I sei
fratelli tentarono in ogni modo di riconquistare il terreno perduto,
picchiando contro la porta, oppure spiaccicandosi contro i vetri delle
finestre, ma il quattr’occhi si dimostrò insensibile e, anzi, presto
tirò tutte le tende per evitare che dall’esterno i ragazzi potessero
vedere cosa stesse accadendo dentro la casa.
“Non
posso credere che mi abbia buttato fuori di casa per qualcosa che ho
fatto solo per compiacerlo!” sibilava Hisashi, sferrando pugni contro
la parete del portico.
“Non
devi prenderla come una cosa personale – cercò di rassicurarlo Toru,
preoccupato – devi capire che è arrabbiato con tutti noi, perché
ritiene che ci siamo comportati male… Domani gli passerà, e ti farà
tornare dentro. Pensa a noi, invece… destinati a dividere la paglia
con Milly, Bucaneve e Shinichi per i prossimi mesi…”
Era
chiaro che il fratello desiderava strappargli un sorriso, ma in quel
momento lo sfregiato era completamente furibondo: Kogure era il suo
ragazzo, la persona che avrebbe dovuto desiderare di stargli sempre
accanto, di ubbidire ad ogni suo desiderio, e invece lo aveva buttato
fuori di casa sua! Era inammissibile, inaccettabile… il suo orgoglio
si rifiutava di comprenderne le ragioni:
“Bene,
l’ha scelto lui, allora!” mormorò, dirigendosi con passo deciso
verso la rimessa.
Tutti i
fratelli lo seguirono, un po’ preoccupati e un po’ divertiti e
curiosi di vedere la reazione del grande Hisashi al comportamento
tutt’altro che sottomesso del suo piccolo quattr’occhi.
Certo che
ne aveva dimostrato di coraggio, quel soldo di cacio!
Poco
dopo, il ragazzo uscì a cavallo del piccolo gatto delle nevi che
utilizzavano in genere per andare al rifugio in alta quota, un capanno
che serviva come base quando andavano a caccia di pelli.
“Cosa
hai intenzione di fare, Hisashi?!” gli chiese Takenori, posandogli una
mano sul braccio.
“Non
penserai di andare via… la possiamo risolvere, questa situazione!”
aggiunse Toru.
Ma il
fratello maggiore scosse la testa:
“NO,
non ho intenzione di sottostare ai colpi di testa di questo o di quello!
Ho cercato di aiutarvi, e questo è quello che ho raccolto. Devo
starmene da solo, per un po’” e la sua voce rabbiosa non lasciava
spazio a repliche.
“Vuoi
che diciamo qualcosa a Kogure-san?” chiese Hanamichi, con un tono
insolitamente serio.
Lui
scosse la testa:
“Tornerò
quando comincerà a sciogliersi la neve. Abbiamo entrambi bisogno di una
pausa” e diede gas, allontanandosi in una nuvola di neve.
Aveva
bisogno di stare solo, di riflettere, altrimenti avrebbe potuto fare o
dire qualcosa di cui poi si sarebbe pentito. Mentre il freddo gli
penetrava nei vestiti, davanti agli occhi vedeva solo l’espressione
furente di Kiminobu… possibile che si fossero sbagliati? Che
nonostante l’intesa naturale che c’era tra loro, una convivenza
dovesse essere impossibile? Accelerò ancora, sperando che il freddo
raffreddasse il suo istinto di tornare indietro, sfondare quella dannata
porta e trascinarsi il quattr’occhi in camera da letto, per
ricordargli ancora una volta chi era a comandare.
Kogure
guardò i sei fratelli Mitsui camminare mogi verso la stalla: li aveva
riforniti di coperte, lanciandogliele dalla finestra, e di qualche
lampada, ma senza aggiungere una parola. Li vide allontanarsi,
continuando a voltarsi spesso verso la casa, come se tentassero di
scorgere qualcuno attraverso i vetri… eppure tutto quello che potevano
vedere erano le finestre serrate.
Sapeva di
essere stato duro, ma quello che i sette fratelli avevano fatto era
assolutamente inaccettabile! Pensavano davvero di poter essere riamati
quando l’unico tratto del loro carattere che emergeva dalle azioni di
quella notte era la brutalità?
Il
ragazzo sospirò, improvvisamente i suoi pensieri si erano concentrati
su un’altra conseguenza di quello che era accaduto: quando si era
portato sotto la finestra per ricevere la propria razione di freddezza
ed il plaid da stendere sulla paglia, Toru gli aveva comunicato che
Hisashi era partito per la montagna. Lui aveva finto di accogliere la
notizia con disinteresse, ma non era assolutamente così. C’era molta
rabbia, certamente, ma c’erano anche tristezza e dispiacere, e in
fondo in fondo c’era il desiderio che tutto tornasse come prima...
No! Non
doveva neanche pensarlo! Non era lui dalla parte del torto, non era
stato lui ad organizzare un piano così barbaro… Hisashi poteva andare
dove voleva, ma, se voleva riavvicinarsi, doveva chiedere scusa, e non
tanto a lui quanto a quei sei ragazzi che si erano trovati strappati
alla loro vita per un’idea totalmente sbagliata del concetto di
conquista.
Scosse la
testa, cercando di allontanare questi pensieri che non lo avrebbero
portato da nessuna parte: non aveva tempo da perdere viste tutte le cose
alle quali doveva badare, con sei ex compagni di squadra da sistemare
dentro casa .
Si voltò
verso di loro…
Fujima si
era seduto sul panchetto accanto al fuoco e sembrava completamente perso
nei propri pensieri, fra l’altro non molto piacevoli a giudicare dalla
ruga profonda che gli solcava la fronte; Rukawa era semi-sdraiato sul
divano, addormentato; Minami fissava tutti gli oggetti e gli occupanti
della stanza con sguardo torvo; Uozumi aveva trovato la cucina, e ne era
stato inghiottito; Kiyota biascicava strane formule, mentre Koshino
ringhiava.
Davvero
un bel quadretto…
“Ragazzi,
ormai è inutile stare a pensare a quello che è successo… dobbiamo
organizzarci per farvi sistemare il più comodamente possibile. Alla
fine dell’inverno il ghiaccio si scioglierà e voi potrete tornare a
casa. Prendetela come una vacanza!” provò a dire, forzatamente
gioioso.
Perché
gli sguardi che si erano levati su di lui sembravano tutt’altro che
amichevoli? Decise di non lasciarsi scoraggiare, e continuò:
“Venite,
vi mostro le stanze dove potrete dormire e vi rifornisco di quel che può
servirvi per la notte”.
Si avviò
verso il piano superiore, seguito presto dai passi dei compagni. Aprì
la porta della grande stanza dei sei fratelli, e fece cenno ai ragazzi
di entrare, poi sparì nella propria, riemergendone poco dopo sotto una
pila di lenzuola pulite e pigiami.
Con un
cenno, radunò il gruppo intorno a sé e cominciò la distribuzione:
lenzuola e pigiama giallo con le mucchine per Kiyota; lenzuola e pigiama
azzurro con gli elefantini per Uozumi; lenzuola e pigiama rosso con le
panterine per Minami; lenzuola e pigiama verdino con i pesciolini per
Fujima; lenzuola e pigiama beige con le volpette per Rukawa, e infine
lenzuola e pigiama rosa con i cagnolini per Koshino.
Finalmente
poté leggere in quegli sguardi la prima espressione che non fosse
rabbia o desiderio di vendetta… sì, c’era qualcosa di molto simile
alla costernazione nei loro occhi, ora. Bene! Sebbene non riuscisse a
coglierne il motivo, era comunque un primo passo avanti.
A
questo punto Kogure cominciò a disfare i letti dei sei fratelli, portò
le lenzuola nella lavanderia; nascose le immagini ‘artistiche’
appese sopra il letto di Akira, accanto alla foto di Blackie; trafugò
‘Un anno con Clarabella’, abbandonato sul comodino di Shinichi; i
boxer su cui Takenori aveva amorevolmente dipinto torte al cioccolato e
cappelli da cuoco; il tirassegno di Minori, con l’uomo del judo
trafitto da sette freccette; la volpe di peluche su cui Hanamichi aveva
scritto RU e alla quale il rossino aveva anche confezionato un bikini,
perché nessuno potesse spiarne i particolari ‘intimi’, e la
cartolina ‘Love is…’ accanto al libro sui parassiti di Toru,
cartolina sulla quale i gemelli avevano liberato la propria fantasia per
ricreare la coppia del quattr’occhi e Fujima, con un risultato vietato
ai minori...
No,
vietato a tutti.
“Bene,
adesso potete andare a dormire. Sono sicuro che i ragazzi non vi daranno
alcun fastidio, per tutta la vostra permanenza – si interruppe un
istante… in qualche modo voleva spezzare una lancia a favore della
famiglia Mitsui, nonostante tutto quello che aveva combinato – Loro
non sono cattivi… è che a volte non ragionano, si fanno catturare
dalla passione” tentò di spiegare.
Dopo
qualche secondo di silenzio, l’unica reazione che suscitò fu un:
“Io
non voglio il letto vicino alla finestra!” di Kiyota.
Comprendendo
rapidamente che nessuno aveva intenzione di raccogliere le sue parole,
Kiminobu si voltò, lasciando la stanza e chiudendosi delicatamente la
porta alle spalle.
La
mattina successiva, il quattr’occhi si alzò presto: non si sentiva
molto bene, e sicuramente il sonno non gli aveva portato un vero riposo.
Si stiracchiò, e scivolò fuori dal letto, per poi avvicinarsi alla
finestra. Doveva essere nevicato per tutta la notte, visto che lo strato
a terra era piuttosto alto. Si strinse le braccia intorno al corpo, poi
portò lo sguardo verso le vette delle montagne che circondavano la
casa.
Qualche
minuto dopo, stava scendendo in cucina, per cominciare ad avviare la
colazione. Fra l’altro sapeva che sarebbe stato necessario vedere come
stavano i ragazzi: con quel freddo, dormire in una stalla non doveva
essere stato piacevole. In ogni caso, non c’erano alternative.
“Ben
alzato, Kogure-san!”
Il saluto
tranquillo di Kenji Fujima lo prese alla sprovvista, quando entrò in
cucina. Poi si accorse che c’era anche Jun Uozumi, che gli stava
bofonchiando qualcosa di incomprensibile, completamente preso dalla
preparazione del pasto.
“Che ci
fate qui?” chiese, stupito. I fratelli Mitsui non lo avevano mai molto
aiutato con le faccende domestiche.
“Visto
che dobbiamo dividere la casa, sarà il caso di dividerci anche i
compiti” gli replicò l’ex giocatore dello Shoyo .
“Manca
il latte” aggiunse Uozumi, voltandosi finalmente verso di loro “Non
posso preparare il cioccolato caldo, senza latte”.
Kiminobu
annuì; si coprì con il giaccone pesante e si avviò verso la stalla,
pronto ad approfittare dell’occasione per vedere come stavano i
ragazzi.
Bussò
vigorosamente contro la porta, poi entrò, arrampicandosi sul soppalco
dove tenevano la paglia, in assoluto il posto più caldo della
costruzione.
“Altolà,
chi va là?!” si sentì urlare dalla voce di Hanamichi, che lo accolse
con i capelli rossi cosparsi di fieno.
“Siete
svegli, allora! – il quattr’occhi cercò di mantenere un
atteggiamento freddo, ma non riuscì ad essere troppo credibile –
Spero che abbiate riflettuto su ciò che è accaduto ieri sera!”
proseguì forzando il tono di rimprovero.
“Ehm…
come sta la mia Kitsune? Ha dormito bene? Ha dormito… SUL MIO
LETTO?” e qui il rossino assunse una delle sue espressioni più
incantevoli, con la bocca spalancata in un sorriso che gli arrivava fino
alle orecchie.
“Non lo
so, e comunque non sono cose che ti riguardano! Come stanno gli
altri?” e Kogure salì l’ultimo piolo, issandosi sulle tavole
coperte di paglia.
Vide che
i fratelli erano tutti più o meno svegli, avvolti strettamente nelle
coperte con le quali li aveva riforniti la sera precedente.
“Ho
bisogno del mio gel” si lamentava Akira, tenendo la testa nascosta
sotto la paglia “Non posso presentarmi davanti al mio Kosh in questo
stato…”
“Un’occasione
sprecata! Mi sembra di essere il marito che va in bianco la prima notte
di nozze” borbottava invece il codino “A quest’ora potevo ancora
essere nel letto a rotolarmi con il mio gattino…”
“Smettila,
Minori, cerca di capire che non ci siamo comportati bene, ieri
sera…” intervenne Toru, l’unico che sembrava avere il buongusto di
provare un minimo di vergogna.
“Non
sono riuscito a presentare il mio Nobu-kun a Milly…” mormorava,
cogitabondo, Shinichi.
“A
proposito di Milly, io ho fame, non abbiamo ancora fatto colazione!”
si inserì Takenori, indicandosi lo stomaco.
