Fic interamente
dedicata e concepita per Ria, per festeggiare il suo compleanno, ma
soprattutto per ringraziarla dell’allegria e dell’ottimismo che ci
trasmette. Ho impiegato più del previsto a scriverla e so di essere
colpevolmente in ritardo, però le buone intenzioni c’erano… è mancato il
tempo!
Tanti auguri, webmom!!
Un baciotto e un
ringraziamento a Nausicaa e Calipso, come sempre indispensabili per il
sostegno e l’aiuto che mi danno.
Un saluto particolare
anche a Angie, Kira e Fra-chan, e a chiunque riterrà di aver passato dei
minuti piacevoli leggendo questa storia.
I personaggi di SD non
sono miei, così come non è mio il soggetto del film ‘Sette spose per sette
fratelli’, che, pur completamente stravolto, mi è stato di ispirazione.
Ultima cosa: a me
piacciono tutti i personaggi di Slam Dunk, senza anche uno solo di loro
questo manga bellissimo non sarebbe lo stesso. Se mi sono lasciata
trasportare dall’ironia, nel descriverne alcuni, l’ho fatto con affetto.
Buona Lettura.
7 Basketmen
for 7 Brothers
parte II - Un giorno di ordinaria follia
di Greta
Prima notte e già
sbattuto fuori della camera da letto!! Indubbiamente quel giorno lui e
Kiminobu avevano bruciato le tappe in molte cose. Troppe.
Scese lentamente le
scale, cercando di farsi venire in mente qualche idea per risolvere la
situazione. Quando però arrivò nel soggiorno, si accorse improvvisamente
delle sei paia d’occhi fisse su di lui, e immediatamente si rese anche conto
dei sorrisetti maliziosi.
Diamine! Adesso quei
deficienti lo avrebbero deriso a vita…
“Che succede, Hisa-kun –
cominciò Hanamichi, sogghignando – già si è accorto che sei una fregatura?”
“Oppure non vi eravate
capiti bene, prima? – rincarò Minori – Magari potete fare un po’ per uno…”
“Forse Kogure-chan ha
mal di testa…” provò Takenori, scoppiando poi in una risata da far tremare i
vetri.
“O forse si è accorto che
quaggiù c’è qualcuno molto più affascinante…” suggerì Akira, passandosi le
dita tra i capelli, e rimanendo con il braccio per aria, impossibilitato a
liberare la mano dalla sostanza vischiosa che gli schermava il cranio.
“Tre secchi faceva…”
contribuì Shinichi.
“STATE ZITTI!
Deficienti…. – prese tempo Mitsui, cercando di far lavorare forsennatamente
il cervello per trovare una via d’uscita – Kogure è perfettamente felice con
me!”
“E’ per questo che ti ha
cacciato dalla stanza da letto?! Bel modo di dimostrare il suo amore…” lo
punzecchiò subito Hanamichi.
“Tu stai zitto, che in
cinquanta ti hanno scaricato, e la camera da letto non l’avevi ancora vista
neanche in fotografia!”
“CHE STAI DICENDO,
SFREGIATO DEFICIENTE! Io non facevo sul serio con loro, altrimenti il tensai
le avrebbe conquistate!”
“Già… già…” mormorò Akira,
le dita ancora imprigionate nella capigliatura lucida.
“Comunque rimane che lui
sia su, in camera da letto, e tu quaggiù… è questo il vostro concetto di
intimità?” intervenne Takenori, sfoggiando un ghigno inquietante sul suo
viso gorillesco.
“Adesso basta, lasciateli
stare”.
La voce Toru era
intervenuta decisa, del resto lui era l’unico che avesse un po’ di sale in
zucca, là dentro.
Purtroppo, però, il
silenzio sceso tra loro lo lasciava adesso nella necessità di dire qualcosa
per spiegare cosa fosse accaduto, e Hisashi non sapeva assolutamente cosa.
“Ok, sono sceso qui sotto
perché mi ha chiesto un bicchiere d’acqua!”
