Fic interamente dedicata e concepita per Ria, per festeggiare il suo compleanno, ma soprattutto per ringraziarla dell’allegria e dell’ottimismo che ci trasmette. Ho impiegato più del previsto a scriverla e so di essere colpevolmente  in ritardo, però le buone intenzioni c’erano… è mancato il tempo!

Tanti auguri, webmom!!

Un baciotto e un ringraziamento a Nausicaa e Calipso, come sempre indispensabili per il sostegno e l’aiuto che mi danno.

Un saluto particolare anche a Angie, Kira e Fra-chan, e a chiunque riterrà di aver passato dei minuti piacevoli leggendo questa storia.

I personaggi di SD non sono miei, così come non è mio il soggetto del film ‘Sette spose per sette fratelli’, che, pur completamente stravolto,  mi è stato di ispirazione.

Ultima cosa: a me piacciono tutti i personaggi di Slam Dunk, senza anche uno solo di loro questo manga bellissimo non sarebbe lo stesso. Se mi sono lasciata trasportare dall’ironia, nel descriverne alcuni, l’ho fatto con affetto.

Buona Lettura.


 

 


7 Basketmen for 7 Brothers

parte V - Sette Cuori in Inverno

di Greta

 

I sei fratelli tentarono in ogni modo di riconquistare il terreno perduto, picchiando contro la porta, oppure spiaccicandosi contro i vetri delle finestre, ma il quattr’occhi si dimostrò insensibile e, anzi, presto tirò tutte le tende per evitare che dall’esterno i ragazzi potessero vedere cosa stesse accadendo dentro la casa.

“Non posso credere che mi abbia buttato fuori di casa per qualcosa che ho fatto solo per compiacerlo!” sibilava Hisashi, sferrando pugni contro la parete del portico.

“Non devi prenderla come una cosa personale – cercò di rassicurarlo Toru, preoccupato – devi capire che è arrabbiato con tutti noi, perché ritiene che ci siamo comportati male… Domani gli passerà, e ti farà tornare dentro. Pensa a noi, invece… destinati a dividere la paglia con Milly, Bucaneve e Shinichi per i prossimi mesi…”

Era chiaro che il fratello desiderava strappargli un sorriso, ma in quel momento lo sfregiato era completamente furibondo: Kogure era il suo ragazzo, la persona che avrebbe dovuto desiderare di stargli sempre accanto, di ubbidire ad ogni suo desiderio, e invece lo aveva buttato fuori di casa sua! Era inammissibile, inaccettabile… il suo orgoglio si rifiutava di comprenderne le ragioni:

“Bene, l’ha scelto lui, allora!” mormorò, dirigendosi con passo deciso verso la rimessa.

Tutti i fratelli lo seguirono, un po’ preoccupati e un po’ divertiti e curiosi di vedere la reazione del grande Hisashi al comportamento tutt’altro che sottomesso del suo piccolo quattr’occhi.

Certo che ne aveva dimostrato di coraggio, quel soldo di cacio!

Poco dopo, il ragazzo uscì a cavallo del piccolo gatto delle nevi che utilizzavano in genere per andare al rifugio in alta quota, un capanno che serviva come base quando andavano a caccia di pelli.

“Cosa hai intenzione di fare, Hisashi?!” gli chiese Takenori, posandogli una mano sul braccio.

“Non penserai di andare via… la possiamo risolvere, questa situazione!” aggiunse Toru.

Ma il fratello maggiore scosse la testa:

“NO, non ho intenzione di sottostare ai colpi di testa di questo o di quello! Ho cercato di aiutarvi, e questo è quello che ho raccolto. Devo starmene da solo, per un po’” e la sua voce rabbiosa non lasciava spazio a repliche.

“Vuoi che diciamo qualcosa a Kogure-san?” chiese Hanamichi, con un tono insolitamente serio.

Lui scosse la testa:

“Tornerò quando comincerà a sciogliersi la neve. Abbiamo entrambi bisogno di una pausa” e diede gas, allontanandosi in una nuvola di neve.

Aveva bisogno di stare solo, di riflettere, altrimenti avrebbe potuto fare o dire qualcosa di cui poi si sarebbe pentito. Mentre il freddo gli penetrava nei vestiti, davanti agli occhi vedeva solo l’espressione furente di Kiminobu… possibile che si fossero sbagliati? Che nonostante l’intesa naturale che c’era tra loro, una convivenza dovesse essere impossibile? Accelerò ancora, sperando che il freddo raffreddasse il suo istinto di tornare indietro, sfondare quella dannata porta e trascinarsi il quattr’occhi in camera da letto, per ricordargli ancora una volta chi era a comandare.

 

Kogure guardò i sei fratelli Mitsui camminare mogi verso la stalla: li aveva riforniti di coperte, lanciandogliele dalla finestra, e di qualche lampada, ma senza aggiungere una parola. Li vide allontanarsi, continuando a voltarsi spesso verso la casa, come se tentassero di scorgere qualcuno attraverso i vetri… eppure tutto quello che potevano vedere erano le finestre serrate.

Sapeva di essere stato duro, ma quello che i sette fratelli avevano fatto era assolutamente inaccettabile! Pensavano davvero di poter essere riamati quando l’unico tratto del loro carattere che emergeva dalle azioni di quella notte era la brutalità?

Il ragazzo sospirò, improvvisamente i suoi pensieri si erano concentrati su un’altra conseguenza di quello che era accaduto: quando si era portato sotto la finestra per ricevere la propria razione di freddezza ed il plaid da stendere sulla paglia, Toru gli aveva comunicato che Hisashi era partito per la montagna. Lui aveva finto di accogliere la notizia con disinteresse, ma non era assolutamente così. C’era molta rabbia, certamente, ma c’erano anche tristezza e dispiacere, e in fondo in fondo c’era il desiderio che tutto tornasse come prima...

No! Non doveva neanche pensarlo! Non era lui dalla parte del torto, non era stato lui ad organizzare un piano così barbaro… Hisashi poteva andare dove voleva, ma, se voleva riavvicinarsi, doveva chiedere scusa, e non tanto a lui quanto a quei sei ragazzi che si erano trovati strappati alla loro vita per un’idea totalmente sbagliata del concetto di conquista.

Scosse la testa, cercando di allontanare questi pensieri che non lo avrebbero portato da nessuna parte: non aveva tempo da perdere viste tutte le cose alle quali doveva badare, con sei ex compagni di squadra da sistemare dentro casa .

Si voltò verso di loro…

Fujima si era seduto sul panchetto accanto al fuoco e sembrava completamente perso nei propri pensieri, fra l’altro non molto piacevoli a giudicare dalla ruga profonda che gli solcava la fronte; Rukawa era semi-sdraiato sul divano, addormentato; Minami fissava tutti gli oggetti e gli occupanti della stanza con sguardo torvo; Uozumi aveva trovato la cucina, e ne era stato inghiottito; Kiyota biascicava strane formule, mentre Koshino ringhiava.

Davvero un bel quadretto…

“Ragazzi, ormai è inutile stare a pensare a quello che è successo… dobbiamo organizzarci per farvi sistemare il più comodamente possibile. Alla fine dell’inverno il ghiaccio si scioglierà e voi potrete tornare a casa. Prendetela come una vacanza!” provò a dire, forzatamente gioioso.

Perché gli sguardi che si erano levati su di lui sembravano tutt’altro che amichevoli? Decise di non lasciarsi scoraggiare, e continuò:

“Venite, vi mostro le stanze dove potrete dormire e vi rifornisco di quel che può servirvi per la notte”.

Si avviò verso il piano superiore, seguito presto dai passi dei compagni. Aprì la porta della grande stanza dei sei fratelli, e fece cenno ai ragazzi di entrare, poi sparì nella propria, riemergendone poco dopo sotto una pila di lenzuola pulite e pigiami.

Con un cenno, radunò il gruppo intorno a sé e cominciò la distribuzione: lenzuola e pigiama giallo con le mucchine per Kiyota; lenzuola e pigiama azzurro con gli elefantini per Uozumi; lenzuola e pigiama rosso con le panterine per Minami; lenzuola e pigiama verdino con i pesciolini per Fujima; lenzuola e pigiama beige con le volpette per Rukawa, e infine lenzuola e pigiama rosa con i cagnolini per Koshino.

Finalmente poté leggere in quegli sguardi la prima espressione che non fosse rabbia o desiderio di vendetta… sì, c’era qualcosa di molto simile alla costernazione nei loro occhi, ora. Bene! Sebbene non riuscisse a coglierne il motivo, era comunque un primo passo avanti.

A questo punto Kogure cominciò a disfare i letti dei sei fratelli, portò le lenzuola nella lavanderia; nascose le immagini ‘artistiche’ appese sopra il letto di Akira, accanto alla foto di Blackie; trafugò ‘Un anno con Clarabella’, abbandonato sul comodino di Shinichi; i boxer su cui Takenori aveva amorevolmente dipinto torte al cioccolato e cappelli da cuoco; il tirassegno di Minori, con l’uomo del judo trafitto da sette freccette; la volpe di peluche su cui Hanamichi aveva scritto RU e alla quale il rossino aveva anche confezionato un bikini, perché nessuno potesse spiarne i particolari ‘intimi’, e la cartolina ‘Love is…’ accanto al libro sui parassiti di Toru, cartolina sulla quale i gemelli avevano liberato la propria fantasia per ricreare la coppia del quattr’occhi e Fujima, con un risultato vietato ai minori...

No, vietato a tutti.

“Bene, adesso potete andare a dormire. Sono sicuro che i ragazzi non vi daranno alcun fastidio, per tutta la vostra permanenza – si interruppe un istante… in qualche modo voleva spezzare una lancia a favore della famiglia Mitsui, nonostante tutto quello che aveva combinato – Loro non sono cattivi… è che a volte non ragionano, si fanno catturare dalla passione” tentò di spiegare.

Dopo qualche secondo di silenzio, l’unica reazione che suscitò fu un:

“Io non voglio il letto vicino alla finestra!” di Kiyota.

Comprendendo rapidamente che nessuno aveva intenzione di raccogliere le sue parole, Kiminobu si voltò, lasciando la stanza e chiudendosi delicatamente la porta alle spalle.

 

La mattina successiva, il quattr’occhi si alzò presto: non si sentiva molto bene, e sicuramente il sonno non gli aveva portato un vero riposo. Si stiracchiò, e scivolò fuori dal letto, per poi avvicinarsi alla finestra. Doveva essere nevicato per tutta la notte, visto che lo strato a terra era piuttosto alto. Si strinse le braccia intorno al corpo, poi portò lo sguardo verso le vette delle montagne che circondavano la casa.

Qualche minuto dopo, stava scendendo in cucina, per cominciare ad avviare la colazione. Fra l’altro sapeva che sarebbe stato necessario vedere come stavano i ragazzi: con quel freddo, dormire in una stalla non doveva essere stato piacevole. In ogni caso, non c’erano alternative.

“Ben alzato, Kogure-san!”

Il saluto tranquillo di Kenji Fujima lo prese alla sprovvista, quando entrò in cucina. Poi si accorse che c’era anche Jun Uozumi, che gli stava bofonchiando qualcosa di incomprensibile, completamente preso dalla preparazione del pasto.

“Che ci fate qui?” chiese, stupito. I fratelli Mitsui non lo avevano mai molto aiutato con le faccende domestiche.

“Visto che dobbiamo dividere la casa, sarà il caso di dividerci anche i compiti” gli replicò l’ex giocatore dello Shoyo .

“Manca il latte” aggiunse Uozumi, voltandosi finalmente verso di loro “Non posso preparare il cioccolato caldo, senza latte”.

Kiminobu annuì; si coprì con il giaccone pesante e si avviò verso la stalla, pronto ad approfittare dell’occasione per vedere come stavano i ragazzi.

Bussò vigorosamente contro la porta, poi entrò, arrampicandosi sul soppalco dove tenevano la paglia, in assoluto il posto più caldo della costruzione.

“Altolà, chi va là?!” si sentì urlare dalla voce di Hanamichi, che lo accolse con i capelli rossi cosparsi di fieno.

“Siete svegli, allora! – il quattr’occhi cercò di mantenere un atteggiamento freddo, ma non riuscì ad essere troppo credibile – Spero che abbiate riflettuto su ciò che è accaduto ieri sera!” proseguì forzando il tono di rimprovero.

“Ehm… come sta la mia Kitsune? Ha dormito bene? Ha dormito… SUL MIO LETTO?” e qui il rossino assunse una delle sue espressioni più incantevoli, con la bocca spalancata in un sorriso che gli arrivava fino alle orecchie.

“Non lo so, e comunque non sono cose che ti riguardano! Come stanno gli altri?” e Kogure salì l’ultimo piolo, issandosi sulle tavole coperte di paglia.