“NON
PENSERAI DI MANGIARTI MILLY PER COLAZIONE?!” sbottò il fratello,
allibito, e subito pronto a difendere la fida compagna di mille
avventure dagli istinti cannibaleschi dei fratelli.
“Sei
sicuro di esserti innamorato dell’aborto coi capelli lunghi? Se fossi
in lui, sarei geloso!” sibilò Minori, masticando un filo d’erba
secca.
“Sentite
– decise di intervenire Kogure – In casa abbiamo bisogno di latte:
Uozumi ha detto che non può preparare la colazione, senza, quindi, per
favore, qualcuno prepari il bidoncino, e poi ce lo porti in cucina…”
In sei si
lanciarono verso la scala, ovviamente con la sola intenzione di essere
servizievoli verso gli ospiti che li avevano raggiunti, e la gara di
corsa verso il secchio premiò Shinichi, l’unico che sapesse
esattamente dove fosse nascosto.
“Spostatevi,
Milly si fa mungere solo da me!” annunciò poi con tono deciso,
trascinando il panchetto accanto alla bestia pezzata. Si rimboccò le
maniche, allungò un braccio davanti a sé, poi l’altro, si sconocchiò
le dita, e infine cominciò la delicata operazione, mentre il resto
dell’equipe medica gli rimaneva appena dietro le spalle.
Splish,
splash, splish, splash… un ritmo cadenzato, tranquillo, quello che ci
voleva per rilassare Milly, e poi una dolce ninna nanna borbottata
piano, per tenere il tempo.
L’atmosfera
rilassata fu però distrutta dalla voce chiaramente insofferente di
Takenori:
“Vuoi
darti una mossa? Jun ha chiesto il latte, quindi vedi di spremere quella
vacca bastarda, altrimenti lo faccio io e vedrai quanti secchi riempirà!”
Sconvolto
dalla brutalità del fratello, Shinichi aumentò leggermente il ritmo,
ma nello stesso tempo continuò a mormorare parole di conforto alla
povera bestia, bistrattata da quegli incivili che non comprendevano la
sua sensibilità.
Una volta
che il bidoncino fu riempito, Milly quattro secchi ne aveva fatti,
grazie alla paura di vedersi avvicinata dal gorilla, i sei fratelli si
precipitarono verso l’ingresso della cucina, spiaccicando i nasi
contro i vetri, nel tentativo di attirare l’attenzione dei suoi
occupanti.
Kogure,
che li aveva preceduti in casa, fu quasi mosso a pietà da questa scena,
sebbene rimanesse ancora incerto sull’opportunità di interrompere così
presto la punizione.
“Uozumi,
il latte è arrivato, dovresti fartelo consegnare dai ragazzi” osservò
alla fine, con noncuranza.
Il
gigante della squadra universitaria lo guardò per un momento,
evidentemente non troppo convinto che affrontare quei balordi che li
avevano rapiti fosse il passo giusto da compiere, ma mai si sarebbe
detto di lui che si tirava indietro di fronte al nemico. Si avvicinò
alla porta, e girò di scatto la maniglia…
I sei,
presi alla sprovvista da questa mossa, caddero tutti in avanti,
ammucchiandosi uno sull’altro; l’unica cosa rimasta in piedi era il
bidoncino del latte, che Shinichi aveva protetto fino all’ultimo, come
un valoroso giocatore di rugby con la palla ovale.
“Ehm…
questo è il latte per la colazione, Ju… Uozumi-san” mormorò il
gorilla, fattosi improvvisamente rosso.
“Da’
qua” gli rispose l’altro, sgarbatamente.
In quel
momento si avvicinò anche Kenji Fujima, e Toru si rialzò
immediatamente da terra, sistemandosi gli occhiali e cercando di darsi
un contegno.
“Ciao…”
buttò là, perdendosi nell’ammirare la grazia del ragazzo ancora
avvolto nel pigiama con i pesciolini.
“Ah,
sei ancora qui!” gli rispose l’altro, distogliendo lo sguardo,
chiaramente ostile, e voltandosi verso gli scaffali per prendere il
pacco famiglia-più dei biscotti da portare a tavola.
“Senti,
io so che…” ma le parole di Toru furono interrotte dall’urlo di
Minami:
“TU!!
CON CHE CORAGGIO TI FAI VEDERE?! MA IO T’AMMAZZO!!!!”
E sì,
era proprio il calimero che, entrato anche lui in cucina, si era
immediatamente lanciato contro il gemello bruno.
“Su,
su, frena l’entusiasmo, amore… - gli ribatté l’altro, cercando di
immobilizzargli le braccia – non vorrai sconvolgere gli altri, no?”
Un calcio
nello stinco e una ginocchiata ‘lì’, interruppero l’amorevole
ricongiungimento, e Minori cominciò a saltellare premendosi le mani a
protezione dei gioielli di famiglia.
In quel
momento li raggiunse anche Kiyota… la stanza stava diventando
decisamente affollata.
Gli occhi
gli si illuminarono all’istante, poi allungò la mano, l’indice
puntato su Minori:
“La…
la… LA MALEDIZIONE DI PICIU’!!!! Non era mai successo che avesse
effetto… - si interruppe, continuando a guardare il codino che
saltellava dolorante, poi si lasciò cadere sulle ginocchia, le mani a
coprirsi il volto - Ma allora, allora tu…esisti, Piciù!”
I sei
fratelli Mitsui, Kogure, Fujima, Uozumi e Minami lo guardarono
leggermente sconvolti:
“Ehi,
babbuino! Non hai notato che la maledizione che ha colpito Minori aveva
la forma del ginocchio di…” ma una gomitata nelle costole impedì ad
Hanamichi di terminare la frase.
“Taci,
rossino – gli comandò Shinichi, anche lui con lo sguardo invasato –
Abbiamo appena assistito ad un prodigio…”
“SI’,
ABBIAMO ASSISTITO ALL’UNIONE DI DUE DEFICIENTI! In due non fate mezzo
cervello: adesso te la do io una ginocchiata, bertuccia deficiente,
voglio vedere se poi ti sembrerà opera del tuo Piciù!” Minori non
sembrava aver preso molto bene quello che era accaduto.
“Basta
ragazzi… non fate così…” si mise subito in mezzo Kogure “E’
ora di colazione, andiamo a metterci a tavola…”
“Vuoi
dire che possiamo fare colazione tutti insieme?!” gli chiese Akira,
evidentemente incredulo di fronte a tanta fortuna.
Ops,
forse non doveva permetterglielo, ma ormai era fatta… non poteva
rimangiarsi la parola!
“Sì,
solo se vi comporterete bene, però. Andate a ripulirvi un po’, mentre
noi apparecchiamo la tavola”.
“Non
credo che sia una buona idea…” sibilò Fujima, versando il caffè in
un bricco.
“Non
essere troppo duro, Kenji, non è da te. Toru, poi, è il meno colpevole
di tutti…”
Quando
furono tutti pronti, si resero conto che ancora mancavano Rukawa e
Koshino:
“ANDIAMO
A SVEGLIARLI!!” si proposero in coro Hanamichi e Akira.
Senza
riflettere, Kogure annuì, per poi fermarsi pietrificato quando Minori
gridò:
“Akira,
forse dovresti andare prima a dare un’occhiata al canile…”
Forse
affidare al rossino e al porcospino il recupero dei due dispersi poteva
non essere stata un’idea esattamente geniale. Il quattr’occhi decise
allora, in extremis, di provare a salvare la situazione:
“COMPORTATEVI
BENE!!” gridò, incrociando contemporaneamente le dita.
Poco dopo
i due fratelli tornarono: Hanamichi, sul cui viso spiccava un
bell’occhio nero, trascinava una Kitsune, ancora con gli occhi chiusi,
che non doveva aver gradito molto la sveglia, mentre Akira, finalmente
con le spine orgogliosamente levate verso il cielo, sorrideva a denti
stretti, massaggiandosi contemporaneamente il fianco.
Si
sedettero tutti intorno al tavolo e, per una volta, sembrò che i
fratelli Mitsui non avessero intenzione di far vergognare Kogure: si
sistemarono compostamente e cominciarono a passare i vari piatti per far
servire prima gli ospiti, ospiti che però sembravano altrettanto
ansiosi di mostrare la propria solerzia:
“Torta
al cioccolato” tuonò Uozumi, passandone una fetta a Takenori, che la
accolse sorridendo timidamente, come se fosse un’offerta di pace.
Contemporaneamente
Fujima passò una tazza di caffè a Toru.
Kogure
guardò con un certo sospetto queste gentilezze: un eccessivo
cameratismo poteva rivelarsi qualcosa di pericoloso per lo sviluppo
della situazione futura.
Le sue
paure, però, furono immediatamente fugate… dopo il primo boccone,
Takenori sputò briciole di torta su tutti coloro che si ritrovavano nel
raggio di cinque metri, mentre Toru divenne di un colore leggermente
verdastro, e inghiottì il caffè a fatica, per poi alzarsi
frettolosamente e avviarsi verso il bagno.
Kiminobu
portò uno sguardo carico di rimprovero sui visi falsamente angelici di
Fujima e Uozumi, che però ripresero a mangiare, facendo finta di nulla.
“Scusatemi…
il dolce era buonissimo” mormorò Takenori, versandosi dell’acqua
nel bicchiere, per poi decidere che era meglio rifornirsi direttamente
dal rubinetto.
Toru,
tornato dal bagno, si scusò con tutti, per poi afferrare il giaccone ed
uscire con la scusa di dover avviare il lavoro della giornata, a causa
dell’assenza di Hisashi.
Kogure si
accorse che molta della soddisfazione che si era dipinta sul viso di
Fujima era improvvisamente scomparsa, ma il suo studio fu presto
interrotto grazie a quello che continuava ad accadere lungo la tavola.
“Smettila
di riempirmi il piatto!” sibilava Rukawa ad Hanamichi, che continuava
a mettergli davanti biscotti e toast.
“Dovresti
mangiare di più… sei una kitsune troppo magra!” si risentì il
rossino, aggiungendo altri corn flakes nella sua tazza.
“E
smettila di chiamarmi kitsune, do’aho!”
“Sì,
kitsune, come vuoi, kitsune…”
“E
smettila di darmi ragione, per poi fare quello che ti pare!”
“No,
kitsune, sì kitsune… quello che vuoi, kits… perché ti alzi?”
Silenzio,
mentre Rukawa raggiungeva il divano.
“Non
hai finito la pancetta!! – insistette il rossino – Era del
primogenito di Piggy… pensa quanto ci rimarrà male la mamma, quando
saprà che non hai apprezzato la sua creatura!!!” tentò di farlo
sentire in colpa.
“Sei
vomitevole” fu l’unica replica dell’altro.
“AHIO!!”
tutti si voltarono verso Minori, che però mantenne un’espressione
impassibile, come se l’esclamazione non fosse venuta da lui.
“Problemi,
Minori-san?” mormorò Minami, angelico, continuando a bere il
cioccolato.
“Tutto
a posto…” rispose l’altro a denti stretti, prima di abbassarsi la
mano sulla gamba, ed estrarsi la forchetta del calimero dalla coscia.
Minami era un po’ troppo sensibile, reagire così solo perché lui
aveva tentato di palpargli il ginocchio! Come se non lo avesse fatto
solo per sentire se non fosse troppo magro…
Fece
scivolare di nuovo la mano sotto il tavolo: non aveva certamente
intenzione di cedere così facilmente, ma quando l’altro cominciò a
rigirarsi il coltello del pane tra le mani, capì che forse era meglio
che la lezione odierna si interrompesse… tanto, molto presto il suo
Ace Killer avrebbe ceduto, e allora doveva risparmiare le proprie
energie in vista di quel momento.
“Un
po’ di tè, Koshino-san?” stava intanto chiedendo Akira.
Nessuna
risposta.
“Aranciata?”
Sguardo
assassino dell’altro ragazzo.
“Vuoi
che ti spalmi il burro sul p…”
Schiaffo
sonoro, e acqua gelata sul viso.
“…pane…”
concluse lui, tentando di continuare a sorridere e cercando di
specchiarsi nella caraffa per controllare lo stato dei capelli.
“Mi
vuoi lasciare in pace?! Non ti è bastato quello che hai fatto?” gli
ringhiò il ragazzo più basso.
“Tale e
quale a Blackie… incredibile!” non riuscì a trattenersi dal
mormorare Akira, ammaliato dalla somiglianza con il fedele quadrupede
della famiglia Mitsui.
Pioggia
di cereali sulle ciocchette.
Kiyota,
invece, durante il pasto era stato abbastanza tranquillo. L’unica cosa
stravagante era stata la sistemazione dei diversi cibi sul piatto…
aveva costruito una specie di disegno, utilizzando l’uovo, i biscotti,
il prosciutto, sempre del primogenito di Piggy, e la marmellata. Aveva
poi spruzzato il tutto con gocce di latte, mormorando una specie di
litania.
“Principe
Nobu… non stai bene?” gli chiese, subito allarmato, Shinichi.
“Schhhh…
il mago sta richiamando i propri poteri…” sibilò il ragazzo,
lugubremente.
