Fic interamente dedicata e concepita per Ria, per festeggiare il suo compleanno, ma soprattutto per ringraziarla dell’allegria e dell’ottimismo che ci trasmette. Ho impiegato più del previsto a scriverla e so di essere colpevolmente in ritardo, però le buone intenzioni c’erano… è mancato il tempo! Tanti auguri, webmom!! Un baciotto e un ringraziamento a Nausicaa e Calipso, come sempre indispensabili per il sostegno e l’aiuto che mi danno. Un saluto particolare anche a Angie, Kira e Fra-chan, e a chiunque riterrà di aver passato dei minuti piacevoli leggendo questa storia. I personaggi di SD non sono miei, così come non è mio il soggetto del film ‘Sette spose per sette fratelli’, che, pur completamente stravolto, mi è stato di ispirazione. Ultima cosa: a me piacciono tutti i personaggi di Slam Dunk, senza anche uno solo di loro questo manga bellissimo non sarebbe lo stesso. Se mi sono lasciata trasportare dall’ironia, nel descriverne alcuni, l’ho fatto con affetto. Buona Lettura.
7 Basketmen per 7 Fratelli parte IV - Il Ratto delle Veghine di Greta
Tornati a casa, Kiminobu costrinse i sei fratelli a sottoporsi alla sua attenta analisi delle ferite che si erano procurati. Non c’era nulla di particolarmente grave, solo lividi, sbucciature, qualche graffio, ma lui disinfettò tutto accuratamente, usando l’alcool puro, tanto per far sentire ‘sulla pelle’ ai sei.. no, sette ragazzi l’errore commesso. “E questo sarebbe il vostro modo di comportarvi bene, la risposta ai miei insegnamenti. Dovevate essere gentili, delicati, cavalieri, e invece… bella figura avete fatto ad accapigliarvi con gli altri!” “Kimi-kun, non essere severo… si sono solo difesi, e con onore anche!” lo interruppe Hisashi, tutto sorridente, battendo orgogliosamente sulla spalla di Minori, e manifestando al fratello minore, in questo modo, tutta la propria approvazione per aver messo fuori combattimento quella montagna di Aota. “Certo – gli ribatté il quattr’occhi, seccamente – io cerco di farli comportare da persone civili, ma poi ci sei tu, che continui a credere che tutto si risolva a suon di pugni…” “No, non tutto…” e lo sfregiato strizzò un occhio ai fratelli, con un sorrisetto di intesa. Stavolta aveva davvero esagerato! E Kogure era stanco di dover sempre ingoiare le loro divergenze. Dopo avergli spruzzato senza alcuna cura l’alcool direttamente nel taglio che gli decorava la fronte, girò le spalle all’intera famiglia, andandosene nella propria stanza. Non dovette aspettare molto per sentire bussare con decisione contro la porta. Ma stavolta sarebbe stato inflessibile, e infatti non rispose, lasciando che l’altro lo chiamasse, sibilasse, mormorasse, pregasse. Era stanco. Quando Hisashi tornò nel soggiorno, non trovò gli sguardi ironici della prima sera in cui aveva portato Kogure lì da loro. Tutti i fratelli sembravano un po’ abbattuti, e poi, con quelle garze e i cerotti, sembravano reduci da una sconfitta, invece che da quella rissa, meravigliosa e vittoriosa, che aveva mantenuto alto il nome e l’onore dei Mitsui. Che diavolo stava succedendo? Perché si erano riscoperti tutti così sentimentali? Volevano quei ragazzi? Beh, dovevano solo portarseli a casa, come aveva fatto lui con Kiminobu. Poche storie, partite a basket, frasi gentili! Oppure, ancora meglio, potevano dimenticarseli: da quando avevano cominciato a diventare dei sentimentali, si erano completamente rammolliti. Li guardò con durezza, avviandosi verso la porta. Non aveva la minima intenzione di stare lì a contare i loro sospiri, non aveva tempo per le svenevolezze, lui! Uscendo sul portico, alzò lo sguardo verso la finestra della sua camera da letto, ma la luce era spenta. Scosse la testa, e si chiuse la lampo della giacca leggera: meglio andare a vedere come stava il puledro, visto che era rimasto abbandonato a se stesso per l’intera giornata. Mentre cambiava la paglia del box con il forcone, si accorse del rumore di passi che si avvicinavano. Dovette sforzarsi per reprimere un sorriso di sollievo: non gli piaceva litigare con Kimi-kun, e, anche se era convinto di essere nel giusto, era deciso a non far pesare troppo la propria maggiore esperienza e saggezza. Lo avrebbe perdonato, con la condiscendenza di un re, e poi sarebbero andati in camera da letto per non lasciare alcuna ruggine tra loro… no, almeno da quel punto di vista, il loro sarebbe sempre stato un meccanismo ben oliato! Diede una pacca leggera sul collo del puledro, battezzato da Kogure ‘Apu’, e riprese il lavoro, deciso a farsi trovare calmo e rilassato, come se nulla fosse successo. “Ehi, sfregiato, sei qui?!” Hanamichi?! Che diavolo ci faceva lì? Non era lui che doveva venire, non era previsto: nel copione che aveva immaginato per la serata, la faccia brutta del rossino non doveva apparire almeno fino a metà dei titoli di coda, e invece… “Che vuoi, perché non sei andato a dormire? E’ tardi” gli replicò bruscamente. L’altro rimase per un istante perplesso, poi: “MA CHE TI SEI BEVUTO IL CERVELLO?! Vengo a chiederti consiglio per i miei problemi sentimentali, e tu… e tu… Proprio come facevi quando andavamo a scuola, quando non andavi mai ai miei incontri insegnanti-genitori! Bella guida che sei!” Ok, era vero, e ancora un po’ se ne vergognava… ma come poteva confessare al fratello che sarebbe stato controproducente che fosse andato, dopo aver dato un ‘Bella Fattrice’ alla signorina Makoto, l’insegnante di bricolage? “Non volevo essere sgarbato – mugugnò, voltandosi di nuovo verso Apu e cercando di mantenere la sua fama di duro – Racconta, ma non so quanto potrò esserti utile…” visto come stava andando con Kimi-kun, forse non era il più adatto per dare consigli sentimentali. “Sai, è tutto il giorno, anzi… da quella volta che siamo andati in città con Kimi-kun, che mi sento strano… è come se sentissi qualcosa che mi fa male, dentro… E non riesco a capire cosa sia” mormorò il rossino, vergognoso. “Non è che hai mangiato frutta acerba? – gli chiese lui, cambiando l’acqua nella grande vasca – Ti ricordi quanto è stata male Piggy, l’anno scorso, per l’indigestione…” proseguì distrattamente. “Non hai capito niente! Questo non è mal di pancia… è come un languore…” Hisashi gli si avvicinò, scrutandolo attentamente: “Forse è solo fame. Oggi abbiamo mangiato poco, con tutto quello che è successo. O forse è un colpo di sole…” spiegò, tenendosi il mento, pensieroso. “No, non credo che sia così. Sto male da quando ho conosciuto la mia kitsune…” “Senti, non attaccare con le stronzate delle pene d’amore. Mi basta Kimi-kun a rompermi con questi discorsi!” sbottò, amaro. “Non sono stronzate, Hisashi. Io mi accorgo che sono diverso. Quando quel demente oggi mi ha fermato, appena prima che baciassi il mio Kaede, lo avrei ucciso, e non sto scherzando – Hanamichi si interruppe per riprendere fiato – possibile che tu non mi capisca?!” Non lo capiva? Certo che sì, era stato lo stesso per lui, quando aveva conosciuto il suo buffo quattr’occhi: aveva sentito qualcosa dolergli nel petto, qualcosa dirgli che lui era la persona giusta, che finalmente lo aveva incontrato. Poggiò una mano sulla spalla del fratello: “Mi è sembrato in gamba, questa tua Kitsune… fra l’altro ha vinto la partita praticamente da solo! Per il resto… mi dispiace, non sono assolutamente in grado di aiutarti. Le tue reazioni mi sembrano simili a quelle che io… che dicono si abbiano quando si è innamorati, ma, come sai bene, ho visto più di una mucca soffrire di colite, ed i sintomi erano gli stessi. Posso darti un unico consiglio: chiedi a Kogure, oppure ad un veterinario, uno dei due risolverà sicuramente il tuo problema” terminò, dandogli un pugno leggero allo stomaco “E adesso fila a dormire, oppure hai bisogno della favola della buonanotte? Magari qualcosa di tradizionale sulle volpi?” Hanamichi gli sorrise, scuotendo la testa: “Preferisco costruirle da solo le mie favole sulla Kitsune!” mormorò arrossendo. “Piccolo hentai…” gli replicò lui, sorridendo. Con il raccolto e la necessità di portare le bestie ai pascoli più alti, l’estate passò velocemente. Ogni volta che i ragazzi manifestavano il desiderio di scendere in città, interveniva qualche imprevisto a sabotare i loro piani: le malattie del bestiame, nuovi ordini per la segheria, la mietitura, la trebbiatura. In un baleno fu ottobre… eppure le cose non erano più state le stesse. Kogure, seduto sulla poltrona di vimini sul portico, rimuginava tra sé e sé: la situazione non era semplice. Nonostante le risate di Hisashi e le sue prese in giro, i sentimenti che si erano sviluppati nei ragazzi si erano dimostrati forti, molto più del previsto. Ed ora, anche quando i sette fratelli scherzavano insieme, sembrava che faticassero a trovare il vecchio entusiasmo, e che bastasse un nonnulla a renderli malinconici, a farli evidentemente ripensare ai ragazzi che non avevano più potuto