Lo svilupparsi di una situazione più rilassata, su a
Tetto Verde, riempiva Kogure di soddisfazione. Poteva sempre darsi che
non seguissero sviluppi decisivi, però si sentiva finalmente più
ottimista, più tranquillo, come se considerasse un successo personale,
qualcosa di cui andare orgoglioso, il fatto che i ragazzi di città
avessero scoperto che i fratelli Mitsui non erano, alla fine, animali
rozzi e violenti.
Una sottile vena di tristezza emergeva però non
appena la sua attenzione si trasferiva all’analisi della propria
situazione con Hisashi.
Ormai erano arrivati a gennaio, e il compagno non era
ancora tornato.
Le uniche notizie che aveva ottenuto gli erano state
portate da Toru, quando era tornato a casa dopo essere salito ai pascoli
estivi per controllare che tutto fosse a posto; l’imbarazzo con cui il
ragazzo gli aveva detto che Hisashi stava bene, e che rimaneva dell’idea
di tornare a metà marzo, gli aveva fatto facilmente comprendere che la
rabbia dell’altro, per quello che era successo la sera del rapimento,
era ancora intatta.
Eppure lui non poteva fare nulla: avrebbe ripetuto
ancora mille volte le stesse parole, nelle medesime circostanze. Hisashi
era il più grande dei fratelli Mitsui, stava a lui mostrare maturità
quando gli altri si facevano prendere da impulsi o idee folli, e,
invece, per il rapimento non aveva esercitato un minimo di freno, anzi,
forse ne era stato l’ideatore.
Si staccò dalla finestra della camera da letto,
distogliendo lo sguardo dalle montagne innevate. Era gennaio, ma la
primavera non sembrava più così lontana: cosa sarebbe successo alla
sua famiglia, a quei ragazzi che con il tempo erano riusciti a
conquistare il suo affetto? Pensare a Takenori, Shinichi, Toru, Akira,
Hanamichi o Minori senza i loro sei giocatori di basket sembrava
impossibile.
Terminò di prepararsi e scese per aiutare Uozumi e
Fujima con la colazione. Nel soggiorno, davanti al fuoco già
crepitante, Hanamichi era seduto all’indiana sul pavimento, con il
gomito appoggiato sul divano su cui dormiva Rukawa, incapace di
distogliere lo sguardo dalla sua volpe. Sulla poltrona di fronte,
invece, Koshino teneva in braccio il cagnolino bianco, battezzato per
motivi oscuri ‘Bigetto’ da Akira, mentre il porcospino era impegnato
a fare il trapezista sul bracciolo.
Toru e Fujima stavano apparecchiando, chiacchierando
contemporaneamente a bassa voce, e infine Minori e Minami, seduti sulla
panca di legno accanto al camino, tiravano stancamente freccette: il
codino contro una fotografia di Hanamichi e il calimero contro quella di
Minori medesimo.
In quel momento, dalla porta del retro entrarono
Shinichi e Kiyota:
"Devi essere più paziente… Milly è fatta
così. E poi, se le canti una ninna nanna dolce, lei si sforza di più e
ti fa un altro secchio: devi solo farla rilassare" spiegava il
pelle-gialla.
"Quella vacca bastarda…" cominciò lo
stregone, ma fu fulminato dallo sguardo di disapprovazione del compagno,
e allora continuò "…quella cara figliola di una vacca gran
bastarda mi ha schizzato il suo latte schifoso e menagramo in un occhio!
Se la pesco da sola, vedi che le faccio…" ma a questo punto si
zittì, ricordava sin troppo bene la minaccia dell’orrido Tamarindo.
Dalla cucina si affacciò Takenori, avvolto dal
grembiulone con i girasoli sorridenti:
"Venite a tavola, truppa! – tuonò –
Stamattina Jun-kun si è superato!" e quindi esibì una specie di
ghigno carico di orgoglio.
Kogure sorrise: il ricordo terribile dell’esperimento
culinario del gorilla doc era impresso a fuoco nella memoria di tutti i
presenti; per fortuna da allora la cucina era diventata regno esclusivo
di Uozumi, e le cose erano considerevolmente migliorate.
La colazione trascorse abbastanza tranquillamente, se
si tralascia il fatto che Akira non fece che insistere per aggiungere un
seggiolino per Bigetto, per non farlo sentire un escluso; oppure che
Hanamichi e Rukawa passarono il tempo a battibeccare per l’insistenza
con cui il rossino rimarcava lo scarso appetito dell’altro,
accusandolo di essere deperito e che il suo pallore fosse segno di
malattia, rimproveri ai quali la volpe rispondeva con sguardi assassini,
sguardi ai quali il più giovane dei Mitsui sembrava aver sviluppato una
strana immunità; e infine, ad animare il pasto, ci fu anche una delle
dure gare all’invenzione della minaccia più cruenta che riuscivano a
tenere avvinti per ore Minori e il suo Tsuyoshi:
"Notte tempo ti strangolo con i tuoi stessi
capelli!" sibilava il calimero.
"Non essere precipitoso, già a pensare alle
nostre notti di passione! E poi il sadomaso… io che ti credevo un
ragazzo per bene!" replicava l’altro, sfidandolo con uno sguardo
carico di allusioni.
"Saranno notti che non dimenticherai facilmente,
quando ti ritroverai avvelenato con l’antiparassitario delle
pecore" continuava Minami.
"Sarai tu a non poterle dimenticare,
considerando che non riuscirai a camminare per tre giorni…"
sussurrava in risposta Minori, con un bel ghigno soddisfatto disegnato
sul volto.
"Io… IO TI AMMAZZO!" e subito il povero
Ace Killer tentava di far partire una delle sue famose gomitate.
"Non ti scaldare… risparmia le energie per
quando saremo soli!"
Dall’altro lato del tavolo le cose sembravano più
tranquille, Fujima e Toru parlavano di cavalli, di come Apu stesse di
nuovo bene, e poi di Bucaneve, di come tentasse di proteggere il puledro
da tutti gli altri animali, mentre Takenori e Uozumi un po’
partecipavano a questa conversazione, aggiungendo di tanto in tanto
qualche commento, un po’ parlavano tra loro dell’emozione del
raggiungimento degli ottanta, dei novanta, dei cento chili, un’esperienza
che li rendeva unici, e diversi da tutti gli altri.
La giornata seguì la stessa routine di tutti quei
giorni invernali. I fratelli Mitsui si distribuirono le diverse
attività, pronti a ritrovarsi per lo spuntino del pranzo e poi, al
calar delle tenebre, a riunirsi tutti insieme nel salotto della casa,
prima di ritirarsi sul soppalco della stalla.
Quella sera, Hanamichi si ritrovò a chiacchierare
con il gemello:
"Ehi, ci pensi mai che prima o poi arriverà la
primavera?" gli chiese, masticando pensosamente un filo di paglia.
"E’ ovvio che ci penso! Ma la cosa non mi
intimorisce di certo. Come dice sempre il Dottor Fuck, la paura è una
reazione naturale, quando si avvicina una scadenza…" gli rispose
Minori, lentamente.
"Non è che il dottor Fuck parlava della
bolletta della luce?!" si inserì Akira, provandosi il vecchio
cappello con cui d’estate andava al fiume a pescare trote, quello che
lo faceva somigliare in maniera impressionante a Sampei – il ragazzo
pescatore.
"Idiota! Il dottor Fuck era lo psicologo del
pianerottolo, quello che…"
"…diceva sempre che ogni problema ha la
soluzione nascosta sul materasso. Il problema è che noi non abbiamo
più neanche quello!" si lamentò Takenori.
"Useremo quello su cui dorme Tsuyoshi…"
gli replicò il codino, stringendosi nelle spalle.
"TE LO PROIBISCO!! MAGARI DORME SUL MIO
LETTO" tuonò il gorilla, sconvolto dal solo pensiero dei due
avvinghiati sul suo prezioso, e rinforzato, giaciglio ricoperto di
pelli. Quell’opera d’arte avrebbe fatto da sfondo ad incontri con
protagonisti di ben altro peso… sì, era proprio il caso di dirlo.
"E comunque non mi sembra una opportunità
realizzabile… non so se hai notato, ma il tuo calimero fa sempre il
100% dei punti quando tira freccette sulla tua fotografia. Ormai hai il
naso e l’occhio destro completamente distrutti…" fece notare
Hanamichi, sogghignando soddisfatto. Non era solo lui ad avere problemi
di comunicazione con la sua dolce metà, e il poter punzecchiare il
gemello era sempre causa di grande soddisfazione.
"Io sono preoccupato… il mio Kosh sta
rivelando inaspettate tendenze alla maternità. Avete notato il suo
legame con Bigetto?" mormorò Akira, pensieroso.
"Se fossi in te, non mi preoccuperei: quel
botolo bianco non ringhia abbastanza per essere davvero suo figlio"
lo tranquillizzò subito Minori.
"E tu, … come procedono le cose con il grande
Nobunaga Kiyota?" chiese Takenori, rivolgendosi a Shinichi, steso
sulla schiena e perso nella contemplazione delle travi polverose del
soffitto.
"Stanno imparando a conoscersi" rivelò l’altro,
con voce sognante.
"Eh?!" si guardò intorno Hanamichi, che
non aveva capito.
"Si sta avvicinando il giorno in cui Milly lo
delizierà con una mungitura da tre secchi. Quello sarà il momento dell’accettazione"
spiegò il pelle-gialla, calmo.
"Ehi, Shinichi… se poi Piciù riuscisse a
trasformare il tuo Nobu-kun in una mucca, ogni tanto, avresti raggiunto
la felicità perfetta! E poi aumenterebbe pure la produzione…"
suggerì Akira, sempre felice di poter dispensare utili consigli,
soprattutto quando questi avevano acuti risvolti imprenditoriali.
"Il buon padre voleva un maschietto, ma ahimé…
sei nato tu!" esclamò Minori, tirando un uovo appena rinvenuto in
mezzo alla paglia in testa al porcospino.
"I MIEI CAPELLI!!!"
"Dai che ho letto che l’uovo gli fa bene… ti
cresceranno più forti" cercò di tranquillizzarlo Toru,
intervenendo per la prima volta nella conversazione.
"Aaahhh, pensavamo che dormissi… ora ci devi
svelare che succede nel box di Apu, quando venite a prendervi cura della
bestiola!" lo assalì subito Takenori.
"Secondo me il povero puledro è perfettamente
sano, è la loro scusa per fare le porcate indisturbati!"
"MINORI! Che diavolo dici?!" esclamò il
quattr’occhi, cercando di riportare all’ordine il codino, ormai
irrefrenabile nelle sue terrificanti interpretazioni di quello che gli
accadeva intorno.
"Oppure lo faranno ammalare loro, il povero Apu.
Sempre a fargli iniezioni per il solo gusto di rendere più realistico
il gioco del dottore…" caricò Hanamichi, per dimostrare di non
avere in comune con il gemello solo la data di nascita.
"Smettetela! Fujima ed io siamo legati solo dall’amore
per gli animali e dal desiderio di curarli!" si difese ancora Toru.
"E poi almeno non davanti ad Apu, che è ancora
minorenne!" intervenne Shinichi, da sempre il più strenuo
difensore del telefono pezzato per la difesa degli animali, quello le
cui operatrici muggivano invece di parlare.
Ok, non era il solo telefono ad avere dietro gentili
donzelle che facevano versi animaleschi…
"Basta ragazzi, adesso state esagerando!"
li rimproverò lo spilungone con tono più deciso, arrossendo
leggermente al pensiero di come sarebbe stato fantastico se le
insinuazioni dei fratelli fossero state vere.
"E’ rosso, è rosso… c’abbiamo preso,
bingo! Fanno le cosacce nella stalla…" saltò su Hanamichi.
"Tu invece, pur essendo rosso, non batti
chiodo!" lo punì subito il gorilla, desideroso di allentare un po’
la tensione sul fratello più serio.
"Ti piacerebbe sapere cosa faccio con la mia
kitsune! Ma io non ti dico niente, nada de nada, che poi cerchereste di
copiarci… te e quell’armadio!"
"Sapere cosa fai con la kitsune sarebbe noia
profonda: lui dorme e tu sbavi… una goduria! E poi il mio Jun è un
ragazzo di peso, e certamente è più resistente della tua volpe
inappetente!" ribatté Takenori, punto sul vivo.
