggiandoci tutto il peso, in modo tale che, se effettivamente fosse stato il punto dolorante, ora Minori sarebbe morto; poi gli mormorò:

"Non devi muoverti, non devi fare sforzi. Penso a tutto io…"

Sì, purché però i ruoli fossero chiari. Potevano anche variare le posizioni, ma la fama di trivellatore folle aveva pur sempre una ragione di esistere!

Quando cominciò a slacciargli la camicia di flanella, per scoprirgli il petto dolorante, il calimero non riuscì ad evitare di soffermare un po’ troppo a lungo lo sguardo sugli addominali scolpiti, sui pettorali possenti. Sollevò una mano, lasciando che le dita sfiorassero la pelle liscia…

"Aaaahhhhh!!!" sussurrò il codino, e stavolta l’invocazione era tutt’altro che recitata.

Tsuyoshi si risvegliò improvvisamente, e subito si ritrasse:

"Ecco, stavo guardando se ci fossero altre abrasioni… - poi però si interruppe, notando che la pelle che copriva lo sterno era perfettamente sana e liscia - …qui non c’è niente che non va" mormorò, portando lo sguardo stupito in quello del moribondo.

Dimostrando la solita prontezza di riflessi, Minori gli afferrò i polsi, e, esibendo un vigore eccezionale per un ferito sull’orlo della tomba, spinse il ragazzo a terra, portandoglisi sopra:

"Sto già meglio!" gli sussurrò poi, sorridendo di soddisfazione per lo scherzo così divertente.

"LASCIAMI IMMEDIATAMENTE!! Idiota senza speranza… e io che mi ero pure preoccupato!! IO TI AMMAZZO, DANNATO CODINO!!!"

"Lo so che il mio amoruccio si era preoccupato, e io ho gradito molto…" e il ragazzo gli si avvicinò ancora di più. A pochi millimetri dalla sua bocca, gli mormorò: "Però possiamo continuare il gioco del dottore, mi sembravi ben calato nella parte!"

A Minami quella smorfia divertita fece invece salire il sangue agli occhi, sangue che però defluì verso altri lidi quando si rese conto della vicinanza del petto nudo del compagno. E a questo punto decise che quella situazione lo stava esasperando, che ne aveva abbastanza delle angherie di quel prepotente, che era giunto il momento di metterlo a posto!

Approfittando del fattore sorpresa, visto che sul piano fisico non c’era confronto, invertì le posizioni, mettendoglisi a cavalcioni.

"Oh, ooohh… lo sapevo di aver risvegliato un vulcano!" sentì la voce dell’altro prenderlo in giro.

No, non sopportava più quella voce…

Si abbassò, e obbligò quell’essere insopportabile a tacere. Rimasero incollati per una infinità di tempo, quasi equiparabile a quello che Mimì Ayuara passava in aria prima di fare una schiacciata, e Tsuyoshi non si rese neanche conto di come fosse nuovamente finito con la schiena contro l’impiantito coperto di paglia.

Mentre Minori gli slacciava lentamente i pantaloni, poi, pensò che quella sera non avrebbero mangiato torta di mele…

 

Sette Basketmen per Sette Fratelli – Fine sesta parte



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