Bravo Hisashi,
complimenti, una spiegazione di quelle che risolvono ogni problema!
Shinichi si sporse a
raccogliere il bicchiere rotolato vicino al divano durante la cena, e lo
immerse nel boccione del pesce rosso:
“Tiè, adesso torna su”
gli disse soddisfatto, sicuro di essergli stato di grande aiuto.
“Shinichi, Akira deve
aver sofferto durante il parto, ma tu già dal concepimento!”
“Concepimento?! – il
fratello lo guardò sorpreso – Però… veloce la tua ragazza! Meglio di
Bucaneve… quando sgrava?”
Eppure ormai doveva
esserci abituato… perché si stupiva sempre quando Shinichi parlava?
Andò in cucina e prese
dell’acqua pulita, poi tornò verso le scale.
“Invece di guardare,
ANDATEVENE TUTTI A LETTO!” li sgridò, sperando che si togliessero dai piedi,
permettendogli di uscire con dignità da quella situazione imbarazzante. Ma
quelli si limitarono a restituirgli un sorriso divertito e a accomodarsi
meglio sulle sedie e sul divano sfondato.
Scosse la testa, non gli
restava che sperare nella clemenza di Kogure, e questo pensiero non lo
rassicurava.
Salì le scale lentamente,
sentendosi fisicamente tutti quegli occhi addosso. Arrivato agli ultimi
gradini, si rese conto che ormai si stava trascinando come una lumaca
stanca, nel vano tentativo di rimandare l’inevitabile. Si riscosse:
certamente non aveva paura della reazione di un altro ragazzo, e poi lui era
un uomo, e forte anche, sarebbe riuscito a risolvere tutto.
Bussò con decisione
contro quella che fino al giorno prima era stata la sua stanza. Sentì
distintamente la voce all’interno chiedere chi fosse. Infame! Come se
Kiminobu non sapesse che era lui!
“Sono io… Hisashi.
Aprimi!” rispose deciso, occhieggiando contemporaneamente i fratelli protesi
ai piedi della scala.
“Che vuoi?!”
Ok, non esattamente il
massimo come invito.
“Ti… ho portato l’acqua
che mi avevi chiesto!” provò, sperando che l’altro gli reggesse il gioco.
Sentì dei passi
avvicinarsi alla porta, poi la voce di Kiminobu sussurrare:
“Sparisci,
immediatamente!”
“Come? Del succo
d’arancia?! Ok, scendo a prendertelo…” ribatté a voce alta, sperando che gli
altri si stufassero finalmente del gioco e se ne andassero a dormire.
Riscese quella maledetta
scala per l’ennesima volta…
“Come siamo servizievoli,
fratellone!”
“…perché a noi non porti
delle birre?”
“…cameriere! Un hamburger
al tavolo sette!”
“Proprio spiritosi!
Adesso toglietevi dai piedi… siete così ansiosi di fare i pavoni con un
ragazzo di città? Di solito a quest’ora ronfate come maiali stanchi!” li
redarguì, ben consapevole che la migliore difesa è l’attacco.
“Guardare te è meglio del
cinema!”
“Già, e questo film
potremmo chiamarlo ‘Una notte in bianco ’…”
“Oppure ‘Luna di miele
stregata’?”
Adesso stava cominciando
ad arrabbiarsi…
“Sarà ‘La strage dei
deficienti’ se non vi sbrigate a togliervi dai piedi!” tuonò. Ma la sua
autorità doveva essere andata a farsi friggere da tempo, visto che gli altri
sei ridevano come se avesse fatto una battuta piuttosto che una minaccia che
aveva tutte le intenzioni di mettere in atto.
Hisashi raggiunse la
cucina ad ampie falcate, aprì con decisione il frigorifero, e tirò fuori un
tetrapak di succo di ciliegia, versandone distrattamente il contenuto in due
bicchieri. Quando ripassò di fronte ai fratelli, li fulminò con un’occhiata
gelida, una sfida ad osare anche solo mormorare qualcosa.