"Quante volte ti abbiamo detto… NIENTE
PARTICOLARI INTIMI, FRATELLONE!" sbottò il codino, che provava
sempre una strana sensazione alla bocca dello stomaco, quando pensava al
gorilla impegnato in faccende… ‘private’, con l’altro bisonte.
"Non ti preoccupare, non te ne darò: non ho
intenzione di umiliarvi" lo derise il gorilla, con un sorriso
leggermente da maniaco. Qualcosa di molto inquietante.
"Il mio Bobby non teme rivali!" saltò su
Akira, lanciando in aria il cappello da Sampei.
"Speriamo solo che il tuo Kosh non abbia
esperienza in quel campo, magari il tuo bluff riuscirà a durare
per due giorni. Prega sempre che non sbirci nella stanza dove io e il
mio calimero…" Minori non terminò la frase, ma era ben chiaro a
tutti cosa dovevano fare, in quella stanza, i due Rocky Balboa in erba.
"Ragazzi, non potremmo parlare d’altro?"
provò ad inserirsi Toru, tentando di riportare la conversazione su un
piano meno terra-terra.
"Nobu-kun si definisce il re dei tronchi…
secondo voi è un altro titolo nobiliare?" lo accontentò
immediatamente Shinichi, animato da genuina curiosità.
"Sì, a forza di ricevere legnate, i bernoccoli
gli hanno formato una corona!" gli spiegò Minori, sempre il più
disponibile.
"Uhhh – e il pelle-gialla strizzò gli occhi
in una smorfia di dolore – Povero cucciolo…"
"Poveri noi, vorrai dire" fu l’epitaffio
di Takenori, prima di spengere la lampada per dormire.
Intanto, su ai Pascoli Estivi, gelando nello spartano
letto da campo, Hisashi pensava ancora a quello che era accaduto con il
suo Kimi-kun, alternando momenti in cui avrebbe desiderato mettere in
moto il gatto delle nevi e scendere senza fermarsi fino a raggiungere
‘casa’, ad altri in cui la rabbia ribolliva, portandolo a desiderare
di distruggere qualsiasi cosa avesse a portata di mano.
Eppure di fondo c’era la ferma risoluzione di non
permettere a Kogure di abbandonarlo. Questo non poteva neanche essere
preso in considerazione: il quattr’occhi ormai gli apparteneva, forse
più nel corpo che nell’anima, e questo portava alla necessità di
trovare il modo per risolvere le loro incomprensioni caratteriali una
volta per tutte, e a stabilire delle regole che permettessero loro una
vita più tranquilla. E ovviamente queste regole dovevano essere quelle
di Hisashi medesimo, visto che lui era sicuro che fossero le migliori
possibili: del resto, dopo essercisi attenuto per una vita, non era
diventato quella persona meravigliosa che era?
Pochi giorni prima, Toru lo aveva raggiunto,
apparentemente per portargli delle provviste e ritirare alcune pelli per
dare inizio alla concia.
Lui era stato contento di rivedere il fratello e di
avere la possibilità di sapere come stessero andando le cose della
famiglia, eppure non aveva fatto che ostentare un’aria distaccata,
quasi infastidita, durante l’intera descrizione delle vicende della
fattoria e dei sei ragazzi di città. Alla fine, però, come
prevedibile, il tono della conversazione era cambiato, e il Mister
Quattr’Occhi aveva rivelato le proprie vere intenzioni, cercando di
spiegargli le posizioni del Quattr’Occhi Semplice… E la cosa aveva
contribuito ad alterare Hisashi: possibile che lui dovesse apparire come
un orco, un grizzly, solo per aver cercato, da bravo fratello maggiore,
di aiutare quegli sfigati che costituivano la sua famiglia? E poi, da
quello che aveva sentito, gli era sembrato di capire che l’azione
mostruosa che aveva capitanato non avesse poi avuto queste orride
conseguenze, anzi… le sei coppie bisbocciavano e Kogure faceva la
chioccia… solo lui ne era uscito con le ossa rotte, a gelare in cima
alla montagna.
"Non puoi non riconoscere che abbiamo sbagliato,
Hisa-chan. Lo abbiamo fatto tutti insieme, non meditando abbastanza, ma
non abbiamo agito correttamente…" gli diceva Toru, cercando di
confortarlo con l’offerta di una condivisione di colpa e
giustificando, contemporaneamente, le rimostranze di Kogure.
Per qualche istante lui non rispose. C’era qualcosa
che premeva per uscirgli dalla gola, eppure non si sentiva ancora pronto
per ammettere a voce alta quello che gli aveva dato più fastidio.
"Perché non mi dici cos’è che ti ha fatto
venire fin quassù? Non è da te scappare dopo una discussione…"
continuò il fratello, fissandolo come se cercasse di leggere la
spiegazione nei suoi occhi.
Come dirgli che non erano affari di Kogure come lui
decideva di gestire la propria famiglia e la propria vita? Questo era il
punto: per lui era inaccettabile sentir messe in discussione le proprie
scelte. E cosa altrettanto insopportabile era che la manifestazione di
queste rimostranze, della disapprovazione, non fosse avvenuta nell’intimità
della loro camera, ma davanti a tutti gli altri, quasi fosse un
tentativo intenzionale di minare la sua autorità, qualcosa che nessuno,
neanche il suo quattr’occhi, aveva il diritto di azzardare.
"Smettila, Toru. Un vero Mitsui non rinnega mai
le proprie azioni… o forse stai diventando una mammoletta, a forza di
stare con la principessina dagli occhi azzurri?"
Lo spilungone allontanò la testa, quasi a volergli
guardare meglio il viso:
"Che ti sta succedendo, Hisa-chan: non è da te
questa amarezza, questo orgoglio… stai reagendo in modo del tutto
inappropriato alla situazione; sai benissimo che non dovevamo
comportarci come abbiamo fatto, eppure continui a difenderti, a
mostrarti offeso. Stai soffrendo, così come soffre Kogure-san, eppure
vi basterebbe così poco per rimettere tutto a posto, e tornare insieme,
voi che potete… tu sai che lui ti vuole bene!"
Lui si limitò a gelarlo con lo sguardo, riprendendo
ad intagliare il bastone che usava per saggiare la neve.
"Hisashi…" insistette l’altro.
"E’ ora che torni a casa: le pelli sono pronte
e il cielo si sta scurendo, rischi di farti cogliere dalla
tormenta" gli ribatté definitivo, pur cercando di non offenderlo.
Toru scrollò le spalle:
"Non ti capisco. Spero solo che ci ripenserai e
che tornerai presto da noi. Senza di te, alla fattoria, sembra tutto
diverso… pure Shinichi ha ammesso che gli manchi, e considerando che
gli unici esseri per i quali abbia mai mostrato affezione sono Milly e
la bertuccia dai capelli lunghi, devi riconoscere che la cosa dovrebbe
riempirti di orgoglio".
Per la prima volta, Hisashi sorrise. Il pensiero di
quel pazzo del pelle-gialla, dei gemelli, del porcospino e del gorilla
lo riscaldò, causandogli anche un po’ di malinconia: non erano mai
stati separati così a lungo, e poi gli mancavano le pazzie che i
fratelli riuscivano a combinare, i loro litigi seguiti sempre da sguardi
di affetto, immediatamente mascherati dietro nuove battute acide o
sarcastiche.
E poi c’era Kiminobu: per quanto li combattesse, l’attaccamento
che aveva sviluppato verso il quattr’occhi e il desiderio di
rivederlo, di abbracciarlo, erano forti… peccato che forte era anche
il desiderio di punirlo, di fargli capire che le regole tra loro
dovevano essere chiare, e che lui non avrebbe mai permesso critiche alle
proprie scelte.
Quando Toru risalì sulla slitta che lo avrebbe
portato verso casa, lo salutò brevemente, tornando subito nella
baracca, come a voler evitare qualsiasi tentazione di montare sul sedile
e buttare alle ortiche tutti i propri propositi.
Quella sera, in piedi dietro i vetri della finestra
del soggiorno, Kogure si era accorto immediatamente che sulla slitta che
tornava dai pascoli estivi c’era una sola persona.
Per tutta la giornata si era rimproverato quell’assurda
speranza di veder arrivare Hisa-kun, eppure non aveva potuto fare a meno
di desiderare che il ragazzo tornasse, che tutto potesse essere
chiarito. Per quanto, poi, cercasse di rimproverare se stesso e di
giustificare il compagno, il quattr’occhi arrivava sempre alla
medesima conclusione: Hisashi aveva la responsabilità dei fratelli
minori, e quel che aveva fatto, anzi, quel che aveva organizzato, non
era giustificabile in alcun modo.
Quando Toru era entrato in casa, lui aveva cercato di
comportarsi come se l’altro fosse tornato da una qualsiasi giornata di
lavoro. Non era riuscito a fargli domande o a chiacchierare con
spensieratezza, però, e dopo poco aveva accampato la scusa della cena
per ritirarsi nella cucina.
Fortunatamente, con tredici persone sotto quel tetto,
in casa c’era sempre qualcosa da fare, e presto si era ritrovato
impegnato nell’organizzazione del pasto. Stava preparando il
condimento per gli oden, quando aveva sentito i passi sicuri e
tranquilli di Toru fermarsi a pochi metri da lui. Non si era neanche
girato, era rimasto in silenzio a mescolare gli ingredienti.
"Hisashi sta bene" lo aveva sentito
mormorare.
"Ah… ne sono contento! Mi passeresti il sale?
Sta proprio dietro di te. Uozumi dovrebbe tornare più tardi, è andato
con Takenori a prendere la legna per il camino, e ormai sono così
abituato a far cucinare tutto a lui, che temo sempre di scordarmi
qualche cosa importante, oppure di mettere zucchero al posto della
farina… buffo, eh?" aveva blaterato lui, esageratamente festante.
"Non credo che tornerà presto, ma stare un po’
solo gli farà bene… ha bisogno di chiarirsi le idee, di accettare le
regole di un rapporto che non ha mai avuto con nessuno. Spero che non
gli ci voglia molto: è ingiusto e doloroso vedervi lontani, ma voi
riuscirete a risolvere tutto, ne sono sicuro. Voi vi amate, ma siete due
testardi… sì, anche tu, dietro la tua aria tranquilla e arrendevole…".
Kogure lo aveva guardato, inizialmente sorpreso e poi
aveva accennato un sorriso appena percettibile:
"Il sale, Toru, dietro di te…".
Febbraio aveva portato le prime giornate di sole, un
sole tiepido e gentile. La neve brillava ancora sulla montagna, e all’apertura
del passo mancava ancora un mese, ma l’allungarsi delle giornate e il
cielo azzurro invitavano sempre più spesso a stare all’aperto.
Nella grande tenuta dei Mitsui, si susseguivano
scontri a palle di neve e partite di basket nel campo quotidianamente
spalato da Hanamichi… compito che il rossino si era accollato per far
felice la sua kitsune e poter giocare quegli one on one che finivano
sempre più spesso con i due a terra per strani falli che il piccolo
Mitsui commetteva del tutto casualmente, e che, sfidando qualsiasi legge
statistica, finivano sempre con lui spalmato sopra al compagno.
Quel pomeriggio, terminato il lavoro alla segheria,
Takenori e Uozumi decisero di andare a fare una camminata nel bosco. La
scusa ufficiale era la raccolta dei primi crochi, quelli che Kogure
desiderava per abbellire la tavola in vista della cena del giorno
successivo, il giorno del compleanno di Minami… ma in realtà si
trattava solo di cedere al desiderio di passare un po’ di tempo in
solitudine.
"Non capisco perché non poteva venirci Minori,
a raccogliere i fiori per il suo calimero…" si stava lamentando
il gorilla, fingendo di non ritenere adatta al proprio ruolo di gigante
valoroso la ricerca di gentili fiorellini.
"Non ce lo vedo tuo fratello a raccogliere fiori…
sarebbe capace di strappare, completa di radici, la prima pianta
scampata alla neve, e sbatterla in faccia a Tsuyoshi. Non credo che
questa sia l’idea di cena di compleanno pensata da Kogure…" gli
rispose l’ex capitano del Ryonan prima e dello Shohoku poi,
guardandosi intorno.
"Continuo a non essere d’accordo…" si
lamentò ancora Takenori, tenendo il punto. La cosa non gli era
certamente così insopportabile, visto che gli permetteva di trascorrere
un po’ di tempo da solo con Jun-san, però aveva pur sempre una
reputazione da difendere, e che diavolo!