Vide che i fratelli erano tutti più o meno svegli, avvolti strettamente nelle coperte con le quali li aveva riforniti la sera precedente.

“Ho bisogno del mio gel” si lamentava Akira, tenendo la testa nascosta sotto la paglia “Non posso presentarmi davanti al mio Kosh in questo stato…”

“Un’occasione sprecata! Mi sembra di essere il marito che va in bianco la prima notte di nozze” borbottava invece il codino “A quest’ora potevo ancora essere nel letto a rotolarmi con il mio gattino…”

“Smettila, Minori, cerca di capire che non ci siamo comportati bene, ieri sera…” intervenne Toru, l’unico che sembrava avere il buongusto di provare un minimo di vergogna.

“Non sono riuscito a presentare il mio Nobu-kun a Milly…” mormorava, cogitabondo, Shinichi.

“A proposito di Milly, io ho fame, non abbiamo ancora fatto colazione!” si inserì Takenori, indicandosi lo stomaco.

“NON PENSERAI DI MANGIARTI MILLY PER COLAZIONE?!” sbottò il fratello, allibito, e subito pronto a difendere la fida compagna di mille avventure dagli istinti cannibaleschi dei fratelli.

“Sei sicuro di esserti innamorato dell’aborto coi capelli lunghi? Se fossi in lui, sarei geloso!” sibilò Minori, masticando un filo d’erba secca.

“Sentite – decise di intervenire Kogure – In casa abbiamo bisogno di latte: Uozumi ha detto che non può preparare la colazione, senza, quindi, per favore, qualcuno prepari il bidoncino, e poi ce lo porti in cucina…”

In sei si lanciarono verso la scala, ovviamente con la sola intenzione di essere servizievoli verso gli ospiti che li avevano raggiunti, e la gara di corsa verso il secchio premiò Shinichi, l’unico che sapesse esattamente dove fosse nascosto.

“Spostatevi, Milly si fa mungere solo da me!” annunciò poi con tono deciso, trascinando il panchetto accanto alla bestia pezzata. Si rimboccò le maniche, allungò un braccio davanti a sé, poi l’altro, si sconocchiò le dita, e infine cominciò la delicata operazione, mentre il resto dell’equipe medica gli rimaneva appena dietro le spalle.

Splish, splash, splish, splash… un ritmo cadenzato, tranquillo, quello che ci voleva per rilassare Milly, e poi una dolce ninna nanna borbottata piano, per tenere il tempo.

L’atmosfera rilassata fu però distrutta dalla voce chiaramente insofferente di Takenori:

 “Vuoi darti una mossa? Jun ha chiesto il latte, quindi vedi di spremere quella vacca bastarda, altrimenti lo faccio io e vedrai quanti secchi riempirà!”

Sconvolto dalla brutalità del fratello, Shinichi aumentò leggermente il ritmo, ma nello stesso tempo continuò a mormorare parole di conforto alla povera bestia, bistrattata da quegli incivili che non comprendevano la sua sensibilità.

Una volta che il bidoncino fu riempito, Milly quattro secchi ne aveva fatti, grazie alla paura di vedersi avvicinata dal gorilla, i sei fratelli si precipitarono verso l’ingresso della cucina, spiaccicando i nasi contro i vetri, nel tentativo di attirare l’attenzione dei suoi occupanti.

Kogure, che li aveva preceduti in casa, fu quasi mosso a pietà da questa scena, sebbene rimanesse ancora incerto sull’opportunità di interrompere così presto la punizione.

“Uozumi, il latte è arrivato, dovresti fartelo consegnare dai ragazzi” osservò alla fine, con noncuranza.

Il gigante della squadra universitaria lo guardò per un momento, evidentemente non troppo convinto che affrontare quei balordi che li avevano rapiti fosse il passo giusto da compiere, ma mai si sarebbe detto di lui che si tirava indietro di fronte al nemico. Si avvicinò alla porta, e girò di scatto la maniglia…

I sei, presi alla sprovvista da questa mossa, caddero tutti in avanti, ammucchiandosi uno sull’altro; l’unica cosa rimasta in piedi era il bidoncino del latte, che Shinichi aveva protetto fino all’ultimo, come un valoroso giocatore di rugby con la palla ovale.

 “Ehm… questo è il latte per la colazione, Ju… Uozumi-san” mormorò il gorilla, fattosi improvvisamente rosso.

“Da’ qua” gli rispose l’altro, sgarbatamente.

In quel momento si avvicinò anche Kenji Fujima, e Toru si rialzò immediatamente da terra, sistemandosi gli occhiali e cercando di darsi un contegno.

“Ciao…” buttò là, perdendosi nell’ammirare la grazia del ragazzo ancora avvolto nel pigiama con i pesciolini.

“Ah, sei ancora qui!” gli rispose l’altro, distogliendo lo sguardo, chiaramente ostile, e voltandosi verso gli scaffali per prendere il pacco famiglia-più dei biscotti da portare a tavola.

“Senti, io so che…” ma le parole di Toru furono interrotte dall’urlo di Minami:

“TU!! CON CHE CORAGGIO TI FAI VEDERE?! MA IO T’AMMAZZO!!!!”

E sì, era proprio il calimero che, entrato anche lui in cucina, si era immediatamente lanciato contro il gemello bruno.

“Su, su, frena l’entusiasmo, amore… - gli ribatté l’altro, cercando di immobilizzargli le braccia – non vorrai sconvolgere gli altri, no?”

Un calcio nello stinco e una ginocchiata ‘lì’, interruppero l’amorevole ricongiungimento, e Minori cominciò a saltellare premendosi le mani a protezione dei gioielli di famiglia.

In quel momento li raggiunse anche Kiyota… la stanza stava diventando decisamente affollata.

Gli occhi gli si illuminarono all’istante, poi allungò la mano, l’indice puntato su Minori:

“La… la… LA MALEDIZIONE DI PICIU’!!!! Non era mai successo che avesse effetto… - si interruppe, continuando a guardare il codino che saltellava dolorante, poi si lasciò cadere sulle ginocchia, le mani a coprirsi il volto - Ma allora, allora tu…esisti, Piciù!”

I sei fratelli Mitsui, Kogure, Fujima, Uozumi e Minami lo guardarono leggermente sconvolti:

“Ehi, babbuino! Non hai notato che la maledizione che ha colpito Minori aveva la forma del ginocchio di…” ma una gomitata nelle costole impedì ad Hanamichi di terminare la frase.

“Taci, rossino – gli comandò Shinichi, anche lui con lo sguardo invasato – Abbiamo appena assistito ad un prodigio…”

“SI’, ABBIAMO ASSISTITO ALL’UNIONE DI DUE DEFICIENTI! In due non fate mezzo cervello: adesso te la do io una ginocchiata, bertuccia deficiente, voglio vedere se poi ti sembrerà opera del tuo Piciù!” Minori non sembrava aver preso molto bene quello che era accaduto.

“Basta ragazzi… non fate così…” si mise subito in mezzo Kogure “E’ ora di colazione, andiamo a metterci a tavola…”

“Vuoi dire che possiamo fare colazione tutti insieme?!” gli chiese Akira, evidentemente incredulo di fronte a tanta fortuna.

Ops, forse non doveva permetterglielo, ma ormai era fatta… non poteva rimangiarsi la parola!

“Sì, solo se vi comporterete bene, però. Andate a ripulirvi un po’, mentre noi apparecchiamo la tavola”.

“Non credo che sia una buona idea…” sibilò Fujima, versando il caffè in un bricco.

“Non essere troppo duro, Kenji, non è da te. Toru, poi, è il meno colpevole di tutti…”

Quando furono tutti pronti, si resero conto che ancora mancavano Rukawa e Koshino:

“ANDIAMO A SVEGLIARLI!!” si proposero in coro Hanamichi e Akira.

Senza riflettere, Kogure annuì, per poi fermarsi pietrificato quando Minori gridò:

“Akira, forse dovresti andare prima a dare un’occhiata al canile…”

Forse affidare al rossino e al porcospino il recupero dei due dispersi poteva non essere stata un’idea esattamente geniale. Il quattr’occhi decise allora, in extremis, di provare a salvare la situazione:

“COMPORTATEVI BENE!!” gridò, incrociando contemporaneamente le dita.

Poco dopo i due fratelli tornarono: Hanamichi, sul cui viso spiccava un bell’occhio nero, trascinava una Kitsune, ancora con gli occhi chiusi, che non doveva aver gradito molto la sveglia, mentre Akira, finalmente con le spine orgogliosamente levate verso il cielo, sorrideva a denti stretti, massaggiandosi contemporaneamente il fianco.

Si sedettero tutti intorno al tavolo e, per una volta, sembrò che i fratelli Mitsui non avessero intenzione di far vergognare Kogure: si sistemarono compostamente e cominciarono a passare i vari piatti per far servire prima gli ospiti, ospiti che però sembravano altrettanto ansiosi di mostrare la propria solerzia:

“Torta al cioccolato” tuonò Uozumi, passandone una fetta a Takenori, che la accolse sorridendo timidamente, come se fosse un’offerta di pace.

Contemporaneamente Fujima passò una tazza di caffè a Toru.

Kogure guardò con un certo sospetto queste gentilezze: un eccessivo cameratismo poteva rivelarsi qualcosa di pericoloso per lo sviluppo della situazione futura.

Le sue paure, però, furono immediatamente fugate… dopo il primo boccone, Takenori sputò briciole di torta su tutti coloro che si ritrovavano nel raggio di cinque metri, mentre Toru divenne di un colore leggermente verdastro, e inghiottì il caffè a fatica, per poi alzarsi frettolosamente e avviarsi verso il bagno.

Kiminobu portò uno sguardo carico di rimprovero sui visi falsamente angelici di Fujima e Uozumi, che però ripresero a mangiare, facendo finta di nulla.

“Scusatemi… il dolce era buonissimo” mormorò Takenori, versandosi dell’acqua nel bicchiere, per poi decidere che era meglio rifornirsi direttamente dal rubinetto.

Toru, tornato dal bagno, si scusò con tutti, per poi afferrare il giaccone ed uscire con la scusa di dover avviare il lavoro della giornata, a causa dell’assenza di Hisashi.

Kogure si accorse che molta della soddisfazione che si era dipinta sul viso di Fujima era improvvisamente scomparsa, ma il suo studio fu presto interrotto grazie a quello che continuava ad accadere lungo la tavola.

“Smettila di riempirmi il piatto!” sibilava Rukawa ad Hanamichi, che continuava a mettergli davanti biscotti e toast.

“Dovresti mangiare di più… sei una kitsune troppo magra!” si risentì il rossino, aggiungendo altri corn flakes nella sua tazza.

“E smettila di chiamarmi kitsune, do’aho!”

“Sì, kitsune, come vuoi, kitsune…”

“E smettila di darmi ragione, per poi fare quello che ti pare!”

“No, kitsune, sì kitsune… quello che vuoi, kits… perché ti alzi?”

Silenzio, mentre Rukawa raggiungeva il divano.

“Non hai finito la pancetta!! – insistette il rossino – Era del primogenito di Piggy… pensa quanto ci rimarrà male la mamma, quando saprà che non hai apprezzato la sua creatura!!!” tentò di farlo sentire in colpa.

“Sei vomitevole” fu l’unica replica dell’altro.

“AHIO!!” tutti si voltarono verso Minori, che però mantenne un’espressione impassibile, come se l’esclamazione non fosse venuta da lui.

“Problemi, Minori-san?” mormorò Minami, angelico, continuando a bere il cioccolato.

“Tutto a posto…” rispose l’altro a denti stretti, prima di abbassarsi la mano sulla gamba, ed estrarsi la forchetta del calimero dalla coscia. Minami era un po’ troppo sensibile, reagire così solo perché lui aveva tentato di palpargli il ginocchio! Come se non lo avesse fatto solo per sentire se non fosse troppo magro…

Fece scivolare di nuovo la mano sotto il tavolo: non aveva certamente intenzione di cedere così facilmente, ma quando l’altro cominciò a rigirarsi il coltello del pane tra le mani, capì che forse era meglio che la lezione odierna si interrompesse… tanto, molto presto il suo Ace Killer avrebbe ceduto, e allora doveva risparmiare le proprie energie in vista di quel momento.

“Un po’ di tè, Koshino-san?” stava intanto chiedendo Akira.

Nessuna risposta.

“Aranciata?”

Sguardo assassino dell’altro ragazzo.

“Vuoi che ti spalmi il burro sul p…”

Schiaffo sonoro, e acqua gelata sul viso.

“…pane…” concluse lui, tentando di continuare a sorridere e cercando di specchiarsi nella caraffa per controllare lo stato dei capelli.

“Mi vuoi lasciare in pace?! Non ti è bastato quello che hai fatto?” gli ringhiò il ragazzo più basso.