rivedere. Si era accorto, quando c’era stato quell’inizio di epidemia tra le pecore, di come Toru, una sera, avesse cominciato a lodare un libro che aveva letto e riletto da poco, raccontando di come fosse stato fondamentale per evitare che anche il loro gregge venisse decimato, e poi si fosse interrotto bruscamente, come se quel pensiero ne trascinasse, a catena, molti altri. E Takenori? Se qualcuno osava chiedere, o anche solo nominare, un dolce al cioccolato, diventava ombroso, scontroso, per poi imporre una scelta diversa. E spesso lo trovava con in mano un libro di cucina, quasi volesse cimentarsi ai fornelli, oppure lo scopriva a provarsi, da solo, il vecchio cappello da cuoco della madre. Akira, invece, nell’armadietto del bagno serbava il tubo ormai vuoto del gel per capelli comprato in città insieme a Koshino, e una volta, dopo essersi lavato la testa, si era fatto la riga in mezzo, lasciando scendere i capelli lateralmente. Non ultimo, aveva appeso sopra al letto la foto del vecchio Blackie, il cane che era stato per tanti anni con la famiglia Mitsui, e spesso rimaneva per ore ad osservarla. Quando il quattr’occhi gli aveva finalmente chiesto perché avesse deciso di tirarla fuori, il ragazzo aveva risposto che, non avendo il ritratto del suo Hiro-kun, si era dovuto arrangiare con quanto di più somigliante potesse avere a portata di mano. Una cosa che aveva profondamente commosso l’animo romantico di Kiminobu. Minori, poi, pur rabbioso e sarcastico come sempre, sembrava anche lui in cerca di qualcosa. Gli scontri col rossino avevano perso mordente, e lui sembrava sempre sul punto di incollerirsi, anche per le cose più sciocche. E poi, sulla porta della stanza da letto aveva appeso l’immagine, strappata da un giornale, di un lottatore di judo, e passava intere serate ad usarla come bersaglio per le sue freccette dalla punta d’acciaio, con il rischio assolutamente non trascurabile di accecare il malcapitato di turno che decideva di entrare nella stanza durante tali pratiche voodoo. E Shinichi… Shinichi aveva cercato di reagire con coraggio: tutte le mattine portava il gregge al pascolo, poi tornava per dare da mangiare a Piggy e per mungere Milly, ma anche qui qualcosa non era più lo stesso. Il bel rapporto conflittuale che lo legava alla mucca aveva infatti subito delle trasformazioni irreversibili: quando il ragazzo tornava con il latte fresco, quello che usavano per il consumo familiare, non faceva più commenti sulla produzione della sua vacca preferita, sulla sua pigrizia e su ulteriori sistemi per renderla più docile; si limitava a svuotare il piccolo secchio lucente nel barilotto, e poi rimaneva con l’oggetto di metallo in mano, a rimirarlo e ripulirlo, con la testa appoggiata sul fianco della bestia pezzata, in un atteggiamento sentimentale che sarebbe stato impensabile fino a poche settimane prima. Diceva che solo lei poteva capirlo… tutto perché, aveva alla fine ricostruito Kogure, molti anni prima, quando Milly era giovane, aveva avuto una passione interrazziale per un cavallo da tiro dalla lunga criniera nera. Quello che però faceva più impressione era Hanamichi: la sua indole allegra non era scomparsa, ma si vedeva che qualcosa lo frenava, lo disturbava, e allora si sfiancava fisicamente pur di non pensare. E poi era impossibile riuscire a parlarci, ad affrontare l’argomento: si adombrava e svicolava non appena capiva che il discorso stava prendendo una piega poco piacevole. E allora, se il lavoro della fattoria era terminato, si sfiniva nel piccolo campetto di basket. Una volta lo aveva anche detto: ‘forse così mi noterà’… Era commovente, perché stava cercando di tutto per entrare in un mondo che non conosceva, e solo perché sapeva che quello era il mondo del ragazzo di cui si era innamorato. Kogure glielo aveva chiesto, gli aveva domandato perché facesse tutti quegli sforzi, invece dell’unico necessario, andare a cercarlo a Kanagawa. E il rossino gli aveva risposto: “Voglio che capisca cosa sto facendo per lui”, si era poi interrotto, per riprendere più scherzosamente: “Ma del resto io sono in Genio, e lui una stupida Kitsune, quindi lo conquisterò!” Eppure del vecchio Tensai rimanevano solo le parole, il tono era completamente diverso. Cercare di fare intervenire Hisashi era poi assolutamente impossibile; ogni volta che il quattr’occhi accennava all’argomento, la risposta era una smorfia infastidita: erano solo cotte, infatuazioni sciocche dovute al fatto che i ragazzi vedevano poca gente. Non dovevano fare altro che aspettare che le sei gemelle cinquenni dei Natsuagi crescessero, e si sarebbe risolto ogni problema. E a niente serviva neanche il suo sguardo ferito; sembrava che l’altro fosse allergico a qualsiasi discorso troppo sentimentale. Eppure presto avrebbe dovuto ascoltarne uno molto serio… Hisashi era alla segheria, in un tardo pomeriggio di un ottobre già piuttosto freddo, lassù in montagna, quando vide arrivare il fratello Toru. Gli faceva sempre piacere parlare con lo spilungone, aveva sempre saputo che era quello con più sale in zucca di tutti loro. E poi potevano parlare di cavalli. Sebbene Hisashi avesse preso in mano la segheria e tutta la parte di gestione dei clienti della fattoria, la sua passione erano sempre stati gli animali, e i cavalli in particolare. Quando vide l’altro avanzare, non poté fare a meno di sorridere: “Ehi! Notizie di Apu?” chiese, continuando a passare la piallatrice sulle assi che stava preparando. “Sta bene, ormai è un puledro completamente indipendente. Eppure Bucaneve non lo molla un istante…” nonostante la voce allegra, si capiva però che c’era qualcosa che non andava. “Sicuro? Nessun problema, dopo quell’incidente al garretto?” si informò il maggiore, sentendo una certa preoccupazione nel tono del fratello. “No, la ferita si è perfettamente rimarginata…” Rimasero qualche istante in silenzio, tra loro solo il rumore della piallatrice. Poi Hisashi spense il macchinario, voltandosi verso il quattr’occhi che era rimasto immobile accanto a lui: “Mi devi dire qualcosa, Toru?” gli domandò a bruciapelo. L’altro sospirò: “Sì, e non è una cosa piacevole…” “Sputa, allora. Sai che mi danno fastidio i giri di parole” e si appoggiò con la schiena al banco di lavoro. “Ho deciso di lasciare la fattoria”. Non una parola di più, non una di meno, esattamente come piaceva a lui. Era il concetto a non tornare, però. “Stai dicendo che devi fare una commissione in città?” provò a chiedere lentamente. Il fratello minore scosse la testa: “No, ho pensato di andare in città per rimanerci. Voglio darmi una possibilità, mettermi alla prova, magari provare a frequentare l’università. Qui io… - si interruppe per qualche istante, prima di continuare – Ho bisogno di qualcosa di diverso, Hisashi” terminò. Era assolutamente un colpo a tradimento! Come poteva, qualcuno di loro, desiderare di lasciare quella che era stata la loro vita da quando erano nati? Come potevano abbandonare quello che era stato il sogno dei genitori? “Stai scherzando, vero?” gli chiese, con durezza. “No, sto parlando molto seriamente. Ho davvero bisogno di muovermi, di sentirmi vivo. Sono mesi ormai che sento di andare avanti senza più una ragione”. “Non è che la tua ragione si chiama Kenji Fujima? Non è che questo desiderio di ‘realizzarti’, sia solo ‘desiderio’ per quel bambolotto?” lo accusò Hisashi, sferzante. “Mentirei se ti dicessi che Fujima non c’entra, ma non credo sia solo quello. A volte mi sento prigioniero di questa montagna…” Rimasero entrambi in silenzio, poi il fratello maggiore mormorò: “Prenditi ancora del tempo per pensarci: io non voglio che nessuno di voi vada via… cerchiamo insieme una soluzione”. E l’altro aveva annuito. Quella sera, quando Hisashi si ritrovò in camera con Kogure, gli raccontò cosa fosse accaduto. Sembrava che in qualche modo non potesse evitare di ritenere il quattr’occhi responsabile della situazione, pur sapendo che ci si sarebbe arrivati comunque: “Capisci che non posso permettere che vada via? La fattoria è tutto per noi, e noi siamo tutti legati ad essa. Non posso permettere che ci abbandoni, non sarebbe giusto! E per cosa, poi, per una vita di città? Sono sicuro che non resisterebbe… tempo due mesi e sarebbe di nuovo qui. Tu… tu dovresti vederlo quando cura i nostri animali, la passione, l’amore che ci mette. Ed ora vorrebbe abbandonare tutto per un sogno? Mi verrebbe voglia di lasciarlo andare, solo per vederlo tornare sconfitto!” Ma non era così, sapeva che Toru era troppo in gamba per lasciarsi sconfiggere, ed era questo che lo atterriva. “Hisa-kun… ho paura che non sia solo Toru a voler andare via. Sono giovani, nel pieno delle loro energie, hanno bisogno di vedere altre persone, di confrontarsi con qualcuno che non faccia parte della famiglia, qualcuno della loro età. Tu hai voluto prendere sottogamba i sentimenti che