Camminarono fino a raggiungere la radura in cui il
secondogenito dei Mitsui ricordava di aver visto i teneri vegetali, ma
sembrava che la sua memoria, non elefantiaca, al contrario della stazza,
lo avesse ingannato.
"Pare proprio che qui non ci siano…" lo
confortò il cuoco, strizzando gli occhi nello scrutare la distesa di
neve e ponendoci la stessa attenzione che un generale avrebbe mostrato
nel passare in rivista il proprio esercito schierato.
"Qualcuno deve averli trafugati" rivelò
Takenori, rabbioso che qualche screanzato, probabilmente con i capelli
rossi, gli stesse facendo fare la figura dello smemorato, se non del
bugiardo, con il suo Jun.
"Beh, non ci resta che continuare, magari li
troveremo passato il costone. Questo è il loro periodo, mica potranno
essere spariti da tutta la montagna!"
Come sempre, l’ottimismo e la forza d’animo del
gigante dal cuore impavido, sciolse qualcosa nel petto del gorilla, e
così, di buona lena, i due si misero in cammino verso il fianco della
montagna esposto a sud, quello sul quale doveva essere più facile
trovare forme viventi.
Forse la bussola non funzionava, forse non lo
sapevano e quello era l’anno della carestia dei crochi, oppure i
bastardi si erano nascosti sotto la neve non appena li avevano sentiti
arrivare, ma dei fiori neanche l’ombra… Nuvole grandi e minacciose
cominciavano invece a coprire un cielo sempre più scuro.
"Temo che stia per arrivare una tormenta…"
mormorò Uozumi, osservando i nembi grigi.
"No, non credo. E’ il tipico annuvolamento
pomeridiano che si ha in montagna. Assolutamente niente di preoccupante…"
lo rassicurò Takenori, felice di poter mettere ancora una volta a
disposizione la propria infinita conoscenza di Ermanno, come i fratelli
Mitsui chiamavano il monte Fujimori.
Mezz’ora dopo, i due arrancavano nella neve
cercando riparo dalla fitta cascata di fiocchi gelidi che pioveva dal
cielo.
"Annuvolamento pomeridiano…" sibilava
Uozumi tra i denti, attaccandosi con la mano alla giacca del compagno
per non perdere la strada.
"Non esistono più le mezze stagioni…"
biascicava l’altro in risposta, cercando di recuperare il terreno
perduto ricorrendo alle massime popolari.
Per fortuna che almeno il gorilla aveva finalmente
capito su quale versante della montagna si trovavano: poteva aver
sbagliato con la radura e con l’analisi del cielo, ma sapeva benissimo
che lì vicino avrebbero finalmente trovato riparo…
Allungò ancora il passo, portando il braccio
indietro per afferrare il polso di Jun-kun: la neve sempre più fitta
rendeva difficile anche solo vedere ad un metro di distanza, e loro
dovevano rimanere vicini, insieme. Senza di lui, Uozumi non ce l’avrebbe
mai fatta… e questo pensiero lo riempiva di orgoglio.
Finalmente raggiunsero il boschetto che Takenori
ricordava, e, dopo qualche passo, si ritrovarono davanti alla porta di
una piccola baracca di legno, di quelle che servivano come base quando,
durante l’estate, pecore e mucche venivano portate ai pascoli più
alti.
"Siamo arrivati; qui saremo al riparo, e potremo
aspettare che la tormenta passi… non durerà molto" esclamò il
gorilla, chiudendo la porta alle loro spalle e scuotendosi la neve dalla
giacca.
A questo punto Uozumi si guardò intorno: non era che
una piccola stanza priva di stufa e con una finestra con il vetro
appannato.
Alzò lo sguardo interrogativo sul compagno:
"E’ per l’estate, quando il riscaldamento
non è necessario… dovremo arrangiarci" gli spiegò Takenori.
"Dici che la tormenta non durerà molto?"
Il gorilla annuì.
"Allora vuol dire che dobbiamo organizzarci per
una lunga permanenza – Jun si fermò, guardandosi intorno, poi riprese
– apri gli scaffali, dobbiamo vedere se c’è qualcosa da
mangiare".
"Sardine, lenticchie, sardine, sardine, biscotti…
- Takenori si fermò ad annusare - …stantii, sardine…"
"Allora il piatto forte sarà a base di
sardine" rivelò inaspettatamente il cuoco.
Il compagno gli sorrise: se c’era una cosa sicura,
era che con Uozumi vicino non sarebbe mai morto di fame!
Avevano mangiato, sardine, e bevuto del tè che
doveva risalire al mesozoico; ormai era completamente buio, e la
tormenta non accennava a placarsi. Avevano anche acceso un piccolo fuoco
con la poca legna che erano riusciti a rimediare in casa… considerato
che era inutile avventurarsi fuori, visto che si rischiava di rimanere
sepolti sotto la neve, e di trovare al massimo qualche zeppetto bagnato.
Cos’era quel rumore? Sembrava quasi un topo che
stesse rosicchiando le pareti… tic, tic, tic, skretch, crunch… che
il Grande Topo di vegasiana memoria stesse attentando al loro unico
riparo?
"Ehi, cuccio… ehm, Jun, non senti uno strano
rumore?" Takenori chiese al compagno, praticamente steso sulla
cenere ormai quasi spenta.
"No… - rat-rat-rat - …non sento
niente!"
"Ma… sei tu! Cosa ti succede?!" il
gorilla si era subito spaventato: come mai il suo pulcinone emetteva
quei versi strani?
"Non… - rat-rat-rat - …preoccuparti… è
solo un po’ di freddo…".
Quando il gioco si fa duro, i gorilla cominciano a
giocare!
"Schhhhhh, adesso ci penserò io. Rischiamo di
morire congelati, se non facciamo qualcosa… dai, vieni più
vicino" gli mormorò, cercando di addolcire la propria voce
tonante.
"Credo che ci congeleremmo di più" provò
ad obiettare l’altro, un leggero rossore diffuso sul viso.
"Nel manuale delle Giovani Marmotte, il rimedio
consigliato per ripararsi dal freddo, in queste situazioni, prevede la
condivisione del ‘calore umano’… - Takenori si fermò, un po’
imbarazzato e un po’ emozionato al pensiero che quella era la sua
prima possibilità di sfiorare il compagno – so che non è esattamente
quello che vorresti, ma credo che non ci sia altro da fare…"
"Hn. Allora avvicinati" gli rispose Jun, l’emozione
che finalmente gli aveva placato il battere dei denti.
Si stesero sul lettino da campo sistemato sotto la
finestra, stringendosi per entrarci in due… ecco, questo poteva
sembrare davvero uno scherzo dei gemelli, obbligare i due giganti a
dividere un letto che non sarebbe stato sufficiente neanche per uno solo
di loro!
"Senti ancora freddo?" mormorò Takenori,
praticamente alitandogli sul collo e facendolo immediatamente
rabbrividire "Stai tremando ancora…".
Come dirgli che quei brividi non erano dettati dal
freddo? Uozumi cercò di sistemarsi meglio, e di controllare le proprie
reazioni. Dalla prima volta che si erano visti, al ristorante giù in
città, Takenori Mitsui gli aveva lasciato una impressione indelebile.
Non ci aveva messo molto a capire che a legarli non era solo il fatto
che l’altro apprezzasse la sua cucina, che fosse una persona con cui
aveva parecchi interessi in comune, che condividessero il destino di
essere due montagne umane, argomento che a chiunque altro sarebbe potuto
sembrare assurdo, ma che aveva perfettamente senso, invece, per qualcuno
abituato ad avere sempre a che fare con persone al cui confronto
sembrava di essere Gulliver, con porte progettate per i puffi e con
mobili che sembravano sempre pensati per Barbie. No, non erano solo
queste cose, c’era qualcosa di più profondo che lo legava al giovane
taglialegna, qualcosa che gli serrava lo stomaco quando se lo ritrovava
accanto inaspettatamente, un qualcosa che lo aveva portato anche a
mangiare quell’orrore che l’altro aveva cucinato…
In qualche modo, in una situazione totalmente
inappropriata, gli venne da sorridere: non avrebbe mai neanche
immaginato di potersi… affezionare? Sì, ma forse anche qualcosa di
più, ad un tale disastro dei fornelli!
"Ehi, cosa c’è da ridere? - gli mormorò
Takenori, allontanando il viso per poterlo guardare meglio - Se non
facciamo così, moriremo congelati!"
Jun gli sorrise:
"Non ti ho chiesto di smettere…- e gli passò
le braccia intorno alla schiena - Questo letto è troppo stretto…"
si giustificò poi, appoggiandogli la testa sulla spalla.
Rimasero in silenzio, il rumore della tempesta
continuava a cullarli, mentre il vento fischiava attraverso le fessure
delle imposte.
Era una bella sensazione, qualcosa a cui non
sarebbero arrivati in altre circostanze, sebbene entrambi lo
desiderassero.
L’unico problema era che solo la pelle a contatto l’uno
dell’altro era calda, qualsiasi altra superficie era gelata:
"Hai i piedi ghiacciati, vediamo se posso fare
qualcosa…" mormorò Takenori, abbassandosi improvvisamente.
"NOOO, che fai?!" lo fermò Uozumi. Che
diavolo gli era venuto in testa?
L’altro si risollevò, una espressione genuinamente
stupita sul viso:
"Beh, volevo spostare il giaccone, in modo da
coprirteli… perché?"
Cosa rispondere? Non poteva certo dirgli che aveva
temuto… aveva temuto…
"No, niente".
Il gorilla lo guardò un po’ perplesso, ma decise
di non dar peso alla cosa. Del resto la situazione era tale che la sua
attenzione non poteva soffermarsi su stupidi particolari. Si sistemò
meglio, strofinando con le mani le spalle di Uozumi, e pensò che forse,
senza l’intralcio dei vestiti, lo scambio di calore umano sarebbe
stato certamente più efficace. Presto però cominciò ad agitarsi, a
tentare di allontanarsi… sembrava punto da una tarantola.
"Che ti prende? Stai scomodo?" la voce roca
di Jun non fece però che aggravare il problema: stava ‘troppo’
comodo, e, soprattutto, aveva una parte che si stava ‘scaldando’
troppo…
"No… è solo che…" un ulteriore
movimento rese chiaro anche a Uozumi il problema, e l’improvvisa
consapevolezza fu evidente dal rossore che gli si diffuse sul volto.
Ancora una volta, nella piccola baracca calò il
silenzio, sebbene stavolta più teso e meno confortevole di prima.
"Takenori…"
"Hn?" meglio non azzardarsi a tirare fuori
la voce, stava pensando il gorilla.
"Mi stai trapanando un fianco…" e vide
che Jun non era riuscito a reprimere un sorriso un po’ imbarazzato e
un po’ divertito.
"Beh… quando fa freddo, sai… è una reazione
naturale… per bilanciare la perdita di calore" provò ad
inventare, cercando ancora una volta di scostarsi.
"Questa è la prima volta che la sento… - gli
mormorò l’altro, sollevando leggermente la testa dal cuscino -
Vediamo se posso aiutarti a riscaldare anche altre zone…".
Cavolo!! Jun lo stava baciando!! JUN LO STAVA
BACIANDO!!!!
"Mi sento un fuoco…" riuscì ad esalare,
non appena le loro labbra si separarono.
"Il calore sta già migrando verso il resto del
corpo?" e Uozumi accompagnò le parole con un sopracciglio
sollevato.
"Sì, ma quella parte è ancora la più
torrida…" lo gelò Takenori, rituffandoglisi sopra.
Il vento continuò ad urlare, la neve riprese a
volteggiare, il letto cominciò ad ondeggiare… tutto come previsto:
nessuno, neanche un gorilla, poteva ostacolare il corso della natura.