“Tale e quale a Blackie… incredibile!” non riuscì a trattenersi dal mormorare Akira, ammaliato dalla somiglianza con il fedele quadrupede della famiglia Mitsui.

Pioggia di cereali sulle ciocchette.

Kiyota, invece, durante il pasto era stato abbastanza tranquillo. L’unica cosa stravagante era stata la sistemazione dei diversi cibi sul piatto… aveva costruito una specie di disegno, utilizzando l’uovo, i biscotti, il prosciutto, sempre del primogenito di Piggy, e la marmellata. Aveva poi spruzzato il tutto con gocce di latte, mormorando una specie di litania.

“Principe Nobu… non stai bene?” gli chiese, subito allarmato, Shinichi.

“Schhhh… il mago sta richiamando i propri poteri…” sibilò il ragazzo, lugubremente.

Subito il pelle-gialla si voltò verso il resto dei commensali, con l’indice poggiato sulla bocca.

“E… - bisbigliò, quasi soffocandosi con le fette biscottate - …rispondono?”

“Se non stai zitto, non riesco a percepire l’alito di Piciù…”

Desideroso di aiutare il suo amore, Shinichi gli alitò sul viso, spruzzandolo con le briciole e investendolo con un tifone non esattamente fresco di menta, visto che ancora non si era lavato i denti.

“Che diavolo fai?! Vuoi far morire per asfissia gli spiriti delle tenebre? Adesso dovrò cominciare tutto da capo… e poi questo latte non va bene, ci vuole quello di capra!” si lamentò il suo Raperonzy, guardandolo con disprezzo.

Ma aveva toccato, senza accorgersene, un tasto delicato:

“NON OSARE METTERE IN DISCUSSIONE IL LATTE DELLA MIA MILLY!!!” esclamò infatti il terzogenito dei Mitsui “Le capre se lo sognano un latte come il suo!” e, rosso di agitazione, piantò i gomiti sul tavolo.

“Con il latte di mucca, non mi è mai venuto un incantesimo!! Sono sempre antipatiche e testarde, quelle bestiacce!”

Shinichi si alzò in piedi, uno sguardo profondamente ferito negli occhi:

“Tu… tu parli perché… NON CONOSCI MILLY!!” e detto questo, lasciò la casa.

Un silenzio imbarazzato e carico di rimprovero accolse l’ultima frase di Kiyota:

“Se non è una capra, è una bestia inutile!!”

 

I sei fratelli Mitsui si ritrovarono nella segheria.

Senza Hisashi mancava la guida che organizzava le loro giornate lavorative, ma non potevano abbandonare la fattoria: l’inverno serviva per arricchire la cascina in vista degli ordini di inizio primavera.

Come secondogenito, Takenori si assunse l’onere del ruolo di leader:

“Dobbiamo portare avanti il lavoro: Toru, tu e Shinichi vi dovrete occupare dell’allevamento; Akira e Hanamichi, voi dovrete andare su al bosco per tagliare quelle betulle che abbiamo segnato la settimana scorsa; Minori, tu mi aiuterai qui alla segheria. Obiezioni?” concluse, minaccioso.

“Perché io devo lavorare al freddo, mentre voi ve ne state tutti al caldo?!” si lamentò immediatamente il rossino.

“Anche tu hai rimostranze da fare?” il gorilla chiese ad Akira.

Il porcospino scosse la testa, sorridendo:

“Non c’è problema, ci sarà il mio Kosh a scaldarmi, stasera…” mormorò con voce sognante.

Takenori si voltò di nuovo verso Hanamichi:

“Non pensavo che saresti stato l’unico piantagrane: non vedi Akira come è contento di andare a spaccare legna?”

“Certo, considerando che lui non distingue il suo ragazzo da un cane, come puoi pensare che si renda conto che è inverno? Ci andasse da solo!” insistette il rossino.

“Non piantare grane! Stasera Rukawa ti aiuterà a dimenticare le tue fatiche… pensa, ti considererà un vero uomo, forte, virile, impavido di fronte alla fatica… e adesso vai, hai davvero tutta la nostra ammirazione”.

Con la neanche troppo vaga sensazione che il fratello maggiore lo stesse fregando, Hanamichi prese l’ascia e si mise in cammino, lanciando una sfilza di improperi all’indirizzo di quel due grammi di cervello di Akira. Sequela di insulti che si interruppe solo quando i pensieri su come la sua amorevole kitsune lo avrebbe aiutato a rilassarsi, dopo le fatiche della giornata di lavoro, lo portarono alla necessità di tamponarsi il naso.

Toru e Shinichi si avviarono verso le stalle. Il quattr’occhi sapeva che il fratello aveva subito un duro colpo, quella mattina: vedere i propri due amori in contrasto lo aveva fatto soffrire, e adesso si trovava ad un bivio.

Gli batté una mano sulla spalla:

“Non preoccuparti… è che il tuo Nobu-kun non conosce ancora Milly. Non appena avranno fatto amicizia, vedrai come le cose miglioreranno…” tentò di consolarlo.

Il pelle-gialla si voltò speranzoso:

“Davvero la pensi così?” chiese, lo sguardo di nuovo luminoso.

“Certamente. E poi… devi capirlo, sente la competizione” proseguì Toru, sperando di essere perdonato per le buone intenzioni che lo portavano a dire, consecutivamente, un numero tanto elevato di sciocchezze.

“Beh… allora comincerò subito a parlarne con Milly… devo prepararla. Io la conosco, anche lei non sarà felicissima dell’arrivo di Nobu-kun, ma solo perché è abituata ad avermi tutto per sé; appena lo avrà conosciuto, anche lei ne comprenderà immediatamente il valore. Ti ricordi, Toru, di quando si era innamorata di Ezechiele? Sono sicuro che la capigliatura del mio amore glielo ricorderà immediatamente, e allora lei sarà felice per me…” e Shinichi cominciò ad annuire vigorosamente.

Nel frattempo Toru stava nuovamente pensando a Kenji: le cose non stavano andando bene. Mettergli tutto quel sale nel caffè non era stata certamente una prova di affetto, e poi sembrava che avesse preso molto peggio degli altri quello che era accaduto. Certamente le famiglie dovevano essere preoccupate, visto che non avevano più notizie dei figli, ma loro avevano lasciato abbastanza tracce da far capire chi fossero i responsabili dei rapimenti. Per un istante serrò i pugni, pensando a quel demente che aveva trovato a tentare di dichiararsi al suo ragazzo… e se Kenji ne fosse stato innamorato? Perché non aveva aspettato, prima di fare quell’irruzione? Perché non aveva cercato di capire quali fossero i suoi veri sentimenti?

Il pensiero che Fujima potesse ricambiare quello stupido con i capelli dritti, lo fece distrarre, così che strigliò Bucaneve troppo bruscamente, e la vecchia cavalla batté lo zoccolo sull’impiantito duro.

“Scusami…” mormorò, sorridendo all’idea di stare diventando come Shinichi “Secondo te, ho perso ogni speranza?” chiese piano. Ormai era impazzito, tanto valeva andare fino in fondo.

La cavalla voltò il muso verso di lui, guardandolo con i grandi occhi scuri. Lui sorrise, depositandole un bacio leggero sul muso. Poi tornò a spazzolarla, senza accorgersi del ragazzo che lo stava osservando attraverso la porta.

 

Nel frattempo, nella segheria Takenori e Minori avevano cominciato a lavorare:

“Non capisco perché Hisashi si sia arrabbiato tanto…” stava dicendo il gorilla, piallando l’ennesima tavola.

Il codino scosse la testa, regolando la scartavetratrice:

“Era ferito nel suo orgoglio di maschio” spiegò con noncuranza, come se la cosa fosse palese.

“Cosa intendi?” gli chiese subito l’altro, incredulo che il fratello minore avesse potuto cogliere immediatamente qualcosa che a lui era sfuggito.

“Non è piacevole quando ci si sente contraddetti in pubblico da qualcuno che dovrebbe venerarti: l’io del dominatore non sopporta che il dominato si ribelli, che manifesti troppo bruscamente il proprio carattere… Le posizioni non devono mai essere messe in discussione, si rischia la crisi dei ruoli, e questo può portare a rivedere l’intero rapporto” continuò il gemello bruno, cercando di eliminare i nodi dalle tavole.

Takenori era completamente allibito:

“Ma… ma come fai a sapere tutto questo?”

L’altro sorrise con superiorità:

“Perso neanche una puntata dello sceneggiato ‘Il pianerottolo dello psicologo’, non te lo ricordi? Era quello che veniva prima di ‘Guadalupe, il mio cuore batte per te’; vedendo ‘Lo psicologo’, fra l’altro, ho compreso un sacco di cose di Guadalupe… insomma, che il suo destino era segnato, e non solo per colpa del perfido Manolito” spiegò.

“Senti, e non è che potresti darmi qualche consiglio per quel che riguarda il mio Jun?” gli chiese allora il gorilla, arrossendo leggermente “Lo scherzo con il dolce al pepe, stamattina, mi ha fatto capire che forse dovrei cambiare qualcosa nella mia strategia…”

“E perché, ne avevi una? – infierì immediatamente il codino, poi però si impietosì, e assunse un’espressione molto più seria, e pronunciò lentamente – Per un fidanzato grande, ci vuole un pennello grande!”.

Rimasero entrambi in silenzio, poi Minori scoppiò a ridere, fino ad accasciarsi sul pavimento:

“Scu… scu… sa… NON HO RESISTITO!!!”

“Idiota!!” tuonò Takenori, ma poi cominciò a ridere anche lui, finché, cercando di ricomporsi, rivelò “Quella è l’unica cosa su cui non temo paragoni!”

“AHHHH!!! Non voglio sapere!!!” e il codino si portò gli indici interamente dentro le orecchie per non sentire, e non dover quindi immaginare. Quando riuscì a ricomporsi, sebbene sempre interrotto dai singulti, mormorò:

“Il pepe nel dolce non è grave, se ti avesse messo cianuro avrei detto, e non avresti potuto smentirmi, che… non avevi più speranze!! Ma visto che non ti ha ucciso, persevera: prima o poi il colosso si accorgerà che un altro ‘mestolone’ come te non lo trova facilmente… soprattutto fuori dalla cucina!!”

Il gorilla rimase per un istante inebetito, sentirsi chiamare ‘mestolone’ dal fratello gli faceva una certa impressione, poi però sorrise:

“Ragionamento che fila, codino, e anche il tuo Minami presto si accorgerà che non sei poi così malvagio. Spero che succeda prima che ti faccia a fettine, però…”

“Ci puoi giocare le… ehm, ci puoi scommettere tutto quello che vuoi, fratellone” gli replicò Minori, strizzandogli un occhio “Dagli qualche giorno e farà le fusa…”

“Beh, tieni comunque forchette e coltelli lontani dal tuo gattino, mi sembra che gli artigli dovrebbero bastargli”.

“Gli accorcerò anche quelli!”

Scoppiarono di nuovo in una risata complice, e ripresero a lavorare di buona lena.

 

Intanto, Hanamichi e Akira stavano cominciando a sgominare la banda di betulle che doveva costituire la materia prima per le ordinazioni di primavera. La neve aveva ricominciato a fioccare, e sicuramente quella notte ci sarebbe stata una gelata… niente di meglio, per lavorare lassù!

“Deficiente di un gorilla!! I lavori più faticosi li dà sempre a me…” si lamentava il rossino, soffiandosi sulle dita “E ovviamente, mai che questo demente mi dia una mano” aggiunse, rivolgendo un’occhiataccia ad Akira, che sorrideva affilando la lama dell’accetta.

“Ehi, Hana-kun, pensi che al mio Kosh possano piacere di più i boxer con le casette, o quelli con i pulcini?” gli urlò ad un certo punto proprio l’oggetto dei suoi improperi.

“Sono sicuro che gli piaceresti di più se fossi un osso. Quell’essere ringhiante non è umano – gli rispose lui, astioso, poi continuò – ma visto che anche tu sei un alieno, dovreste andare d’accordo. Non hai dei boxer con E.T.?”

“Dici davvero che ho un cervello superiore a quello degli altri? Non credevo che lo avresti mai ammesso, pel di carota” rise subito il porcospino, soddisfatto.

“Ho detto che sei un alieno, ma è probabile che tu abbia l’intelligenza di un batterio venusiano, da quel che vedo…” gli replicò, continuando a colpire la base della betulla che si era scelto.

“Venere non era la maghetta della bellezza?” continuò l’altro, sempre più compiaciuto.