Subito il
pelle-gialla si voltò verso il resto dei commensali, con l’indice
poggiato sulla bocca.
“E… -
bisbigliò, quasi soffocandosi con le fette biscottate -
…rispondono?”
“Se non
stai zitto, non riesco a percepire l’alito di Piciù…”
Desideroso
di aiutare il suo amore, Shinichi gli alitò sul viso, spruzzandolo con
le briciole e investendolo con un tifone non esattamente fresco di
menta, visto che ancora non si era lavato i denti.
“Che
diavolo fai?! Vuoi far morire per asfissia gli spiriti delle tenebre?
Adesso dovrò cominciare tutto da capo… e poi questo latte non va
bene, ci vuole quello di capra!” si lamentò il suo Raperonzy,
guardandolo con disprezzo.
Ma aveva
toccato, senza accorgersene, un tasto delicato:
“NON
OSARE METTERE IN DISCUSSIONE IL LATTE DELLA MIA MILLY!!!” esclamò
infatti il terzogenito dei Mitsui “Le capre se lo sognano un latte
come il suo!” e, rosso di agitazione, piantò i gomiti sul tavolo.
“Con il
latte di mucca, non mi è mai venuto un incantesimo!! Sono sempre
antipatiche e testarde, quelle bestiacce!”
Shinichi
si alzò in piedi, uno sguardo profondamente ferito negli occhi:
“Tu…
tu parli perché… NON CONOSCI MILLY!!” e detto questo, lasciò la
casa.
Un
silenzio imbarazzato e carico di rimprovero accolse l’ultima frase di
Kiyota:
“Se non
è una capra, è una bestia inutile!!”
I sei
fratelli Mitsui si ritrovarono nella segheria.
Senza
Hisashi mancava la guida che organizzava le loro giornate lavorative, ma
non potevano abbandonare la fattoria: l’inverno serviva per arricchire
la cascina in vista degli ordini di inizio primavera.
Come
secondogenito, Takenori si assunse l’onere del ruolo di leader:
“Dobbiamo
portare avanti il lavoro: Toru, tu e Shinichi vi dovrete occupare
dell’allevamento; Akira e Hanamichi, voi dovrete andare su al bosco
per tagliare quelle betulle che abbiamo segnato la settimana scorsa;
Minori, tu mi aiuterai qui alla segheria. Obiezioni?” concluse,
minaccioso.
“Perché
io devo lavorare al freddo, mentre voi ve ne state tutti al caldo?!”
si lamentò immediatamente il rossino.
“Anche
tu hai rimostranze da fare?” il gorilla chiese ad Akira.
Il
porcospino scosse la testa, sorridendo:
“Non
c’è problema, ci sarà il mio Kosh a scaldarmi, stasera…” mormorò
con voce sognante.
Takenori
si voltò di nuovo verso Hanamichi:
“Non
pensavo che saresti stato l’unico piantagrane: non vedi Akira come è
contento di andare a spaccare legna?”
“Certo,
considerando che lui non distingue il suo ragazzo da un cane, come puoi
pensare che si renda conto che è inverno? Ci andasse da solo!”
insistette il rossino.
“Non
piantare grane! Stasera Rukawa ti aiuterà a dimenticare le tue
fatiche… pensa, ti considererà un vero uomo, forte, virile, impavido
di fronte alla fatica… e adesso vai, hai davvero tutta la nostra
ammirazione”.
Con la
neanche troppo vaga sensazione che il fratello maggiore lo stesse
fregando, Hanamichi prese l’ascia e si mise in cammino, lanciando una
sfilza di improperi all’indirizzo di quel due grammi di cervello di
Akira. Sequela di insulti che si interruppe solo quando i pensieri su
come la sua amorevole kitsune lo avrebbe aiutato a rilassarsi, dopo le
fatiche della giornata di lavoro, lo portarono alla necessità di
tamponarsi il naso.
Toru e
Shinichi si avviarono verso le stalle. Il quattr’occhi sapeva che il
fratello aveva subito un duro colpo, quella mattina: vedere i propri due
amori in contrasto lo aveva fatto soffrire, e adesso si trovava ad un
bivio.
Gli batté
una mano sulla spalla:
“Non
preoccuparti… è che il tuo Nobu-kun non conosce ancora Milly. Non
appena avranno fatto amicizia, vedrai come le cose miglioreranno…”
tentò di consolarlo.
Il
pelle-gialla si voltò speranzoso:
“Davvero
la pensi così?” chiese, lo sguardo di nuovo luminoso.
“Certamente.
E poi… devi capirlo, sente la competizione” proseguì Toru, sperando
di essere perdonato per le buone intenzioni che lo portavano a dire,
consecutivamente, un numero tanto elevato di sciocchezze.
“Beh…
allora comincerò subito a parlarne con Milly… devo prepararla. Io la
conosco, anche lei non sarà felicissima dell’arrivo di Nobu-kun, ma
solo perché è abituata ad avermi tutto per sé; appena lo avrà
conosciuto, anche lei ne comprenderà immediatamente il valore. Ti
ricordi, Toru, di quando si era innamorata di Ezechiele? Sono sicuro che
la capigliatura del mio amore glielo ricorderà immediatamente, e allora
lei sarà felice per me…” e Shinichi cominciò ad annuire
vigorosamente.
Nel
frattempo Toru stava nuovamente pensando a Kenji: le cose non stavano
andando bene. Mettergli tutto quel sale nel caffè non era stata
certamente una prova di affetto, e poi sembrava che avesse preso molto
peggio degli altri quello che era accaduto. Certamente le famiglie
dovevano essere preoccupate, visto che non avevano più notizie dei
figli, ma loro avevano lasciato abbastanza tracce da far capire chi
fossero i responsabili dei rapimenti. Per un istante serrò i pugni,
pensando a quel demente che aveva trovato a tentare di dichiararsi al
suo ragazzo… e se Kenji ne fosse stato innamorato? Perché non aveva
aspettato, prima di fare quell’irruzione? Perché non aveva cercato di
capire quali fossero i suoi veri sentimenti?
Il
pensiero che Fujima potesse ricambiare quello stupido con i capelli
dritti, lo fece distrarre, così che strigliò Bucaneve troppo
bruscamente, e la vecchia cavalla batté lo zoccolo sull’impiantito
duro.
“Scusami…”
mormorò, sorridendo all’idea di stare diventando come Shinichi
“Secondo te, ho perso ogni speranza?” chiese piano. Ormai era
impazzito, tanto valeva andare fino in fondo.
La
cavalla voltò il muso verso di lui, guardandolo con i grandi occhi
scuri. Lui sorrise, depositandole un bacio leggero sul muso. Poi tornò
a spazzolarla, senza accorgersi del ragazzo che lo stava osservando
attraverso la porta.
Nel
frattempo, nella segheria Takenori e Minori avevano cominciato a
lavorare:
“Non
capisco perché Hisashi si sia arrabbiato tanto…” stava dicendo il
gorilla, piallando l’ennesima tavola.
Il codino
scosse la testa, regolando la scartavetratrice:
“Era
ferito nel suo orgoglio di maschio” spiegò con noncuranza, come se la
cosa fosse palese.
“Cosa
intendi?” gli chiese subito l’altro, incredulo che il fratello
minore avesse potuto cogliere immediatamente qualcosa che a lui era
sfuggito.
“Non è
piacevole quando ci si sente contraddetti in pubblico da qualcuno che
dovrebbe venerarti: l’io del dominatore non sopporta che il dominato
si ribelli, che manifesti troppo bruscamente il proprio carattere… Le
posizioni non devono mai essere messe in discussione, si rischia la
crisi dei ruoli, e questo può portare a rivedere l’intero rapporto”
continuò il gemello bruno, cercando di eliminare i nodi dalle tavole.
Takenori
era completamente allibito:
“Ma…
ma come fai a sapere tutto questo?”
L’altro
sorrise con superiorità:
“Perso
neanche una puntata dello sceneggiato ‘Il
pianerottolo dello psicologo’, non te lo ricordi? Era quello che
veniva prima di ‘Guadalupe, il
mio cuore batte per te’; vedendo ‘Lo psicologo’, fra
l’altro, ho compreso un sacco di cose di Guadalupe… insomma, che il
suo destino era segnato, e non solo per colpa del perfido Manolito”
spiegò.
“Senti,
e non è che potresti darmi qualche consiglio per quel che riguarda il
mio Jun?” gli chiese allora il gorilla, arrossendo leggermente “Lo
scherzo con il dolce al pepe, stamattina, mi ha fatto capire che forse
dovrei cambiare qualcosa nella mia strategia…”
“E
perché, ne avevi una? – infierì immediatamente il codino, poi però
si impietosì, e assunse un’espressione molto più seria, e pronunciò
lentamente – Per un fidanzato grande, ci vuole un pennello grande!”.
Rimasero
entrambi in silenzio, poi Minori scoppiò a ridere, fino ad accasciarsi
sul pavimento:
“Scu…
scu… sa… NON HO RESISTITO!!!”
“Idiota!!”
tuonò Takenori, ma poi cominciò a ridere anche lui, finché, cercando
di ricomporsi, rivelò “Quella è l’unica cosa su cui non temo
paragoni!”
“AHHHH!!!
Non voglio sapere!!!” e il codino si portò gli indici interamente
dentro le orecchie per non sentire, e non dover quindi immaginare.
Quando riuscì a ricomporsi, sebbene sempre interrotto dai singulti,
mormorò:
“Il
pepe nel dolce non è grave, se ti avesse messo cianuro avrei detto, e
non avresti potuto smentirmi, che… non avevi più speranze!! Ma visto
che non ti ha ucciso, persevera: prima o poi il colosso si accorgerà
che un altro ‘mestolone’ come te non lo trova facilmente…
soprattutto fuori dalla cucina!!”
Il
gorilla rimase per un istante inebetito, sentirsi chiamare
‘mestolone’ dal fratello gli faceva una certa impressione, poi però
sorrise:
“Ragionamento
che fila, codino, e anche il tuo Minami presto si accorgerà che non sei
poi così malvagio. Spero che succeda prima che ti faccia a fettine, però…”
“Ci
puoi giocare le… ehm, ci puoi scommettere tutto quello che vuoi,
fratellone” gli replicò Minori, strizzandogli un occhio “Dagli
qualche giorno e farà le fusa…”
“Beh,
tieni comunque forchette e coltelli lontani dal tuo gattino, mi sembra
che gli artigli dovrebbero bastargli”.
“Gli
accorcerò anche quelli!”
Scoppiarono
di nuovo in una risata complice, e ripresero a lavorare di buona lena.
Intanto,
Hanamichi e Akira stavano cominciando a sgominare la banda di betulle
che doveva costituire la materia prima per le ordinazioni di primavera.
La neve aveva ricominciato a fioccare, e sicuramente quella notte ci
sarebbe stata una gelata… niente di meglio, per lavorare lassù!
“Deficiente
di un gorilla!! I lavori più faticosi li dà sempre a me…” si
lamentava il rossino, soffiandosi sulle dita “E ovviamente, mai che
questo demente mi dia una mano” aggiunse, rivolgendo un’occhiataccia
ad Akira, che sorrideva affilando la lama dell’accetta.
“Ehi,
Hana-kun, pensi che al mio Kosh possano piacere di più i boxer con le
casette, o quelli con i pulcini?” gli urlò ad un certo punto proprio
l’oggetto dei suoi improperi.
“Sono
sicuro che gli piaceresti di più se fossi un osso. Quell’essere
ringhiante non è umano – gli rispose lui, astioso, poi continuò –
ma visto che anche tu sei un alieno, dovreste andare d’accordo. Non
hai dei boxer con E.T.?”
“Dici
davvero che ho un cervello superiore a quello degli altri? Non credevo
che lo avresti mai ammesso, pel di carota” rise subito il porcospino,
soddisfatto.
“Ho
detto che sei un alieno, ma è probabile che tu abbia l’intelligenza
di un batterio venusiano, da quel che vedo…” gli replicò,
continuando a colpire la base della betulla che si era scelto.
“Venere
non era la maghetta della bellezza?” continuò l’altro, sempre più
compiaciuto.
“Allora
vuol dire che sei un batterio di Marte, e, ovviamente, il tuo Kosh è
una pulce di Vega: è per questo che ha tutte queste affinità coi
cani…”
Akira,
che si era perso a metà frase, aveva colto però il riferimento a Vega:
“Sìììì,
proprio come aveva detto Hisashi… Hiro-kun viene da Vega!!! E il tuo
Rukawa…” dovette interrompersi, ritrovandosi l’ascia a sfiorargli
il collo:
“Non
osare neanche nominare la mia kitsune: LUI E’ MIO!” gli sibilò il
rossino.
“Forse
dovresti dirlo anche al tuo amore, non sembra essersene accorto…”
riuscì a ribattergli il porcospino, ritirandosi contro il tronco
dell’albero per allontanarsi dalla lama scintillante brandita dal
fratello.
“Se ne
è accorto perfettamente! Dobbiamo solo trovare il momento adatto per
parlare… c’è sempre troppa gente tra i piedi!”