Con la primavera sempre più vicina, Hiroaki Koshino
non faceva che pensare che presto sarebbe tornato a casa. Per quanto
questo pensiero fosse stato in grado di portargli sollievo e coraggio
durante i mesi precedenti, ultimamente la cosa gli metteva un po’ di
ansia: era stato lontano da casa per ben tre mesi, e lo sarebbe stato
per almeno un altro… si era perso la cena di Natale, i regali dei
familiari, e quello era l’anno in cui la sorella gli aveva finalmente
promesso quei semi di piante velenose per le quali lui aveva già
preparato la piccola serra sul terrazzo, e poi il capodanno al tempio,
occasione solenne in cui avrebbe potuto finalmente guardare male tutte
quelle persone insolenti che era costretto a sopportare quando lavorava
al negozio, e le lezioni serali che seguiva per riuscire a prendere una
specializzazione, visto che non era certamente il suo sogno nel cassetto
lavorare tutta la vita al Pet Shop, le uscite con gli amici, le
chiacchierate con Fukuda… pensandoci bene, quel deficiente con i
capelli da porcospino gli aveva rubato una fetta importante della sua
vita: quattro mesi da ventenne che sicuramente avrebbe rimpianto, una
volta canuto e rugoso, ancorato su una sedia a rotelle.
Quel bastardo!
Meglio non pensarci. Si abbassò ad accarezzare
Bigetto, che gli stava mordicchiando il bordo dei pantaloni… sentiva
una strana affezione verso questo cagnolino, quasi fosse sangue del suo
sangue, ma ovviamente non lo avrebbe mai ammesso davanti a nessuno,
tanto meno di fronte a quell’idiota di Akira, che lo considerava un
anticipo della loro famiglia, e blaterava spesso di figli e nipoti.
All’inizio Koshino aveva pensato che la causa dell’assoluta
demenza del ragazzo fosse il gel al napalm con cui intrideva la propria
capigliatura, ma poi si era convinto che il problema fosse congenito, ci
doveva essere un latente gene anomalo, nella famiglia Mitsui, che aveva
deciso di manifestarsi in Akira e nel fratello Shinichi… non che gli
altri fossero propriamente normali, ma a quel livello di
scervellataggine non ci arrivavano ancora.
"Ehi, smettila di mordermi le dita…"
mormorò al cucciolo che adesso gli stava accoccolato in braccio.
Raramente si lasciava andare a giocare con il cane, non voleva che
qualcuno pensasse che si fosse intenerito, e così, in presenza di un
pubblico, manteneva il proprio sguardo truce e l’atteggiamento
scontroso.
Accarezzò il pelo morbido e cominciò una lunga
conversazione a suon di grugniti con il morbido quadrupede.
"Solo tu lo capisci così bene…"
Ecco, non ci si poteva sbagliare, il porcospino aveva
terminato il lavoro nel bosco e, invece di andare ad annegarsi in
qualche laghetto gelato, aveva deciso di tornare a casa, a tormentarlo!
"Grrrrrr…" risposero in coro lui e
Bigetto.
Akira rise, non esattamente qualcosa di sorprendente,
e poi sparì verso la cucina, per tornare pochi minuti dopo con un
vassoio con due tazze fumanti e un piattino.
"Puoi scegliere, amore: tè o crocchette?"
Koshino roteò gli occhi: no, non c’era alcuna
speranza!
Appoggiò in terra il piattino per il cane e si
impossessò della tazza di tè, pronto a versare la bevanda bollente
addosso al compagno, se non la piantava di sorridergli con la bocca
aperta… un giorno aveva letto sul Gazzettino di Kanagawa di una donna
che era morta perché una vespa l’aveva punta in bocca. Non c’erano
vespe, a febbraio, sul Fujimori?
"Amore… credo che dovremmo parlare" e di
nuovo i denti del giudizio in bella evidenza. Ma aveva la bocca di
gomma?! Sarebbe stato bene in un circo: l’uomo-sorriso-a-360°.
"Non credo proprio…" e Hiroaki riprese a
bere, voltandogli le spalle.
"E’ una cosa importante, prima o poi dovremo
assumerci le nostre responsabilità…"
Se non fosse stato per l’espressione felice, e la
chiostra di denti che ricordava le bianche scogliere di Dover, poteva
quasi sembrare un discorso serio… anche se loro non avevano alcuna
responsabilità comune da assumersi.
"Mi stai ascoltando? – e il porcospino si
chinò su di lui – Non possiamo ritrovarci ad affrontare il problema
all’ultimo momento… causerebbe solo sofferenza, e adesso invece
potremmo evitarla. Dobbiamo solo discuterne un po’ e mettere a punto i
particolari tecnici".
Di cosa stesse parlando rimaneva davvero un mistero,
ma tanto sarebbe bastato aspettare…
"Non possiamo permettere che i suoi amici lo
prendano in giro perché è l’unico a non avere una famiglia alle
spalle!"
"Di che diavolo vai blaterando?! Il maremoto di
segatura che sta agitando il tuo cervello crea solo parole sconnesse! E
adesso, lasciami in pace" ecco, calmo, pacato, efficace… come
sempre, Hiroaki sapeva di riuscire a trovare il modo giusto per condurre
una conversazione
"SEI UN GENITORE DEGENERE!!!!"
Ma che diavolo…
"SI DA’ IL CASO CHE IO NON ABBIA
FIGLI!!!" gli replicò lui, stando ben attento a non abbassarsi al
tono da mercato del giovedì del compagno.
"Cooo… coooo…"
"Coccodé?" provò a suggerirgli, vedendolo
in difficoltà.
"COSA DIAVOLO DICI?! NON TI SENTI UN
GENITORE???? E BIGETTO COS’E’ PER TE, UN GIOCATTOLO???!!!"
Oddio… no! Non poteva aver capito bene! Akira aveva
detto qualche altra cosa, ma le onde acustiche avevano cominciato a
combattere tra loro, creando quell’incredibile combinazione
assolutamente priva di senso!
"Ho capito bene? Stai parlando del cane??"
e Hiroaki portò lo sguardo sul cucciolo che mangiava felice, e
inconsapevole, le sue crocchette.
"CANE?? Così lo sminuisci… sto parlando della
nostra creatura: il piccolo batuffolo che c’è stato affidato dal
destino!"
Lo sguardo perso nel vuoto e il tono lirico delle
parole del porcospino fecero rabbrividire la riserva dello Shohoku.
"Non mi sento suo padre…" notò lui,
cominciando ad accusare la stanchezza.
"Il padre sono io, infatti… tu sei la
madre" gli chiarì subito l’altro, soddisfatto di poter segnare
un punto.
"IO NON SONO UN CANE!!!" forse così la sua
obiezione era più chiara.
Gli occhi di Akira divennero tondi per lo stupore:
"Quando state insieme, io non colgo differenze…
sembra sangue del tuo sangue, pelo del tuo pelo, coda della tua coda…"
Questa osservazione diede a Koshino da pensare:
possibile che ad un occhio esterno potesse esserci tutta questa
somiglianza? E comunque era vero che anche lui sentiva forte l’attaccamento
per Bigetto…
Pronto ad approfittare del momento di defaillance del
ragazzo, Akira Mitsui continuò:
"Non vorrei che i compagni di giochi lo
chiamassero ‘bastardo’, ho paura che possa diventare lo zimbello del
branco… abbiamo il dovere di dargli una famiglia" constatò,
irremovibile.
"Non siamo già la sua famiglia?" come era
finito a partecipare a quel discorso da commedia dell’assurdo? Nelle
loro parole c’era qualcosa di vagamente surreale.
"Quello che gli stiamo dando è un insipido
surrogato dell’amore familiare, un amore che non è solo verso la
creatura, ma che anche i genitori devono provare tra loro, che devono
manifestare, in modo che il cucciolino capisca e goda appieno del calore
domestico".
"Non basta metterlo vicino al camino? E cosa
intendi per ‘manifestare’?" insistette Hiroaki, ancora non del
tutto convinto dalle parole del compagno.
"Questo!!" e Akira si lanciò su di lui,
afferrandolo per un braccio.
"CHE STAI FACENDO?! LASCIAMI!!!"
"No! E’ un sacrificio che dobbiamo compiere,
è per il bene di Bigetto…" e cominciò a trascinarlo verso le
scale, senza fermarsi neanche davanti alla stanza che i sei basketmen
avevano usurpato ai fratelli Mitsui, ma proseguendo verso la soffitta.
Aprì la porta con un calcio, chiudendola poi sul
muso del cagnolino che aveva trotterellato dietro di loro:
"Non volevi che godesse del calore
domestico?" lo interrogò Hiroaki, cercando di liberare il polso.
"Lo può godere anche da dietro la porta".
Con un ultimo sforzo, Akira trascinò il compagno sul
vecchio divano, quello da cui uscivano le molle e l’imbottitura di
lana, facendolo sdraiare e stendendosi sopra di lui.
"Spero che tu non stia tentando mosse
azzardate..." cercò di intimidirlo Koshino.
"Assolutamente no…" ma il sorriso di
Akira era tutto meno che rassicurante, mentre si sistemava i capelli
prima di passare all’assalto vero e proprio "…è una mossa che
ho studiato per tre mesi".
Il ghigno del porcospino era sempre più incombente
sul suo viso: cosa fare? Aveva ancora la possibilità di cercare di
scappare, di fuggire dal ragazzo che stava cercando di coinvolgerlo in
quella strana famiglia interrazziale…
Per prendere tempo, cominciò a ringhiare e a cercare
di graffiare le braccia portentosamente muscolose del compagno,
approfittando della situazione anche per palpeggiarselo ben bene: era ad
un bivio… cosa fare?
Cominciò ad accarezzare la schiena di Akira, e
avendogli permesso di avviare quel bacio mozzafiato, comprese che il
dado era tratto. Con un ultimo sforzo, cercò di costruirsi davanti agli
occhi l’immagine sorridente di un Bigetto entusiasta per la loro
elezione come famiglia dell’anno, al barbecue estivo
Genitori&Cuccioli…
Koshino scosse la testa: per Bigetto, solo per
Bigetto… così, nonostante tutta la propria timidezza, lasciò le mani
cominciare a vagare sotto il maglione del porcospino, sperando solo che
quegli aculei unticci non sostenessero un ruolo attivo nel loro primo
tentativo di dare alla loro creatura una vera mamma e un vero papà…
"Ehi! Ma perché io devo essere la mamma?"
si lamentò all’improvviso.
"Ora lo capirai…" ghignò l’altro,
allontanandosi di pochi centimetri dal suo viso, giusto il tempo di
togliersi un pezzo di lana dalle ciocchette "E poi… quando lo
tieni in braccio e gli ringhi, è evidente che tra voi il legame è a
livello di cordone ombelicale…"
Koshino non ebbe tempo e modo di replicare: il calore
domestico lo stava ormai bruciando…
Dopo l’esperienza vissuta con l’oca Evelina,
Kiyota aveva cercato in ogni modo di evitare contatti con la parte
animale della fattoria Mitsui, categoria che comprendeva ovviamente
anche lo stesso Shinichi; la cosa, però, si era rivelata più ardua del
previsto: il pelle-gialla, nonostante macumbe, amuleti, corni e quant’altro,
era sempre vispo e arzillo, pronto ad affiancarglisi nei momenti più
imprevisti.
E così, nelle settimane precedenti, Nobunaga aveva
anche dovuto presentare i propri omaggi alla mucca Milly. La bestia, che
fino a quel momento lui aveva considerato una vittima sacrificata alla
pazzia del terzogenito dei Mitsui, ma che d’altra parte costituiva un
comodo paracadute, vista la sua capacità di catalizzare l’attenzione
di quel pazzoide, durante il primo incontro gli sembrò, però, una gran
bastarda.
Durante la presentazione ufficiale, cosa considerata
altamente offensiva da ogni Galateo che si rispetti, si era rifiutata di
stringergli la mano, e anzi, gli aveva slappato il braccio con quella
lingua umidiccia… una cosa leggermente rivoltante. E poi, quando lui
le aveva generosamente presentato l’amuleto di Piciù, aveva muggito e
agitato la coda, non propriamente pulita, e lo aveva colpito facendo
cadere la piccola divinità nel trogolo.
Come poter costruire un rapporto amichevole con una
bestiaccia indisponente come quella? Neanche per amore di Shin-kun ci
sarebbe riuscito!
SHIN-KUN???!!! AMORE???!!!
Stava impazzendo… completamente, senza speranza.
No, lui non era interessato a quella specie di idiota
scervellato! Uno che parlava con gli animali… Certo, lui parlava con
gli spiriti delle tenebre, ma la cosa aveva tutt’altro spessore, c’era
una tensione mistica che era invece assolutamente assente nel mungere
una mucca o nel versare il pastone nella ciotola dei maiali! E poi il
pelle-gialla non era la persona adatta a lui, lo sapeva bene…
avrebbero vissuto una vita carica di infelicità se fossero rimasti
insieme, glielo aveva detto anche Piciù.