quei ragazzi di città hanno risvegliato… perché non vuoi capire che, in questo momento, loro vedono l’amore come una specie di completamento, di crescita? Se andrà via Toru, ad uno ad uno andranno via anche gli altri, perché hanno bisogno di quelle persone”. “Stai dicendo delle sciocchezze, Kimi-kun: hai un animo troppo romantico! Pensi davvero che quei damerini di città si innamorerebbero di loro? E pensi davvero che così si risolva il problema? Seriamente credi che, se riuscissero a conquistarli, non avrebbero più tutta questa voglia di lasciare la montagna?” chiese Hisashi, scettico. Kogure annuì: “Credo di sì, e te lo dice un altro damerino di città, un damerino che li vorrebbe tutti accanto, felici con le persone che hanno scelto”. “Hn. Ma io che posso farci? Mica posso andare dai genitori di questi tipi, e chiederli in sposi, no?!” sbottò lui. “Infatti. Noi non possiamo fare nulla…” Ma l’impotenza era qualcosa che non faceva parte del vocabolario di Hisashi Mitsui. Kogure si accorse, nei giorni successivi, di quanto stesse crescendo la tensione all’interno della famiglia. Le cene, che erano sempre state occasione di baraonda, di scherzi, di discorsi uno sull’altro, con i sette fratelli che facevano a gara per sovrastarsi con la voce, adesso trascorrevano in un silenzio quasi assoluto, con i ragazzi pensosi, seri, spesso corrucciati, come se bastasse un niente per farli esplodere. Lui sapeva bene che quello che
aveva detto ad Hisashi era vero: nel momento in cui uno di loro si fosse
allontanato, li avrebbero persi tutti. Come potevano resistere a stare
sempre soli, senza vedere altre persone? E poi perché Hisashi non
capiva quanto fosse naturale questa esigenza, visto che anche lui era
sceso in città in cerca di un compagno? Non avevano più affrontato il discorso, ma sapeva che l’altro aveva continuato a pensarci, che si stava arrovellando per trovare una soluzione che rendesse tutti contenti, se stesso in primo luogo. Eppure Kiminobu non poteva biasimarlo; la fattoria era importante per la famiglia, e solo lo sforzo comune di tutti i fratelli era riuscito a farla andare avanti, a farla prosperare dopo la morte dei genitori. Era una di quelle situazioni in cui nessuno desidererebbe mai trovarsi a fare da giudice, perché nessuno aveva torto, ognuno aveva le proprie ragioni, forti. Dopo aver terminato di lavare i piatti, lavoro portato a termine con il supporto di Minori e Hanamichi, che in due erano riusciti a far fuori quattro bicchieri e a rimanere uno con in mano il manico, e l’altro con in mano il resto della tazzona preferita di Shinichi, quella con Clarabella, il quattr’occhi salì stancamente in camera da letto. Quando entrò, scosse lievemente la testa: come sempre, in quegli ultimi giorni, Hisashi si era infilato sotto le coperte senza la giacca del pigiama, anzi, arrotolandola sotto il cuscino, ma non era questa la cosa più stupefacente… lo sfregiato stava… stava leggendo! Non che il ragazzo fosse assolutamente un illetterato, o addirittura un bifolco, certo che no, però vederlo a meno di due metri da qualcosa che non fosse il Giornale dell’Allevatore, il Natural Born Farmer, oppure i fumetti con Ciccio e Nonna Papera, era qualcosa di piuttosto raro, diciamo anche una occorrenza mai verificatasi. Kogure si infilò il pigiamino beige, quello con il ciclo evolutivo del bozzolo che diventava farfalla, in assoluto il preferito di Hisashi, e lo raggiunse nel letto: “Cosa stai leggendo?” gli chiese, appoggiandogli la testa sulla spalla. Ma l’altro, appena lo vide pronto per la notte, si affrettò a chiudere il volume, appoggiandolo sul comodino, e a spengere la luce. Poi si voltò su di lui, bloccandolo contro il materasso: “Ho freddo, che ne dici di aiutarmi a riscaldarmi?” gli mormorò, baciandogli la punta del naso. “Dovresti avere le medusine sotto il cuscino…” provò a suggerirgli lui, considerando che la maglietta con le simpatiche bestiole avrebbe potuto certamente evitare il raffreddore al suo Hisa-kun meglio di qualsiasi altro rimedio. “Stavo pensando a qualcosa di diverso… sei così egoista da non voler scambiare un po’ di calore umano con me?!” e lo sfregiato continuò ad infilargli le mani sotto il bozzolo ancora a tre fasi dalla trasformazione in crisalide, carezzandogli i fianchi nudi. “Sembravi così di cattivo umore, a cena… ora cosa è successo?” non poté evitare di chiedergli lui. “Ho scoperto l’importanza della cultura… e io che pensavo che la vecchia Momoe fosse la saggezza personificata!! Niente in confronto a quello che ho trovato lì! – e accennò vagamente verso il comodino – Ho letto appena qualche pagina, e ho trovato la soluzione a molti dei nostri problemi”. Kogure sorrise dolcemente: “Non credevo di aver portato anche un manuale di filosofie orientali! Allora hai deciso che lascerai partire Toru?” “Non dirlo neanche per scherzo!” E questo, oltre alle mani di Hisashi, sempre più pericolosamente curiose, fece diminuire a dismisura la pace interiore, nonché esteriore, di Kogure. Il giorno seguente, nel tardo pomeriggio che già volgeva in notte, il primogenito della famiglia Mitsui si recò, con passo deciso, verso la stalla, sicuro di trovare i suoi fratelli riuniti in uno di quei silenziosi conciliaboli che ultimamente stavano diventando preoccupantemente frequenti. Entrò dando un calcio alla porta. Poi dovette allungare le braccia, per evitare che gli rimbalzasse sul naso. Mai che quella bicocca si prestasse a qualche azione da eroe cinematografico! In ogni caso, calcando bene ogni passo, arrivò fino al box in cui Toru stava facendo dei prelievi ad Apu. Come aveva previsto, a poca distanza c’erano Shinichi, che finiva di accudire Milly, Takenori che buttava giù la paglia dal soppalco, per rendere asciutto il pavimento, Akira che cambiava l’acqua dell’abbeveratoio, e Minori e Hanamichi, che spazzolavano Bucaneve. “Sapevo di trovarvi qui” cominciò Hisashi, deciso. Gli altri emisero qualche grugnito sparso, il più forte dei quali non era ben chiaro se fosse proprio di Takenori o di Piggy. “Perché questi musi ingrugnati?! SONO GIORNI CHE ROMPETE LE PALLE CON QUESTE FACCE SCURE!!! SI PUO’ SAPERE CHE CAZZO VI PRENDE?!” e con un calcio fece rotolare a terra il secchio con il latte appena munto. “Il latte di Milly…” mormorò Shinichi, troppo sconvolto da quel gesto improvviso per poter dire di più. “ME NE FREGA UN ACCIDENTE DEL LATTE DI MILLY!! – Hisashi era ormai paonazzo – Vi comportate come ragazzini di due anni alla prima cotta! Volete darvi un scossa? Volete reagire da uomini, prendere il toro per le corna?! Sembrate sei pupattoli che sanno solo lamentarsi!!” E, detto questo, tornò del colore normale, si schiarì leggermente la gola, e si appoggiò ad una trave, aspettando tranquillamente una risposta. “Smettila di urlare! – tuonò Takenori – Non siamo più ragazzini di cinque anni. Siamo stanchi, Hisashi, stanchi di romperci la schiena tutti i giorni senza una speranza…” “Di che diavolo parli?! La nostra speranza è il prossimo raccolto, un nuovo ordine, la salute dei nostri animali – si avvicinò al fratello afferrandolo per il bavero – Vedi di non dimenticartelo mai, gorilla, e non venire mai più a parlarmi della nostra fattoria come se fosse spazzatura”. “Non è questo che stiamo dicendo – si intromise Toru, serio – Vorremmo solo avere la nostra possibilità. La fattoria è la nostra casa, ma comincia a starci stretta come unica ragione di vita. Cominciamo ad avere altre esigenze…” “Intendi rotolarvi sulla paglia coi damerini di città? E’ questa la vostra esigenza? Non che non vi capisca, voglio solo sapere se il problema principale è questo” il tono di Hisashi, inizialmente ironico, si era fatto improvvisamente serio. “Certo che sì! Io voglio il mio cucciolino coccoloso!!” rispose immediatamente Akira, in uno dei suoi ultimamente frequenti attacchi di infantilismo cronico. “Se Raperonzy venisse qui, non dovrei separarmi da Milly…” mormorò a mezza bocca Shinichi, cercando di consolare con pizzicotti sulle orecchie la compagna di mille avventure, dopo l’oltraggio perpetrato poco prima dal fratello maggiore. “Jun potrebbe aiutare Kogure-san in cucina: lui fa un dolce al cioccolato che…” “Taglia, gorilla, che ci hai rotto con ‘sta storia! – lo interruppe bruscamente il codino – Comunque, sì, io, l’Ace Killer e un mucchio di fieno, la morte mia!” concordò, sfoderando il suo sorrisetto più allusivo. “Sìììì!!! La Kitsune tra le montagne, lontana da sguardi indiscreti, SOLO MIA!!! – sbraitò Hanamichi, evidentemente più che soddisfatto del quadro – Costruirò una capanna tutta nostra, tra il viale dei Ciliegi e il lago… andrò a pescare, a caccia, a raccogliere qualsiasi cosa possa servirci per il nostro nido d’amore…” e rimase a bocca aperta, sognante. “Il fatto che qui non ci sia né un viale dei Ciliegi, né un lago, non credo costituisca un problema, vero rossino?” gli