Eppure i loro tentativi
di rimanere seri e soffocare le risa erano ancora più indisponenti delle
prese in giro dirette.
Risalì la scala con passo
deciso, facendo tremare la casa ogni volta che il piede si poggiava
sull’impiantito di legno. Giunto di fronte alla porta della stanza da letto,
bussò deciso, ingoiando a fatica per il timore della reazione di Kogure.
“Ho detto che mi devi
lasciare solo!” si sentì rispondere.
“Ehm… Kimi-kun apri! – si
voltò verso le scale, poi aggiunse a voce molto più bassa – ti prego, non
lasciarmi qui fuori come un idiota!”
“Che accidenti stai
bisbigliando?! Lasciami stare e vai a dormire, ho sonno!”
Accidenti! Doveva
assolutamente convincerlo ad aprire quella dannata porta! Ma mai avrebbe
permesso, a quello che doveva essere il suo affettuoso fidanzato, di
calpestare la sua dignità: Hisashi Mitsui non si abbassava a implorare
nessuno!
“Kimi-kun, sono io! –
ribadì quasi urlando per l’esasperazione. Dopo un istante ricominciò, di
nuovo in un sussurro – Se hai un minimo di pietà, fammi entrare… ti prego!”
Dignità, eh?! Ma mica
poteva tornare di fronte ai fratelli con la coda tra le gambe…
Per qualche istante non
ricevette alcuna risposta, e ormai stava perdendo ogni speranza quando sentì
la chiave girare nella serratura.
La porta si aprì fino a
mostrare un Kogure molto serio e accigliato, già pronto per la notte.
“Spero che almeno tu
l’abbia portato, il succo di frutta” lo udì mormorare con voce carica di
rimprovero.
Sapeva di avere un
sorriso idiota dipinto sul volto, eppure non riuscì a cancellarlo mentre
allungava la mano in cui stringeva il bicchiere colmo. Fu in quel momento
che qualcosa di insolito attrasse la sua attenzione: si sporse leggermente
in avanti per sincerarsi di aver visto bene…
Il suo Kimi-kun indossava
un pigiama con disegnato un enorme pesce palla giallo!
“Cos’è quello?!” riuscì a
trovare la voce per chiedere attonito.
L’altro sembrava non
capire, ma poi, seguendo il suo dito proteso, si guardò la maglietta su cui
spiccava l’orrida sogliola:
“Hai un bel coraggio a
stupirti: meglio i vostri pantaloni sdruciti e gli scarponi infangati, eh?!”
Ach! Aveva sbagliato di
nuovo…
Nel terrore di essere
rispedito nel corridoio, cercò di cancellare lo sgomento dai propri occhi,
per poi sussurrare mieloso:
“Volevo solo dire che è
un disegno… bellissimo!”
“Vero? – gli rispose il
compagno, improvvisamente sorridente – ne ho anche altri, tutti diversi!!
Sono davvero contento che ti piaccia… magari troveremo qualcosa di adatto
anche per te!”
“Sì… davvero una bella
idea”.
Cosa non doveva fare per
evitare la figuraccia con la marmaglia sghignazzante al piano di sotto.
Ma gliel’avrebbero
pagata, e cara anche!
Si sedette sulla sedia
mezzo sfondata mentre Kogure si appoggiava al piano del tavolo. Rimasero in
silenzio, finché non fu proprio il quattr’occhi a parlare:
“Non stavo scherzando,
non voglio che tu dorma qui dentro. Trova un sistema per salvare il tuo
orgoglio, ma non ti voglio tra i piedi. Non intendo rimangiarmi la parola!”
Lui abbassò il viso,
cercando di assumere la propria migliore espressione da cane bastonato:
“Come vuoi…” rispose, un
tono che inteneriva anche se stesso. Poi si alzò in piedi, appoggiò il
bicchiere vuoto sul tavolo, stando ben attento a sfiorare delicatamente la
mano di Kogure nella manovra, e poi si diresse deciso e impavido verso la
finestra, aprendola con uno scatto.