Kiyota scosse la testa, prendendo ancora una volta in
mano l’amuleto che aveva consultato così spesso, ultimamente:
"Oh mio Piciù, puoi salvarmi solo tu!" lo
invocò. Ma gli occhi della piccola divinità rimasero calmi ed
imperturbabili, come sempre. Era inutile, ma decise di fare un ultimo
tentativo: afferrò carta e penna e cominciò a buttare giù l’ennesimo
test di compatibilità. Chissà che questa volta il responso degli Dei
non si rivelasse favorevole…
"Cosa stai facendo, Principe Kiyota?"
E chi poteva essere se non il ragazzo a cui stava
pensando, appena liberato dalle incombenze lavorative della giornata?
"Sto scrivendo, non lo vedi?!" gli replicò
lui, cercando contemporaneamente di nascondere i fogli.
Per quanto il linguaggio delle stelle fosse molto
complesso, persisteva sempre una possibilità che Shinichi riconoscesse
il proprio nome, vedendolo scritto su un pezzo di carta.
"Non dovresti affaticarti tanto… il lavoro
intel… inte… beh, senza le mani, spesso debilita il corpo più di
quello fisico…" leggere Il Gallo del Pollaio, uno dei fumetti da
collezione di Minori, gli aveva fatto scoprire tante notizie
interessanti come questa. Non aveva però capito perché, nonostante il
titolo, non si parlasse esattamente di galli e galline…
"E a te che te ne frega?" gli ribatté
Nobunaga, ancora infastidito per quella interruzione inopportuna,
proprio quando stava parlando con Piciù del loro futuro.
"Sei di malumore? Qualcuno ti ha fatto qualcosa?
Chi è stato… dimmelo, che io, Milly e Tamarindo partiamo subito in
spedizione punitiva!"
Ecco, si era di nuovo agitato… era troppo
apprensivo dietro quella sua maschera di imperturbabilità che vestiva
in presenza di estranei. In qualche modo, però, Kiyota era contento di
quella differenza di comportamento, lo faceva sentire l’unica persona,
quindi tralasciando gli animali, importante per il pelle-gialla.
"Non è successo niente, solo che stavo meglio
da solo…"
Sentì la grande mano del compagno appoggiarglisi
consolatoria sulla spalla, ed avvertì di conseguenza il crick delle sue
ossa in seguito a quella pressione.
"Stai troppo da solo, ricordati che fa parte dei
tuoi nuovi doveri sociali stare… sempre con me!!" e Shinichi si
abbassò fino a sfiorargli la fronte con la propria.
Lui si voltò di scatto:
"Ti ho detto mille volte che tra noi non può
funzionare!!! Appena si riaprirà il passo, io tornerò a Kanagawa, e
questo non rimarrà che uno spiacevole ricordo!" era stato duro, ma
era necessario. Con gli auspici sfavorevoli, era impossibile pensare che
tra loro potesse nascere qualcosa: questo era uno dei precetti
fondamentali che gli aveva insegnato la madre, insieme a come truccare
le predizioni dei tarocchi a seconda delle aspettative della persona che
se li faceva leggere.
"Perché fai così?"
Ecco, non ci mancava che quell’espressione da
cucciolone abbandonato…
"Senti, io ci ho provato… ho fatto il test di
compatibilità venticinque volte. Le cose non funzionerebbero…"
"Anche Milly ed Ezechiele sembravano
incompatibili, eppure si amavano!!!" l’immagine della mucca e del
cavallo dalla lunga criniera nera era sempre stata per Shinichi la
personificazione dell’amore ideale che supera ogni ostacolo.
Anche Raperonzy aveva lunghi capelli scuri…
"No, no e no!!! Io non posso contravvenire a
quelle che sono le convinzioni di tutta la mia vita!"
"Ma qui non ci sono i vigili… perché temi la
contravvenzione?!"
"VEDI?! Lo vedi che non riusciamo neanche a
capirci quando parliamo?" e Nobunaga scosse la testa ancora una
volta.
"Fammi vedere il test di compatibilità. Sono
sicuro che la risposta di Piciù non può essere negativa!"
Il fare deciso di Shinichi portò Kiyota a liberare i
fogli, e a porgerli al compagno:
"Piciù non deve pronunciare neanche un voto
sotto il sei, altrimenti è un caso di ‘incompatibilità conclamata’,
qualcosa contro la quale nessun umano può fare nulla" spiegò,
conciso.
Il The Best, come usava chiamarsi, o The Beast, come
lo avevano soprannominato i gemelli, non volendo imparare la giusta
pronuncia, cominciò a scorrere le varie voci:
"Nomi: Shinichi e Nobunaga…"
Raperonzy cominciò a far oscillare l’amuleto sulla
tavola delle risposte:
"Entrambi orridi – lesse lentamente –
compatibilità: 7".
Il pelle-gialla si fregò le mani:
"Beh, siamo partiti bene!
Residenza: Fujimori, Kanagawa…"
"Compatibilità: 7".
"Attività per il tempo libero: parlare agli
animali, arti magiche…"
"Meglio se praticate a breve distanza da un
manicomio – lesse ancora Kiyota – Compatibilità: 8".
"Occhi: marroni, marroni…"
"Compatibilità: 9, soprattutto se in tutto sono
quattro".
"Mi sembra che stiamo procedendo alla grande –
notò Shinichi, che aveva temuto una sfilza di tre – Biancheria
intima: Slip e Boxer… come fai a sapere che biancheria indosso?!"
"Lascia perdere, è meglio…" non era il
caso di spiegare che aveva cercato in tutti gli armadi di casa, e che
alla fine si era dovuto arrendere e riconoscere che i mutandoni di lana
con cucita la S erano proprio del pelle-gialla…
"Compatibilità 6. Piciù consiglia il perizoma…"
"Il peri-ché?"gli chiese il compagno,
sconcertato.
"Vai avanti! Faremo notte, e Piciù non può
stare a nostri comodi per ore e ore!"
"Segni particolari: pelle gialla, intelligenza
sublime… è vero, Rapy, sei davvero un genio!!"
"Lo so. Compatibilità: 6,5… Anche se una
persona intelligente non si metterebbe con uno che parla agli animali.
Ehm, Piciù ogni tanto è troppo drastico".
Ma Shinichi non aveva rimostranze, fintantoché il
verdetto finale fosse stato positivo.
"Gelati: pantera rosa, puffo… mi commuove
vedere come hai imparato a conoscermi; neanche Milly sapeva della
pantera rosa…"
"L’avrebbe considerato un tradimento! – un
po’ di livore per il rapporto decennale che legava Milly e Shinichi
era inevitabile – Compatibilità: 8. Nessun altro li mangerebbe"
fu il responso completo di Piciù.
"Principe Kiyota, ci manca l’ultima domanda…
ce l’abbiamo quasi fatta!"
Lui scosse la testa, quella era la domanda su cui si
sarebbero arenati, quella che avrebbe decretato la loro
incompatibilità.
"Età: quarantatre, ventuno…"
"Compatibilità: 3. Esattamente come tutte le
altre volte… non c’è niente da fare, il destino non ci
assiste" e Kiyota scosse il capo, sconsolato.
"Cucciolo, ma per me non è un problema… avrai
l’età che hai, ma non la dimostri affatto!! Fra l’altro, nella tua
previsione mi hai anche tolto un paio d’anni, e poi io non mi farò
problemi: ti ricordi il film Highlander? Tu sei come il protagonista, i
tuoi poteri magici ti impediscono di invecchiare!"
Ci fu un momento di silenzio, come se entrambi
stessero riflettendo su quello che si erano appena detti… poi Kiyota
sollevò la testa con sguardo interrogativo:
"I miei poteri magici non mi permettono di
invecchiare? Ho ventun anni, non credo di dimostrarne dodici!" e il
ragazzo cercò di specchiarsi nel vetro che incorniciava la fotografia
di Piggy.
"E allora perché hai detto di averne
quarantatre! Stai falsando il test di compatibilità…" gli
replicò il pelle-gialla, profondamente offeso.
"Non sono io ad averne quarantatre, sei tu!!
Almeno a guardarti… e poi ho sentito i gemelli chiamarti Old
Man!"
"Perché… che significa? Comunque ne ho
ventitre di anni: del resto, Hisashi ne ha venticinque ed è mio
fratello maggiore…"
Accidenti, un ragionamento non da poco, pensò Kiyota.
"Beh, fatti un lifting, allora. Sembri averne il
doppio".
"Pensavo ti piacesse il fascino maturo! Evelina,
quando aveva dieci mesi, si innamorò di un cigno di cinque anni. Una
storia molto romantica" e il ragazzo si perse nei ricordi
pennuteschi.
"Cigno pedofilo!"
Shinichi non rispose, Rapy sarebbe diventato
romantico, volente o nolente, stando con lui; aveva così tanti esempi
di amori bestiali da portargli…
"Cosa dice Piciù? E’ l’ultima domanda del
test…"
"Ventitre e ventuno: compatibilità complessiva…"
Stettero entrambi con gli occhi incollati all’amuleto
oscillante, finché Raperonzy non si chinò a guardare in quale casella
si era fermato:
"Non posso crederci… NON POSSO CREDERCI!!!!
COMPATIBILITA’ 10!!!!!!"
E Kiyota si abbandonò contro lo schienale,
completamente privo di forze. Poi sollevò lo sguardo sull’amuleto:
"Tu che potevi salvarmi… adesso sono proprio
destinato a rimanere con questo zoticone!"
La risposta di Piciù non arrivò, lo raggiunsero
invece due braccia forti, muscolose, che lo sollevarono, buttandoselo su
una spalla.
"EHI!!! Che diavolo stai facendo?!"
cominciò a gridare e ad agitarsi, come era giusto per un’anima
candida come la sua in una simile situazione, ma in realtà sperando
solo che il compagno si sbrigasse a trovare un posto tranquillo in cui
arrivare al sodo.
"Ormai abbiamo anche la benedizione delle
divinità, non c’è più necessità di aspettare" e, attraversata
l’aia, il pelle-gialla usò i piedi del suo Raperonzy come ariete,
spalancando la porta della stalla.
Sotto gli occhi stupiti di Milly, Bucaneve ed Apu, i
due si inerpicarono sul soppalco. Dopo qualche minuto, i tre animali
cominciarono a guardarsi con gli occhi sgranati: neanche ai tempi di
Ezechiele in quel luogo erano risuonati muggiti così intensi…
Anche a Fujima l’idea dell’avvicinarsi dello
scioglimento della neve, e quindi dell’agibilità del passo, portava
pensieri contrastanti. Si era abituato alla presenza continua dei
compagni di squadra, a Uozumi, che aveva perso di vista per un po’
troppo tempo, a Rukawa, che non era mai riuscito a conoscere a fondo, a
Koshino, di cui ormai sapeva riconoscere il ringhio a chilometri di
distanza, a Kiyota e al suo Piciù, allo sguardo fiero di Minami, e si
era affezionato ancora di più a Kogure, alla presenza calma e serena
che il quattr’occhi, nonostante i suoi problemi, riusciva a mantenere
in quella gabbia di matti.
Quattr’occhi: questa parola gli faceva venire in
mente qualcun altro, e non era assolutamente il caso di perdersi in
pensieri poco costruttivi, pensieri che purtroppo lo assillavano sempre
di più, ultimamente…
Scosse la testa, e riaprì il libro di batteriologia
che Toru gli aveva prestato. Era un testo universitario che faceva parte
della biblioteca che il ragazzo si stava costruendo per formarsi delle
basi serie e poter curare gli animali della fattoria.
Avrebbe studiato un po’, prima di andare a dormire.
Ormai trascorreva quasi tutte le sue serate così: cenava con gli altri,
rimaneva un po’ a chiacchierare davanti al camino, e poi saliva in
questo vecchio studio nel quale Toru aveva raccolto i frutti delle
spedizioni nelle librerie di Kanagawa. Quando Kenji aveva rivisto per la
prima volta il libro che li aveva fatti incontrare, non aveva potuto
trattenere un sorriso, soprattutto per quella frase scritta nella prima
pagina: i loro nomi, la data, l’indirizzo della libreria. C’era
qualcosa di dolce, di commovente, in quelle parole vergate dalla grafia
decisa di Toru…
Ecco, ci stava cadendo di nuovo, di nuovo si stava
perdendo in pensieri che non lo avrebbero portato da nessuna parte.