“Sarà…
però dovresti farlo anche vedere da Toru: non credo sia normale che
dorma tanto… ti ricordi quando Blackie si addormentava sempre, e noi
non capivamo perché?” gli suggerì, generosamente preoccupato per il
bel fidanzato del fratello minore.
“Idiota!!
Blackie era incinta… non credo che questo possa essere il caso del mio
Kaede, non credi?” e l’ascia fu di nuovo pericolosamente vicina alla
gola di Akira.
“Beh…
- balbettò questi, preoccupato - …magari è una gravidanza
isterica!”
“Qui di
isterico ci sarà solo il terreno, quando ti avrò fatto a pezzetti, e
la tua segatura lo soffocherà!”
“Ma
perché, gli animali le hanno le gravidanze isteriche!!” cercò di
difendersi il porcospino.
“Le
femmine, Akira, solo gli esemplari femminili, non so se te ne sei mai
accorto!!”
“Beh,
il tuo Kaede è così bello, sembra quasi…”
“Prova
a dirlo e ti uccido, e poi continuerò ad abbattere la betulla come se
niente fosse!” Hanamichi aveva ormai sviluppato una gelosia
incontrollabile, quando si arrivava a parlare della sua Kitsune.
“Volevo
solo dire che… oggi fa molto freddo” mormorò il fratello, pregando
che, qualsiasi cosa gli potesse succedere, Koshino non dovesse soffrire
troppo, nella sua lunga e insopportabile vedovanza.
“Torniamo
al lavoro: prima terminiamo, prima riuscirò a restituirti al tuo
quattro zampe ringhioso!”
E ad
Akira si aprì sul volto un nuovo sorriso beato al pensiero del suo
amore, poi però si riscosse:
“Hiro-kun
NON ha quattro zampe!”
“Già,
scusa, lui è un millepiedi…”
“Stupido
rossino! Il mio Kosh è un dolce… beh, un simpatico… ehm, un
gentile… uhhhh…”
“Porcospino,
la parola che cerchi è ‘piattola’!”
E
Hanamichi dovette immediatamente cominciare a correre per fuggire alle
pallate di neve del fratello maggiore.
Quando si
affacciarono alla porta della cucina, quella sera, i sei fratelli erano
stanchissimi. Il lavoro, in quelle condizioni meteorologiche, era
diventato davvero pesante, e poi erano tutti molto distratti,
sbagliavano spesso e poi si ritrovavano obbligati a ricominciare tutto
daccapo.
Cercando
di ravviarsi i capelli, e di ripulirsi alla meglio i vestiti, si
presentarono per la cena, sperando che Kogure non li lasciasse di fuori.
Alla
quarta volta che il gorilla cercava gentilmente di sfondare la porta, i
sei cominciarono a nutrire qualche perplessità:
“Possibile
che vogliano affamarci?!” si chiese Akira, incredulo.
“Io
devo crescere…” si lamentò Hanamichi, petulante.
“Mo’
la sfondo, ‘sta porta! Se ci fosse Hisashi, vedi come li rimetterebbe
tutti in riga” evocò Minori, pronto a trasformare in azione i propri
propositi.
“State
tranquilli, non credo che Kogure ci manderebbe nella stalla a stomaco
vuoto…” provò a tranquillizzarli Toru.
“Non
possiamo mica spremere ancora Milly, la bestiola non ce la fa più!”
puntualizzò Shinichi, preoccupato che, in mancanza di cibo, quei cinque
disgraziati si avventassero sulla povera amica.
Ma la
porta si aprì, e Kogure li lasciò entrare. Del resto questo faceva
parte della sua nuova strategia: desiderava avvicinare i sei fratelli
agli ex compagni di squadra, in modo che potessero conoscersi meglio e
capire se potevano davvero costituire delle coppie. L’esperienza della
colazione non aveva lasciato molte speranze, ma l’inverno era ancora
lungo…
Quella
sera le cose andarono abbastanza tranquillamente, ovviamente se si evita
di dare una importanza sproporzionata al fatto che, quando tornarono
nella stalla, i sei fratelli non erano esattamente in forma: Takenori
aveva una mano fasciata, e solo perché aveva tentato di assaggiare lo
spezzatino quando era ancora sul fuoco… Jun lo aveva scoperto e punito
con una cucchiaiata sulle dita; Hanamichi camminava praticamente piegato
in due, grazie alla gomitata ricevuta quando aveva tentato, con
nonchalance, di far scivolare il braccio intorno alla vita della sua
kitsune; Minori cercava di darsi un contegno, ma aveva praticamente
mezzo piede di meno, grazie al fatto che, risistemandosi meglio sulla
sedia, Minami aveva casualmente fatto in modo che la zampa di legno si
poggiasse stabilmente sul piede del vicino… e solo perché il codino
gli aveva comunicato che i pantaloni cominciavano a stargli stretti e lo
aveva invitato ad aiutarlo a risolvere il problema!
Akira,
invece, ormai aveva un braccio completamente masticato: forse, la
prossima volta che fossero scesi in città, doveva comprare uno di
quegli ossi finti che si danno ai cuccioli, perché il suo Kosh lo aveva
scambiato per il proprio mordicchio personale, e tutto senza alcuna
colpa da parte sua… ok, a parte quel suggerimento sul pettinarsi anche
lui con le ciocchette verso l’alto, ma che c’era di male in questo
suo consiglio del tutto disinteressato?
La
situazione di Shinichi era invece più complessa. Dopo quello che era
accaduto a colazione, il rapporto con il principe Kiyota era ancora un
po’ freddo: aveva sempre insultato Milly, no?! Era vero che ancora non
la conosceva, e quindi i commenti di Raperonzy non erano mirati ad
offendere personalmente la tenera bestiola, però questo punto doveva
essere sistemato. E Shinichi aveva tentato di farlo, nel momento in cui
aveva affermato che le mucche sono infinitamente più intelligenti di
tutte le altre specie animali.
Ovviamente
l’obiezione del campeon, che aveva detto che anche le cimici erano più
intelligenti di loro, non aveva aiutato ad appianare il loro rapporto. E
la discussione era poi degenerata, e lo stregone aveva deciso di
risolverla a proprio favore con nuove maledizioni e un più pratico
sputo in pieno viso, che faceva ora avanzare Shinichi con le braccia
protese in avanti e un occhio mezzo chiuso. Poteva sembrare quello che
viene nobilmente chiamato ‘sguardo di Venere’, ma, in realtà, la
somiglianza più evidente era con il più accentuato strabismo di
Quasimodo.
E poi
c’era Toru… aveva assaggiato ogni piatto con cautela, temendo nuovi
attacchi da quel fronte, ma non era stato questo a farlo uscire dalla
grande casa con un braccio ustionato: no, stranamente proprio nel
momento in cui lui era seduto accanto al grande camino, qualcuno era
passato con il paiolo con l’acqua bollente, e… era inciampato,
versandogliela addosso. Certo, una cosa del tutto casuale, se il
qualcuno in questione non fosse stato Kenji Fujima…
Bisogna
comunque dire che la cosa aveva avuto anche i suoi aspetti positivi,
perché poi il ragazzo aveva capito di avere esagerato, e si era
preoccupato non poco per l’effetto di quella mossa, e così lo aveva
portato in bagno e gli aveva applicato una pomata per non fargli
rimanere i segni. Ok, non si erano scambiati una parola, e la pomata era
per le bruciature dei cavalli, ma comunque erano stati insieme senza
discutere, e senza troppi sguardi carichi di disprezzo…
Il più
terribile si era rivelato, però, il dolce quattr’occhi: invece di
farli rimanere in casa, per quella notte, e curarli dai loro malanni, li
aveva spediti di fuori, dicendo che un po’ di aria fresca li avrebbe
ritemprati… fresca? C’erano almeno cinque gradi sotto lo zero!!
In ogni
caso, i giorni cominciarono a passare e qualcosa di simile ad una nuova
routine si stabilì nella grande casa sulla montagna. I sei fratelli
Mitsui lavoravano, i sei basketmen aiutavano Kogure, oppure scalavano la
montagna per qualche escursione nella neve, soprattutto Rukawa, Fujima e
Minami, e poi la sera si ritrovavano tutti quanti insieme per la cena.
Spesso,
però, Kogure non poteva fare a meno di pensare a cosa stesse facendo
Hisashi, da solo ai pascoli estivi… e le rassicurazioni, non
richieste, che venivano da Toru e Takenori, che gli ripetevano che non
era una cosa insolita che il primogenito salisse per la caccia, non lo
tranquillizzavano affatto.
Fu con
molta soddisfazione che il quattr’occhi, con il passare delle
settimane, assistette ad alcune scenette tra gli ospiti ed i sei
fratelli… a cominciare da Takenori e Uozumi.
Dopo
l’indifferenza iniziale del colosso del Ryonan, dopo l’attentato al
dolce, e dopo gli innumerevoli tentativi del gorilla di ammorbidire il
compagno, come il portargli mazzi di agrifoglio avvizzito, una piccola
puzzola per compagnia e un sacchetto di castagne bacate, il rapporto si
era andato normalizzando, e i due spesso facevano da mediatori nelle
discussioni serali che li raccoglievano tutti insieme davanti al camino.
La scena
più significativa fu però quella che li vide entrambi in cucina, a
preparare una cena per l’intero gruppo.
Cosa
notoria, e comune a tutti i fratelli Mitsui, era la loro incapacità
cronica nel cucinare. Lasciati a se stessi, erano sopravvissuti buttando
la carne nel vecchio padellone nero, e accompagnandola con un generico
‘stufato’, un insieme disgustoso di verdure completamente diverse,
che venivano costrette ad una improbabile convivenza dentro la pentola a
pressione.
E adesso
Takenori era impegnato a cucinare con Jun Uozumi, un vero cuoco.
“Allora?
Io farò gli udon con tempura, per cominciare, e poi mi occuperò del
dessert… tu dovresti pensare alla carne” esordì l’ex capitano del
Ryonan, indossando il grembiule rosa con i kiwi, un altro acquisto di
Kogure.
“Nessun
problema” mormorò Takenori, inghiottendo a fatica.
Quando
si ritrovò di fronte al frigorifero aperto, cominciò a pensare
freneticamente a cosa fare con la carne che lo guardava dallo scomparto.
Si chinò
per tirarla fuori, e poi prese la vecchia padellona, quella pre-Kogure,
apprestandosi a lanciarci dentro le bistecche, una ad una, sistemandosi
in perfetta posizione da tiro libero.
Poi però
sentì lo sguardo di Jun su di sé, e capì che forse la strategia
doveva essere differente.
Con
forzata indifferenza, si avvicinò allo scaffale, occhieggiando
l’unico libro di cucina, quello portato dal quattr’occhi. Con piglio
sicuro, aprì una pagina a caso, annuendo come se fosse esattamente
quello che desiderava trovare… poi cominciò a leggere freneticamente
la lista degli ingredienti e a dare un’occhiata alle fasi della
preparazione.
Non
avrebbero dovuto esserci problemi, assolutamente. Cominciò a versare
sale, olio, aceto balsamico, curry, paprika, formaggio e un bicchiere di
latte (la mamma non diceva sempre che il latte faceva bene?) dentro la
pentola. Mescolò il tutto sulla fiamma tenuta al massimo, e,
sorridendo, cominciò e tagliare la carne. Il fatto che il formaggio si
stesse sciogliendo, attaccandosi al fondo, che il latte, nel gemellaggio
con paprika e curry avesse acquistato un bel colorito rosato, e che
l’olio continuasse a condurre una vita da asociale, standosene
separato dal resto, non lo preoccupò più di tanto. Mescolò ancora più
vigorosamente, incurante degli schizzi che ormai raggiungevano qualsiasi
superficie della grande cucina, del resto un grande cuoco non può
preoccuparsi di queste inezie, e cominciò a tagliuzzare la carne: era
sicuro che ne sarebbe venuto fuori un vero e proprio capolavoro! Il
profumo che esalava dalla pentola era qualcosa che già stava
cominciando a stimolargli i succhi gastrici, ricordandogli in qualche
modo l’ottimo stufato di cavolo che aveva per anni costituito il
contorno serale dei pasti familiari.
Nella
pentola cominciarono a formarsi e a esplodere numerose bolle… sempre
più grandi. Sorrise, era ovvio che il condimento aspettava con ansia il
ricongiungimento con la carne! Già, come quel film: l’Anima
e la Carne!
Si voltò
appena, non volendo distrarsi, per guardare il viso di Uozumi: non gli
aveva mai visto una espressione tanto attenta!
Confortato
dall’interesse del compagno, cominciò a far volare altri ingredienti
nella pentola, sogghignando all’aumentare dello sfrigolio. In uno
scaffale trovò un pezzo di peperoncino che doveva risalire al
pleistocene, e lo aggiunse al tutto, convinto che il buon sapore antico
del fossile avrebbe migliorato il gusto di quel piatto. Dopo mezz’ora,
asciugandosi la fronte madida per la fatica, ritenne che l’insieme
grigiastro potesse costituire un ottimo piatto centrale per la cena.