replicò subito Takenori, deciso a rifarsi per i commenti sul dolce al cioccolato di Jun. Dopo qualche borbottio del minore della famiglia sulla mancanza di fantasia dei fratelli, Hisashi si girò verso Toru, aspettando evidentemente il suo parere: “Allora? Tu rimarresti, se miss Fujima ti raggiungesse qui?” L’altro lo guardò scuotendo la testa: “Non mi piace che lo chiami così, e non mi piace il motivo per cui lo fai: non è da te”. E Toru aveva ragione, lui stava cercando di provocarlo, ma la delusione, la paura per quello che il fratello gli aveva detto, per la possibilità che se ne andasse, era ancora viva in lui. “Allora?” ripeté, sorridendo stancamente. “Ritengo poco probabile che Fujima possa venire fin quassù, ma… è chiaro che la situazione cambierebbe. Magari potrei anche farmi aiutare per studiare: non è necessario iscriversi all’Università se si è seguiti da qualcuno”. I muscoli tesi di Hisashi poterono finalmente rilassarsi, e così il ragazzo si sedette su uno dei barili di mangime, facendo cenno anche agli altri di trovarsi delle sistemazioni simili: “Visto che tutti concordate che, se i sei basketmen venissero qui, sarebbero risolti molti dei vostri problemi, io ho la soluzione ai nostri guai…” rivelò, senza nascondere un ghigno soddisfatto. “E ALLORA CHE ASPETTAVI A DIRCELO?!” urlarono i fratelli, tutti insieme. Lui cercò di placarli, distendendo le mani: “State buoni, adesso vi racconto – si rilassò meglio con la schiena contro la parete di legno, poi ricominciò – L’idea mi è venuta da un libro di Kimi-kun che mi è capitato tra le mani…” “Se si tratta del libro sul gelato nella credenza, lascia perdere, ci abbiamo già provato!” lo interruppe Akira, portandosi scoraggiato la mano a sistemare la ciocchetta appena lasciata penzolante da una slappata di Apu. “Say yes to the beast… funzionato mica tanto bene – mormorò Shinichi – Forse dovevo provare la mossa di Pallino”. “Al momento giusto, ti scordi sempre la frase giusta… io me l’ero ripetuta tante volte ‘le mie papille ti anelano’, ma me la sono scordata. Maledetta testa!” si lamentò il gorilla, sapendo di essersi lasciato sfuggire una buona chance. “Niente parole, il bastone o… la carota, e vedi come il mio calimero me lo riporto in riga!” sogghignò Minori, appoggiandosi al muro con la sua solita aria da duro. “Sempre il solito porco – lo rimproverò il gemello – Se solo a Kanagawa ci fosse stato un lago! Il mio approccio era perfetto…”. “Vai avanti, Hisashi: cosa hai letto sul libro di Kogure?” li riportò in riga Toru. Lo sfregiato si schiarì la voce, cercando di creare l’atmosfera adatta alla Rivelazione: “Ieri ho cominciato a sfogliare questo coso… COM-PEN-DIUM, c’era scritto…” “Ma che lingua è?” chiese Akira, subito affascinato dalle attitudini poliglotte del fratello maggiore. “Ignorante!” lo redarguì Hanamichi. “Ohi, io l’inglese non lo mastico…”.(*) “Ok, questo libro parlava di storie vecchie” riprese Hisashi, scuotendo la testa. “Come Momoe?” chiese Shinichi, le cui unità di misura dovevano sempre essere qualcosa di tangibile. “Boh, penso di più… sì, di più. Nel disegno i tipi non erano vestiti come lei” lo rassicurò l’altro, prima di ricominciare a raccontare: “Insomma, la storia raccontava di un popolo, i Roani…” “Ma quelli non sono cavalli?” provò a fargli notare Toru, evidentemente un po’ dubbioso sull’attendibilità di questo racconto. Hisashi sbuffò, poi cominciò a cercare freneticamente qualcosa, fino a tirare fuori, dalla tasca posteriore dei pantaloni, dei fogli mezzo strappati. “Che sono?” chiese Minori, avvicinandosi. “Essendo un professionista, ho deciso di portare la fonte originale. Ho strappato le pagine dal libro di Kimi-kun: me ne sarà grato, così è sicuramente più leggero”. “Beh, e che dicono?” lo spronò Takenori. “I Romani…” “Ah, aveva ragione, Toru! Non erano Roani… l’ho sempre detto che dovrebbe partecipare a ‘Schiaccia e parla’, il quizzone della domenica!” lo interruppe immediatamente Akira, orgoglioso di poter candidare il fratello, dopo aver tentato, e fallito, il test di partecipazione centodue volte. L’ultima volta, gli organizzatori si erano sentiti in dovere di specificargli che il gioco consisteva nel non fare errori, non nel non dare risposte esatte, come se lui non lo sapesse! Che zotici… “Schiaccia e pirla mi sembra il nome più adatto per un gioco che ti coinvolga!” bofonchiò Minori, acido. “I Romani – riprese Hisashi, spazientito – erano una popolazione guerriera, molto forte, dei veri…” “Gundam TU DU, Gundam TU DU, Gundam Gundam TU DUUUUU! Amici miei, sono Peter Rey, comandanteeee del Roboooot!!” cominciò ad urlare Hanamichi, battendo il tempo con il forcone. “Uhm, cavolo! C’era qualcosa che non mi tornava… hai ragione! Dovevano evidentemente essere gli antenati dei Gundam – e lo sfregiato batté con approvazione la mano sulla spalla del rossino, domandandosi perché non avesse pensato da solo che quella doveva essere l’unica spiegazione – Comunque, erano una popolazione giovane, con circuiti di mille valvole, che aveva conquistato la grandezza combattendo contro il nemico venuto da Vega”. “Sempre bastardi gli abitanti di Vega” mormorò Shinichi, scuotendo la testa con la solita dignità. “Il problema dei terrestri era che non avevano donne” continuò lo sfregiato. “Ma non c’era la robottessa con le…” e Takenori arcuò le braccia, come se si stesse stringendo due cocomeri contro il petto. “Aspetta, no?! Salti subito alla conclusione!” lo rimproverò Minori, che si stava appassionando alle Cronache dalla Galassia (**). “E poi una sola, per un’intera popolazione di allupati, non mi sembra il massimo” notò Akira, pensoso. “Comunque, amici miei sono Peter Rey, nome di battaglia ‘Romolo’, il capo dei terribili Robot Romani…” “FULMINE DI ROMOLO!!!” urlò Hanamichi, mezza giravolta e lancio della striglia in testa ad Akira. “Rey – riprese Hisashi spazientito – decise che, per mantenere le conquiste ottenute, dovevano procurarsi carne fresca… qualche bella fattrice, per capirci – alzò lo sguardo verso il pelle-gialla, che aveva già aperto la bocca per parlare – Sì, esattamente come Piggy, qualcuna da…” “…montare e ingravidare ogni due mesi” terminò Shinichi, felice che fossero tornati su un terreno a lui familiare. “Beh, magari ogni nove” notò Takenori. “Perché, per mettere insieme tutta quella ferraglia dei Gundam, ci vogliono solo nove mesi? Per riparare il trattore ci abbiamo messo un anno…” si stupì Hanamichi, incuriosito. “La volete piantare? Fatemi finire, altrimenti vi lascio a sospirare e lamentarvi, e col cavolo che vi spiego il mio piano!” I fratelli ammutolirono, e cercarono di riguadagnare un atteggiamento tranquillo. “Quei dritti dei Romani decisero di organizzare una festa, in onore di…” si interruppe, Nettuno equestre? Uhm, errore di trascrizione… “In onore di Geeg, il loro famoso e osannato antenato, invitando anche le popolazioni vicine”. “Guarda se non hanno invitato quei vigliacchi, traditori di Vega! Mai fidarsi!” mugugnò Akira. “Alla festa, si bevve e si cantò, il vino scorse a fiumi, rischiando di arrugginire le brillanti armature; tutti insieme mangiarono libri di matematica e insalate di cibernetica, ma… gli RR erano molto astuti… - un momento di significativo silenzio, necessario per accrescere la suspense - …avevano organizzato il party stellare perché avevano un piano!” Espressioni stupite dei fratelli. “I Romani alla festa avevano invitato la popolazione completa di Vega, sia uomini che donne: le veghine, infatti, erano famose sia per la brillante intelligenza con cui sapevano arrendersi al nemico, quando riconoscevano la sconfitta, sia per il fatto di essere le migliori fattrici della galassia, grazie alla prontezza nell’abbandonarsi al maschione di turno. Ad un segnale convenuto di RR…” “RR?!” “Sì, le iniziali di Rey-Romolo, ma è inutile volare alto, quando ci siete voi intorno.. – si lamentò Hisashi, prima di riprendere il racconto – Comunque, ad un segnale di Peter Rey, i giovani Romani rapirono le robottesse, e, armati di idranti, misero in fuga gli uomini”. “Idranti?” chiese Toru, ancora piuttosto scettico. “Acqua… ferro… ruggine. Ancora non vi è chiaro? Comunque, qualche tempo dopo i Vegasiani tornarono, per riprendersi le maggiorate, e vendicarsi dell’affronto subito… ma, non ci fu nulla da fare, perché le putt… le care fanciulle si erano ormai innamorate dei loro rapitori, e quindi le cose finirono felicemente. Fra l’altro, Romani e vegasiani si fusero, costituendo la lega ferro-carbonio- rame, che risolse tutte le ruggini rimaste tra loro. Questa leggenda è passata alla storia come ‘Il ratto delle Veghine’…” Detto questo, il ragazzo si infilò le pagine in tasca, pronto a sentire gli apprezzamenti meritati per la propria idea. “Allora?” li spronò, a causa del prolungarsi del silenzio. “Ma mica è finita! Quando entra in scena il Grande-Topo?” chiese