Provò ancora una volta a concentrarsi sullo studio, ma sembrava proprio
che non fosse la serata giusta, perché presto sentì dei colpi leggeri
contro la porta.
Si voltò, sebbene non potesse certamente
sorprenderlo scoprire chi fosse a cercarlo a quell’ora.
"Minori e Hanamichi hanno deciso di fare le
castagne arrosto, ho pensato di portartene qualcuna…".
Già, non solo quelle, però, anche una tazza di
cioccolata calda e un bicchiere d’acqua.
"Grazie, non dovevi disturbarti" disse lui,
a disagio. Ormai la presenza dell’altro ragazzo lo metteva in
difficoltà, come se non si sentisse più in grado di controllare la
propria calma leggendaria; gli sembrava di essere messo a nudo…
Che diavolo!! Perché sempre le parole sbagliate?
"Nessun disturbo, stai studiando?"
continuò Toru, rimanendo in piedi.
"Sto tentando… siediti un po’ qui con
me".
No, non avrebbe dovuto farlo, ma era stanco di
controllarsi, e aveva voglia di trascorrere un po’ di tempo con l’altro
ragazzo, di poter finalmente parlare con qualcuno che aveva i suoi
stessi interessi.
Toru si sedette sul divano, lasciando un po’ di
spazio tra loro.
"E’ l’ultimo esame, ci tengo a darlo
bene" continuò Fujima, poggiando la matita sui fogli pieni di
appunti.
"Se vuoi, posso aiutarti a ripetere… farebbe
piacere anche a me, mi aiuterebbe a colmare qualcuna delle mie infinite
lacune" gli sorrise il compagno, appoggiando la testa sullo
schienale del divano, e strofinandosi delicatamente il naso, dopo
essersi sfilato gli occhiali.
"Stanco?"
"No, non più del solito. Vogliamo
cominciare?"
Erano le due di notte quando chiusero i libri. Kenji
si era accorto che l’altro si sminuiva quando parlava della propria
preparazione, infatti in certi campi aveva conoscenze molto più
approfondite delle sue. Studiare insieme era stato piacevole e
produttivo, e adesso lui non aveva assolutamente voglia di tornare nella
camera con i compagni dello Shohoku, e distruggere l’atmosfera che si
era creata tra loro.
"E’ un peccato che tu non sia andato all’Università,
si vede che sei proprio portato per la materia… ci metti
passione" mormorò, fissando lo sguardo sul camino acceso.
"La fattoria era più importante, e un po’ di
conoscenze sono riuscito comunque ad acquisirle… quel tanto che basta
per poter aiutare la nostra famiglia; andare in città avrebbe
comportato troppe difficoltà".
Già, glielo aveva già detto che la scelta era stata
in qualche modo dettata dalla necessità di sostenere la propria parte
di lavoro nella fattoria. Un vero peccato, poche persone avevano la
stessa passione di Toru per la veterinaria.
Kenji era contento della scelta fatta, l’aveva
ponderata coscientemente, eppure sentiva che gli mancava qualcosa…
qualcosa che l’altro, invece, possedeva. Stava cominciando a pensare
che forse quel che gli mancava era l’amore per tutti gli animali, il
desiderio di vederli sani, l’emozione di curare anche una gallina,
oppure un maiale maleodorante. Stava cominciando a rendersi conto che la
sua vera idea del mestiere di veterinario ricalcava il modello esibito
dai lindi studi medici di città, in cui gatti siamesi dai sorridenti
occhi azzurri si acciambellavano felici, per sottoporsi, con grazia,
alla vaccinazione di turno… interpretazione della professione che lui
aveva sempre disprezzato, perché sapeva che essere un medico degli
animali significava curarli tutti, sporcarsi le mani, lavorare di notte
in stalle fredde e buie… eppure lo stereotipo del giovane veterinario
di città aveva contaminato anche lui.
Scosse la testa: era terribile riconoscersi in quello
che si criticava negli altri!
La voce di Toru lo riscosse dai propri pensieri:
"Beh, forse è il caso che io vada… si è fatto tardi".
Gli sorrise:
"Ah, sì, è meglio…" ma non si mosse dal
divano.
"E tu non vai a dormire?" il compagno
sembrava aver notato la stranezza del suo comportamento.
"Non ho sonno – spiegò – Rimarrò un po’
qui; devo aver superato il momento di crollo, e ora credo che potrei
andare avanti fino a domani mattina".
L’altro si rilassò di nuovo contro lo schienale
del divano:
"Ti va di chiacchierare?"
Sì, gli andava, gli andava anche solo di stare
seduti vicini, a guardare le fiamme che ardevano nel camino, ma forse
questo non era il caso di dirlo.
Parlarono di veterinaria, ovviamente, di animali, di
quell’inverno così freddo, almeno per il ragazzo abituato a vivere a
valle a temperature ben più miti, e poi degli altri abitanti della
casa.
Non fu nominata Kanagawa, non ci furono cenni all’imminente
scioglimento della neve e quindi alla prossima partenza.
"…e quindi il tuo primo intervento è stato la
ricomposizione di una mascella?"
Kenji sorrise:
"Primo anno di praticantato. Avevo una paura
terribile di sbagliare; inoltre, giocare a pochi centimetri dai denti
acuminati di un alano non era esattamente rassicurante! Mi sembrava di
aver dimenticato tutto quello che avevo letto sugli interventi di quel
tipo… tabula rasa!"
"Sono sicuro che sia andato tutto bene" gli
replicò Toru, con la sua voce calda.
"Sì, andò tutto bene, ma credo fu quasi un
caso. Quel briciolo di tranquillità che mi era rimasta era dettata
dalla presenza del professore, accanto a me. Scioccamente mi sentivo
come il ragazzo che impara a guidare con l’istruttore seduto affianco,
peccato che quando hai il bisturi in mano non esistano i doppi
comandi!"
Rimasero qualche secondo in silenzio, poi fu il
ragazzo più alto a parlare:
"Una cosa del genere capitò con Blackie: si era
azzuffata con un altro cane e aveva rimediato un bel po’ di morsi.
Rimetterla in sesto non fu facile, si dibatteva e ringhiava… dovemmo
legarle il muso con un laccio per renderla inoffensiva".
"Tra le cose più utili che insegnano all’Università
ci sono i metodi da utilizzare per immobilizzare gli animali. Per gli
interventi di questo tipo c’è una presa particolare…"
Kenji avvertì subito lo sguardo incuriosito dell’altro,
e proseguì:
"Devi afferrare un orecchio dell’animale, in
modo da torcergli il muso quel tanto da fargli capire che non gli
conviene fare scherzi, e poi sederti sul suo torace, per bloccargli le
zampe".
"Ah, davvero?" ma il ragazzo sembrava tutt’altro
che convinto.
"Guarda che funziona!" insistette lui, un
po’ divertito e un po’ offeso dallo sguardo di sufficienza del
compagno "Stenditi, adesso ne avrai una dimostrazione
pratica".
L’altro, sorridendo, si lasciò sistemare sul
divano… e del resto era evidente che Toru fosse più che felice di
prestarsi a qualsiasi sperimentazione decisa da Fujima.
Kenji lo scavalcò con una gamba, ancora troppo
infervorato nella dimostrazione della validità della tecnica per
rendersi conto di quanto la situazione potesse diventare imbarazzante.
Con le ginocchia bloccò gli avambracci di Toru, poi
gli afferrò un orecchio, pronto a voltargli la testa.
"Beh, prima di continuare magari questi è
meglio toglierli…" lo interruppe il ragazzo moro, liberando un
braccio per sfilarsi gli occhiali.
Seduto sul suo stomaco, una mano a tormentargli il
lobo dell’orecchio, le ginocchia a bloccargli le braccia, Kenji
finalmente si rese conto della particolarità della loro posizione, e di
come il suo basso ventre si stesse rapidamente infiammando.
E gli occhi… quegli occhi finalmente liberati dallo
schermo delle lenti erano semplicemente meravigliosi! Stava quasi per
dirlo, quando la voce del compagno lo interruppe:
"Sono sicuro che Blackie sarebbe riuscita a
morderti comunque!".
Il sorriso ironico del ragazzo servì ad allentare la
tensione e a riportare Fujima allo scopo originario di quella
dimostrazione.
"Non ho ancora finito!" e con mossa decisa
gli voltò il viso da una parte, esponendogli completamente il collo
"Ora sei nelle mie mani!" concluse ridendo.
"Non ho paura" fu la risposta tranquilla di
Toru.
Kenji sentì quel qualcosa che era cresciuto dentro
di lui, e a cui finalmente era riuscito a dare il nome di desiderio,
venire sempre più prepotentemente in superficie… e l’avere il
ragazzo immobilizzato sotto di sé non lo aiutava di certo.
Si abbassò lentamente, quasi fosse un altro a
controllare i suoi movimenti, e presto si ritrovò con le labbra sulla
pelle fresca e liscia del collo del compagno…
Non appena si rese conto di cosa aveva fatto, si
ritrasse come scottato.
Quegli occhi che di nuovo si fissarono nei suoi
bruciavano però della sua stessa passione.
Toru liberò le braccia intrappolate sotto le sue
ginocchia e gliele portò intorno al petto, serrandoselo contro:
"Non scappare…" gli sussurrò, senza
però tentare di baciarlo.
Fu Fujima a prendere di nuovo l’iniziativa, a
stringergli le braccia dietro il collo e ad accarezzargli lentamente le
labbra con le proprie.
Quando si separarono, Toru gli sorrise dolcemente,
poi, con un colpo di reni, ribaltò le posizioni:
"La tua tecnica funziona, ma spero che non sia
finita in questo modo anche con l’alano…" non diede però tempo
all’altro di dare voce a quell’espressione disgustata che gli si era
dipinta sul viso, perché, improvvisamente, visto l’aumento della
temperatura della stanza, la cosa più importante sembrava essere
diventata liberarsi di tutti quei vestiti non più necessari…
Kaede Rukawa era appena tornato dagli allenamenti,
che, indefessamente, continuava a praticare ogni mattina dall’alba
fino all’ora della colazione, e ogni pomeriggio, dopo il pranzo.
Rimanere allenato era fondamentale per lui; se voleva
veramente arrivare a giocare in America, non poteva permettersi di
perdere un minuto… e invece erano già passati più di tre mesi.
Fortunatamente si stava avvicinando Marzo, e quindi
lo scioglimento della neve, e finalmente sarebbe potuto tornare a
Kanagawa a giocare vere partite con veri campioni.
Oddio, quel campo alla fattoria era sempre meglio di
niente, ma non poteva certamente dargli la sensazione del parquet!
Si soffiò sulle dita, che, dopo lo sforzo, si
stavano di nuovo gelando rapidamente.
"Ehi Kits! Non avrai preso freddo? Hai il nasino
arrossato…"
Non poteva essere che quell’idiota del rossino, che
fra l’altro aveva pure cercato di dargli una botta leggera sull’organo
in questione.
"Lasciami, do’aho!" gli replicò lui
duramente, cercando di allontanarlo.
"Ma Kits…" e di nuovo quello sguardo da
cucciolo abbandonato. Cominciava ad odiarlo, per il potere che sapeva
esercitare su di lui…
"Sto andando a fare merenda" gli borbottò,
ritrovandosi però ancora una volta ad avere un tono meno brusco di
quando non fosse nelle sue intenzioni iniziali.
"Sì, sì, andiamo a fare merenda! Ti preparerò
una torta a quattro piani, così sarai felice e metterai un po’ di
carne sopra a quelle ossa!"
Eccola un’altra ossessione del do’aho: la sua
magrezza. Sembrava che fosse diventata la missione di quello scimmione
farlo ingrassare… perché non riusciva a capire che lui stava
benissimo senza per forza doversi strafogare con le cose più grasse
custodite nella dispensa?
"…e sopra la torta metterò la panna di Milly…
quella mucca è fenomenale! Oddio, meglio che Shinichi non ci senta, tu
non sai quanto possa essere geloso!"
"Do’aho… dacci un taglio!"
"Uh? Perché?"
E così si avviarono insieme verso casa… casa: non
che quella lo fosse veramente, la sua ‘casa’ era a Kanagawa, con la
madre.