Si voltò
per guardare la pentola appoggiata sull’altro fornello: la zuppa del
suo amore sembrava ben povera cosa, vicino alla sua mirabolante
creazione. Non appena Jun si voltò, prese una cucchiaiata dal sughetto
color carbone della carne e la aggiunse alla zuppa, felice di poter dare
una mano al compagno.
Poi
portarono tutto in tavola.
Cominciarono
dal piatto di Uozumi, del resto era meglio dargli la ribalta, visto che
dopo sarebbe stato offuscato dal secondo. Effettivamente Takenori si
sentiva molto orgoglioso della propria abilità di cuoco, e già si
vedeva, con il cappellone bianco in testa, a gestire un piccolo ma
rinomato ristorantino insieme al suo Jun…
Si
risvegliò quando sentì Fujima chiedere:
“Uozumi-san,
molto buona la zuppa, però c’è un retrogusto… è leggermente
differente dal solito…” e si capiva che la differenza non era
positiva.
Il
gorilla si convinse che forse avrebbe dovuto aggiungerne tre di
cucchiaiate di sugo, in questo modo sì che sarebbe stata perfetta!
Uozumi
non rispose all’ex capitano dello Shoyo, sollevò appena un
sopracciglio, e continuò a mangiare. Cosa non si fa per difendere le
proprie creazioni!
E poi fu
il momento del secondo: Takenori portò la pentola con la carne con
delicatezza, come se stesse spostando una porcellana preziosa:
“Questo
l’ho cucinato io” sottolineò orgoglioso.
E poi
tolse il coperchio.
“Hanamichi,
sei un maiale!” sibilò Minori all’indirizzo del gemello.
“Ma che
stai dicendo? Che ho fatto!” si lamentò il rossino, non capendo cosa
fosse successo.
“Vai in
bagno, se hai certe ‘esigenze’… neanche Milly è così animale!”
caricò Shinichi, che quando poteva mettere una buona parola per la sua
bestiola era sempre contento.
“Fossi
un bambino piccolo… ma fare i ‘ruttini’ alla tua età…” e
Akira scosse le spine, senza però perdere il sorriso.
“COSA
STATE INSINUANDO?! Siete delle bestie!! Sicuramente siete stati
voi!!!” si difese Hanamichi, improvvisamente paonazzo. Non aveva fatto
niente, e guardate che figura gli stavano facendo fare. Davanti alla sua
kitsune, per di più!
“Ragazzi,
un po’ di contegno! – sussurrò Kogure, terrorizzato. Possibile che
dovessero sempre animare certi spettacoli? – Credo che questo…
odore… venga dalla pentola…”
“COSA?!”
esclamarono i tre, in coro.
Intanto
Takenori, mestolone in mano, stava riempiendo i piatti, da bravo
capo-famiglia.
“Ne
vuoi ancora, Rukawa?”
Lo
sguardo assassino dell’asso dello Shohoku non lo intimidì
assolutamente, e quindi elargì una dose abbondante di quel miscuglio
anche all’algida kitsune.
“Fujima?
Passami il piatto” continuò tranquillamente.
E
nonostante il ragazzo cercasse di nasconderselo dietro la schiena, il
gorilla lo snidò e glielo riempì con una razione per ippopotami. Del
resto Kenji era troppo magro, Toru lo avrebbe ringraziato per questo.
Kogure
finse di accusare un improvviso mal di testa che gli impediva di
continuare la cena, ma anche le sue proteste vennero ignorate, e così,
molto presto, tutti i ragazzi si trovarono con la puzzolente roba grigia
nel piatto.
“Jun…
spero che ti piaccia. L’ho cucinata per te” mormorò Takenori al
proprio vicino di tavola.
Ecco,
forse per Uozumi questo non era esattamente un complimento, ma una cosa
evidente dell’ex capitano del Ryonan era che non si fermava
all’apparenza delle cose. L’altro si era impegnato, aveva cercato di
stupirlo in un campo che non era assolutamente il suo… meritava
rispetto e ammirazione. Certo… ingoiare quello schifo era tutt’altra
storia, ma vabbè, era per una buona causa.
“Almeno
ci fosse Blackie…” si lamentò il porcospino, desiderando un
quadrupede spazzino che si facesse fuori quella sbobba, senza pensare
che probabilmente neanche il fido botolo si sarebbe prestato a tanto.
Koshino,
dopo aver infilato la forchetta nella massa informe, e aver lottato
strenuamente per riuscire ad estrarla, senza successo, adesso stava
ringhiando con il viso affondato nel tovagliolo, e guardava
contemporaneamente i commensali come se stesse per azzannarli.
Toru, nel
frattempo, stava cercando di fare una suddivisione degli ingredienti,
con l’intento di trangugiare solo la cosa più innocua, che però non
riuscì a localizzare, mentre Kiyota mangiava avidamente e con gusto,
provocando espressioni allibite in tutti coloro che lo circondavano e
un:
“Che
uomo! Che coraggio!” da parte di Shinichi.
E anche
Jun mangiava… lentamente, masticando ogni boccone duecento volte, e
facendolo seguire da enormi bicchieri colmi d’acqua, però mangiava.
Takenori
lo guardava orgoglioso: sapeva che solo un palato sopraffino avrebbe
potuto cogliere la delicatezza della sua creazione, e Uozumi in questo
era il migliore, l’esperto.
Gli
sorrise, indicando il piatto:
“Non
male come prima volta, eh?”
L’altro
non rispose, ma era comprensibile, visto il rapimento con cui accoglieva
ogni nuovo boccone, e così, mentre Minami con mossa fulminea aveva
buttato il tutto nel fuoco, seguito a ruota da Minori, il gorilla addentò
la prima cucchiaiata.
Un sapore
particolare, insolito, ma non… non male…, si disse all’inizio, poi
però cominciò a domandarsi se forse l’aceto alla pera, invece che
quello alle erbe, sarebbe stato meglio… la famosa ciliegina sulla
torta, e dopo ancora attribuì la colpa di quel profumo forse un po’
troppo intenso alla carne non battuta a dovere, e infine… di lui fu
visibile solo la schiena, mentre con dignità prendeva la strada per il
bagno, da cui arrivarono rumori indicanti che forse la lavanda gastrica
non sarebbe stata necessaria… madre natura aveva deciso di aiutare il
suo figliolo.
Però
questo episodio segnò l’inizio di un nuovo corso nei rapporti tra
Takenori e Jun: la prima cosa che divenne chiara, dopo questa cena, fu
che il gorilla doc non doveva più avvicinarsi alla cucina, e questa,
nell’equilibrio di una coppia, è sempre una decisione importante, e
poi c’era stato il ‘sacrificio di Jun’, il mangiare quella sbobba
immonda solo perché l’aveva cucinata Takenori, per non offenderlo…
Kogure si
era quasi commosso davanti a questa scena, e aveva dovuto togliersi gli
occhiali e strofinarsi gli occhi. Quello tra i due colossi era stato il
primo episodio di distensione all’interno del gruppo, e finalmente le
cose potevano rientrare in una sorta di normalità.
Il
secondo episodio che segnò un avvicinamento tra i due gruppi vide
coinvolti Toru e Kenji Fujima.
Avvenne
nel modo più naturale, per loro, e cioè in seguito ad un improvviso
malore di Apu, il puledro di Bucaneve.
Un
pomeriggio Toru fu costretto a lasciare il lavoro nella stalla delle
mucche, richiamato da Kogure:
“C’è
qualcosa che non va… Bucaneve nitrisce senza sosta, e Apu è coperto
di schiuma!”
Il
quattr’occhi più alto lasciò il lavoro nelle mani di Shinichi, e si
precipitò verso l’altra stalla: il puledro era sempre stato bene, non
aveva mai manifestato alcuna sofferenza… che diavolo era successo?
Quando lo
vide sbuffare e scalciare nel suo box, capì che da solo non ce
l’avrebbe fatta: Kogure non avrebbe potuto aiutarlo, si vedeva lontano
dieci miglia che non era a proprio agio con animali così grandi, e
l’unico che avrebbe potuto dargli una mano era Hisashi, nascosto in
chissà quale baracca sperduta, su ai pascoli estivi.
Si sfilò
il maglione e si rimboccò le maniche della camicia. Mise a bollire
l’acqua sulla stufa a legna che tenevano per riscaldare gli animali,
quando c’erano le gelate, e poi cercò di bloccare il puledro con
delle corde.
Non aveva
la più pallida idea di cosa potesse avere: schiumava e si agitava, gli
occhi erano quasi vitrei e la coda frustava furiosamente in tutte le
direzioni. Se solo fosse riuscito a bloccarlo e ad aprirgli la bocca!
Tentò più
volte, ma l’animale si dimenava, impedendogli di avvicinarsi troppo,
e, anzi, aveva rischiato più volte di vederlo impennarsi e di
ritrovarsi i suoi zoccoli affilati sul petto.
Riprovò
a bloccarlo contro il muro… mancava poco e lo avrebbe immobilizzato,
se solo avesse avuto un braccio in più sarebbe stato perfetto! Gli
venne quasi da ridere, a pensarsi perfetto con tre braccia, ma non mollò
la presa… bastardo! Si era divincolato di nuovo! Tentò di arginare i
danni, spostandosi di appena qualche centimetro, ma fu solo
l’intervento di due mani sottili ma forti che fece sì che finalmente
potesse immobilizzare il puledro:
“Solleva
il labbro superiore” si sentì mormorare dalla voce un po’ affannata
di Fujima.
Labbra?
Rimase per qualche istante a fissare la bocca del compagno, cercando di
processare le parole che gli erano state rivolte, e finalmente capì che
si riferivano ad Apu. Riatterrò sul pianeta Terra con un tonfo
doloroso, annuì e aprì la bocca del cavallo:
“Ha le
mucose bluastre… intossicazione alimentare” decretò il ragazzo più
basso.
“Non è
possibile, prende il latte dalla madre, e poi il mangime per puledri!”
provò ad opporsi lui, anche se sapeva che quel colore era un segno
inconfondibile di avvelenamento.
“Magari
ha assaggiato qualche nuovo piatto di tuo fratello Takenori…”
Toru
sorrise: non pensava che in una situazione del genere si sarebbero messi
a scherzare, però questa nuova atmosfera lo riempiva di calore… ecco,
forse troppo calore… per il
bene di Apu, soprattutto, cercò di scansarsi dal corpo del compagno.
“Dubito
che Uozumi e Kogure-san lo lascino più avvicinare a meno di venti metri
dai fornelli!” scherzò, accarezzando delicatamente il muso
dell’animale.
“Per
fortuna! Comunque c’è qualcosa che non va… prendi gli antibiotici,
quelli nel barattolo rosso” era più che evidente che Fujima avesse già
dato un’occhiata approfondita alla loro piccola farmacia veterinaria
“Ha la febbre, bisogna fargliela passare, c’è il rischio che sia
una infezione batterica, le virali non hanno questi effetti…”
“Stafilococchi?”
provò Toru, al quale la consapevolezza di una preparazione fatta in
casa dava qualche dubbio nell’uso dei termini.
“Probabilmente…”
gli rispose l’altro, riempiendo la siringa “Se tra qualche ora non
starà meglio, ci sarà poco da fare. L’avessimo presa prima, sarebbe
bastata una lavanda gastrica… vedi il ventre gonfio, duro? Deve aver
mangiato qualcosa che gli ha fermentato nella pancia”.
Toru si
guardò intorno, possibile che avesse preso qualcosa destinato alla
madre, magari?
Improvvisamente
allungò un braccio, verso la mangiatoia d’angolo:
“Laggiù…
le mele per Bucaneve!” esclamò.
Il
compagno annuì:
“E’
la causa più probabile… speriamo che non sia troppo tardi. In ogni
caso, non ci resta che aspettare…”.
Si
sedettero sulla paglia, con la schiena addossata contro il muro, le
spalle che quasi si toccavano.
“Ti
manca molto la città?” chiese Toru, appoggiando la nuca contro la
parete fredda e chiudendo gli occhi.
“Hn”
rispose l’altro, piegando la testa da un lato e dall’altro, come a
tentare di scacciare l’indolenzimento per lo sforzo di pochi minuti
prima.
Rimasero
qualche minuto in silenzio, guardando il puledro che sembrava essersi
calmato, sebbene avesse scatti improvvisi che lo portavano a calciare
con violenza la porta di legno del box.
E questa
volta fu Fujima a cominciare a parlare:
“Il
tempo e il fatto che non si possa comunque tornare indietro hanno
lavorato a tuo favore: non posso più essere arrabbiato con te per
quello che è successo, sebbene… sebbene quella sera e i giorni
successivi ti avrei ucciso – si interruppe, aprendosi ad un sorriso
timido – penso che potremmo fare una tregua, fino a primavera…”.
Già, la
primavera. Se Kenji avesse saputo che il solo pensiero che poi non
avrebbe più potuto vederlo tutti i giorni lo faceva star male…
“Abbiamo
sbagliato, diciamo che ci siamo lasciati trasportare…” arrossì
leggermente nel pronunciare queste parole. Era abituato a considerare i
propri sentimenti per il compagno come qualcosa di acclarato e
accettato, ma in effetti lui ne aveva parlato soltanto con i fratelli.