Si sporse verso
l’esterno, senza far caso al richiamo del compagno, e scavalcò il davanzale.
“NOOOOOOO!!!” fu l’ultima
parola che sentì…
…prima di accoccolarsi
comodamente nella ramificazione del grosso acero che sfiorava la facciata
della casa.
“Sei… sei… – sembrava un
disco incantato, ma poi il suo Megane-kun si riprese – MI HAI FATTO
PRENDERE UN COLPO!”
Non rinunciò al proprio
sguardo da cane bastonato, e invece cominciò a strofinarsi le braccia, per
sottolineare il freddo che stava patendo. Doveva metterla sul patetico, non
c’era altro modo.
“Hai davvero intenzione
di trascorrere tutta la notte lì fuori?” gli chiese lentamente il compagno,
non appena si fu un po’ calmato.
Lui annuì senza
guardarlo, agitandosi invece come a cercare una posizione più comoda.
“Comunque non mi
intenerisco!” la voce di Kimi-kun era però più incerta di quanto volesse
apparire, mentre, appoggiato sul davanzale, guardava quello che aveva
creduto essere il suo ragazzo atteggiarsi a grosso scoiattolo tra le fronde
dell’albero.
Hisashi appoggiò la testa
al tronco nodoso, chiudendo gli occhi:
“Torna a dormire, amore,
così prendi freddo. E poi… non preoccuparti, rispetterò i tuoi desideri e
rimarrò qui fuori: non è certo la prima volta”.
Ecco, sì, orgoglio e
sofferenza. Cocktail perfetto!
L’altro si allontanò,
spengendo la luce centrale e lasciando accesa solo la piccola lampada
accanto al letto. Lo sentì sedersi sul materasso scricchiolante, e poi
percepì il leggero fruscio delle coperte che venivano scostate.
Possibile che avesse il
cuore così duro?! E poi davvero cominciava a far freddo, lì fuori. Per non
parlare degli spunzoni del tronco che gli perforavano la schiena.
In ogni caso il suo
orgoglio lo avrebbe portato a soffrire in silenzio. Quei deficienti dei
fratelli non avrebbero avuto la soddisfazione di vederlo scendere di nuovo
quelle dannate scale!
Anche la piccola luce si
spense, e adesso rimaneva solo il lontano e pallido bagliore della luna.
Akira gli aveva detto che Kiminobu era una fidanzata di carattere… beh, non
aveva sbagliato del tutto, ed era la prima volta nella sua vita.
Stava cominciando ad
organizzare un piano per uccidere quel gufo menagramo che si agitava sul
ramo superiore, quando sentì la voce di Kogure improvvisamente vicina:
“Tu, su quel ramo… stai
già dormendo?”
Eccolo, eccolo il senso
di colpa!!! Lo sapeva, il suo intuito di miglior cacciatore di tacchini del
Giappone non lo aveva tradito neanche questa volta!
“Vorrei solo che quest’uccellaccio
del malaugurio la piantasse di urlarmi nelle orecchie…”
“Un duro come te si
lascia infastidire da così poco?” lo sentì mormorare con voce falsamente
ironica.
“Vorrei vedere te a
dormire qui fuori, tra la scomodità e il freddo!”
“Freddo? Devo ricordarti
che siamo a Maggio? Dubito che morirai”
“Intendevo il freddo che
attanaglia il mio cuore ferito…” tono melodrammatico, sguardo perso nel
vuoto, atteggiamento di chi porta il proprio fardello con coraggio.
Tra di loro scese un
silenzio carico di pensieri profondi; lo aveva colpito, già, colpito e
affondato!
“Sei davvero patetico,
Hisashi Mitsui, e io lo sono ancora più di te, perché ho deciso di non
lasciarti là fuori, sebbene te lo meriteresti. Vieni dentro, prima che cambi
idea!”