“Allora vuol dire che sei un batterio di Marte, e, ovviamente, il tuo Kosh è una pulce di Vega: è per questo che ha tutte queste affinità coi cani…”

Akira, che si era perso a metà frase, aveva colto però il riferimento a Vega:

“Sìììì, proprio come aveva detto Hisashi… Hiro-kun viene da Vega!!! E il tuo Rukawa…” dovette interrompersi, ritrovandosi l’ascia a sfiorargli il collo:

“Non osare neanche nominare la mia kitsune: LUI E’ MIO!” gli sibilò il rossino.

“Forse dovresti dirlo anche al tuo amore, non sembra essersene accorto…” riuscì a ribattergli il porcospino, ritirandosi contro il tronco dell’albero per allontanarsi dalla lama scintillante brandita dal fratello.

“Se ne è accorto perfettamente! Dobbiamo solo trovare il momento adatto per parlare… c’è sempre troppa gente tra i piedi!”

“Sarà… però dovresti farlo anche vedere da Toru: non credo sia normale che dorma tanto… ti ricordi quando Blackie si addormentava sempre, e noi non capivamo perché?” gli suggerì, generosamente preoccupato per il bel fidanzato del fratello minore.

“Idiota!! Blackie era incinta… non credo che questo possa essere il caso del mio Kaede, non credi?” e l’ascia fu di nuovo pericolosamente vicina alla gola di Akira.

“Beh… - balbettò questi, preoccupato - …magari è una gravidanza isterica!”

“Qui di isterico ci sarà solo il terreno, quando ti avrò fatto a pezzetti, e la tua segatura lo soffocherà!”

“Ma perché, gli animali le hanno le gravidanze isteriche!!” cercò di difendersi il porcospino.

“Le femmine, Akira, solo gli esemplari femminili, non so se te ne sei mai accorto!!”

“Beh, il tuo Kaede è così bello, sembra quasi…”

“Prova a dirlo e ti uccido, e poi continuerò ad abbattere la betulla come se niente fosse!” Hanamichi aveva ormai sviluppato una gelosia incontrollabile, quando si arrivava a parlare della sua Kitsune.

“Volevo solo dire che… oggi fa molto freddo” mormorò il fratello, pregando che, qualsiasi cosa gli potesse succedere, Koshino non dovesse soffrire troppo, nella sua lunga e insopportabile vedovanza.

“Torniamo al lavoro: prima terminiamo, prima riuscirò a restituirti al tuo quattro zampe ringhioso!”

E ad Akira si aprì sul volto un nuovo sorriso beato al pensiero del suo amore, poi però si riscosse:

“Hiro-kun NON ha quattro zampe!”

“Già, scusa, lui è un millepiedi…”

“Stupido rossino! Il mio Kosh è un dolce… beh, un simpatico… ehm, un gentile… uhhhh…”

“Porcospino, la parola che cerchi è ‘piattola’!”

E Hanamichi dovette immediatamente cominciare a correre per fuggire alle pallate di neve del fratello maggiore.

 

Quando si affacciarono alla porta della cucina, quella sera, i sei fratelli erano stanchissimi. Il lavoro, in quelle condizioni meteorologiche, era diventato davvero pesante, e poi erano tutti molto distratti, sbagliavano spesso e poi si ritrovavano obbligati a ricominciare tutto daccapo.

Cercando di ravviarsi i capelli, e di ripulirsi alla meglio i vestiti, si presentarono per la cena, sperando che Kogure non li lasciasse di fuori.

Alla quarta volta che il gorilla cercava gentilmente di sfondare la porta, i sei cominciarono a nutrire qualche perplessità:

“Possibile che vogliano affamarci?!” si chiese Akira, incredulo.

“Io devo crescere…” si lamentò Hanamichi, petulante.

“Mo’ la sfondo, ‘sta porta! Se ci fosse Hisashi, vedi come li rimetterebbe tutti in riga” evocò Minori, pronto a trasformare in azione i propri propositi.

“State tranquilli, non credo che Kogure ci manderebbe nella stalla a stomaco vuoto…” provò a tranquillizzarli Toru.

“Non possiamo mica spremere ancora Milly, la bestiola non ce la fa più!” puntualizzò Shinichi, preoccupato che, in mancanza di cibo, quei cinque disgraziati si avventassero sulla povera amica.

Ma la porta si aprì, e Kogure li lasciò entrare. Del resto questo faceva parte della sua nuova strategia: desiderava avvicinare i sei fratelli agli ex compagni di squadra, in modo che potessero conoscersi meglio e capire se potevano davvero costituire delle coppie. L’esperienza della colazione non aveva lasciato molte speranze, ma l’inverno era ancora lungo…

Quella sera le cose andarono abbastanza tranquillamente, ovviamente se si evita di dare una importanza sproporzionata al fatto che, quando tornarono nella stalla, i sei fratelli non erano esattamente in forma: Takenori aveva una mano fasciata, e solo perché aveva tentato di assaggiare lo spezzatino quando era ancora sul fuoco… Jun lo aveva scoperto e punito con una cucchiaiata sulle dita; Hanamichi camminava praticamente piegato in due, grazie alla gomitata ricevuta quando aveva tentato, con nonchalance, di far scivolare il braccio intorno alla vita della sua kitsune; Minori cercava di darsi un contegno, ma aveva praticamente mezzo piede di meno, grazie al fatto che, risistemandosi meglio sulla sedia, Minami aveva casualmente fatto in modo che la zampa di legno si poggiasse stabilmente sul piede del vicino… e solo perché il codino gli aveva comunicato che i pantaloni cominciavano a stargli stretti e lo aveva invitato ad aiutarlo a risolvere il problema!

Akira, invece, ormai aveva un braccio completamente masticato: forse, la prossima volta che fossero scesi in città, doveva comprare uno di quegli ossi finti che si danno ai cuccioli, perché il suo Kosh lo aveva scambiato per il proprio mordicchio personale, e tutto senza alcuna colpa da parte sua… ok, a parte quel suggerimento sul pettinarsi anche lui con le ciocchette verso l’alto, ma che c’era di male in questo suo consiglio del tutto disinteressato?

La situazione di Shinichi era invece più complessa. Dopo quello che era accaduto a colazione, il rapporto con il principe Kiyota era ancora un po’ freddo: aveva sempre insultato Milly, no?! Era vero che ancora non la conosceva, e quindi i commenti di Raperonzy non erano mirati ad offendere personalmente la tenera bestiola, però questo punto doveva essere sistemato. E Shinichi aveva tentato di farlo, nel momento in cui aveva affermato che le mucche sono infinitamente più intelligenti di tutte le altre specie animali.

Ovviamente l’obiezione del campeon, che aveva detto che anche le cimici erano più intelligenti di loro, non aveva aiutato ad appianare il loro rapporto. E la discussione era poi degenerata, e lo stregone aveva deciso di risolverla a proprio favore con nuove maledizioni e un più pratico sputo in pieno viso, che faceva ora avanzare Shinichi con le braccia protese in avanti e un occhio mezzo chiuso. Poteva sembrare quello che viene nobilmente chiamato ‘sguardo di Venere’, ma, in realtà, la somiglianza più evidente era con il più accentuato strabismo di Quasimodo.

E poi c’era Toru… aveva assaggiato ogni piatto con cautela, temendo nuovi attacchi da quel fronte, ma non era stato questo a farlo uscire dalla grande casa con un braccio ustionato: no, stranamente proprio nel momento in cui lui era seduto accanto al grande camino, qualcuno era passato con il paiolo con l’acqua bollente, e… era inciampato, versandogliela addosso. Certo, una cosa del tutto casuale, se il qualcuno in questione non fosse stato Kenji Fujima…

Bisogna comunque dire che la cosa aveva avuto anche i suoi aspetti positivi, perché poi il ragazzo aveva capito di avere esagerato, e si era preoccupato non poco per l’effetto di quella mossa, e così lo aveva portato in bagno e gli aveva applicato una pomata per non fargli rimanere i segni. Ok, non si erano scambiati una parola, e la pomata era per le bruciature dei cavalli, ma comunque erano stati insieme senza discutere, e senza troppi sguardi carichi di disprezzo…

Il più terribile si era rivelato, però, il dolce quattr’occhi: invece di farli rimanere in casa, per quella notte, e curarli dai loro malanni, li aveva spediti di fuori, dicendo che un po’ di aria fresca li avrebbe ritemprati… fresca? C’erano almeno cinque gradi sotto lo zero!!

In ogni caso, i giorni cominciarono a passare e qualcosa di simile ad una nuova routine si stabilì nella grande casa sulla montagna. I sei fratelli Mitsui lavoravano, i sei basketmen aiutavano Kogure, oppure scalavano la montagna per qualche escursione nella neve, soprattutto Rukawa, Fujima e Minami, e poi la sera si ritrovavano tutti quanti insieme per la cena.

Spesso, però, Kogure non poteva fare a meno di pensare a cosa stesse facendo Hisashi, da solo ai pascoli estivi… e le rassicurazioni, non richieste, che venivano da Toru e Takenori, che gli ripetevano che non era una cosa insolita che il primogenito salisse per la caccia, non lo tranquillizzavano affatto.

 

Fu con molta soddisfazione che il quattr’occhi, con il passare delle settimane, assistette ad alcune scenette tra gli ospiti ed i sei fratelli… a cominciare da Takenori e Uozumi.

Dopo l’indifferenza iniziale del colosso del Ryonan, dopo l’attentato al dolce, e dopo gli innumerevoli tentativi del gorilla di ammorbidire il compagno, come il portargli mazzi di agrifoglio avvizzito, una piccola puzzola per compagnia e un sacchetto di castagne bacate, il rapporto si era andato normalizzando, e i due spesso facevano da mediatori nelle discussioni serali che li raccoglievano tutti insieme davanti al camino.

La scena più significativa fu però quella che li vide entrambi in cucina, a preparare una cena per l’intero gruppo.

Cosa notoria, e comune a tutti i fratelli Mitsui, era la loro incapacità cronica nel cucinare. Lasciati a se stessi, erano sopravvissuti buttando la carne nel vecchio padellone nero, e accompagnandola con un generico ‘stufato’, un insieme disgustoso di verdure completamente diverse, che venivano costrette ad una improbabile convivenza dentro la pentola a pressione.

E adesso Takenori era impegnato a cucinare con Jun Uozumi, un vero cuoco.

“Allora? Io farò gli udon con tempura, per cominciare, e poi mi occuperò del dessert… tu dovresti pensare alla carne” esordì l’ex capitano del Ryonan, indossando il grembiule rosa con i kiwi, un altro acquisto di Kogure.

“Nessun problema” mormorò Takenori, inghiottendo a fatica.

Quando si ritrovò di fronte al frigorifero aperto, cominciò a pensare freneticamente a cosa fare con la carne che lo guardava dallo scomparto.

Si chinò per tirarla fuori, e poi prese la vecchia padellona, quella pre-Kogure, apprestandosi a lanciarci dentro le bistecche, una ad una, sistemandosi in perfetta posizione da tiro libero.

Poi però sentì lo sguardo di Jun su di sé, e capì che forse la strategia doveva essere differente.

Con forzata indifferenza, si avvicinò allo scaffale, occhieggiando l’unico libro di cucina, quello portato dal quattr’occhi. Con piglio sicuro, aprì una pagina a caso, annuendo come se fosse esattamente quello che desiderava trovare… poi cominciò a leggere freneticamente la lista degli ingredienti e a dare un’occhiata alle fasi della preparazione.

Non avrebbero dovuto esserci problemi, assolutamente. Cominciò a versare sale, olio, aceto balsamico, curry, paprika, formaggio e un bicchiere di latte (la mamma non diceva sempre che il latte faceva bene?) dentro la pentola. Mescolò il tutto sulla fiamma tenuta al massimo, e, sorridendo, cominciò e tagliare la carne. Il fatto che il formaggio si stesse sciogliendo, attaccandosi al fondo, che il latte, nel gemellaggio con paprika e curry avesse acquistato un bel colorito rosato, e che l’olio continuasse a condurre una vita da asociale, standosene separato dal resto, non lo preoccupò più di tanto. Mescolò ancora più vigorosamente, incurante degli schizzi che ormai raggiungevano qualsiasi superficie della grande cucina, del resto un grande cuoco non può preoccuparsi di queste inezie, e cominciò a tagliuzzare la carne: era sicuro che ne sarebbe venuto fuori un vero e proprio capolavoro! Il profumo che esalava dalla pentola era qualcosa che già stava cominciando a stimolargli i succhi gastrici, ricordandogli in qualche modo l’ottimo stufato di cavolo che aveva per anni costituito il contorno serale dei pasti familiari.

Nella pentola cominciarono a formarsi e a esplodere numerose bolle… sempre più grandi. Sorrise, era ovvio che il condimento aspettava con ansia il ricongiungimento con la carne! Già, come quel film: l’Anima e la Carne!

Si voltò appena, non volendo distrarsi, per guardare il viso di Uozumi: non gli aveva mai visto una espressione tanto attenta!