Per gli altri non era certamente così… per Kenji non era così.
“E poi
non sei proprio antipatico… anche se sei lunatico: prima prepotente,
poi disponibile, di nuovo violento, sì, e alla fine gentile, generoso.
Credo che diventerò matto cercando di capirti!” riprese Fujima,
parlando a voce bassa, quasi più a se stesso che al ragazzo che gli
stava seduto accanto.
Rimasero
seduti a chiacchierare fino a mezzanotte. Apu sembrava stanco, ad un
certo punto si piegò sulle zampe, sdraiandosi sulla paglia.
I due
ragazzi gli si precipitarono accanto, inginocchiandoglisi vicino:
“Sembra
che la febbre sia scesa” mormorò Toru, dopo avergli tastato il muso,
vicino alle froge. Nel frattempo l’altro stava di nuovo aprendo la
bocca del cavallo, scoprendogli le mucose:
“Sono
più chiare, sembra che l’emergenza stia passando… conviene
rimanergli accanto ancora un po’, per essere sicuri che non peggiori,
anche se l’importante è che la febbre sia scesa!”
“Domani
potremo dargli qualcosa per aiutarlo a ripulirsi da tutto quello che si
è ingurgitato” suggerì Toru, passando delicatamente la mano aperta
sul collo dell’animale.
“Sì,
mi sembra un’ottima idea… e mai più mele a portata di… muso!”
concluse Fujima, urtando casualmente la mano del quattr’occhi, nel
tentativo di accarezzare la testa del puledro.
Si
ritrassero contemporaneamente, così come era successo nella libreria:
“Grazie
Kenji, Apu senza di te non ce l’avrebbe fatta” mormorò Toru.
“Senza
di noi” lo corresse il compagno, sorridendogli.
Shinichi,
nel frattempo, continuava a cercare un modo per avvicinarsi al suo
Kiyota, anche se rimaneva sempre l’ostacolo di un atteggiamento appena
un pochino distaccato del piccolo principe.
“Ma
secondo te cosa devo fare?” chiese il pelle-gialla per l’ennesima
volta, carezzando la sua Milly. Il problema andava risolto, ma lui non
sapeva assolutamente come…
Ricordava
bene le parole di Toru, il discorso sulla competizione, e in qualche
modo era lusingato dal fatto di suscitare sentimenti tanto violenti, però
tutto questo lo stava tenendo troppo lontano dal desiderio che era stato
il motore dell’avvicinamento a Nobu-kun, e cioè la speranza di
arrivare, un giorno o l’altro, alla famosa mossa di Pallino, con
l’altro a fare la parte dell’Uomo Ragno...
Non che
lui avesse solo desideri triviali, assolutamente, però, quando vedeva
il suo bel morone, l’istinto prendeva il sopravvento, e chiare
immagini di loro due insieme, a scambiarsi coccole di fronte allo
sguardo compiaciuto e bovino di Milly, cominciavano a colorarsi davanti
ai suoi occhi…
Fino a
quel momento, però, non aveva fatto molti passi avanti.
E poi
venne IL giorno…
Come al
solito si stava occupando delle bestie, spalando letame con virile
dedizione, quando un urlo squarciò l’aria.
Si guardò
intorno, i sensi improvvisamente all’erta… l’urlo si ripeté!
Quella voce, quel tono argentino… il suo Nobu-kun!! Sempre con le
antenne, e forse non solo loro, drizzate, si precipitò all’esterno,
per essere accolto dalla visione del suo amore abbracciato al tronco di
un albero mentre Evelina, la papera, allungava il collo cercando di
beccargli il fondoschiena.
Compreso
immediatamente il pericolo corso dal giovane stregone, che comunque
continuava a starnazzare più dell’animale che aveva di fronte,
pronunciando anatemi inframmezzati da richieste di un aiuto più
terreno, Shinichi si strappò la camicia, facendo saltare tutti i
bottoni – oddio, non che la cosa servisse, ma in molti film della
serie ‘Amori Violenti’, quelli in onda il martedì notte, dalle
undici e tredici, l’eroe esordiva con questa mossa – e si lanciò
impavido in aiuto del dolce Raperonzy:
“Evelina…
- esclamò atterrando accanto al pennuto – lo so che Nobu-kun ti
piace, ma devi capire che non è buono da mangiare. Ti farebbe venire
male al pancino – e le indicò con l’indice il ventre grasso – e
poi se tu mangi lui, io dovrò mangiare te, e la cosa non è bella…
abbiamo trascorso insieme tanti giorni felici, come quando hai scoperto
i piaceri della maternità, ricordi?”
“La
vuoi piantare di perdere tempo con questi discorsi cannibaleschi,
idiota?! – tubò il suo Nobu-kun, dal suo rifugio sull’albero –
Scaccia quella bestia disgustosa, e vienimi a salvare!”
Oh,
oooohhh, el campeon aveva bisogno del suo aiuto! Però c’era ancora
qualcosa da aggiustare. Shinichi si levò in piedi, portandosi di fronte
al compagno:
“Tu
sbagli atteggiamento: Evelina e Milly non ti vorranno mai bene, se le
tratti così” gli rimproverò deciso.
“Me ne
frega un cazzo della considerazione di questa cornacchia bianca e del
bisonte deficiente! Scacciala!!!!”
Ma il
terzogenito della famiglia Mitsui aveva deciso che era giunta l’ora
per la lezione sul rapporto con gli animali:
“Non
scaccerò Evelina finché non avrai ritirato tutto quello che hai
detto” esclamò deciso, incrociandosi le braccia sul petto e sedendosi
sul praticello innevato.
“TU…
TU… TU SEI COMPLETAMENTE IDIOTA!!! Mandala via, falla arrosto, fritta,
lessa, come ti pare, ma LIBERAMI DA QUELLA BESTIACCIA!!!”
Il
pelle-gialla continuò a scuotere la testa risoluto: un uomo deve
dimostrarsi uomo anche davanti a decisioni sgradevoli. Non gli piaceva
contravvenire ai desideri del suo amore, ma questa era una questione che
andava risolta. Milly, Evelina, Bucaneve, Apu, Piggy e tutti gli altri
avrebbero sempre fatto parte della famiglia, e lui aveva sempre odiato
quei luoghi comuni sulle incomprensioni tra nuora e suocera! Kiyota
doveva imparare ad apprezzare tutte le bestiole, solo così il loro
rapporto sarebbe stato saldo, in grado di resistere a cariche di future
mandrie e greggi.
“Accidenti,
razza di deficiente, mi ha già staccato una tasca, a forza di beccate!
Se continua così mi toglierà… qualcosa di ben più prezioso!”
continuava a sgolarsi l’altro.
Lui
cominciò a conversare tranquillamente con la papera:
“Qua…
qua-qua… quuuuuua… quaaaaaa” mormorava felice: chi stava meglio di
lui, visuale perfetta del fondoschiena del suo amore ed Evelina, da
sempre una fine conversatrice, per fare qualche pettegolezzo sugli
ultimi avvenimenti del pollaio?
Kiyota
tentò di calarsi di nuovo a terra, ma un salto improvviso di quel
colosso alato, lo fece tornare immediatamente al posto di partenza:
“E’
una bestia stupida, lo sanno tutti! Per insultare una donna si dice che
è un’oca, non lo sai?!” tentò di far ragionare quel demente che
stava tranquillo a quacquaracquare con quello stupido animale.
“Evelina
non è stupida, e poi non ti ricordi di quando Kogure-san ci ha
raccontato la storia delle Oche del Caprifoglio?”
“Ignorante!
Erano le Oche del Campo d’Aglio!”
“Beh,
quello che era, in ogni caso avevano salvato i Gundam dall’assalto dei
nemici… - e Shinichi si interruppe, estasiato dall’azione eroica
delle pennute – e poi, se non riconosci la sua intelligenza, chiamo
Tamarindo…”
“TAMARINDO
NOOOOO!!!” se Evelina era una gran bastarda, il tacchino Tamarindo era
un vero e proprio killer con licenza di mangiare, a morsi, il
malcapitato di turno.
“Dipende
solo da te…” mormorò il pelle-gialla, con sadica noncuranza.
“Ffffsss
picipuuuu srrrrrr tiiiiiii” sibilò Kiyota, a malincuore.
“Cosa
hai detto? Non ho capito niente…” esclamò Shinichi, preoccupato di
aver esagerato, e che il compagno avesse perso la sua splendida
parlantina.
“HO
DETTO CHE QUELL’OCA E’ INTELLIGENTE E LA VACCA E’ UNA D… DOLCE
CREATURA… sei contento?!” strillò l’altro, quasi in preda ad un
attacco isterico, visto che la bastarda là sotto gli si era attaccata
alla cintura.
“Evelina!
Vieni qui da papà” la richiamò lui, finalmente soddisfatto.
L’oca
si avvicinò subito al padrone, strusciandogli il lungo collo sulla
mano:
“Non
vedi quanto è tenera? Vuole solo un po’ di coccole!”
Qualcosa
di simile a ‘bastarda’ uscì dalla bocca di rosa di Kiyota, ma
l’altro ragazzo non diede peso alla cosa. Il suo amore aveva accettato
tutta la famiglia, finalmente, e adesso mancava solo la presentazione
ufficiale:
“Puoi
scendere, cucciolo: adesso andiamo da Milly, le ho tanto parlato di te e
desidera tanto conoscerti. Sono sicuro che andrete d’accordo…” gli
comunicò tronfio.
“Pazzo,
questo è completamente pazzo…” ripeté l’altro a bassa voce, ma
comunque lo seguì; la possibilità di studiare da vicino qualcuno che
parlava con gli animali era professionalmente intrigante.
Anche
Akira aveva dei problemi di comunicazione con il suo Koshino, e forse il
dono di Shinichi di parlare con gli animali avrebbe potuto aiutarlo,
visto che il ragazzo ringhiava e basta.
Per
quanto cercasse di avvicinarsi con battute spettacolari, tipo, dopo
averlo visto grattarsi l’orecchio, “Hai messo l’antipulci?”,
oppure quell’altra, ancora più spassosa, rivoltagli dopo avergli
attaccato la cintura dell’accappatoio al passante posteriore dei
pantaloni “Se fai la danza del ventre dovresti riuscire a
scodinzolare…”, il ragazzo sembrava ancora un po’ timido.
Il
porcospino scosse la testa: forse avrebbe dovuto davvero comprargli un
osso di gomma, o magari mettergli una sveglia sotto al cuscino, in modo
che il cucciolino pensasse di avere vicina la mamma… certo, ogni
problema sarebbe stato risolto se nel letto con Hiro-kun avesse potuto
entrarci lui, ma sembrava proprio che questo non fosse possibile.
Comunque,
ora era deciso a risolvere il problema, e far diventare il compagno un
po’ più socievole, doveva solo trovare la tattica giusta.
Dopo
essersi sistemato ben bene le ciocchette ed avere indossato uno dei suoi
sorrisi più disarmanti, quello in cui compariva anche il dente del
giudizio superiore sinistro, si avvicinò alla casa, cercando di
scorgere il tenero batuffolo.
Picchiò
contro il vetro, ed essendo ancora pomeriggio, Kogure gli aprì
preoccupato:
“E’
successo qualcosa?” gli chiese.
“No,
no… è solo che ho finito di abbattere le betulle, e poiché è ancora
giorno… ecco… io… passeggiata…” biascicò, perdendosi dopo
l’esordio baldanzoso.
“Beh,
vai allora…” gli replicò l’insensibile quattr’occhi.
“Ehm…
no, ecco, io mi chiedevo se… c’era qualcuno che voleva venire con
me!”
“Io no,
devo aiutare Jun per la cena, e credo che gli altri… - ma Kogure si
interruppe, come ritornando sui propri passi – Prova a vedere se
Koshino è nel soggiorno. Sta tutto il giorno abbandonato su qualche
poltrona, camminare un po’ gli farà bene”.
“Beh…
se proprio insisti…” mormorò Akira, sparendo in un secondo oltre la
porta.
E
Hiro-kun era lì, la fronte corrugata e lo sguardo imbronciato:
“Che
diavolo vuoi?!” lo accolse, sollevando appena lo sguardo.
“Ti
porto a fare una passeggiata… così prendi un po’ d’aria!” gli
rispose Akira, entusiasta.
“Un
po’ d’aria? Ci sono venti gradi sotto zero… mi sa che ti si è
congelato il cervello, a te!”
Ma il
sorriso disarmante del porcospino rimase inalterato, era sicuro che, se
avesse mantenuto il punto, l’avrebbe avuta vinta.
L’altro
rimaneva immobile, ma lui non aveva intenzione di demordere, e infatti
lo afferrò delicatamente per il polso, facendogli fare una intera
giravolta nello slancio:
“Non
essere pestifero! E’ solo una passeggiatina… un po’ d’aria, i
bisognini e poi ti riporto a casa!”
“I…
i…” ma Koshino non riuscì a terminare la frase, perché Akira
cominciò a trascinarlo fino alla porta, buttandogli addosso uno dei
giacconi di Kogure.