Hanamichi, rabbuiato. “Che topo?” “Il ratto” spiegò Shinichi, pensando che forse doveva ricontrollare e riempire ancora le trappole che aveva messo nel fienile, quelle che costituivano la principale forma di sostentamento dell’intera popolazione topesca della zona. “Io non ho capito come ‘sta storia potrebbe aiutarci. Non siamo robot” notò Akira, cercando di evitare che Apu gli facesse un intero shampoo con la sua lingua rosa. “Akira, secondo me nostra madre ha avuto una voglia di segatura, durante la gravidanza, e ti è andata tutta nel cervello!” gli replicò Takenori, con la solita grazia. “Vorresti dire che tu hai capito a cosa può servirci l’esperienza di ‘amici miei’?” gli chiese Shinichi, ammirato. “Ehm… sono sicuro che preferisca spiegarcelo Hisashi” si salvò il gorilla, mascherando il proprio annaspare in acque sconosciute. “Famiglia di decerebrati!!! Tutta l’intelligenza dei Mitsui è andata al primogenito...” mormorò Hisashi, scuotendo la testa “Non avete lo stesso problema dei Romani? Non avete bisogno di compagni per perpetuare la stirpe?” “Perpeché??” chiese Hanamichi, rimasto a metà della parola che il fratello aveva scoperto la sera prima, sul libro di Kogure. “Insomma, come Peter Rey e i Robot Romani, la soluzione ai vostri problemi è… il RATTO!” “IO NON VOGLIO DIVIDERE LA MIA VITA CON UN TOPO!!! – si lamentò il pelle-gialla – Fosse Milly, ma un… TOPO!!!” “Ratto significa rapimento, idiota!!! Noi scenderemo a Kanagawa, con il favore delle tenebre, e rapiremo i vostri sei basketmen. Al Passo provocheremo una valanga, e i sei damerini saranno obbligati a rimanere per tutto l’inverno con noi. E a questo punto… - e li guardò sollevando un sopracciglio – starà a voi ‘convincerli’ a rimanere…” “Vuoi dire che andiamo in città, li carichiamo sul furgone, e ce li portiamo qui per spassarcela?!” chiese Akira, già pensando a quanto sarebbe stato bello arruffare ancora di più il suo Kosh… “Hn, andiamo in città, li prendiamo, e, dopo un inverno passato qui su, non dovrebbero più aver voglia di tornare in città… almeno se il tuo Fuffy risponde davvero alle tue vanterie…” “Si chiama Bobby, fratellone, e comunque… sì, è alla lunghezza della sua fama!” replicò il porcospino, con un sorriso di falsa modestia. “Sei disgustoso, Akira” mormorò Minori “Te e il tuo Bobby… solo chiacchiere e distintivo!” “Una stella di latta? Tipo sceriffo? Che mito! E non è doloroso fare il piercing… lì?!” si intromise Shinichi, come sempre il cervello più veloce del West. “Io non sono sicuro che sia una buona idea, questo rapimento...” intervenne Toru, cercando di riportare il discorso all’argomento principale. “Non ti devi preoccupare – gli si rivolse Hisashi, fissandolo con espressione seria – E’ un piano a prova di bomba. Se riterrai che il biondino non fa per te, a primavera tornerà in città. Cosa cambia? Si sarà solo fatto una settimana bianca un po’ più lunga del solito…” “Pensa quando il tuo Fujima andrà a farsi il bagno su, alle pozze termali…” mormorò Hanamichi, sgomitando il quattr’occhi nelle costole, e immaginando ben altra bellezza adagiata in quelle piscine naturali pressoché sconosciute. “Rossino deficiente… se non te ne fossi accorto, ti sta uscendo il sangue dal naso” gli fece notare il gemello. “E a me non piace che ti succeda pensando al mio Kenji” sibilò Toru. “Ho la vaga sensazione che nei suoi pensieri ci fosse qualcun altro” osservò Hisashi, ridacchiando. “Appunto, nei MIEI pensieri, VOI non osate fare sogni hentai sulla mia kitsune!!!” sbottò Hanamichi, pronto a prendere a testate chiunque osasse anche solo mormorare il nome del suo Kaede. “Allora, tutti d’accordo?” ripeté lo sfregiato, ondeggiando l’anello con la chiave del furgone di fronte alle facce determinate dei fratelli. “SI’!!!” risposero tutti insieme. In un baleno furono tutti stipati all’interno dei veicolo, direzione Kanagawa. “Ehi, ma Kogure-san non viene con noi?” chiese Hanamichi, contando per la nona volta le sardine sul sedile posteriore. Hisashi non distolse gli occhi dalla strada: “Forse è meglio parlargli del nostro piano… dopo” mormorò infastidito. “Ohi, ohi, fulmini e saette?” lo prese in giro Takenori. “Una semplice sorpresa” gli ribatté il fratello, ma la voce non era ferma e sicura come lui avrebbe voluto. Arrivarono in città che erano quasi le undici. Parecchia gente era ancora per strada, una delle corruzioni che ancora non avevano toccato la montagna, ma la maggior parte delle persone, essendo un giorno feriale, doveva essere in casa. “Allora, avete gli indirizzi?” chiese Hisashi, perfettamente calato nel ruolo di Romolo. “Signorsì sissignore!!” ribatté la truppa, che con una azione rapida ed efficace aveva raccolto le informazioni dai fogli di iscrizione del torneo di Basket. “Allora sapete cosa dovete fare: tornate vincitori. Appuntamento a mezzanotte” “Uh, come Cenerentola…” mormorò Akira. “Ora di Tokyo?” chiese invece Takenori, con tono marziale. “No, di Giove! Secondo me quel dolce al cioccolato ti ha atrofizzato le ultime sinapsi!” lo aggredì Minori. “Ehm… ma io non ho la pianta della città” si lamentò Hanamichi. “Ho preparato una mappa con segnati i vari percorsi” lo aiutò Toru, sempre il più efficiente. “Come on, baby – si ripeteva Shinichi, pensando al suo Raperonzolo – Il tuo principe azzurro ha il cavallo in seconda fila” e schiocco di dita finale. “Ok, allora andate. Mi raccomando, rapidi e silenziosi” bisbigliò il fratello maggiore, guardando con sospetto la luna piena che si affacciava tra le nuvole. “LETALI!” risposero in coro i gemelli. E il gruppo si disperse… Takenori controllò la cartina che aveva tra le mani: Toru aveva segnato il suo percorso con uno spesso pennarello marrone. Non sembrava difficile raggiungere la casa di Jun, soprattutto perché il ragazzo abitava dietro il ristorante in cui faceva il cuoco. Con un ghigno soddisfatto, il gorilla cominciò a camminare in quella direzione. Oddio, improvvisamente si rese conto di dover organizzare una strategia d’attacco, qualcosa che gli permettesse di portare a termine il rapimento… non poteva certo arrivare e bussare alla porta, chiedendo al tipo se poteva ‘rattarlo’, no? In pochi minuti fu davanti alla casa, ma tutte le idee che gli erano venute per acciuffare la sua silfide non si erano dimostrate all’altezza della situazione. Doveva lasciarsi andare all’improvvisazione… E proprio in quel momento vide Jun Uozumi, in tutto il suo splendore, uscire dalla porta posteriore del ristorante, con un sacco di spazzatura in mano. Era la sua occasione, doveva riuscire ad approfittarne. Ecco, forse avrebbe dovuto convincerlo con le buone, con dolcezza, aprirgli il cuore senza falsi pudori, inginocchiarsi e porgergli fiori come aveva cercato di insegnargli Kogure, già, quello era sicuramente il metodo migliore. Gli si portò alle spalle, e proprio in quel momento qualcosa attirò la sua attenzione: senza riflettere, allungò una mano ad impugnare il feroce alleato, e si lasciò catturare dall’istinto. Bastonata in testa, cappello da cuoco calato sugli occhi, e Big Jun era pronto per il trasferimento. Al terzo tentativo di caricarselo sulle spalle, decise che il modo migliore per effettuare il trasporto era trascinarlo per le braccia, e così i due gorilla e il sacco nero della spazzatura cominciarono a muoversi in direzione del furgone dei Mitsui. Akira, seguendo il percorso segnato in arancione, raggiunse rapidamente la casa di Koshino. Il primo ostacolo fu superare il basso cancello chiuso: scavalcare, citofonare, o tornare un altro giorno? Insomma, certe regole erano fondamentali per lui, mica poteva violare la proprietà privata dei futuri suoceri… Ma la passione lo vinse. Inciampando in quello che sembrava Eolo, o forse Gongolo, ma che, conoscendo Hiroaki, doveva sicuramente essere Brontolo, si avvicinò alla casa, pronto a catturare il suo cucciolino. Fece un salto, quando sentì l’abbaiare vicino dei cani, e poi quando vide le ombre degli alberi allungarsi fino a sfiorargli i piedi, nel breve istante in cui il giardino fu illuminato dalla luna non più nascosta dalle nuvole. Doveva sbrigarsi: il piano, come aveva spiegato meravigliosamente quello stratega di Hisashi, si basava sulla rapidità e la sorpresa. E improvvisamente vide un’ombra accanto a sé… riatterrato dopo il salto di due metri, decise di approfittare dell’inaspettata presenza di Koshino, lì all’aperto: sembrava proprio che avesse previsto il suo arrivo e lo stesse aspettando… Gli zompò addosso, calandogli sulla testa la coperta che aveva portato nel caso si presentasse immediatamente l’occasione di conoscersi meglio, e se lo caricò sulla spalla. Sentiva l’altro divincolarsi e ringhiare, ma ormai era suo. Amici miei sono Peter Rey sarebbe stato orgoglioso di lui. Shinichi, dopo essersi perso venti volte ed aver maledetto il percorso rosa confetto che avrebbe dovuto portarlo