Confortato dall’interesse del compagno, cominciò a far volare altri ingredienti nella pentola, sogghignando all’aumentare dello sfrigolio. In uno scaffale trovò un pezzo di peperoncino che doveva risalire al pleistocene, e lo aggiunse al tutto, convinto che il buon sapore antico del fossile avrebbe migliorato il gusto di quel piatto. Dopo mezz’ora, asciugandosi la fronte madida per la fatica, ritenne che l’insieme grigiastro potesse costituire un ottimo piatto centrale per la cena.

Si voltò per guardare la pentola appoggiata sull’altro fornello: la zuppa del suo amore sembrava ben povera cosa, vicino alla sua mirabolante creazione. Non appena Jun si voltò, prese una cucchiaiata dal sughetto color carbone della carne e la aggiunse alla zuppa, felice di poter dare una mano al compagno.

Poi portarono tutto in tavola.

Cominciarono dal piatto di Uozumi, del resto era meglio dargli la ribalta, visto che dopo sarebbe stato offuscato dal secondo. Effettivamente Takenori si sentiva molto orgoglioso della propria abilità di cuoco, e già si vedeva, con il cappellone bianco in testa, a gestire un piccolo ma rinomato ristorantino insieme al suo Jun…

Si risvegliò quando sentì Fujima chiedere:

“Uozumi-san, molto buona la zuppa, però c’è un retrogusto… è leggermente differente dal solito…” e si capiva che la differenza non era positiva.

Il gorilla si convinse che forse avrebbe dovuto aggiungerne tre di cucchiaiate di sugo, in questo modo sì che sarebbe stata perfetta!

Uozumi non rispose all’ex capitano dello Shoyo, sollevò appena un sopracciglio, e continuò a mangiare. Cosa non si fa per difendere le proprie creazioni!

E poi fu il momento del secondo: Takenori portò la pentola con la carne con delicatezza, come se stesse spostando una porcellana preziosa:

“Questo l’ho cucinato io” sottolineò orgoglioso.

E poi tolse il coperchio.

“Hanamichi, sei un maiale!” sibilò Minori all’indirizzo del gemello.

“Ma che stai dicendo? Che ho fatto!” si lamentò il rossino, non capendo cosa fosse successo.

“Vai in bagno, se hai certe ‘esigenze’… neanche Milly è così animale!” caricò Shinichi, che quando poteva mettere una buona parola per la sua bestiola era sempre contento.

“Fossi un bambino piccolo… ma fare i ‘ruttini’ alla tua età…” e Akira scosse le spine, senza però perdere il sorriso.

“COSA STATE INSINUANDO?! Siete delle bestie!! Sicuramente siete stati voi!!!” si difese Hanamichi, improvvisamente paonazzo. Non aveva fatto niente, e guardate che figura gli stavano facendo fare. Davanti alla sua kitsune, per di più!

“Ragazzi, un po’ di contegno! – sussurrò Kogure, terrorizzato. Possibile che dovessero sempre animare certi spettacoli? – Credo che questo… odore… venga dalla pentola…”

“COSA?!” esclamarono i tre, in coro.

Intanto Takenori, mestolone in mano, stava riempiendo i piatti, da bravo capo-famiglia.

“Ne vuoi ancora, Rukawa?”

Lo sguardo assassino dell’asso dello Shohoku non lo intimidì assolutamente, e quindi elargì una dose abbondante di quel miscuglio anche all’algida kitsune.

“Fujima? Passami il piatto” continuò tranquillamente.

E nonostante il ragazzo cercasse di nasconderselo dietro la schiena, il gorilla lo snidò e glielo riempì con una razione per ippopotami. Del resto Kenji era troppo magro, Toru lo avrebbe ringraziato per questo.

Kogure finse di accusare un improvviso mal di testa che gli impediva di continuare la cena, ma anche le sue proteste vennero ignorate, e così, molto presto, tutti i ragazzi si trovarono con la puzzolente roba grigia nel piatto.

“Jun… spero che ti piaccia. L’ho cucinata per te” mormorò Takenori al proprio vicino di tavola.

Ecco, forse per Uozumi questo non era esattamente un complimento, ma una cosa evidente dell’ex capitano del Ryonan era che non si fermava all’apparenza delle cose. L’altro si era impegnato, aveva cercato di stupirlo in un campo che non era assolutamente il suo… meritava rispetto e ammirazione. Certo… ingoiare quello schifo era tutt’altra storia, ma vabbè, era per una buona causa.

“Almeno ci fosse Blackie…” si lamentò il porcospino, desiderando un quadrupede spazzino che si facesse fuori quella sbobba, senza pensare che probabilmente neanche il fido botolo si sarebbe prestato a tanto.

Koshino, dopo aver infilato la forchetta nella massa informe, e aver lottato strenuamente per riuscire ad estrarla, senza successo, adesso stava ringhiando con il viso affondato nel tovagliolo, e guardava contemporaneamente i commensali come se stesse per azzannarli.

Toru, nel frattempo, stava cercando di fare una suddivisione degli ingredienti, con l’intento di trangugiare solo la cosa più innocua, che però non riuscì a localizzare, mentre Kiyota mangiava avidamente e con gusto, provocando espressioni allibite in tutti coloro che lo circondavano e un:

“Che uomo! Che coraggio!” da parte di Shinichi.

E anche Jun mangiava… lentamente, masticando ogni boccone duecento volte, e facendolo seguire da enormi bicchieri colmi d’acqua, però mangiava.

Takenori lo guardava orgoglioso: sapeva che solo un palato sopraffino avrebbe potuto cogliere la delicatezza della sua creazione, e Uozumi in questo era il migliore, l’esperto.

Gli sorrise, indicando il piatto:

“Non male come prima volta, eh?”

L’altro non rispose, ma era comprensibile, visto il rapimento con cui accoglieva ogni nuovo boccone, e così, mentre Minami con mossa fulminea aveva buttato il tutto nel fuoco, seguito a ruota da Minori, il gorilla addentò la prima cucchiaiata.

Un sapore particolare, insolito, ma non… non male…, si disse all’inizio, poi però cominciò a domandarsi se forse l’aceto alla pera, invece che quello alle erbe, sarebbe stato meglio… la famosa ciliegina sulla torta, e dopo ancora attribuì la colpa di quel profumo forse un po’ troppo intenso alla carne non battuta a dovere, e infine… di lui fu visibile solo la schiena, mentre con dignità prendeva la strada per il bagno, da cui arrivarono rumori indicanti che forse la lavanda gastrica non sarebbe stata necessaria… madre natura aveva deciso di aiutare il suo figliolo.

Però questo episodio segnò l’inizio di un nuovo corso nei rapporti tra Takenori e Jun: la prima cosa che divenne chiara, dopo questa cena, fu che il gorilla doc non doveva più avvicinarsi alla cucina, e questa, nell’equilibrio di una coppia, è sempre una decisione importante, e poi c’era stato il ‘sacrificio di Jun’, il mangiare quella sbobba immonda solo perché l’aveva cucinata Takenori, per non offenderlo…

Kogure si era quasi commosso davanti a questa scena, e aveva dovuto togliersi gli occhiali e strofinarsi gli occhi. Quello tra i due colossi era stato il primo episodio di distensione all’interno del gruppo, e finalmente le cose potevano rientrare in una sorta di normalità.

 

Il secondo episodio che segnò un avvicinamento tra i due gruppi vide coinvolti Toru e Kenji Fujima.

Avvenne nel modo più naturale, per loro, e cioè in seguito ad un improvviso malore di Apu, il puledro di Bucaneve.

Un pomeriggio Toru fu costretto a lasciare il lavoro nella stalla delle mucche, richiamato da Kogure:

“C’è qualcosa che non va… Bucaneve nitrisce senza sosta, e Apu è coperto di schiuma!”

Il quattr’occhi più alto lasciò il lavoro nelle mani di Shinichi, e si precipitò verso l’altra stalla: il puledro era sempre stato bene, non aveva mai manifestato alcuna sofferenza… che diavolo era successo?

Quando lo vide sbuffare e scalciare nel suo box, capì che da solo non ce l’avrebbe fatta: Kogure non avrebbe potuto aiutarlo, si vedeva lontano dieci miglia che non era a proprio agio con animali così grandi, e l’unico che avrebbe potuto dargli una mano era Hisashi, nascosto in chissà quale baracca sperduta, su ai pascoli estivi.

Si sfilò il maglione e si rimboccò le maniche della camicia. Mise a bollire l’acqua sulla stufa a legna che tenevano per riscaldare gli animali, quando c’erano le gelate, e poi cercò di bloccare il puledro con delle corde.

Non aveva la più pallida idea di cosa potesse avere: schiumava e si agitava, gli occhi erano quasi vitrei e la coda frustava furiosamente in tutte le direzioni. Se solo fosse riuscito a bloccarlo e ad aprirgli la bocca!

Tentò più volte, ma l’animale si dimenava, impedendogli di avvicinarsi troppo, e, anzi, aveva rischiato più volte di vederlo impennarsi e di ritrovarsi i suoi zoccoli affilati sul petto.

Riprovò a bloccarlo contro il muro… mancava poco e lo avrebbe immobilizzato, se solo avesse avuto un braccio in più sarebbe stato perfetto! Gli venne quasi da ridere, a pensarsi perfetto con tre braccia, ma non mollò la presa… bastardo! Si era divincolato di nuovo! Tentò di arginare i danni, spostandosi di appena qualche centimetro, ma fu solo l’intervento di due mani sottili ma forti che fece sì che finalmente potesse immobilizzare il puledro:

“Solleva il labbro superiore” si sentì mormorare dalla voce un po’ affannata di Fujima.

Labbra? Rimase per qualche istante a fissare la bocca del compagno, cercando di processare le parole che gli erano state rivolte, e finalmente capì che si riferivano ad Apu. Riatterrò sul pianeta Terra con un tonfo doloroso, annuì e aprì la bocca del cavallo:

“Ha le mucose bluastre… intossicazione alimentare” decretò il ragazzo più basso.

“Non è possibile, prende il latte dalla madre, e poi il mangime per puledri!” provò ad opporsi lui, anche se sapeva che quel colore era un segno inconfondibile di avvelenamento.

“Magari ha assaggiato qualche nuovo piatto di tuo fratello Takenori…”

Toru sorrise: non pensava che in una situazione del genere si sarebbero messi a scherzare, però questa nuova atmosfera lo riempiva di calore… ecco, forse troppo calore… per il bene di Apu, soprattutto, cercò di scansarsi dal corpo del compagno.

“Dubito che Uozumi e Kogure-san lo lascino più avvicinare a meno di venti metri dai fornelli!” scherzò, accarezzando delicatamente il muso dell’animale.

“Per fortuna! Comunque c’è qualcosa che non va… prendi gli antibiotici, quelli nel barattolo rosso” era più che evidente che Fujima avesse già dato un’occhiata approfondita alla loro piccola farmacia veterinaria “Ha la febbre, bisogna fargliela passare, c’è il rischio che sia una infezione batterica, le virali non hanno questi effetti…”

“Stafilococchi?” provò Toru, al quale la consapevolezza di una preparazione fatta in casa dava qualche dubbio nell’uso dei termini.

“Probabilmente…” gli rispose l’altro, riempiendo la siringa “Se tra qualche ora non starà meglio, ci sarà poco da fare. L’avessimo presa prima, sarebbe bastata una lavanda gastrica… vedi il ventre gonfio, duro? Deve aver mangiato qualcosa che gli ha fermentato nella pancia”.

Toru si guardò intorno, possibile che avesse preso qualcosa destinato alla madre, magari?

Improvvisamente allungò un braccio, verso la mangiatoia d’angolo:

“Laggiù… le mele per Bucaneve!” esclamò.

Il compagno annuì:

“E’ la causa più probabile… speriamo che non sia troppo tardi. In ogni caso, non ci resta che aspettare…”.

Si sedettero sulla paglia, con la schiena addossata contro il muro, le spalle che quasi si toccavano.

“Ti manca molto la città?” chiese Toru, appoggiando la nuca contro la parete fredda e chiudendo gli occhi.

“Hn” rispose l’altro, piegando la testa da un lato e dall’altro, come a tentare di scacciare l’indolenzimento per lo sforzo di pochi minuti prima.

Rimasero qualche minuto in silenzio, guardando il puledro che sembrava essersi calmato, sebbene avesse scatti improvvisi che lo portavano a calciare con violenza la porta di legno del box.

E questa volta fu Fujima a cominciare a parlare:

“Il tempo e il fatto che non si possa comunque tornare indietro hanno lavorato a tuo favore: non posso più essere arrabbiato con te per quello che è successo, sebbene… sebbene quella sera e i giorni successivi ti avrei ucciso – si interruppe, aprendosi ad un sorriso timido – penso che potremmo fare una tregua, fino a primavera…”.