Finalmente
furono all’aperto, e cominciarono a camminare sullo spesso strato di
neve: stare sempre dentro casa sicuramente non giovava al carattere
pensieroso e meditativo di Koshino, il ragazzo doveva prendere un po’
d’aria, togliersi dalla sonnolenza che permeava, dopo un po’, gli
spazi chiusi: lui lo avrebbe aiutato!
Con mossa
fulminea, si chinò a raccogliere la neve, infilandogliela nel colletto,
uno dei giochi invernali più divertenti che conoscesse, uno di quelli
che lo facevano rimanere per ore al gelo con i gemelli.
“Razza
di idiota, deficiente, lobotomizzato! Proprio un gioco degno di te!” e
il ragazzo cominciò a scrollarsi il ghiaccio dai capelli.
Lui però
sapeva che solo insistendo sarebbe riuscito a farlo aprire un po’, ad
iniziarlo ai piaceri della spensierata vita di montagna, e così si chinò
a raccogliere altra neve. Appena prima di poter lanciare, però, si
ritrovò la dentiera di Koshino attaccata al polso, mentre il ragazzo
aveva ricominciato ad emettere quel suono così caratteristico, quella
specie di ululato ringhioso che stava diventando il suo segno
distintivo.
Proprio
mentre Akira cercava di arrendersi all’idea di diventare come capitan
Uncino, l’altro improvvisò una melodia polifonica: al ringhio
monocorde, si era infatti sovrapposto qualcosa di simile ad un guaito…
ma come era possibile, visto che il ragazzo stava benissimo, tutto
felice di rosicchiare il suo polso?
Provò a
dargli delle pacche affettuose sulla testa, ad accarezzargli i capelli,
e il compagno sollevò il viso sorpreso: il ringhio si era attenuato, ma
il guaito sembrava ancora più forte. La cosa strana, però, era che
anche Koshino sembrava teso ad ascoltare quel rumore… possibile che
non provenisse da lui?!
“Secondo
te, cos’è?” mormorò il ragazzo, nel cui sguardo era balenato un
lampo di preoccupazione.
“Bah,
sarà il vento...” tentò di rassicurarlo lui.
“Sei
proprio un perfetto imbecille! Questo non può essere vento…”
Di nuovo
quel guaito, e stavolta Koshino gli si era fatto più vicino,
chiaramente agitato. Lui sogghignò: quando il gioco si fa duro, Bobby
comincia a giocare…
“Ti
difenderò io, non permetterò che ti facciano del male! Affronterò i
demoni con coraggio, sconfiggerò gli spiriti delle tenebre… ma tu
ricordami sempre… se vuoi, ti lascio una ciocchetta dei miei
capelli…”
“Quella
robaccia unticcia e appiccicosa te la puoi tenere” gli ribatté
l’altro, assai poco intenerito.
Ci voleva
ancora qualche lezione di buone maniere, ma comunque Akira,
allacciandosi il giaccone e immaginandoselo una specie di mantello rosso
alla Superman, e dandosi poi un’ultima sistematina ai capelli, si
lanciò coraggiosamente verso il nemico.
“Stai
indietro, non mi seguire… il pericolo può annidarsi ovunque!”
bisbigliò al ragazzo che gli rimaneva incollato accanto.
“Se non
ti stessi vicino, saresti capace di finire in una trappola piazzata da
te!” gli sibilò l’altro, che evidentemente cercava di nascondere
l’estrema preoccupazione per la sua salute dietro ad un atteggiamento
distaccato.
Il guaito
era sempre più forte; peccato non avere a disposizione un paio di lame
rotanti, sicuramente avrebbe affrontato il pericolo con più
disinvoltura. Comunque, localizzata finalmente l’origine del latrato,
Akira si lanciò, impavido, deciso a difendere con il proprio corpo la
vita di Koshino.
Ehm… la
belva disumana si doveva essere ristretta per salvarsi dall’attacco! Sì,
era così, il dinosauro era diventato piccolo, per evitare la
rappresaglia. I soliti mezzucci di quelle bestie infide… non volevano
dare il giusto riconoscimento a chi le aveva sconfitte!
“Demente,
togliti di lì, non vedi che lo stai soffocando?!”
Che
tenero, il suo piccolo Hiro-kun, subito pronto a mostrare generosità
verso il demone appena sconfitto:
“Non
essere troppo buono, amore, potrebbe attaccarci di nuovo!” lo mise in
guardia lui.
“Forse
non te ne sei accorto, ma quello che stai infilzando con i tuoi aculei
è un cucciolo di cane… lascialo, non riesce a respirare!”
“Cucciolo?
Cane?” abbassò lo sguardo e si rese conto di sovrastare un cagnolino
di pochi mesi, bianco quasi come la neve con cui sembrava confondersi, e
dallo sguardo spaurito e lacrimoso.
Il solito
camuffamento dei demoni: si fingevano agnelli quando invece… e questo
era ancora più pericoloso, perché aveva subito, camaleonticamente,
cercato di confondersi con il suo Kosh.
Il
porcospino impallidì vedendo il compagno, intrepido o più
probabilmente incosciente, chinarsi sulla bestiola, afferrarla per la
collottola e sollevarsela in braccio, ma poi si commosse a
quell’immagine: Hiro-kun stava anticipando il quadretto che avrebbe
offerto, di lì a pochi anni, con i loro bambini stretti al petto…
sebbene Akira dovesse riconoscere che una somiglianza così perfetta
sarebbe stata difficile da ricreare con un pargolo umano.
“Che
diavolo hai da sorridere come un ebete?! – gli si rivolse l’altro,
sempre pronto a nascondere la tenerezza dietro un’apparenza burbera
– Pensi che possiamo portarlo a casa? Morirà di freddo, se lo
lasciamo qui!”
Lui
mantenne uno sguardo scettico, come se volesse proibirgli di adottare la
bestiola, poi però accondiscese, facendo scendere il suo assenso
dall’alto: quella sera era nato il loro primogenito…
Hanamichi
aveva cercato per giorni di trovare un approccio per evitare di essere
incenerito dallo sguardo della sua kitsune, e magari un argomento che
facesse finalmente capire alla volpe quale immensa fortuna gli fosse
capitata a fare innamorare di sé il fulgido Hanamichi Mitsui, il
divino, il genio, il più forzuto taglialegna che mai betulla montana
avesse incontrato: un uomo… un’ascia, in tutti i sensi, modestia a
parte! Eppure… eppure tutto quello che era riuscito a farsi dire dal
suo amore era stata quell’orrida parola, quella stridula sequenza di
suoni, quella stringa cacofonica…
Do’aho!
E così
aveva avuto l’idea che avrebbe cambiato il corso della loro relazione,
quell’idea che avrebbe finalmente abbattuto le barriere di timidezza
del suo Kaede, facendolo finalmente abbandonare all’inevitabilità del
loro amore… mentre gli rimbombavano nella testa le note strazianti del
tema d’amore di Basil l’Investigatopo,
Hanamichi si mise all’opera per portare a compimento il proprio piano
di conquista.
Dopo tre
ore, molto sudore, e anche una doccia, perché è vero che l’uomo ha
da puzza’, ma c’era da morire a passargli a meno di cinque metri, il
piccolo Mitsui si presentò a ritirare il premio. Sgattaiolò dentro
casa, cercando il volpino in ogni angolo, sotto il letto, in soffitta,
dentro l’armadietto del bagno, dietro il calendario di Frate
Indovino… niente, non riusciva a trovarlo, eppure lo sapeva che
l’infido si era addormentato da qualche parte, figurarsi se riusciva a
rimanere sveglio più di tre secondi di seguito!
Confortato
da questa convinzione, non si diede per vinto, e alla fine i suoi sforzi
vennero premiati: rimase una buona mezz’ora immobile ad ammirare il
suo Kaede acciambellato sul vecchio dondolo del portico, gli occhi
chiusi, la faccina angelica, le manine serrate in due pugnetti poggiati
vicino al viso… pugnetti che non sembrarono più tanto ‘etti’
quando il rossino ne fece conoscenza, nel momento in cui decise di
passare all’azione, afferrando il ragazzo per il polso con il chiaro
intento di trascinarselo via.
Anni di
zuffe con i fratelli e contro gli altri bulletti di montagna lo fecero
però reagire con fermezza: quasi non traballò, nonostante avesse la
sensazione di essere appena stato investito da un tir, e, da vero uomo,
seguitò a trascinarsi appresso il compagno, fino ad arrivare a
destinazione.
“Sei
contento Kits?” gli chiese fermandosi improvvisamente, tutto
soddisfatto, al centro del campetto di basket,
aspettando di leggere l’emozione nel viso dell’altro.
“Lasciami,
do’aho!”
Ecco,
aveva ricominciato con quella parola!!!
“Io non
sono un do’aho!!! Sono HA-NA-MI-CHI… il GE-NIO!!” cercò di
sottolineare ancora una volta.
“Do’aho”
ribatté Rukawa, come se niente fosse.
Il
rossino decise di lasciar correre, per una volta, visto che c’era
qualcosa di più importante in gioco:
“Non ti
piace?” ripeté, accennando con la testa verso l’angolo del campetto
di Basket.
Aveva
impiegato ore per raccogliere la neve in quel punto e costruire quella
bellissima scultura, ancora un segno incontrovertibile della sua
maestria e genialità in ogni ambito:
“Non li
riconosci?”
Finalmente
lo sguardo della sua volpe si posò sul gruppo scultoreo che faceva
bella mostra di sé in quella landa desolata.
“Non
sai neanche costruire un pupazzo di neve!” fu la replica svogliata che
ricevette, prima che la kitsune distogliesse gli occhi, per poi
portarli, con un interesse ben maggiore, verso i canestri del campetto.
“PUPAZZO
DI NEVE?!” urlò lui, incredulo. Di che diavolo stava parlando Sonno
Profondo… lì non c’erano pupazzi di neve.
L’altro
diede un’altra occhiata veloce alla creazione ghiacciata,
accigliandosi quasi subito:
“Due
birilli, di cui uno sta cadendo… ah, eccola lì, c’è anche la palla
da bowling, ha pure i buchi” aveva mormorato, trattenendo a stento uno
sbadiglio.
Hanamichi
era rimasto basito: ma come diavolo osava!!! Ci aveva messo ore a
costruire quell’opera d’arte! Il birillo in piedi… ma quello era
lui!! Il fantasmagorico genio, lo strabiliante artista, il misterioso ed
intrigante capitan Harlock, nero il suo mantello mentre il cuore bianco
è (URRA’!!), di Kanagawa! Un birillo… non poteva crederci! E poi
perché avrebbe messo il pallone da basket al posto della testa? Per
ricreare il colore dei suoi capelli, no? E l’altro ‘birillo’…
possibile che il volpino non si fosse riconosciuto? Evidentemente si
guardava poco allo specchio, perché per renderlo ancora più
somigliante gli aveva addirittura infilato sulla testa, un po’
bozzolosa, ma si sa, l’arte moderna astrae, anche degli zeppetti scuri
che dovevano indicare i capelli! Un birillo che cade… era Rukawa
abbandonato tra le sue braccia, e altro che palla da bowling, quella era
la testa di Eiji Sawakita, con naso, occhi e bocca!
“NON
VEDI CHE SIAMO NOI?! Ci ho messo tutto il pomeriggio per… per farti
capire come vorrei che fosse… come vorrei che…”
“Il
solito do’aho!” gli replicò l’altro, avvicinandosi al suo
capolavoro e… DECAPITANDOLO!!! Gli aveva tolto la testa, si era
impossessato del suo cranio, e adesso lo faceva rimbalzare sul terreno
del campetto di basket.
“SMETTILA!!
Così mi farai male!! – sbottò Hanamichi, incredulo, e portandosi le
mani intorno alla testa, pronto a risentire fisicamente dell’oltraggio
che il volpino stava portando alla sua proiezione di gomma arancione –
NON PUOI LASCIARMI SENZA TESTA!!!”
Ma Rukawa
già non lo sentiva più, era corso sotto il canestro e aveva insaccato,
saltando leggero.
Era
questo che voleva? Una sfida all’ultimo sangue? Beh, lo avrebbe
accontentato!
“FERMATI,
DANNATO VOLPINO!! Non si sfugge ad Hanamichi Mitsui!” e si lanciò
all’inseguimento.
Sarebbe
stato bello poter dire che le ore passate ad allenarsi per non sfigurare
davanti al suo amore fossero servite a qualcosa, ma non era così: quel
disgraziato gli sfuggiva da tutte le parti, e lui poteva solo ricorrere
a sistemi non proprio ortodossi, per fermarlo. Però era bello, era
bello vederlo palleggiare, cambiare ritmo, scattare per le finte, il
tutto senza distogliere lo sguardo dal suo: gli sembrava che, per la
prima volta, l’altro lo vedesse davvero, ed era una sensazione
fantastica!