Dalla morte del padre, lei era stato il suo unico
riferimento, fra loro c’era un legame di affetto e comprensione che il
ragazzo non aveva mai avuto con nessun altro. Chissà cosa stava facendo
in quel momento? Come aveva reagito alla sua scomparsa? Uscito per
recuperare il gatto, era finito con un do’aho…
Si voltò a guardare velocemente il compagno: non lo
aveva ancora ucciso solo perché il suo blaterare continuo e le sue
attenzioni lo prosciugavano anche a livello fisico, inibendogli
qualsiasi tentativo di metterlo fuori uso.
"A cosa stai pensando, Kaede?"
"A niente" ripose lui, brusco. Gli faceva
impressione che quella testa rossa lo chiamasse per nome, non erano
davvero in molti a farlo.
"Sembravi preoccupato… nulla sfugge all’attenzione
del grande Hanamichi Mitsui!"
Non gli rispose neanche, tanto l’ego sconfinato del
do’aho non sarebbe uscito ridimensionato da una qualsiasi sua
osservazione acida, e poi, tutto sommato, neanche lui aveva voglia di
farne. Era cambiata più di una cosa in quei mesi di segregazione, e una
di queste era proprio il rapporto con la scimmia rossa, che, sebbene
rimanesse una piattola fastidiosa per il 95% del tempo, ogni tanto
riusciva quasi a farlo stare bene, a farlo sorridere. Beh, del rossino
non si poteva certamente dire che non fosse un tipo solare… e poi era
bello il rapporto che lo legava ai fratelli.
Rukawa aveva guardato con più di una punta di
invidia certi battibecchi con Minori, le prese in giro a Shinichi e
Akira, la stima e l’affetto dimostrati per Toru, le discussioni con il
gorilla, che terminavano sempre con un pugno in testa, e il modo
rispettoso che aveva di parlare del fratello maggiore. Era una bella
famiglia, numerosa e calda, qualcosa di completamente diverso dagli
standard della città.
Terminata la merenda, in cui era riuscito ad evitare
tutti i tentativi di Hanamichi di trattarlo come un polletto all’ingrasso,
l’asso dello Shohoku decise di uscire per una passeggiata: qualche
settimana prima aveva scoperto un posto fantastico, nascosto nel bosco
di abeti.
Prima di uscire, salì in camera da letto, per
indossare lo yukata nero di Hisashi che gli aveva dato Kogure, e poi
prese alcune cose dal bagno.
Hanamichi, rimasto in cucina, non si era accorto che
l’altro si fosse allontanato:
"Ehi, quattr’occhi semplice, non hai visto la
mia kitsune, da qualche parte?" interrogò subito Kimi-kun,
impegnato nella nobile arte del pelar patate.
Kogure sollevò lo sguardo:
"Era qui con te, fino a pochi minuti fa…"
notò acutamente.
"Questo lo sa anche il genio… pensi che sia
deficiente?!" e il rossino scosse la testa "Adesso però è
scappato via: si è approfittato di un momento di distrazione del grande
tensai… di appena cinque minuti dedicati alle necessità fisiologiche
– spiegò con fare cospiratorio – e si è dileguato!"
"Mi sembra di aver sentito aprire la porta sul
retro. Prova a vedere se è tornato ad allenarsi; conoscendo Rukawa non
è una cosa del tutto impossibile!" fu il suggerimento dell’altro.
Possibile che la kitsune fosse così drogata di
basket da essere tornata a giocare? Beh, poteva anche essere. Stavolta,
però, lo avrebbe sfidato e battuto, senza farsi problemi per il fatto
che Kaede ci sarebbe rimasto male, tra l’altro il broncio di Rukawa
non gli dispiaceva per niente, e poi era giunto il momento di
dimostrargli chi fosse a portare i pantaloni, in famiglia! Certo, se
avessero giocato a Pachinko, questa dimostrazione sarebbe stata più
semplice, ma il motto della famiglia Mitsui era stato, nei secoli, ‘quando
il gioco si fa duro…’ e quel che segue.
Si incamminò verso il campo di basket, ma
improvvisamente qualcosa di scuro, verso il limitare del bosco, attrasse
la sua attenzione.
Possibile che fosse proprio la kitsune? I capelli
corvini e la figura elegante che si muoveva dentro uno svolazzante
yukata nero lasciavano pochi dubbi.
Hanamichi accelerò il passo: un dolore sordo gli
affliggeva il petto: che il suo… ‘suo’… SUO Kaede avesse un
appuntamento con qualcuno?
Chi… chi osava frapporsi tra lui ed il suo amore?!
Il calimero! Doveva essere il sordido calimero: non
contento della relazione con Minori-il-trivellatore-folle, aveva deciso
di infastidire la sua volpe! Forse lo stava ricattando… Sì, doveva
essere così: aveva minacciato ripercussioni contro il grande genio, e
così Kaede non aveva potuto rifiutarsi di andare all’appuntamento! Il
volpino, però, non avrebbe ceduto alle avances del pennuto: avrebbe
dichiarato il suo amore imperituro per il do’aho… no, lo avrebbe
chiamato Hana-amore, e poi avrebbe estratto dalla manica dello yukata un
lungo coltello affilato, presumibilmente quello che Takenori aveva usato
per intagliare le statuette dei settanta nani disseminate per il
giardino, e si sarebbe ucciso, virtuoso e innocente come un giglio
bianco, sotto lo sguardo crudele dell’orrido calimero…
"NO! KITSUNE NON LO FARE!!!" urlò
Hanamichi, cercando di raggiungere il suo amore, ma la distanza era tale
che la figuretta scura che si apprestava al sacrificio non lo sentì. E
allora il rossino si lanciò all’inseguimento… avrebbe sventato il
piano del pennuto ed avrebbe salvato il suo amore… era sempre stato
predestinato al ruolo dell’eroe! Poi si sarebbero sposati ed avrebbero
avuto tanti pargoli con gli occhi blu e i capelli rossi… sicuramente
con l’incetta di Tramonto di Autunno a cui si era sottoposto, anche il
gene responsabile del colore dei capelli doveva aver assorbito la
tintura!
Ecco, finalmente era ad una quindicina di metri da
Kaede… come era bello e determinato mentre si avviava verso il luogo
del sacrificio! Non avrebbe mai dimenticato una scena così commovente…
Stavano salendo parecchio, notò, e lui non era mai
stato in quei posti… a dire il vero, aveva sempre pensato di perdersi
in quel bosco così fitto. Il suo amore, invece, si arrampicava con
agilità, e quindi anche Hanamichi strinse i denti… ne andava del suo
onore!
Poco dopo si ritrovò sul limitare di una piccola
radura, che si era aperta all’improvviso proprio quando sembrava di
essere nella parte più fitta del bosco. Kaede aveva rallentato l’andatura,
poi si era fermato a guardare qualcosa…
Il rossino si sporse, sicuro di vedere emergere il
becco giallo del calimero, e invece… era incredibile! Sembravano
proprio delle piscine naturali! C’erano delle pozze di acque termali
dalle quali si sollevavano nuvole di vapore…
Oddio, oddio, oddio… perché Kaede si stava
allentando la cintura che teneva chiuso lo yukata? E poi cos’era
quella boccetta che aveva tirato fuori dalla tasca? Non intendeva… non
intendeva mica FARE IL BAGNO?!
Ma… a cosa pensava quella testa vuota? E se
qualcuno lo avesse visto? Ok, lui doveva rimanere a controllarlo, nel
caso si fossero rivelate presenze moleste.
Uh, uh, uh!!!! Si stava lasciando scivolare dalle
spalle la stoffa scura... com’era bella la pelle lattea delle spalle,
e poi la schiena liscia, perfetta, le braccia lunghe, sottili, e poi…
PERCHE’ DIAVOLO PORTAVA I BOXER??!! Lo aveva fatto
apposta, per rovinare tutto l’effetto!!
Uuuhh… ecco le gambe! Slanciate, lunghissime…
Hanamichi dovette portarsi le mani a coprirsi il
viso: maledì il freddo, anche se sapeva bene che la responsabilità
vera era da attribuire allo spettacolo che aveva davanti, e cercò di
arginare la perdita niagaresca di sangue dal naso.
Nonostante la sofferenza, però, sarebbe rimasto a
vegliare il suo tesorino… tesorino che si stava rapidamente immergendo
nell’acqua calda.
Il rossino cercò una posizione più strategica, in
modo da poter seguire ogni movimento della sua volpaccia inappetente. E
così lo vide mentre rovesciava la testa all’indietro per bagnare i
capelli, e poi mentre si versava il sapone sul corpo… più di una
volta Hanamichi dovette trattenersi dall’impulso di uscire dal proprio
nascondiglio e tuffarsi sopra la volpaccia per aiutarla ad insaponarsi
bene tutta la schiena, spinto ovviamente solo da spirito caritatevole…
Oddio… di chi erano quegli occhi che scrutavano tra
le fronde? Chi osava avvicinarsi e posare lo sguardo sul corpo
meraviglioso del suo amore?
Con un balzo improvviso, il tensai saltò fuori dal
proprio nascondiglio, un altro balzo e fu sul bordo della pozza d’acqua
limpida in cui era immerso Kaede, un terzo balzo e fu proprio ‘sulla’
kitsune…
"Che diavolo stai facendo qui, do’aho!"
"Non vedi che c’è qualcuno che ti spia? Sto
cercando di proteggerti!" gli rispose lui, continuando a scrutare
tra le fronde.
"Ci sei solo tu a spiarmi! E adesso togliti di
dosso, IMMEDIATAMENTE!!"
Ma il rossino era ancora troppo calato nella parte
del supereroe per ascoltare le parole che gli venivano rivolte:
"Eccolo! E’ laggiù, lo vedi?"
E in quel momento la creatura mostruosa abbandonò il
nascondiglio nella boscaglia per pararglisi davanti.
"Lo sapevo che c’era qualcuno! L’occhio del
tensai non sbaglia mai…".
"E’ un ermellino, e DUBITO che sia qui per
spiare me!" la voce di Rukawa stava diventando sempre più tesa.
Era proprio una cosa degna del do’aho saltargli addosso per
proteggerlo dalle proposte lascive di un ermellino.
Un istante ancora ed entrambi i ragazzi si resero
conto della posizione imbarazzante in cui l’assalto improvviso li
aveva lasciati.
Sentendosi avvampare, e non solo in viso, Hanamichi
decise di farsi aiutare da un altro dei motti di famiglia, quel o la
va, o la spacca che aveva causato innumerevoli corse al pronto
soccorso, ma che qualche volta aveva condotto anche ad insperati
successi.
Si chinò sul viso della kitsune, non fermandosi
neanche quando la testa dell’altro, nel vano tentativo di
allontanarsi, finì completamente sotto l’acqua.
Il loro primo bacio sarebbe stato un bacio
subacqueo!! C’era qualcosa di particolarmente emozionante anche in
questo primato.
Alla ricerca della bocca della kitsune, e
contemporaneamente tentando di bloccargli braccia e gambe, come neanche
le tecniche veterinarie di Fujima avrebbero potuto fare, anche il
rossino si ritrovò completamente immerso nell’acqua calda. Purtroppo,
però, fece l’errore di ridere di felicità, e così dovette
momentaneamente abbandonare la presa, rischio annegamento.
Sputacchiando acqua, riemerse dalla pozza… stupito
però del fatto che il volpacchiotto continuasse ad agitarsi anche ora
che il tensai aveva scampato il pericolo di morte.
Allentò inconsapevolmente la presa sulle braccia del
compagno, e finalmente dall’acqua emerse anche la testa bruna:
"Razza di demente! Stavi cercando di
annegarmi?"
"Beh… - cominciò, grattandosi la testa
bagnata – veramente stavo pensando di baciarti… tecnicamente è una
cosa un po’ più complessa, sebbene comporti sempre uno scambio di
liquidi" spiegò, cogitabondo.
Subito, però, il suo spirito battagliero, che si era
manifestato sotto le sembianze del viso di Kaede a pochi centimetri dal
proprio, ebbe la meglio: c’era andato così vicino… non poteva
perdere quell’occasione! E così, passata una mano dietro il collo del
volpacchiotto, ancora sdraiato sotto di lui, gli attirò con decisione
il viso contro il proprio, impedendogli ulteriori repliche.