Già, la primavera. Se Kenji avesse saputo che il solo pensiero che poi non avrebbe più potuto vederlo tutti i giorni lo faceva star male…

“Abbiamo sbagliato, diciamo che ci siamo lasciati trasportare…” arrossì leggermente nel pronunciare queste parole. Era abituato a considerare i propri sentimenti per il compagno come qualcosa di acclarato e accettato, ma in effetti lui ne aveva parlato soltanto con i fratelli. Per gli altri non era certamente così… per Kenji non era così.

“E poi non sei proprio antipatico… anche se sei lunatico: prima prepotente, poi disponibile, di nuovo violento, sì, e alla fine gentile, generoso. Credo che diventerò matto cercando di capirti!” riprese Fujima, parlando a voce bassa, quasi più a se stesso che al ragazzo che gli stava seduto accanto.

Rimasero seduti a chiacchierare fino a mezzanotte. Apu sembrava stanco, ad un certo punto si piegò sulle zampe, sdraiandosi sulla paglia.

I due ragazzi gli si precipitarono accanto, inginocchiandoglisi vicino:

“Sembra che la febbre sia scesa” mormorò Toru, dopo avergli tastato il muso, vicino alle froge. Nel frattempo l’altro stava di nuovo aprendo la bocca del cavallo, scoprendogli le mucose:

“Sono più chiare, sembra che l’emergenza stia passando… conviene rimanergli accanto ancora un po’, per essere sicuri che non peggiori, anche se l’importante è che la febbre sia scesa!”

“Domani potremo dargli qualcosa per aiutarlo a ripulirsi da tutto quello che si è ingurgitato” suggerì Toru, passando delicatamente la mano aperta sul collo dell’animale.

“Sì, mi sembra un’ottima idea… e mai più mele a portata di… muso!” concluse Fujima, urtando casualmente la mano del quattr’occhi, nel tentativo di accarezzare la testa del puledro.

Si ritrassero contemporaneamente, così come era successo nella libreria:

“Grazie Kenji, Apu senza di te non ce l’avrebbe fatta” mormorò Toru.

“Senza di noi” lo corresse il compagno, sorridendogli.

 

Shinichi, nel frattempo, continuava a cercare un modo per avvicinarsi al suo Kiyota, anche se rimaneva sempre l’ostacolo di un atteggiamento appena un pochino distaccato del piccolo principe.

“Ma secondo te cosa devo fare?” chiese il pelle-gialla per l’ennesima volta, carezzando la sua Milly. Il problema andava risolto, ma lui non sapeva assolutamente come…

Ricordava bene le parole di Toru, il discorso sulla competizione, e in qualche modo era lusingato dal fatto di suscitare sentimenti tanto violenti, però tutto questo lo stava tenendo troppo lontano dal desiderio che era stato il motore dell’avvicinamento a Nobu-kun, e cioè la speranza di arrivare, un giorno o l’altro, alla famosa mossa di Pallino, con l’altro a fare la parte dell’Uomo Ragno...

Non che lui avesse solo desideri triviali, assolutamente, però, quando vedeva il suo bel morone, l’istinto prendeva il sopravvento, e chiare immagini di loro due insieme, a scambiarsi coccole di fronte allo sguardo compiaciuto e bovino di Milly, cominciavano a colorarsi davanti ai suoi occhi…

Fino a quel momento, però, non aveva fatto molti passi avanti.

E poi venne IL giorno…

Come al solito si stava occupando delle bestie, spalando letame con virile dedizione, quando un urlo squarciò l’aria.

Si guardò intorno, i sensi improvvisamente all’erta… l’urlo si ripeté! Quella voce, quel tono argentino… il suo Nobu-kun!! Sempre con le antenne, e forse non solo loro, drizzate, si precipitò all’esterno, per essere accolto dalla visione del suo amore abbracciato al tronco di un albero mentre Evelina, la papera, allungava il collo cercando di beccargli il fondoschiena.

Compreso immediatamente il pericolo corso dal giovane stregone, che comunque continuava a starnazzare più dell’animale che aveva di fronte, pronunciando anatemi inframmezzati da richieste di un aiuto più terreno, Shinichi si strappò la camicia, facendo saltare tutti i bottoni – oddio, non che la cosa servisse, ma in molti film della serie ‘Amori Violenti’, quelli in onda il martedì notte, dalle undici e tredici, l’eroe esordiva con questa mossa – e si lanciò impavido in aiuto del dolce Raperonzy:

“Evelina… - esclamò atterrando accanto al pennuto – lo so che Nobu-kun ti piace, ma devi capire che non è buono da mangiare. Ti farebbe venire male al pancino – e le indicò con l’indice il ventre grasso – e poi se tu mangi lui, io dovrò mangiare te, e la cosa non è bella… abbiamo trascorso insieme tanti giorni felici, come quando hai scoperto i piaceri della maternità, ricordi?”

“La vuoi piantare di perdere tempo con questi discorsi cannibaleschi, idiota?! – tubò il suo Nobu-kun, dal suo rifugio sull’albero – Scaccia quella bestia disgustosa, e vienimi a salvare!”

Oh, oooohhh, el campeon aveva bisogno del suo aiuto! Però c’era ancora qualcosa da aggiustare. Shinichi si levò in piedi, portandosi di fronte al compagno:

“Tu sbagli atteggiamento: Evelina e Milly non ti vorranno mai bene, se le tratti così” gli rimproverò deciso.

“Me ne frega un cazzo della considerazione di questa cornacchia bianca e del bisonte deficiente! Scacciala!!!!”

Ma il terzogenito della famiglia Mitsui aveva deciso che era giunta l’ora per la lezione sul rapporto con gli animali:

“Non scaccerò Evelina finché non avrai ritirato tutto quello che hai detto” esclamò deciso, incrociandosi le braccia sul petto e sedendosi sul praticello innevato.

“TU… TU… TU SEI COMPLETAMENTE IDIOTA!!! Mandala via, falla arrosto, fritta, lessa, come ti pare, ma LIBERAMI DA QUELLA BESTIACCIA!!!”

Il pelle-gialla continuò a scuotere la testa risoluto: un uomo deve dimostrarsi uomo anche davanti a decisioni sgradevoli. Non gli piaceva contravvenire ai desideri del suo amore, ma questa era una questione che andava risolta. Milly, Evelina, Bucaneve, Apu, Piggy e tutti gli altri avrebbero sempre fatto parte della famiglia, e lui aveva sempre odiato quei luoghi comuni sulle incomprensioni tra nuora e suocera! Kiyota doveva imparare ad apprezzare tutte le bestiole, solo così il loro rapporto sarebbe stato saldo, in grado di resistere a cariche di future mandrie e greggi.

“Accidenti, razza di deficiente, mi ha già staccato una tasca, a forza di beccate! Se continua così mi toglierà… qualcosa di ben più prezioso!” continuava a sgolarsi l’altro.

Lui cominciò a conversare tranquillamente con la papera:

“Qua… qua-qua… quuuuuua… quaaaaaa” mormorava felice: chi stava meglio di lui, visuale perfetta del fondoschiena del suo amore ed Evelina, da sempre una fine conversatrice, per fare qualche pettegolezzo sugli ultimi avvenimenti del pollaio?

Kiyota tentò di calarsi di nuovo a terra, ma un salto improvviso di quel colosso alato, lo fece tornare immediatamente al posto di partenza:

“E’ una bestia stupida, lo sanno tutti! Per insultare una donna si dice che è un’oca, non lo sai?!” tentò di far ragionare quel demente che stava tranquillo a quacquaracquare con quello stupido animale.

“Evelina non è stupida, e poi non ti ricordi di quando Kogure-san ci ha raccontato la storia delle Oche del Caprifoglio?”

“Ignorante! Erano le Oche del Campo d’Aglio!”

“Beh, quello che era, in ogni caso avevano salvato i Gundam dall’assalto dei nemici… - e Shinichi si interruppe, estasiato dall’azione eroica delle pennute – e poi, se non riconosci la sua intelligenza, chiamo Tamarindo…”

“TAMARINDO NOOOOO!!!” se Evelina era una gran bastarda, il tacchino Tamarindo era un vero e proprio killer con licenza di mangiare, a morsi, il malcapitato di turno.

“Dipende solo da te…” mormorò il pelle-gialla, con sadica noncuranza.

“Ffffsss picipuuuu srrrrrr tiiiiiii” sibilò Kiyota, a malincuore.

“Cosa hai detto? Non ho capito niente…” esclamò Shinichi, preoccupato di aver esagerato, e che il compagno avesse perso la sua splendida parlantina.

“HO DETTO CHE QUELL’OCA E’ INTELLIGENTE E LA VACCA E’ UNA D… DOLCE CREATURA… sei contento?!” strillò l’altro, quasi in preda ad un attacco isterico, visto che la bastarda là sotto gli si era attaccata alla cintura.

“Evelina! Vieni qui da papà” la richiamò lui, finalmente soddisfatto.

L’oca si avvicinò subito al padrone, strusciandogli il lungo collo sulla mano:

“Non vedi quanto è tenera? Vuole solo un po’ di coccole!”

Qualcosa di simile a ‘bastarda’ uscì dalla bocca di rosa di Kiyota, ma l’altro ragazzo non diede peso alla cosa. Il suo amore aveva accettato tutta la famiglia, finalmente, e adesso mancava solo la presentazione ufficiale:

“Puoi scendere, cucciolo: adesso andiamo da Milly, le ho tanto parlato di te e desidera tanto conoscerti. Sono sicuro che andrete d’accordo…” gli comunicò tronfio.

“Pazzo, questo è completamente pazzo…” ripeté l’altro a bassa voce, ma comunque lo seguì; la possibilità di studiare da vicino qualcuno che parlava con gli animali era professionalmente intrigante.

 

Anche Akira aveva dei problemi di comunicazione con il suo Koshino, e forse il dono di Shinichi di parlare con gli animali avrebbe potuto aiutarlo, visto che il ragazzo ringhiava e basta.

Per quanto cercasse di avvicinarsi con battute spettacolari, tipo, dopo averlo visto grattarsi l’orecchio, “Hai messo l’antipulci?”, oppure quell’altra, ancora più spassosa, rivoltagli dopo avergli attaccato la cintura dell’accappatoio al passante posteriore dei pantaloni “Se fai la danza del ventre dovresti riuscire a scodinzolare…”, il ragazzo sembrava ancora un po’ timido.

Il porcospino scosse la testa: forse avrebbe dovuto davvero comprargli un osso di gomma, o magari mettergli una sveglia sotto al cuscino, in modo che il cucciolino pensasse di avere vicina la mamma… certo, ogni problema sarebbe stato risolto se nel letto con Hiro-kun avesse potuto entrarci lui, ma sembrava proprio che questo non fosse possibile.

Comunque, ora era deciso a risolvere il problema, e far diventare il compagno un po’ più socievole, doveva solo trovare la tattica giusta.

Dopo essersi sistemato ben bene le ciocchette ed avere indossato uno dei suoi sorrisi più disarmanti, quello in cui compariva anche il dente del giudizio superiore sinistro, si avvicinò alla casa, cercando di scorgere il tenero batuffolo.

Picchiò contro il vetro, ed essendo ancora pomeriggio, Kogure gli aprì preoccupato:

“E’ successo qualcosa?” gli chiese.

“No, no… è solo che ho finito di abbattere le betulle, e poiché è ancora giorno… ecco… io… passeggiata…” biascicò, perdendosi dopo l’esordio baldanzoso.

“Beh, vai allora…” gli replicò l’insensibile quattr’occhi.

“Ehm… no, ecco, io mi chiedevo se… c’era qualcuno che voleva venire con me!”

“Io no, devo aiutare Jun per la cena, e credo che gli altri… - ma Kogure si interruppe, come ritornando sui propri passi – Prova a vedere se Koshino è nel soggiorno. Sta tutto il giorno abbandonato su qualche poltrona, camminare un po’ gli farà bene”.

“Beh… se proprio insisti…” mormorò Akira, sparendo in un secondo oltre la porta.

E Hiro-kun era lì, la fronte corrugata e lo sguardo imbronciato:

“Che diavolo vuoi?!” lo accolse, sollevando appena lo sguardo.

“Ti porto a fare una passeggiata… così prendi un po’ d’aria!” gli rispose Akira, entusiasta.

“Un po’ d’aria? Ci sono venti gradi sotto zero… mi sa che ti si è congelato il cervello, a te!”

Ma il sorriso disarmante del porcospino rimase inalterato, era sicuro che, se avesse mantenuto il punto, l’avrebbe avuta vinta.