Sgomitando
e minacciando testate ed altre terribili efferatezze, si impossessò
finalmente del pallone e cominciò a correre verso il canestro:
saltarono insieme, lui riuscì a tirare, ma la sfera carambolò sul
tabellone per poi scivolare sul ferro e quindi sul pavimento…
accidenti, ce l’aveva quasi fatta!
“Concentrati!
Sbagli la posizione delle mani e salti fuori tempo!” gli aveva…
sibilato? No, amabilmente suggerito, la sua kitsune, leggermente
ansimante mentre riprendevano fiato prima di ricominciare il gioco. Non
lo aveva mai visto così sveglio, non lo aveva mai visto così bello, le
guance leggermente arrossate dal freddo e dalla fatica, gli occhi
brillanti, azzurrissimi.
“Ti
piace proprio giocare a palla, eh?” mormorò lui, facendosi ruotare la
sfera sulla punta del mignolo, e rimediandoci una insaccata. Comunque la
sua non era propriamente una domanda, era più una constatazione, che
non aveva fatto a cuor leggero; non è bello vedere il ragazzo che
dovrebbe dedicarti tutto se stesso così preso da qualcosa che non ti
riguarda neanche lontanamente.
“Mph!”
gli replicò il compagno, scansandosi la frangia dagli occhi.
“Però…
- e qui il sorriso del rossino si aprì improvviso e soddisfatto - …io
so perché hai scelto questo gioco…”
L’altro
lo guardò per qualche istante, come se per una frazione di secondo
avesse avuto voglia di chiedergli spiegazioni. E il do’aho, essendo la
generosità e gentilezza personificata, decise di illuminarlo:
“Il
colore di questo!” e indicò il pallone, lanciandolo poi in un
perfetto tiro da tre, che però superò il tabellone, gli alberi e le
nuvole, fino a perdersi nell’iperuranio…
“Non
osare dire niente… so già quale parolina sta meditando il tuo
cervellino stanco!!! – sibilò acido, voltandosi verso Kaede e poi
tornando ad osservare la sfera apprestarsi a diventare una lontana
stella che avrebbe vegliato su di loro – Comunque, ti piace il basket
perché… il pallone ha il colore dei miei capelli!!”
Lo aveva
scoperto, aveva messo a nudo l’immenso amore che la kitsune provava
per lui ma che teneva celato per timidezza… come sempre, era stato un
genio!
“Neanche
tutta la tintura che ti metti può farti avere qualcosa in comune con
questo sport” mormorò l’altro con noncuranza, voltandogli poi le
spalle per avviarsi verso casa.
“I MIEI
CAPELLI NON SONO TINTI!!!” urlò Hanamichi, profondamente ferito.
Erano anni che nessuno più scopriva la sua riserva di Rosso
di sera il capello ci spera, e poi aveva ripassato con il pennarello
pure tutte le foto di quando era bambino, un’opera accurata e
perfetta… non c’erano prove che avesse mai avuto i capelli di un
altro colore! “Io sono un rossino naturale!!” aggiunse, avendo a
cuore che l’altro recepisse il concetto.
Affondando
nella neve e continuando a saltare da una recriminazione all’altra,
Hanamichi riuscì a raggiungere Rukawa, e insieme rientrarono in casa:
prima o poi la sua kitsune avrebbe capito di dovergli dare SEMPRE
ascolto, per ora, però, aveva almeno conquistato che fra loro si fosse
sviluppata una conversazione più complessa di do’aho, hn, mph. E non
era poco.
“Ehi,
kitsune, sai che è la prima volta che facciamo una discussione così
profonda? Sono contento che tu mi abbia aperto il tuo cuore…”
Eh!
Questa se la ricordava bene, era sul libro delle frasi di Kogure.
Kaede si
fermò, voltandosi verso di lui:
“A
volte spero che tu ci faccia, eppure sono convinto che ci sei…”
“Lo so,
lo so, non fare così, ti abituerai alla mia magnificenza. Non devi
sentirti a disagio…” gli rispose lui con condiscendenza.
Mentre
l’altro si voltava scrollando le spalle, lui non riuscì a trattenere
un sorriso: la volpaccia stava cominciando a capire...
I
rapporti tra Minori e il suo Ace Killer non stavano vivendo una stagione
felice. Nonostante le chiare allusioni, i numerosi tentativi di
allungare le mani, le rare, e quasi impercettibili, gentilezze con cui
il codino deliziava il suo amore, questi sembrava assolutamente
insensibile, ed ormai andava in giro con una fondina in cui aveva
accumulato un numero incredibile di armi dalla punta acuminata per
difendersi dai suoi assalti.
Minori
sapeva che l’unica strada poteva essere fermarsi a riflettere,
e cercare di agire come suggeriva sempre il dottor Fuck,
l’ineffabile psicologo del pianerottolo, quello la cui battuta
preferita era “ogni problema ha la soluzione nascosta sul
materasso”.
Come se
lui non fosse d’accordo! Un incontro ravvicinato del quinto tipo e il
suo Tsuyoshi si sarebbe trasformato in un arrendevole gattino.
Però,
come si sa, passare dalla teoria alla pratica non è facile, neanche per
lui, un uomo d’azione capace di affrontare e superare qualsiasi
situazione.
Entrò in
casa con piglio deciso, scuotendo la testa per liberarsi i capelli dai
trucioli rimasti attaccati dopo la lunga giornata di lavoro in segheria.
Nel grande soggiorno vide che Minami era seduto al tavolo, una mano a
rasparsi la testa e tutto concentrato nell’ultimo cruciverbone del
bollettino agricolo di quattro mesi prima. Non appena il ragazzo si
accorse di lui, però, lo fissò estraendo con nonchalance un pugnale di
venti centimetri dalla cintura...
“Pallida
imitazione… se hai davvero voglia di vedere qualcosa di veramente
potente, devi solo dirmelo… dovresti aver capito che io ho armi ben più
devastanti” e Minori si appoggiò con le spalle alla parete, lasciando
il bacino leggermente sporto in avanti, in modo da mostrare il bel lembo
di pelle che i jeans calati lasciavano perfettamente scoperto.
L’altro
lo guardò socchiudendo gli occhi, come a rendere più tagliente e
assassina la propria occhiata:
“Stai
attento, o la tua arma potrebbe rimanere spuntata” gli sibilò,
lasciandosi ruotare il coltello tra le dita.
Oh,
ooohhh, sembrava proprio che il ragazzo si fosse alzato dalla parte
sbagliata del letto, quella mattina!
“Vuoi
startene tutto il giorno nascosto dietro le gonne di Kogure, oppure vuoi
agire da uomo e farmi compagnia mentre finisco di spaccare la legna per
il camino?” niente di meglio che offrirgli qualche istantanea del suo
corpo di maschio ruspante, mentre sudato e ansimante si dava
all’esercizio fisico… e chissà che la cosa non suggerisse al
calimero di dare un’occhiata più ravvicinata ai suoi addominali!
“Sei
pure orbo, non mi sembra che Kogure usi le gonne” gli replicò Minami,
distogliendo gli occhi come se fosse estremamente annoiato dalla
conversazione.
“Non
l’hai mai visto con Hisashi… si dà a spettacolini divertenti, il
nostro quattr’occhi. Non è male vestito da coniglietto, con tanto di
pon pon come coda… non so se tu ne saresti all’altezza! E conosce
certi giochi con quei fondi di bottiglia…” oddio, per fortuna che la
natura lo aveva dotato di una certa faccia di bronzo, perché pensare al
timido Kimi-chan in versione sadomaso era leggermente raccapricciante.
Si ritrovò
sbattuto contro il muro, con qualcosa che assomigliava pericolosamente
ad un cacciavite a stella ad accarezzargli la gola:
“Non
fare così… - riuscì a mormorare, cercando di non inghiottire per non
rendere troppo intimo il rapporto tra la sua pelle e quella punta di
acciaio - … basta un po’ di ovatta, e una codina la rimediamo anche
per te…”
“Sei un
bastardo, Minori Mitsui, e non hai rispetto per nessuno! Un giorno di
questi, quando avrai raggiunto il limite, ti pentirai di aver sprecato
tanto fiato per stronzate, ma non te ne rimarrà per chiedere perdono a
nessuno, perché questo cacciavite te lo ficcherò nello stomaco…”
“Ma
come siamo sanguinari! Però, visto che per oggi sono salvo, vieni a
spaccare legna con me? Decidi in fretta, che non sei l’unico che
vorrebbe potermi ammirare in azione!” gli replicò lui, mantenendo lo
stesso tono ironico, quello che sapeva far andare il compagno su tutte
le furie.
“Stronzo,
bastardo! Piuttosto che…” ma Minami non riuscì a terminare la
frase, visto che qualcuno aveva spalancato la porta.
“Ehi,
Mitsui! Siamo venuti a sistemare una questione…” due colossi dai
lunghi capelli scuri e dai visi non esattamente raccomandabili si
affacciarono sulla soglia, squadrando Minori e il calimero, che ancora
stava cercando di dominare la rabbia per la conversazione appena
interrotta.
“Che
cazzo volete, imbecilli?” rispose il codino, bloccando l’accesso
alla casa poggiando una mano sullo stipite e l’altra sulla maniglia.
“Quell’idiota
coi capelli rossi è in casa? Lui e quel porcospino sottosviluppato
hanno sconfinato di nuovo! Hanno raso al suolo tutte le betulle del
nostro bosco, e stavolta sarà l’ultima…”
“Quello
non è il vostro bosco, il confine passa cento metri più a nord, quindi
non scassate le palle. Mi sembra che sia un discorso già affrontato e
chiuso. Certo, se non ne avete abbastanza delle testate di Hanamichi, ve
lo chiamo…” e fece come per rientrare in casa.
Un pugno
lo prese in pieno stomaco, facendolo piegare in due per mancanza
d’aria. Quel bastardo senza cervello di Fumi Matsugata lo aveva
colpito a tradimento, proprio come era nel suo stile, e suo fratello
Masa aggiunse il carico, dandogli una ginocchiata sul viso.
Bastardi,
dei veri bastardi! Due contro uno, come era sempre stato il loro
stile…
Minori si
rialzò in piedi, pronto a rispondere colpo su colpo: contro due colossi
come quelli non era facile, e di solito li affrontava insieme al rossino,
avendone sempre ragione, ma stavolta era solo, in casa non c’era
nessuno. Non che lui avesse timori: forse ci avrebbe messo di più, ma
gli stronzi erano destinati a prendercele, come sempre.
Si rimise
in piedi, sollevando i pugni in posizione di guardia. Avanzò, finché
non furono fuori, sul terreno spalato dalla neve di fronte al portone di
casa:
“Fatevi
sotto, signorine” sibilò, incurante del sangue che gli usciva dal
naso.
Riuscì a
mollare un bel pugno a Fumi, colpendolo in pieno viso, e poi un calcio a
Masa, ma presto i due si coalizzarono: uno lo impegnava frontalmente e
l’altro lo aggrediva dai lati. Bastardi e vigliacchi, al solito.
Improvvisamente
sentì che quello che lo colpiva al fianco si era allontanato… si voltò
stupito, schivando appena un ennesimo gancio, e vide!
“Stai
attento, bocca di baci, sono vili e scorretti!” sibilò, impegnato a
parare un altro colpo. Contemporaneamente un bel sorriso soddisfatto gli
si allargò sul viso: quasi quasi c’era da non crederci a vedere
l’orgoglioso e scostante Calimero dargli una mano contro quei
bifolchi!
Con pochi
colpi ben piazzati, riuscì a liberarsi di Fumi, buttandolo a terra. Lo
fece rotolare lontano, colpendolo con la punta dello scarpone, come se
gli facesse ribrezzo anche toccarlo in questo modo, e si ripulì le
mani:
“La
prossima volta che decidi di venire a trovarci, ricordati di presentarti
in maniera più gentile: a casa nostra non c’è posto per gente come
voi!” bella, gli era venuta perfetta, con il giusto cipiglio
sprezzante!
Si voltò
ad ammirare l’altro combattimento, ma non fece in tempo a vedere
niente che si ritrovò a terra, schiacciato dal peso di Masa: peccato,
sembrava che pure quest’ultimo avesse problemi a mantenersi
all’altezza delle argomentazioni della famiglia Mitsui!
Riuscì a
sottrarsi al peso che lo bloccava nell’erba gelata e si rialzò in
piedi, cercando di non manifestare troppo chiaramente che i primi pugni
dei fratelli Matsugata non erano stati esattamente senza conseguenze:
“Ehi,
amore, hai visto che insieme siamo invincibili?!” riuscì a mormorare
a Minami, avvicinandoglisi “Abbiamo dei problemi, ma… ogni problema
ha la soluzione nascosta sul materasso!” aggiunse poi,
soddisfattissimo.
E per la
prima volta vide un’espressione distesa nel viso del compagno, come se
quella rissa gli avesse fatto finalmente superare la rabbia del
rapimento, ma poi…
“Che
accidenti stai dicendo!!! Materasso??!! Bocca di baci? IO TI
AMMAZZO!!!!!”
Ok, era
più disteso ma era sempre il suo Minami.
Sette Basketmen per Sette
Fratelli – Fine quinta parte
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