Kogure non dovette quasi
finire la frase, che lui era già sul pavimento, un bel sorriso a
quarantaquattro denti bianchi e splendenti ad illuminargli il volto:
“Da che parte del letto
preferisci dormire, amore?” sussurrò sporgendosi verso il compagno, pronto
ad approfittare appieno della possibilità che gli era stata data.
“Piantala di fare
l’idiota!”
“Ma come? Non ho ancora
cominciato…” e in quel momento prese la rincorsa…
CCCCCRRRRRRAAAAAAAACCCCCCKKKKKKK!!!!!
“Secondo voi cos’è
stato?” chiese Akira, guardando il soffitto.
“Spaccano legna, niente
di meglio per il freddo” interpretò Shinichi.
“Già, aiuta anche i
muscoli” riconobbe subito il porcospino, stupito di non averci pensato
prima.
“Questi due non hanno un
solo gene in comune con me!” stabilì Takenori, guardandoli con compatimento,
poi però non riuscì a nascondere un ghigno al pensiero di come il fratello
maggiore si stesse facendo valere. Buon sangue non mente…
“Hisashi è proprio uno
stallone!” ridacchiò Hanamichi.
“Così si fa!” aggiunse
Minori, ammiccando all’indirizzo del soffitto, dal quale filtravano rumori
concitati.
“Andiamo a dormire” provò
a proporre Toru, a disagio per quello che doveva star succedendo al piano
superiore.
“Spaccano legna… niente
di meglio contro il freddo”.
“Shinichi… TACI!!!”
Nonostante le rovine del
letto tra le quali stava dormendo, il risveglio trovò Mitsui sorridente e
soddisfatto di se stesso.
Il volo ad angelo sul
vecchio mobile aveva causato il crollo della struttura tarlata, e aveva
anche contribuito ad un’occhiata abbastanza accigliata di Kogure, e ai suoi
successivi e accorati rimbrotti.
Però avevano dormito
insieme, e tutto sommato le cose erano state più che soddisfacenti…
Un nuovo ghigno seguì
questo pensiero: era stato efficace nel far sbollire la rabbia del compagno,
e, una volta liberatisi dall’impiccio di quegli stupidi occhiali, la cosa
aveva rasentato la perfezione… già, l’unico problema era stato il rifiuto di
Kogure di liberarsi dell’orrido pigiama. Per quanto Hisashi si sentisse
spesso onnipotente, non era riuscito a superare l’intralcio felposo e il
pesce palla, e a conquistare l’ultima fortezza. Ma ci sarebbe riuscito
presto, un guerriero come lui sentiva quando la vittoria era vicina.
Aprì gli occhi su una
bella giornata assolata. Dopo essersi preso qualche istante per abituarsi
alla luce, si voltò su un fianco, facendo scorrere la mano sul materasso,
pronto a conquistarsi un altro po’ di divertimento.
Il letto era grande, ma
era ormai sdraiato di traverso, con il braccio proteso in avanti, e ancora
non aveva raggiunto la pelle morbida di Kogure. E neanche la stoffa del
pigiama, se è per questo.
Riuscì con fatica a
sollevare una palpebra.
Ehm… forse era il caso di
sollevare anche l’altra.
Saltò immediatamente sul
pavimento: sedotto e abbandonato!! Il suo Kimi-kun lo aveva lasciato solo
tra le lenzuola!
Cercò affannosamente i
vestiti abbandonati disordinatamente per la stanza la sera precedente,
pronto a reagire all’affronto subito, quando improvvisamente lo raggiunse un
profumo irresistibile di salsiccia, uova e pane caldo…
MA DOVE DIAVOLO SI ERANO
NASCOSTI QUEI VESTITI?!
Intanto, nell’enorme
stanza dall’altro lato del corridoio, si stava svolgendo una scena simile.