L’altro rimaneva immobile, ma lui non aveva intenzione di demordere, e infatti lo afferrò delicatamente per il polso, facendogli fare una intera giravolta nello slancio:

“Non essere pestifero! E’ solo una passeggiatina… un po’ d’aria, i bisognini e poi ti riporto a casa!”

“I… i…” ma Koshino non riuscì a terminare la frase, perché Akira cominciò a trascinarlo fino alla porta, buttandogli addosso uno dei giacconi di Kogure.

Finalmente furono all’aperto, e cominciarono a camminare sullo spesso strato di neve: stare sempre dentro casa sicuramente non giovava al carattere pensieroso e meditativo di Koshino, il ragazzo doveva prendere un po’ d’aria, togliersi dalla sonnolenza che permeava, dopo un po’, gli spazi chiusi: lui lo avrebbe aiutato!

Con mossa fulminea, si chinò a raccogliere la neve, infilandogliela nel colletto, uno dei giochi invernali più divertenti che conoscesse, uno di quelli che lo facevano rimanere per ore al gelo con i gemelli.

“Razza di idiota, deficiente, lobotomizzato! Proprio un gioco degno di te!” e il ragazzo cominciò a scrollarsi il ghiaccio dai capelli.

Lui però sapeva che solo insistendo sarebbe riuscito a farlo aprire un po’, ad iniziarlo ai piaceri della spensierata vita di montagna, e così si chinò a raccogliere altra neve. Appena prima di poter lanciare, però, si ritrovò la dentiera di Koshino attaccata al polso, mentre il ragazzo aveva ricominciato ad emettere quel suono così caratteristico, quella specie di ululato ringhioso che stava diventando il suo segno distintivo.

Proprio mentre Akira cercava di arrendersi all’idea di diventare come capitan Uncino, l’altro improvvisò una melodia polifonica: al ringhio monocorde, si era infatti sovrapposto qualcosa di simile ad un guaito… ma come era possibile, visto che il ragazzo stava benissimo, tutto felice di rosicchiare il suo polso?

Provò a dargli delle pacche affettuose sulla testa, ad accarezzargli i capelli, e il compagno sollevò il viso sorpreso: il ringhio si era attenuato, ma il guaito sembrava ancora più forte. La cosa strana, però, era che anche Koshino sembrava teso ad ascoltare quel rumore… possibile che non provenisse da lui?!

“Secondo te, cos’è?” mormorò il ragazzo, nel cui sguardo era balenato un lampo di preoccupazione.

“Bah, sarà il vento...” tentò di rassicurarlo lui.

“Sei proprio un perfetto imbecille! Questo non può essere vento…”

Di nuovo quel guaito, e stavolta Koshino gli si era fatto più vicino, chiaramente agitato. Lui sogghignò: quando il gioco si fa duro, Bobby comincia a giocare…

“Ti difenderò io, non permetterò che ti facciano del male! Affronterò i demoni con coraggio, sconfiggerò gli spiriti delle tenebre… ma tu ricordami sempre… se vuoi, ti lascio una ciocchetta dei miei capelli…”

“Quella robaccia unticcia e appiccicosa te la puoi tenere” gli ribatté l’altro, assai poco intenerito.

Ci voleva ancora qualche lezione di buone maniere, ma comunque Akira, allacciandosi il giaccone e immaginandoselo una specie di mantello rosso alla Superman, e dandosi poi un’ultima sistematina ai capelli, si lanciò coraggiosamente verso il nemico.

“Stai indietro, non mi seguire… il pericolo può annidarsi ovunque!” bisbigliò al ragazzo che gli rimaneva incollato accanto.

“Se non ti stessi vicino, saresti capace di finire in una trappola piazzata da te!” gli sibilò l’altro, che evidentemente cercava di nascondere l’estrema preoccupazione per la sua salute dietro ad un atteggiamento distaccato.

Il guaito era sempre più forte; peccato non avere a disposizione un paio di lame rotanti, sicuramente avrebbe affrontato il pericolo con più disinvoltura. Comunque, localizzata finalmente l’origine del latrato, Akira si lanciò, impavido, deciso a difendere con il proprio corpo la vita di Koshino.

Ehm… la belva disumana si doveva essere ristretta per salvarsi dall’attacco! Sì, era così, il dinosauro era diventato piccolo, per evitare la rappresaglia. I soliti mezzucci di quelle bestie infide… non volevano dare il giusto riconoscimento a chi le aveva sconfitte!

“Demente, togliti di lì, non vedi che lo stai soffocando?!”

Che tenero, il suo piccolo Hiro-kun, subito pronto a mostrare generosità verso il demone appena sconfitto:

“Non essere troppo buono, amore, potrebbe attaccarci di nuovo!” lo mise in guardia lui.

“Forse non te ne sei accorto, ma quello che stai infilzando con i tuoi aculei è un cucciolo di cane… lascialo, non riesce a respirare!”

“Cucciolo? Cane?” abbassò lo sguardo e si rese conto di sovrastare un cagnolino di pochi mesi, bianco quasi come la neve con cui sembrava confondersi, e dallo sguardo spaurito e lacrimoso.

Il solito camuffamento dei demoni: si fingevano agnelli quando invece… e questo era ancora più pericoloso, perché aveva subito, camaleonticamente, cercato di confondersi con il suo Kosh.

Il porcospino impallidì vedendo il compagno, intrepido o più probabilmente incosciente, chinarsi sulla bestiola, afferrarla per la collottola e sollevarsela in braccio, ma poi si commosse a quell’immagine: Hiro-kun stava anticipando il quadretto che avrebbe offerto, di lì a pochi anni, con i loro bambini stretti al petto… sebbene Akira dovesse riconoscere che una somiglianza così perfetta sarebbe stata difficile da ricreare con un pargolo umano.

“Che diavolo hai da sorridere come un ebete?! – gli si rivolse l’altro, sempre pronto a nascondere la tenerezza dietro un’apparenza burbera – Pensi che possiamo portarlo a casa? Morirà di freddo, se lo lasciamo qui!”

Lui mantenne uno sguardo scettico, come se volesse proibirgli di adottare la bestiola, poi però accondiscese, facendo scendere il suo assenso dall’alto: quella sera era nato il loro primogenito…

 

Hanamichi aveva cercato per giorni di trovare un approccio per evitare di essere incenerito dallo sguardo della sua kitsune, e magari un argomento che facesse finalmente capire alla volpe quale immensa fortuna gli fosse capitata a fare innamorare di sé il fulgido Hanamichi Mitsui, il divino, il genio, il più forzuto taglialegna che mai betulla montana avesse incontrato: un uomo… un’ascia, in tutti i sensi, modestia a parte! Eppure… eppure tutto quello che era riuscito a farsi dire dal suo amore era stata quell’orrida parola, quella stridula sequenza di suoni, quella stringa cacofonica…

Do’aho!

E così aveva avuto l’idea che avrebbe cambiato il corso della loro relazione, quell’idea che avrebbe finalmente abbattuto le barriere di timidezza del suo Kaede, facendolo finalmente abbandonare all’inevitabilità del loro amore… mentre gli rimbombavano nella testa le note strazianti del tema d’amore di Basil l’Investigatopo, Hanamichi si mise all’opera per portare a compimento il proprio piano di conquista.

Dopo tre ore, molto sudore, e anche una doccia, perché è vero che l’uomo ha da puzza’, ma c’era da morire a passargli a meno di cinque metri, il piccolo Mitsui si presentò a ritirare il premio. Sgattaiolò dentro casa, cercando il volpino in ogni angolo, sotto il letto, in soffitta, dentro l’armadietto del bagno, dietro il calendario di Frate Indovino… niente, non riusciva a trovarlo, eppure lo sapeva che l’infido si era addormentato da qualche parte, figurarsi se riusciva a rimanere sveglio più di tre secondi di seguito!

Confortato da questa convinzione, non si diede per vinto, e alla fine i suoi sforzi vennero premiati: rimase una buona mezz’ora immobile ad ammirare il suo Kaede acciambellato sul vecchio dondolo del portico, gli occhi chiusi, la faccina angelica, le manine serrate in due pugnetti poggiati vicino al viso… pugnetti che non sembrarono più tanto ‘etti’ quando il rossino ne fece conoscenza, nel momento in cui decise di passare all’azione, afferrando il ragazzo per il polso con il chiaro intento di trascinarselo via.

Anni di zuffe con i fratelli e contro gli altri bulletti di montagna lo fecero però reagire con fermezza: quasi non traballò, nonostante avesse la sensazione di essere appena stato investito da un tir, e, da vero uomo, seguitò a trascinarsi appresso il compagno, fino ad arrivare a destinazione.

“Sei contento Kits?” gli chiese fermandosi improvvisamente, tutto soddisfatto, al centro del campetto di basket,  aspettando di leggere l’emozione nel viso dell’altro.

“Lasciami, do’aho!”

Ecco, aveva ricominciato con quella parola!!!

“Io non sono un do’aho!!! Sono HA-NA-MI-CHI… il GE-NIO!!” cercò di sottolineare ancora una volta.

“Do’aho” ribatté Rukawa, come se niente fosse.

Il rossino decise di lasciar correre, per una volta, visto che c’era qualcosa di più importante in gioco:

“Non ti piace?” ripeté, accennando con la testa verso l’angolo del campetto di Basket.

Aveva impiegato ore per raccogliere la neve in quel punto e costruire quella bellissima scultura, ancora un segno incontrovertibile della sua maestria e genialità in ogni ambito:

“Non li riconosci?”

Finalmente lo sguardo della sua volpe si posò sul gruppo scultoreo che faceva bella mostra di sé in quella landa desolata.

“Non sai neanche costruire un pupazzo di neve!” fu la replica svogliata che ricevette, prima che la kitsune distogliesse gli occhi, per poi portarli, con un interesse ben maggiore, verso i canestri del campetto.

“PUPAZZO DI NEVE?!” urlò lui, incredulo. Di che diavolo stava parlando Sonno Profondo… lì non c’erano pupazzi di neve.

L’altro diede un’altra occhiata veloce alla creazione ghiacciata, accigliandosi quasi subito:

“Due birilli, di cui uno sta cadendo… ah, eccola lì, c’è anche la palla da bowling, ha pure i buchi” aveva mormorato, trattenendo a stento uno sbadiglio.

Hanamichi era rimasto basito: ma come diavolo osava!!! Ci aveva messo ore a costruire quell’opera d’arte! Il birillo in piedi… ma quello era lui!! Il fantasmagorico genio, lo strabiliante artista, il misterioso ed intrigante capitan Harlock, nero il suo mantello mentre il cuore bianco è (URRA’!!), di Kanagawa! Un birillo… non poteva crederci! E poi perché avrebbe messo il pallone da basket al posto della testa? Per ricreare il colore dei suoi capelli, no? E l’altro ‘birillo’… possibile che il volpino non si fosse riconosciuto? Evidentemente si guardava poco allo specchio, perché per renderlo ancora più somigliante gli aveva addirittura infilato sulla testa, un po’ bozzolosa, ma si sa, l’arte moderna astrae, anche degli zeppetti scuri che dovevano indicare i capelli! Un birillo che cade… era Rukawa abbandonato tra le sue braccia, e altro che palla da bowling, quella era la testa di Eiji Sawakita, con naso, occhi e bocca!

“NON VEDI CHE SIAMO NOI?! Ci ho messo tutto il pomeriggio per… per farti capire come vorrei che fosse… come vorrei che…”

“Il solito do’aho!” gli replicò l’altro, avvicinandosi al suo capolavoro e… DECAPITANDOLO!!! Gli aveva tolto la testa, si era impossessato del suo cranio, e adesso lo faceva rimbalzare sul terreno del campetto di basket.

“SMETTILA!! Così mi farai male!! – sbottò Hanamichi, incredulo, e portandosi le mani intorno alla testa, pronto a risentire fisicamente dell’oltraggio che il volpino stava portando alla sua proiezione di gomma arancione – NON PUOI LASCIARMI SENZA TESTA!!!”

Ma Rukawa già non lo sentiva più, era corso sotto il canestro e aveva insaccato, saltando leggero.

Era questo che voleva? Una sfida all’ultimo sangue? Beh, lo avrebbe accontentato!

“FERMATI, DANNATO VOLPINO!! Non si sfugge ad Hanamichi Mitsui!” e si lanciò all’inseguimento.

Sarebbe stato bello poter dire che le ore passate ad allenarsi per non sfigurare davanti al suo amore fossero servite a qualcosa, ma non era così: quel disgraziato gli sfuggiva da tutte le parti, e lui poteva solo ricorrere a sistemi non proprio ortodossi, per fermarlo. Però era bello, era bello vederlo palleggiare, cambiare ritmo, scattare per le finte, il tutto senza distogliere lo sguardo dal suo: gli sembrava che, per la prima volta, l’altro lo vedesse davvero, ed era una sensazione fantastica!