al castello del suo Nobu-kun, si ritrovò di fronte ad un palazzone di cinque piani. Inghiottì a vuoto: considerando la favola di Raperonzolo, el campeon doveva risiedere proprio all’ultimo. Come avrebbe fatto ad attrarre la sua attenzione e a farsi lanciare la famosa treccia? Cominciò a scorrere i nomi scritti vicino ai pulsanti del citofono, e strinse gli occhi con una smorfia di soddisfazione quando trovò scritto ‘Meiko Kiyota, regina dei Tarocchi’. Lo sapeva che la famiglia di Nobu-kun doveva avere un titolo nobiliare! Alzò lo sguardo alle finestre dell’ultimo piano, il cuore che gli batteva nel petto… ma più o meno alla velocità standard. Comunque, esattamente in quel momento, la vegliarda del primo piano decise di dare l’acqua ai vasi, e così il nostro eroe si ritrovò con acqua e terra in un occhio. Senza perdersi d’animo, pensò che quell’aspetto sofferto avrebbe convinto ancora di più il giovane principe della forza dei suoi sentimenti. Citofonò, aspettando con impazienza che qualcuno rispondesse: “Chi cazz’è? Se è pubblicità, il cassonetto è dietro l’angolo!” Sì, era la voce del suo amore. “Multa, c’è da firmare” rispose lui, con voce decisa, felice che gli fosse venuta un’idea tanto intelligente. Sentì sbattere il ricevitore del citofono, e dopo due minuti il portone si aprì, rivelando il suo amore in boxer, bigodini e un corno in mano. “Maledetti esattori – borbottò il suo Nobu-kun, prima ancora di vedere di chi si trattasse – Maledizione di Piciù, colpisci l’infedele!!” e sollevò con entrambe le mani l’amuleto nella sua direzione, chiudendo contemporaneamente gli occhi. Estasiato all’idea che Raperonzy avesse anche dei poteri magici, Shinichi decise di passare all’azione: con un colpo in testa gli fece perdere i sensi, e poi cominciò a trascinare il ragazzo svenuto verso il luogo dell’incontro. Minori, seguendo il filo rosso tracciato da Toru, arrivò davanti ad un pub: ecco, non si aspettava che il suo Tsuyoshi vivesse in un locale notturno… ma la vita è piena di sorprese, pensò spingendo la porta per entrare. Il locale, pieno di fumo, era abbastanza buio da non consentire bene di mettere a fuoco i visi. Il codino si avvicinò al bancone, deciso a chiedere al barista dove potesse trovare il suo Calimero, ma non ce ne fu bisogno: “Che diavolo ci fai, qui?!” si sentì sibilare sul viso, da una voce familiare e tutt’altro che amichevole. Lui abbassò gli occhi sul ragazzo che gli si era parato di fronte, guardandolo a lungo e beandosi della rabbia che vedeva montare su quel viso, poi decise di forzare le cose ancora un po’. Abbassando lo sguardo sulla bocca arricciata dell’altro, gli mormorò, suadente: “Hai le labbra screpolate, baby, ti dispiace se le massaggio un po’ con le mie?” sfoderando nel contempo un bel ghigno indisponente. Il braccio partì istantaneamente, ma lui era preparato, anzi… lo stava aspettando; glielo torse dietro la schiena, obbligandolo ad una smorfia di dolore: “Vogliamo terminare la conversazione di fuori, Ace Killer, oppure preferisci essere licenziato?” e sollevò il viso ad indicare il barista che li guardava sospettoso. Uscirono, con lui che rimaneva alle spalle di Minami, serrandoglisi contro la schiena: “Io ti ammazzo, MALEDETTO CODINO!!!” urlò il calimero, liberandosi con uno scatto e scagliandoglisi contro. “Uh, uh… ma come siamo irruenti!” e Minori gli imprigionò momentaneamente le braccia lungo il corpo. Ma quello sgusciava come un’anguilla, e infatti si allontanò, per poi colpirlo con un pugno in pieno petto: “Crepa, bastardo!” Annaspando per l’improvvisa mancanza d’aria, il gemello decise che era stato anche troppo paziente con il suo coniglietto: “Ora basta, bocca di baci, mi stai facendo arrabbiare!” Un pugno nello stomaco, un asciugamano stretto sulla bocca per non farlo urlare, il braccio di nuovo ruotato dietro la schiena, finalmente il pulcino era pronto per essere condotto a spintoni verso il furgone di famiglia. Aveva tracciato il percorso verso la casa di Kenji con il pennarello verde, il colore che più gli ricordava quel ragazzo che non era riuscito a togliersi dalla testa da quando lo aveva visto la prima volta. Già, un verde calmo, chiaro, che gli comunicava la stessa pace di quando parlava con Fujima. Toru scosse leggermente la testa: si era divertito al racconto di Hisashi, ed aveva trovato l’immagine suggerita da Hanamichi, con Kenji in una delle vasche termali su in montagna, stranamente convincente, ma sentiva che un’azione del genere non era da lui. Ecco, sarebbe andato a casa del ragazzo e gli avrebbe parlato seriamente, rivelandogli i propri sentimenti. A quel punto la scelta sarebbe stata nelle mani dell’altro. Tranquillizzato da questa ferma risoluzione, il quartogenito della famiglia Mitsui allungò il passo: non aveva tantissimo tempo, e temeva che la discussione avrebbe richiesto più tempo del previsto; convincere Kenji sarebbe stato certamente più lungo che caricarselo in spalla. Chissà perché, però, l’idea di portarsi il ragazzo in montagna aveva comunque una presa particolare su di lui. Raggiunse la villetta con giardino in un tempo relativamente breve: la casa era carina, sembrava il tipico nido di una famiglia felice, ordinata. In giardino, c’erano due altalene appese ai rami di un albero enorme, e poi, in un angolo, c’era un piccolo gazebo di legno, con un tavolo e le panche. E proprio laggiù si concentrò la sua attenzione: si accorse infatti che c’era una piccola luce accesa, e che c’era qualcuno. Si avvicinò cercando di non far troppo rumore, e li vide. Uno era Kenji, sempre meraviglioso, che stringeva pensosamente un bicchiere tra le mani, e l’altro… l’altro era il bastardo con i capelli a punta!! No, non Akira, ma quello con cui si era picchiato alla festa di fine primavera. “…Kenji, io non mi accontento di essere il tuo migliore amico. Sono anni che per me non è così, non capisci che non posso più andare avanti?” Di che diavolo stava parlando quello stronzo?! Stava cercando di rubargli il suo ragazzo sotto gli occhi?! Ma quello era un finto porcospino morto!! Con mossa fulminea fece irruzione nel gazebo, spedendo l’importuno al tappeto con un colpo ben piazzato su quel grugno da idiota, poi si voltò verso un Kenji attonito… “Che ci fai qui, Toru?!” si sentì chiedere da quella voce soave. Ecco, quello sarebbe stato il momento adatto per la sua dichiarazione, ma improvvisamente la sua lingua si inceppò. “VUOI DIRMI CHE CI FAI QUI?!” gli ripeté l’altro, alzando la voce. Ecco, si era subito arrabbiato, adesso non avrebbe mai accettato le sue profferte amorose… “Mi dispiace, Kenji-kun” mormorò, sentendosi un verme. Vide gli occhi del ragazzo dilatarsi, ma non fu che un attimo, lo aveva già incerottato e caricato sulla spalla. Non gli era piaciuto quello che aveva dovuto fare, ma non aveva avuto scelta: il rischio che quel porco steso nell’erba si riprendesse presto era troppo grave. Avrebbero parlato a casa, come aveva detto Hisashi, e il fratello sapeva come funzionavano queste cose… altrimenti come sarebbe riuscito a conquistare Kogure-san?! Il rossino, ribaltò per la cinquantesima volta la cartina: quel percorso segnato in celeste sembrava un vero labirinto! Non riusciva a trovarvi un senso. Deciso a non lasciarsi scoraggiare da così poco, infilò la mappa in tasca e chiuse gli occhi, le dita a strofinarsi le tempie: lo avrebbe trovato, ne era sicuro! Camminando sempre con gli occhi semichiusi, con le mani protese in avanti tipo sonnambulo, il ragazzo attraversò strade e parchi, finché non si fermò davanti al cancello aperto di una grande villa. Ecco, doveva essere arrivato! Provò a leggere il nome sul citofono, ma doveva essersi perso qualche lezione, alla scuola del villaggio, perché quei caratteri non gli sembravano assolutamente ideogrammi conosciuti. In ogni caso, il suo istinto era sempre stato infallibile, quindi si inoltrò lungo il vialetto che portava alla casa. La villa era piuttosto grande, ma Hanamichi si accorse subito che solo le luci del pian terreno erano accese. Si avvicinò quatto quatto alle finestre, e cominciò a sbirciare dentro: una donna, una donna molto bella, con lunghi capelli neri, lisci, seduta su una poltrona a leggere un libro. Vicino a lei, semisdraiato sul divano, un ragazzo meraviglioso, intento a scrivere qualcosa su un quaderno. Il rossino sarebbe potuto rimanere in quella posizione per ore; era fantastico vedere la sua Kitsune così tranquilla, rilassata. La donna doveva aver detto qualcosa, e poi aveva fatto il gesto di alzarsi, ma il ragazzo le aveva poggiato una mano sulla spalla, obbligandola a rimanere seduta, per poi allontanarsi brevemente e tornare con il vassoio e delle tazze. Hanamichi si accorse di aver inghiottito almeno dodici mosche, tanto la bocca gli era rimasta spalancata: quello era il suo volpino, ed era diverso da come lo aveva visto sul campo, era