Era fantastico baciarlo!! Quella pelle di seta, i
capelli sottili, le labbra morbide, profumate, i denti candidi, con la
giusta percentuale di calcio… e che sarebbero stati ancora più
ammirevoli se non si fossero subito ostinati ad impedire l’accesso
della sua lingua…
Dopo vari minuti di battaglia, però, Hanamichi
cominciò a sentire dei segnali di cedimento, ai quali probabilmente non
era estraneo il gomito che aveva strategicamente piazzato nel diaframma
della sua kitsune… e così il bacio divenne più vero, più
passionale.
Quando si separarono, il piccolo Mitsui si accorse
subito degli occhi velati e del respiro affannoso del suo Kaede:
"Stai bene? Hai la febbre? Mal di testa? Dolori
reumatici?" chiese, pronto ad aiutarlo qualsiasi fosse la causa di
quella improvvisa sofferenza.
La kitsune scosse debolmente la testa, poi però
sollevò le braccia fino ad intrecciargli le mani dietro al collo:
"Ancora…" mormorò, chiudendo lentamente
gli occhi azzurri.
E ovviamente il tensai non se lo fece dire due volte.
Tsuyoshi Minami stava leggendo per la ventesima volta
lo stesso fumetto. L’unica cosa che aspettava, da tre mesi, era lo
scioglimento della neve, ed impiegava tutto il suo tempo nel cercare
qualcosa che lo distraesse da quel pensiero che stava diventando
ossessionante.
Sarebbe tornato a Kanagawa, avrebbe ripreso a giocare
a basket, avrebbe dimenticato per sempre quella casa, avrebbe
dimenticato per sempre Minori…
Serrò i denti: quell’idiota!! Non riusciva più a
sopportare il suo sarcasmo, le sue continue prese in giro, le battutine
a doppio senso. Chissà perché l’aveva aiutato a sbarazzarsi dei
vicini, quando poteva essere l’occasione buona per liberarsene.
Certamente non ne avrebbe sentita la mancanza, assolutamente no!
Si voltò sulla schiena, osservando il soffitto della
stanza: aveva passato tutto il pomeriggio sul letto, era diventato una
specie di tartaruga abbrutita e alienata, invece del vitale Ace Killer
che rappresentava il terrore delle squadre di basket dell’intero
Giappone.
Improvvisamente, proprio mentre stava meditando se
alzarsi ed andare a prendersi una mela in cucina, qualcuno,
evidentemente a bordo di un carro armato, aprì la porta della stanza:
"EHI, BOCCA DI BACI! Ecco dove ti eri
nascosto!!!"
E chi poteva essere se non quell’essere
insopportabile ed invadente? Non lo degnò neanche di uno sguardo,
mentre si alzava e poi gli passava davanti, imboccando il corridoio come
se neanche esistesse.
"Dove stai andando? Ehi, sto parlando con
te!"
La casa cominciò a tremare; poteva sembrare un
terremoto, ma erano solo i passi di Minori, leggeri come quelli di un
ballerino di tiptap, che risuonavano sulle scale. Minami non si voltò,
ma mantenne la sua espressione accigliata, rifugiandosi in cucina.
"Ma t’ha morso una tarantola?! Si può sapere
che accidenti ti piglia… torno a casa dopo una giornata di duro
lavoro, pensavo che almeno… - e il codino gli si avvicinò,
sfiorandogli delicatamente il mento con la mano – …che almeno un
sorrisino me lo meritassi!"
Sorrisino un corno! Uno scatto fulmineo e Tsuyoshi
aprì la bocca, serrando poi i denti sul pollice con cui l’altro gli
stava accarezzando il labbro inferiore.
"AHIA, BASTARDO!" succhiandosi il dito,
Minori gli lanciò un’occhiata inceneritrice.
Per il codino, però, fu uno sforzo non indifferente
evitare di sorridere: era molto più contento così, quando l’altro
evitava di fare il romantico sentimentale, e il loro rapporto ritornava
agli scontri violenti che lo avevano caratterizzato sin dall’inizio.
"E adesso dove stiamo andando?"
La mano sul pomello della porta di casa, finalmente
il calimero decise di girarsi verso quella presenza importuna che gli
blaterava intorno:
"IO vado nel granaio a prendere le mele per
Uozumi, TU fai quello che ti pare!"
"Vengo con te, sono sicuro che troveremo un
impiego interessante anche per la frutta… e poi sono certo che qualche
buona idea sia venuta in mente anche a te!" e gli lanciò una delle
sue solite occhiate ironiche.
"Vai all’inferno, maiale!" gli rispose
lui.
"No, mai fatto niente con Piggy, io!" gli
ribatté subito l’altro, mettendoglisi accanto e facendogli scivolare
un braccio intorno alla vita: "Solo con i bipedi… calimeri
compresi!"
Minami odiava quello stupido nomignolo che gli aveva
trovato quell’altro demente, Hanamichi, ma sembrava che più erano
evidenti le cose che gli davano fastidio, più gli altri fossero pronti
ad accanirsi ad utilizzarle contro di lui.
Cercò di conficcare la forchetta, che teneva sempre
in tasca, nel dorso della mano del codino, ma il demente sembrava aver
previsto la mossa: gli bloccò il polso, sollevandogli poi la mano fino
a sfiorarla con le labbra.
"Bastardo!" lo insultò.
"Passerotto!" fu la replica immediata.
Scosse la testa, disperato, ma non poté evitare che
Minori lo seguisse nel granaio/dispensa. Quando entrarono nell’edificio,
Minami, indicando la scala che portava al soppalco, comunicò
freddamente:
"Ecco, dobbiamo salire lassù. Credo che due
ceste possano bastare".
"Considerando quanto mangiano lui e la sua dolce
metà, credo che quattro sarebbero appena sufficienti" notò il
codino, avvicinandosi alla base della scala "Comunque non ci resta
che salire. Vado prima io, sia mai che nascosto lassù ci sia un drago
pronto ad attentare alla tua innocenza…".
Minori cominciò a salire, ridendo per la gomitata
ricevuta dal suo piccolo amore. Era davvero felice di aver trovato un
ragazzo come Minami: lui era un tipo che odiava le svenevolezze, aveva
sempre pensato ad un rapporto di coppia come ad uno scambio alla pari,
e, per stare alla pari con lui, era necessario qualcuno dotato di
aspetto maschio, muscoli e una lingua tagliente… il calimero, in poche
parole.
Certo, gli sarebbe anche piaciuto che la loro
relazione finalmente imboccasse un binario più passionale, che desse
maggiori soddisfazioni ‘fisiche’, ma per quello c’era sempre
tempo.
Una volta raggiunto il soppalco, fece un ampio gesto
con il braccio, tipo John Wayne che raduna la carovana, invitando Minami
a raggiungerlo.
Il soppalco era pieno di uva lasciata ad essiccare,
di mele, di patate. Costituiva il prolungamento della dispensa della
cucina, e ogni tanto qualcuno di loro veniva mandato in missione per
riportare a casa qualche scorta.
Improvvisamente un pipistrello si alzò in volo,
disturbato nel suo sonno pomeridiano dall’arrivo dell’ospite
importuno; Minori, nonostante il suo coraggio più che acclarato, non
poté trattenere la sorpresa e urlò, buttandosi a terra sulla paglia.
Mentre stava maledicendo a mezza bocca tutti i
pennuti, con la sola eccezione del calimero, sentì i passi frenetici di
quest’ultimo sugli ultimi pioli della scala di legno, e poi fu
raggiunto dalla sua voce trafelata:
"Cosa è successo?! Stai bene?" oh, oooohhh,
e chi era questa creaturina affezionata e preoccupata che si era subito
chinata accanto a lui per soccorrerlo?
Nascose abilmente un sorrisetto soddisfatto,
sfoderando invece una maschera di sofferenza pura, di quelle che neanche
gli sfigati che finivano al pronto soccorso più sanguinolento d’America,
in E.R., riuscivano ad esibire.
Oddio, il defibrillatore no, però! Se proprio doveva
essere risvegliato da un apparecchio elettrico… beh, aveva altre
preferenze.
"AAAAHHHH, AAAHHHHH!!!!" cominciò a
lamentarsi, esibendosi nella migliore imitazione di un maiale sgozzato.
"VUOI DIRMI CHE HAI?! Minori… tieni duro…"
E c’era bisogno di dirglielo?
"Resisti, adesso ti aiuto io… accidenti, ma
come hai fatto a farti male! Lo sapevo che dovevo venire da solo…"
Frase sospetta, molto sospetta…
"Riesci a muoverti? E’ la gamba, vero?"
Lui fece una espressione neutra: era accettata, come
risposta, ‘fuochino’?
"In questi casi si dovrebbe legare un bastone di
legno alla gamba, in modo che tu possa appoggiarti senza aggravare la
frattura… aspetta, che cerco un laccio e il legno adatto".
Ehm, lui non era mai stato contrario a sperimentare
qualcosa di un po’ ardito, ma lacci e bastoni di legno già al primo
approccio gli sembravano un po’ prematuri…
"Non è la gamba… - rantolò, un verso che
però sembrava più un grugnito animalesco - …ho sbattuto lo sterno…".
Ok, come faceva ad aver sbattuto lo sterno, cadendo?
In quella situazione, però, era sicuro che il calimero non sarebbe
stato troppo fiscale. E poi lo sterno costituiva una scelta strategica.
Minami gli premette le mani sulla zona incriminata,
poggiandoci tutto il peso, in modo tale che, se effettivamente fosse
stato il punto dolorante, ora Minori sarebbe morto; poi gli mormorò:
"Non devi muoverti, non devi fare sforzi. Penso
a tutto io…"
Sì, purché però i ruoli fossero chiari. Potevano
anche variare le posizioni, ma la fama di trivellatore folle aveva pur
sempre una ragione di esistere!
Quando cominciò a slacciargli la camicia di
flanella, per scoprirgli il petto dolorante, il calimero non riuscì ad
evitare di soffermare un po’ troppo a lungo lo sguardo sugli
addominali scolpiti, sui pettorali possenti. Sollevò una mano,
lasciando che le dita sfiorassero la pelle liscia…
"Aaaahhhhh!!!" sussurrò il codino, e
stavolta l’invocazione era tutt’altro che recitata.
Tsuyoshi si risvegliò improvvisamente, e subito si
ritrasse:
"Ecco, stavo guardando se ci fossero altre
abrasioni… - poi però si interruppe, notando che la pelle che copriva
lo sterno era perfettamente sana e liscia - …qui non c’è niente che
non va" mormorò, portando lo sguardo stupito in quello del
moribondo.
Dimostrando la solita prontezza di riflessi, Minori
gli afferrò i polsi, e, esibendo un vigore eccezionale per un ferito
sull’orlo della tomba, spinse il ragazzo a terra, portandoglisi sopra:
"Sto già meglio!" gli sussurrò poi,
sorridendo di soddisfazione per lo scherzo così divertente.
"LASCIAMI IMMEDIATAMENTE!! Idiota senza speranza…
e io che mi ero pure preoccupato!! IO TI AMMAZZO, DANNATO
CODINO!!!"
"Lo so che il mio amoruccio si era preoccupato,
e io ho gradito molto…" e il ragazzo gli si avvicinò ancora di
più. A pochi millimetri dalla sua bocca, gli mormorò: "Però
possiamo continuare il gioco del dottore, mi sembravi ben calato nella
parte!"
A Minami quella smorfia divertita fece invece salire
il sangue agli occhi, sangue che però defluì verso altri lidi quando
si rese conto della vicinanza del petto nudo del compagno. E a questo
punto decise che quella situazione lo stava esasperando, che ne aveva
abbastanza delle angherie di quel prepotente, che era giunto il momento
di metterlo a posto!
Approfittando del fattore sorpresa, visto che sul
piano fisico non c’era confronto, invertì le posizioni, mettendoglisi
a cavalcioni.
"Oh, ooohh… lo sapevo di aver risvegliato un
vulcano!" sentì la voce dell’altro prenderlo in giro.
No, non sopportava più quella voce…
Si abbassò, e obbligò quell’essere insopportabile
a tacere. Rimasero incollati per una infinità di tempo, quasi
equiparabile a quello che Mimì Ayuara passava in aria prima di fare una
schiacciata, e Tsuyoshi non si rese neanche conto di come fosse
nuovamente finito con la schiena contro l’impiantito coperto di
paglia.
Mentre Minori gli slacciava lentamente i pantaloni,
poi, pensò che quella sera non avrebbero mangiato torta di mele…
Sette Basketmen per Sette
Fratelli – Fine sesta parte
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