Sgomitando e minacciando testate ed altre terribili efferatezze, si impossessò finalmente del pallone e cominciò a correre verso il canestro: saltarono insieme, lui riuscì a tirare, ma la sfera carambolò sul tabellone per poi scivolare sul ferro e quindi sul pavimento… accidenti, ce l’aveva quasi fatta!

“Concentrati! Sbagli la posizione delle mani e salti fuori tempo!” gli aveva… sibilato? No, amabilmente suggerito, la sua kitsune, leggermente ansimante mentre riprendevano fiato prima di ricominciare il gioco. Non lo aveva mai visto così sveglio, non lo aveva mai visto così bello, le guance leggermente arrossate dal freddo e dalla fatica, gli occhi brillanti, azzurrissimi.

“Ti piace proprio giocare a palla, eh?” mormorò lui, facendosi ruotare la sfera sulla punta del mignolo, e rimediandoci una insaccata. Comunque la sua non era propriamente una domanda, era più una constatazione, che non aveva fatto a cuor leggero; non è bello vedere il ragazzo che dovrebbe dedicarti tutto se stesso così preso da qualcosa che non ti riguarda neanche lontanamente.

“Mph!” gli replicò il compagno, scansandosi la frangia dagli occhi.

“Però… - e qui il sorriso del rossino si aprì improvviso e soddisfatto - …io so perché hai scelto questo gioco…”

L’altro lo guardò per qualche istante, come se per una frazione di secondo avesse avuto voglia di chiedergli spiegazioni. E il do’aho, essendo la generosità e gentilezza personificata, decise di illuminarlo:

“Il colore di questo!” e indicò il pallone, lanciandolo poi in un perfetto tiro da tre, che però superò il tabellone, gli alberi e le nuvole, fino a perdersi nell’iperuranio…

“Non osare dire niente… so già quale parolina sta meditando il tuo cervellino stanco!!! – sibilò acido, voltandosi verso Kaede e poi tornando ad osservare la sfera apprestarsi a diventare una lontana stella che avrebbe vegliato su di loro – Comunque, ti piace il basket perché… il pallone ha il colore dei miei capelli!!”

Lo aveva scoperto, aveva messo a nudo l’immenso amore che la kitsune provava per lui ma che teneva celato per timidezza… come sempre, era stato un genio!

“Neanche tutta la tintura che ti metti può farti avere qualcosa in comune con questo sport” mormorò l’altro con noncuranza, voltandogli poi le spalle per avviarsi verso casa.

“I MIEI CAPELLI NON SONO TINTI!!!” urlò Hanamichi, profondamente ferito. Erano anni che nessuno più scopriva la sua riserva di Rosso di sera il capello ci spera, e poi aveva ripassato con il pennarello pure tutte le foto di quando era bambino, un’opera accurata e perfetta… non c’erano prove che avesse mai avuto i capelli di un altro colore! “Io sono un rossino naturale!!” aggiunse, avendo a cuore che l’altro recepisse il concetto.

Affondando nella neve e continuando a saltare da una recriminazione all’altra, Hanamichi riuscì a raggiungere Rukawa, e insieme rientrarono in casa: prima o poi la sua kitsune avrebbe capito di dovergli dare SEMPRE ascolto, per ora, però, aveva almeno conquistato che fra loro si fosse sviluppata una conversazione più complessa di do’aho, hn, mph. E non era poco.

“Ehi, kitsune, sai che è la prima volta che facciamo una discussione così profonda? Sono contento che tu mi abbia aperto il tuo cuore…”

Eh! Questa se la ricordava bene, era sul libro delle frasi di Kogure.

Kaede si fermò, voltandosi verso di lui:

“A volte spero che tu ci faccia, eppure sono convinto che ci sei…”

“Lo so, lo so, non fare così, ti abituerai alla mia magnificenza. Non devi sentirti a disagio…” gli rispose lui con condiscendenza.

Mentre l’altro si voltava scrollando le spalle, lui non riuscì a trattenere un sorriso: la volpaccia stava cominciando a capire...

 

 

I rapporti tra Minori e il suo Ace Killer non stavano vivendo una stagione felice. Nonostante le chiare allusioni, i numerosi tentativi di allungare le mani, le rare, e quasi impercettibili, gentilezze con cui il codino deliziava il suo amore, questi sembrava assolutamente insensibile, ed ormai andava in giro con una fondina in cui aveva accumulato un numero incredibile di armi dalla punta acuminata per difendersi dai suoi assalti.

Minori sapeva che l’unica strada poteva essere fermarsi a riflettere,  e cercare di agire come suggeriva sempre il dottor Fuck, l’ineffabile psicologo del pianerottolo, quello la cui battuta preferita era “ogni problema ha la soluzione nascosta sul materasso”.

Come se lui non fosse d’accordo! Un incontro ravvicinato del quinto tipo e il suo Tsuyoshi si sarebbe trasformato in un arrendevole gattino.

Però, come si sa, passare dalla teoria alla pratica non è facile, neanche per lui, un uomo d’azione capace di affrontare e superare qualsiasi situazione.

Entrò in casa con piglio deciso, scuotendo la testa per liberarsi i capelli dai trucioli rimasti attaccati dopo la lunga giornata di lavoro in segheria. Nel grande soggiorno vide che Minami era seduto al tavolo, una mano a rasparsi la testa e tutto concentrato nell’ultimo cruciverbone del bollettino agricolo di quattro mesi prima. Non appena il ragazzo si accorse di lui, però, lo fissò estraendo con nonchalance un pugnale di venti centimetri dalla cintura...

“Pallida imitazione… se hai davvero voglia di vedere qualcosa di veramente potente, devi solo dirmelo… dovresti aver capito che io ho armi ben più devastanti” e Minori si appoggiò con le spalle alla parete, lasciando il bacino leggermente sporto in avanti, in modo da mostrare il bel lembo di pelle che i jeans calati lasciavano perfettamente scoperto.

L’altro lo guardò socchiudendo gli occhi, come a rendere più tagliente e assassina la propria occhiata:

“Stai attento, o la tua arma potrebbe rimanere spuntata” gli sibilò, lasciandosi ruotare il coltello tra le dita.

Oh, ooohhh, sembrava proprio che il ragazzo si fosse alzato dalla parte sbagliata del letto, quella mattina!

“Vuoi startene tutto il giorno nascosto dietro le gonne di Kogure, oppure vuoi agire da uomo e farmi compagnia mentre finisco di spaccare la legna per il camino?” niente di meglio che offrirgli qualche istantanea del suo corpo di maschio ruspante, mentre sudato e ansimante si dava all’esercizio fisico… e chissà che la cosa non suggerisse al calimero di dare un’occhiata più ravvicinata ai suoi addominali!

“Sei pure orbo, non mi sembra che Kogure usi le gonne” gli replicò Minami, distogliendo gli occhi come se fosse estremamente annoiato dalla conversazione.

“Non l’hai mai visto con Hisashi… si dà a spettacolini divertenti, il nostro quattr’occhi. Non è male vestito da coniglietto, con tanto di pon pon come coda… non so se tu ne saresti all’altezza! E conosce certi giochi con quei fondi di bottiglia…” oddio, per fortuna che la natura lo aveva dotato di una certa faccia di bronzo, perché pensare al timido Kimi-chan in versione sadomaso era leggermente raccapricciante.

Si ritrovò sbattuto contro il muro, con qualcosa che assomigliava pericolosamente ad un cacciavite a stella ad accarezzargli la gola:

“Non fare così… - riuscì a mormorare, cercando di non inghiottire per non rendere troppo intimo il rapporto tra la sua pelle e quella punta di acciaio - … basta un po’ di ovatta, e una codina la rimediamo anche per te…”

“Sei un bastardo, Minori Mitsui, e non hai rispetto per nessuno! Un giorno di questi, quando avrai raggiunto il limite, ti pentirai di aver sprecato tanto fiato per stronzate, ma non te ne rimarrà per chiedere perdono a nessuno, perché questo cacciavite te lo ficcherò nello stomaco…”

“Ma come siamo sanguinari! Però, visto che per oggi sono salvo, vieni a spaccare legna con me? Decidi in fretta, che non sei l’unico che vorrebbe potermi ammirare in azione!” gli replicò lui, mantenendo lo stesso tono ironico, quello che sapeva far andare il compagno su tutte le furie.

“Stronzo, bastardo! Piuttosto che…” ma Minami non riuscì a terminare la frase, visto che qualcuno aveva spalancato la porta.

“Ehi, Mitsui! Siamo venuti a sistemare una questione…” due colossi dai lunghi capelli scuri e dai visi non esattamente raccomandabili si affacciarono sulla soglia, squadrando Minori e il calimero, che ancora stava cercando di dominare la rabbia per la conversazione appena interrotta.

“Che cazzo volete, imbecilli?” rispose il codino, bloccando l’accesso alla casa poggiando una mano sullo stipite e l’altra sulla maniglia.

“Quell’idiota coi capelli rossi è in casa? Lui e quel porcospino sottosviluppato hanno sconfinato di nuovo! Hanno raso al suolo tutte le betulle del nostro bosco, e stavolta sarà l’ultima…”

“Quello non è il vostro bosco, il confine passa cento metri più a nord, quindi non scassate le palle. Mi sembra che sia un discorso già affrontato e chiuso. Certo, se non ne avete abbastanza delle testate di Hanamichi, ve lo chiamo…” e fece come per rientrare in casa.

Un pugno lo prese in pieno stomaco, facendolo piegare in due per mancanza d’aria. Quel bastardo senza cervello di Fumi Matsugata lo aveva colpito a tradimento, proprio come era nel suo stile, e suo fratello Masa aggiunse il carico, dandogli una ginocchiata sul viso.

Bastardi, dei veri bastardi! Due contro uno, come era sempre stato il loro stile…

Minori si rialzò in piedi, pronto a rispondere colpo su colpo: contro due colossi come quelli non era facile, e di solito li affrontava insieme al rossino, avendone sempre ragione, ma stavolta era solo, in casa non c’era nessuno. Non che lui avesse timori: forse ci avrebbe messo di più, ma gli stronzi erano destinati a prendercele, come sempre.

Si rimise in piedi, sollevando i pugni in posizione di guardia. Avanzò, finché non furono fuori, sul terreno spalato dalla neve di fronte al portone di casa:

“Fatevi sotto, signorine” sibilò, incurante del sangue che gli usciva dal naso.

Riuscì a mollare un bel pugno a Fumi, colpendolo in pieno viso, e poi un calcio a Masa, ma presto i due si coalizzarono: uno lo impegnava frontalmente e l’altro lo aggrediva dai lati. Bastardi e vigliacchi, al solito.

Improvvisamente sentì che quello che lo colpiva al fianco si era allontanato… si voltò stupito, schivando appena un ennesimo gancio, e vide!

“Stai attento, bocca di baci, sono vili e scorretti!” sibilò, impegnato a parare un altro colpo. Contemporaneamente un bel sorriso soddisfatto gli si allargò sul viso: quasi quasi c’era da non crederci a vedere l’orgoglioso e scostante Calimero dargli una mano contro quei bifolchi!

Con pochi colpi ben piazzati, riuscì a liberarsi di Fumi, buttandolo a terra. Lo fece rotolare lontano, colpendolo con la punta dello scarpone, come se gli facesse ribrezzo anche toccarlo in questo modo, e si ripulì le mani:

“La prossima volta che decidi di venire a trovarci, ricordati di presentarti in maniera più gentile: a casa nostra non c’è posto per gente come voi!” bella, gli era venuta perfetta, con il giusto cipiglio sprezzante!

Si voltò ad ammirare l’altro combattimento, ma non fece in tempo a vedere niente che si ritrovò a terra, schiacciato dal peso di Masa: peccato, sembrava che pure quest’ultimo avesse problemi a mantenersi all’altezza delle argomentazioni della famiglia Mitsui!

Riuscì a sottrarsi al peso che lo bloccava nell’erba gelata e si rialzò in piedi, cercando di non manifestare troppo chiaramente che i primi pugni dei fratelli Matsugata non erano stati esattamente senza conseguenze:

“Ehi, amore, hai visto che insieme siamo invincibili?!” riuscì a mormorare a Minami, avvicinandoglisi “Abbiamo dei problemi, ma… ogni problema ha la soluzione nascosta sul materasso!” aggiunse poi, soddisfattissimo.

E per la prima volta vide un’espressione distesa nel viso del compagno, come se quella rissa gli avesse fatto finalmente superare la rabbia del rapimento, ma poi…

“Che accidenti stai dicendo!!! Materasso??!! Bocca di baci? IO TI AMMAZZO!!!!!”

Ok, era più disteso ma era sempre il suo Minami.

 

Sette Basketmen per Sette Fratelli – Fine quinta parte



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