lui e non era lui, allo stesso tempo. Una sola cosa rimaneva immutata, e lo sarebbe stata per sempre: DOVEVA ESSERE SUO! Come fare per attirarne l’attenzione? “Hai visto il gatto, Kae-chan?” sentì chiedere alla donna, che si stava servendo una tazza di tè. Era giovane, bella, e somigliava tantissimo alla kitsune. Doveva essere la sorella maggiore… sì. “No, mamma, temo sia rimasto fuori” rispose la voce morbida del suo Ru. Qualcosa nella sua testa gli diceva che era il momento di agire… “Miao!!” sussurrò con voce arrochita “MIAO, MIAO, MIAO!!!” continuò, alzando il volume. Come facevano a non sentirlo? E poi si stava facendo tardi, Hisashi si sarebbe arrabbiato… “MIAAAAAOOOOO!!! MIAAAAOOOO!!” si lamentò, con voce straziante. “Miaaaooo…” si sentì improvvisamente ripetere da dietro. Si voltò inorridito… quello non gli era sembrato esattamente il miagolio di un gatto! E chi si trovò davanti? Proprio lui, quel bastardo di… Eiji Sawakita! Lo stronzo era pronto a saltargli addosso, quando un altro miagolio li fece voltare entrambi… e poi un bastone crollò sulla testa del rivale. “Datti una mossa, rossino, non possiamo aspettarti per tutta la notte!” gli sibilò il fratello maggiore, pulendosi le mani sui pantaloni. “MIAO, MIAO, MIAO, MIAO!!!” urlò lui frenetico. “Eccolo, deve essere tornato!” mormorò la donna da dentro la villa, sorridendo al figlio. “Esco a vedere: miagola in modo strano, speriamo che Seth non sia ferito” si decise finalmente il ragazzo. Appena Kaede varcò la porta, Hanamichi sentì la madre chiamarlo indietro, visto che un elegante gatto grigio aveva fatto il proprio regale ingresso nella stanza, ma era già tardi: testata e coperta, e anche la Kitsune era pronta per l’imballaggio. “Corri, demente, altrimenti ci pescheranno… a cercare di rapire i veghini” lo spronò Hisashi. E così i due ragazzi, più, inconsapevolmente, Kaede Rukawa, corsero a perdifiato per le strade di Kanagawa, fino a raggiungere i fratelli e il furgone. “Ci siamo tutti? Caricate la merce nel portabagagli, che il viaggio è lungo!” ordinava Hisashi, che aveva assunto più che volentieri il ruolo di condottiero di questa pericolosa missione. “Jun Uozumi, arruolato!” rispose, professionale, Takenori, sfilando a fatica il cappello da cuoco dalla faccia del gigante che ancora teneva per le braccia. “Pensi che il sacco della spazzatura sia indispensabile, oppure possiamo lasciarlo qui?” lo sfotté immediatamente Minori, accennando con la testa alla grossa busta di plastica che il gorilla si era amorevolmente trascinato dietro, insieme al suo prigioniero. “Deficiente di un codino…” replicò l’altro tra i denti, liberandosi subito dell’ingombro. “Nobunaga Raperonzy Kiyota, presente!” e Shinichi afferrò i capelli sulla nuca del ragazzo che ancora giaceva privo di sensi sulla sua spalla, sollevandogli la testa. “Bei bigodini!” mormorò Akira, per il quale qualsiasi cosa che avesse a che fare con i capelli aveva un interesse particolare. “Tsuyoshi Minori, abile e arruolato!” e Minori lanciò il ragazzo, ancora scalpitante e dolorante, sui sedili posteriori. “Molto delicato verso la tua dolce metà! Dieci a uno che questo è il primo a ritornare a Kanagawa!” si vendicò il gorilla, ridacchiando in modo inquietante. “Vedremo, ma chissà come mestolo d’oro prenderà l’essere stato trascinato sul fondoschiena per tutte le strade della città!” “Ehi, basta! Vogliamo fare l’alba?!” li interruppe Hisashi “Chi manca, ancora?” “La MIA kitsune è qui” e Hanamichi si strinse ancora di più contro il petto il ragazzo che teneva in braccio. “La bella addormentata… se lo stringi un altro po’ lo spezzi!” notò il codino, che evidentemente non riusciva a chiudere quel forno di bocca per più di un minuto. “Fatti gli affaracci tuoi, deficiente! Sarà uno spasso vederti fare la ruota davanti al calimero…” “Un pavone e un calimero, amore tra pennuti!” sintetizzò felice Shinichi, sempre ferrato sul mondo animale. “Fujima è con me” mormorò Toru, che accarezzava lentamente la schiena del ragazzo per tranquillizzarlo. Non vedeva l’ora di togliergli il cerotto, e di slegargli i polsi. Sapeva bene di averlo umiliato, e la cosa non lo avrebbe certamente aiutato per l’avvicinamento futuro. “E anche Koshino-il-cucciolino!” esclamò Akira, togliendo la coperta per scoprire la sua preda, che aveva continuato a ringhiare sommessamente per tutto il tragitto. Tra i fratelli scesero parecchi secondi di gelido silenzio, mentre sulle loro facce si dipingevano le espressioni più disparate. “Io… non posso crederci! Ma allora sei assolutamente idiota, forse più del pelle-gialla…” mormorò alla fine Hisashi, completamente attonito. “Ehm… perché?” e il porcospino si voltò finalmente verso il piccolo Kosh… E fece immediatamente un salto indietro… “COSA… COSA E’ SUCCESSO A KOSH?!” urlò sconvolto, puntando l’indice contro il grosso rottweiler che sbucava dalla coperta. “Deficiente! Ma come hai fatto a rapire un cane invece del tuo ragazzo?!” lo attaccò Takenori, incredulo. “Beh… si dimenava, ringhiavano allo stesso modo… come potevo sospettare che non fosse lui!” provò a giustificarsi Akira, grattandosi contemporaneamente le tenere ciocchette. “E adesso? Vivrai felice e contento col cane?” chiese Shinichi, al quale quella soluzione sembrava la più logica. “CHE CAZZO DICI?! Io voglio il mio Hiro-kun, l’originale!!” si lamentò il porcospino. “Ok. Takenori, Minori, andate con lui: quel povero cane deve poter tornare a casa, e prendete l’altro sacco di pulci, quello d.o.c.” intervenne Hisashi, cercando di porre rimedio alla demenza di quello che non era suo fratello, ma un qualche scarto alieno. Finalmente i discendenti dell’antica popolazione Romana caricarono il furgone con tutte le loro prede, quelle giuste, e partirono in direzione della montagna. Per quella notte era prevista una bufera di neve, e il passo, già a rischio valanghe, sarebbe stato di sicuro bloccato. Per evitare che qualcosa andasse storto, però, nel passaggio attraverso la gola, i ragazzi cominciarono a strillare tutti insieme e a suonare forsennatamente il clacson asmatico del veicolo. Fecero appena in tempo ad arrivare dalla parte opposta, che videro la neve e il ghiaccio cominciare a cadere dal costone. Ormai erano in salvo, avevano i loro basketmen per tutto l’inverno, ed erano al riparo da visite indiscrete: scoppiarono a ridere tutti insieme, battendosi il cinque. Cominciava la parte B del piano di conquista, e i sei non avrebbero avuto scampo! Quando arrivarono di fronte al portico di casa, i ragazzi erano ancora super carichi, con l’adrenalina a tremila per quello che avevano appena fatto. Ridevano come ebeti per la minima sciocchezza, e nel frattempo cercavano di controllare le situazioni dei prigionieri. “Ehi, però è vero che il tuo Kosh ringhia esattamente come quel cane...” notò Shinichi, grattandosi il mento. “Tu pensa a quella specie di scimpanzé che ti sei accattato… come parla escono stronzate!” gli rispose pronto Minori. “Buoni, buoni, se cominciamo così non la finiamo più, e, a parte il mio Jun che è perfetto, possiamo trovare da ridire su ognuno dei vostri ragazzi. Stiamo calmi, eh?” “Perfetto il Gorilla 2 la vendetta?! Ma… ma lo hai visto, oppure vi siete riconosciuti all’olfatto?!” intervenne Hanamichi, aggiungendo il suo piccolo carico. “BASTA!” tuonò Hisashi, che ricominciava ad avere una particolarissima sensazione che qualcosa non sarebbe andato a meraviglia, quella sera. Vabbè, ma tanto lui non credeva nelle premonizioni! Uscirono tutti dal furgone, pubblicità vivente di come si potesse entrare, senza trucco e senza inganno, in settecento in una scatola di sardine. Il primogenito dei Mitsui sembrava continuare a distrarsi proprio per evitare di focalizzare le sue sensazioni negative, che aveva capito concentrarsi sul viso di Kogure. Entrarono in casa, spingendo dentro le sei prede, finalmente tutte abili e arruolate, visto che anche i moribondi avevano ripreso i sensi, e… si ritrovarono davanti un Kogure insonnolito, raggomitolato sul divano e avvolto da uno dei suoi pigiami più rassicuranti, quello con la foca celeste. “Siete tornati…” mormorò il ragazzo, sollevando la testa. Il rumore, le urla rabbiose dei basketmen, i tentativi dei fratelli di zittirli e la luce accecante gli fecero cercare immediatamente i fidi fondi di bottiglia: “Cosa sta succedendo?” chiese, ancora un po’ frastornato. “Ni… niente, torna a dormire” provò a rispondergli Hanamichi. Ma il quattr’occhi non sembrava intenzionato a seguire il suo consiglio fraterno, anche perché presto, occhiali sul naso, si accorse che nel soggiorno si era radunata una folla maggiore del solito: “Ma… ma… cosa ci fanno loro qui?!” esclamò, indicando le sei figure incerottate. “Hnnn!!! Mhmhhhh!!!!” si sentiva mugugnare dai visi seminascosti dal nastro adesivo. Kogure balzò in piedi, precipitandosi a liberare i ragazzi, poi si voltò verso i fratelli Mitsui; “CHE DIAVOLO E’ SUCCESSO?! COSA AVETE COMBINATO!” “Ma niente! Perché ti agiti… ti fa male!” provò a tranquillizzarlo Hisashi. “Dimmi immediatamente cosa è successo” gli sibilò il quattr’occhi, con voce pericolosamente bassa. La risposta di Hisashi fu però procrastinata a causa di un urlo improvviso: “Te, bastardo!! Mi hai dato un pugno nello stomaco… MA IO TI AMMAZZO, MALEDETTO CODINO!!!” Minami, appena liberato, si era scagliato contro Minori, mordendogli una spalla. “Non davanti a tutti, cucciolo…” cercava di calmarlo l’altro, nel vano tentativo di mantenersi a distanza di sicurezza. “Come hai potuto, Takenori! E io che ti avevo preparato il mio dolce migliore…” e Uozumi continuava a massaggiarsi la testa, guardando l’altro con occhi infuocati. “E non ti ha ancora detto come ti ha trascinato per tutta Kanagawa!” gli suggerì Hanamichi, ben contento che la sua volpetta avesse un’aria mezzo addormentata e poca voglia di urlare. Lo guardò, stringendo ancora di più l’abbraccio con cui lo aveva avvolto. “Eri tu che miagolavi sotto la mia finestra…” si sentì mormorare, con voce bassa, assonnata. Il rossino annuì vigorosamente, ben contento che il suo ingegno ricevesse il giusto riconoscimento… poi però, senza capire come, si ritrovò spiaccicato sul pavimento, con il naso dolorante: “Ma perché… Kaedeeeeee!!” si lamentò, portandosi le mani al viso. “Riportatemi immediatamente a casa, stupidi deficienti”. “Il fascino fatale del rossino colpisce ancora…” notò Takenori, pronto alla vendetta. “Ehi, Kosh, stai bene?” chiese Akira alla sua dolce metà, che ringhiava e latrava. “Forse dovremmo usare la museruola di Blackie” suggerì Shinichi, che aveva conservato amorevolmente il prezioso cimelio. “Non ce ne è bisogno – gli rispose il porcospino, che poi si rivolse di nuovo al suo ragazzo – Ti lamenti perché hai fame? Vuoi una ciotola di crocchette?” e provò ad accarezzarlo sulla testa. “AHIO!! Amore, estrai i canini dalla mia mano!!!” strillò poi, visto che il suo gesto di affetto aveva provocato una reazione inconsulta nel compagno. “Speriamo che almeno abbia fatto l’antirabbica!” intervenne Toru, leggermente sconvolto. “Nobu-kun, tutto in ordine, vero?” chiese il pelle-gialla, con il suo tono manageriale, al suo dolce donzello. “COME HAI OSATO RAPIRE IL FIGLIO DELLA REGINA MEIKO??!! Spirito di Piciù: puniscilo e… FAGLIELO CADERE!!!” Istantaneamente il terzogenito della famiglia Mitsui si portò le mani a schermare il basso ventre, giustamente terrorizzato dai poteri del signore delle tenebre. “Amore… non essere così drastico…” cercò di riportarlo alla ragione, utilizzando la sua migliore voce da Uomo che sussurrava alle Mucche. “Guarda che pure tu avresti da perdere – intervenne Minori, portandosi di fronte al capellone – Poco, ma qualcosa perderesti, se rimanesse… senza!” “Piciù! Puniscili tutti!” proseguì l’altro, imperterrito. “SPECCHIO RIFLESSO!” ribatté Hanamichi, intrecciando le mani e protendendole verso lo scimpanzé. E subito Kiyota, sconvolto, si piegò in due, cercando di proteggersi dalla contro magia, per poi arrendersi e mormorare, con la voce rotta dalla sofferenza: “VOGLIO TORNARE A CASA!!!! Piciù… portami via!!” Toru aveva cercato di evitare il più possibile di guardare Kenji negli occhi, sapeva che quello che vi avrebbe letto non sarebbe stato piacevole. La sua situazione era diversa da quella dei fratelli, in qualche modo lui aveva da perdere più di loro, visto che uno straccio di rapporto con Kenji era riuscito a costruirlo. “Kogure-san – si levò la voce del playmaker dello Shohoku – Siamo stati portati qui contro la nostra volontà, come se fossimo bestie. Adesso dovete riportarci in città. Non intendo parlare ora di dignità calpestata, di diritti, di inciviltà, ma solo ricordarvi che le nostre famiglie saranno terrorizzate per la nostra scomparsa: neanche della gente come questa – e passò rapidamente lo sguardo sui fratelli Mitsui, evitando però accuratamente gli occhi di Toru – può pensare di trattenerci qui contro la nostra volontà”. Kiminobu annuì, arrossendo: “Mi dispiace tantissimo per quello che è successo, vi assicuro che non ne ero a conoscenza… perdonatemi, davvero – poi si voltò verso Hisashi – Spiegami immediatamente che diavolo vi è saltato in testa” gli sibilò, minaccioso. Lo sfregiato si appoggiò alla credenza: perché questo processo? Lui aveva solo agito da fratello maggiore, esattamente come gli aveva detto il quattr’occhi! “Ho cercato di aiutare i miei fratelli – rispose seccamente – E comunque ho preso spunto da un tuo libro, quindi non credo di aver fatto qualcosa di assurdo: se potevano farlo i Romani, perché non noi? E comunque…” Ma Kiminobu lo interruppe: “I Romani?! Ma di cosa stai parlando?” “Del Ratto delle Veghine… Hisashi ci ha raccontato tutta la storia” intervenne Akira, querulo. Perdendo, evidentemente, un’altra occasione per stare zitto. “Intendi la storia dell’antica Roma… il Ratto delle Sabine? Che diavolo c’entra con Kanagawa?” insistette il quattr’occhi. Hisashi, con signorilità, decise di non correggergli la pronuncia: erano le Veghine, ma evidentemente Kogure era un po’ di tempo che non leggeva delle gesta di Peter Rey: “Loro avevano bisogno di donne, noi dei sei ragazzi, la differenza era solo questa. Li abbiamo rapiti e portati qui. Adesso non rimane altro che aspettare che i loro genitori ci diano il consenso alle nozze” logico, no? “Nozze?! Consenso? Ma che vai blaterando?! E poi le loro famiglie verranno con la lupara!! Voi siete dei… ODDIO HISASHI! Come hai potuto…” “E comunque il passo è bloccato” intervenne Akira, con il solito tempismo, scuotendo debolmente la mano a cui era ancora aggrappata la bocca ringhiante di Koshino. “Che significa?” e Kenji stavolta si voltò verso Toru, con uno sguardo teso e gelido. “Percorrere il passo è l’unico modo che abbiamo per raggiungere Kanagawa. D’inverno spesso si creano delle valanghe che lo bloccano per qualche settimana… diciamo che noi…” “ABBIAMO ACCELERATO UN PO’ LA COSA!!!” concluse Hanamichi per lui, cercando per l’ennesima volta di abbracciare la sua timida Kitsune recalcitrante. “Questo significa che…” lo sguardo di Kogure era inorridito. “Sì, che loro… – e Hisashi puntò il dito sui giocatori dello Shohoku - …dovranno rimanere tutto l’inverno con noi!” “NOOOOOOO!!!” urlarono i sei tutti insieme, e di nuovo cominciarono risse e discussioni a due a due. Quella più importante riguardò, però, l’unica coppia già formata: “Pensi che io vi permetta di approfittarvi di questa situazione? Pensi che io possa accettare che si consumi una simile violenza, sotto questo tetto?” stava sibilando Kogure. “Non capisco perché ti agiti tanto, amore: sono sicuro che i ragazzi se la caveranno, e che sapranno farli innamorare – Hisashi nascose malamente un ghigno ironico – esattamente come ho fatto io con te!” Ecco, forse era proprio quello il problema: Hisashi credeva di essere stato il cavaliere perfetto, di averlo conquistato con il suo comportamento da gentiluomo, ma non era stato così: Kiminobu si era fidato del suo viso, non delle sue parole, non aveva badato ai modi arroganti, poco delicati, perché aveva ‘voluto’ guardare sotto la superficie. Ma la loro era stata una situazione particolare, lui si era preso dei rischi, consapevolmente, e di conseguenza aveva permesso al compagno dei comportamenti che altri non avrebbero mai accettato; ed ora quello diventava un modello di conquista? No, non poteva permetterlo! “Nessuno di voi potrà rimanere in questa casa fino a primavera. Questi ragazzi non hanno le famiglie a proteggerli… allora lo farò io – e Kogure si calò istantaneamente nel nuovo ruolo di chioccia con pulcini – E da questo momento, la casa è per voi off limits, hai capito?” “Ma amore, non sai cosa stai dicendo! Calmati un momento…” “IO dovrei calmarmi? Siete voi che avete gli ormoni che vi hanno allagato il cervello! E adesso fuori!! IMMEDIATAMENTE!!!” I sette fratelli Mitsui lo guardarono costernati: che diavolo significava quella frase?! “Ma… ma dove andremo a dormire” si lamentò Hanamichi, che già si aspettava di dividere il letto, e il calore umano, con la sua dolce Kitsune. “Non mi interessa! Dormirete nella stalla, con gli animali!! Tanto è questo che siete!!” e brandendo la scopa, riuscì a far piazza pulita dei sette disgraziati, e a raccogliere intorno a sé i sei sempre più probabili ex-cognati. “Ed ora?” disse quasi più a se stesso che ai ragazzi rimastigli accanto. E infatti nessuno gli rispose.
Sette Basketmen per Sette Fratelli – Fine quarta parte
(*) Una citazione speciale e colta per El bimbo de oro, il numero dieci della formazione giallorossa, per il capitano, il nostro capitano: FRANCESCOOOOO… T-O-T-T-I!! (**) Non me ne voglia Isaac Asimov, è stato il primo nome che mi è venuto in mente.
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