Il profumo della colazione aveva raggiunto anche i sei ragazzi ancora
semiaddormentati nei letti addossati alle pareti.
“Salsiccia!!!” urlò
Hanamichi.
“Uova!!” non gli fu da
meno Minori.
“Pane caldo…” aggiunse
Akira sognante.
“Interiora di porco!”
captò Shinichi.
“COLAZIONE CALDA!!!”
urlarono tutti e sei insieme, scaraventandosi fuori dalle coperte.
“Idiota di un rossino!
Dove hai messo i miei vestiti?!” dopo essersi guardato intorno per più di un
minuto, dopo aver buttato le lenzuola sul pavimento, e dopo aver rovesciato
il materasso, il gemello dalla coda di cavallo si portò a tre centimetri
dall’altro: “Rossino maledetto! Un altro dei tuoi scherzi deficienti!!!”
“Che diavolo vai
blaterando, deficiente!!” gli ribadì il fratello, soffocando uno sbadiglio.
E questo fu troppo:
Minori lo afferrò per le spalle cominciando a scuoterlo violentemente.
“RIDAMMI I MIEI
VESTITI!!! Tutto per appropriarti della mia colazione, subdola carota!!!”
E l’altro non fu da meno,
non appena riuscì a riprendersi:
“Demente di un codino!!!
– urlò aggrappandosi ai lunghi capelli mossi – io non li ho visti, i tuoi
luridi stracci! Toglimi queste manacce di dosso!”
“Ehi ragazzi… anch’io non
trovo i miei vestiti!” intervenne Toru, un accenno di panico nella sua voce
solitamente tranquilla.
“I miei pantaloni!!
Dentro c’era il gel per capelli!!” si lamentò Akira, l’appiccicosa
impalcatura ormai sbilenca dopo la nottata.
“CHI HA FATTO QUESTO
SCHERZO ME LA PAGHERA’!” tuonò Takenori.
“Sono stati i ladri! –
esclamò Shinichi, coprendosi la biancheria consunta con il lenzuolo – Ohi!
Mi hai fatto male!” aggiunse poi, al pugno in testa del fratello maggiore.
“I ladri devono essere
venuti quando eri piccolo, e ti si son fregati il cervello!” gli tuonò in
risposta l’uomo-gorilla.
Si sentirono dei colpi
contro la porta. Mitsui, avvolto nella coperta, stava appoggiato al muro,
mentre Kogure era affacciato ai piedi delle scale.
“Non troviamo i nostri
vestiti!! Chi cazzo ce li ha presi… se trovo quel bastardo, lo uccido!” lo
investì Minori, alzando il pugno.
“Puoi cominciare subito –
gli si rivolse, dal piano inferiore, senza fare una piega, il ragazzo con
gli occhiali – Ho deciso che qui le cose devono cambiare. I vostri vestiti
stanno visitando la lavatrice, probabilmente per la prima volta. E voi
farete lo stesso… niente colazione, niente salsicce, niente uova, niente
caffè fresco se prima non vi sarete tolti tutti quegli strati di sudiciume
che vi portate appresso. Forza, sotto le docce!”.
I sei fratelli portarono
i loro sguardi sbalorditi sul fratello maggiore:
“MA CHE DIAVOLO STA
DICENDO?!” sbottò Hanamichi, trattenuto dal saltare alla gola al nuovo
arrivato solo dalla paura di rotolare per le scale con la coperta.
“Ho detto SOTTO LE DOCCE!
– e stavolta la voce di quel ragazzo apparentemente così gentile, era
rabbiosa – provate ad obiettare e vi prendo a mestolate, uno per uno, senza
pietà. Fino a farvi urlare come i maiali con cui siete abituati a
condividere la pulizia!”
“Ma… ma… COME OSA!”
esclamò Akira, le mani a tenere alzati i capelli, in mancanza del famoso
tubetto di gel.
“Non ci farà male darci
una lavata…” provò a mediare Toru, avviandosi per primo verso il bagno.
“Non se ne parla
proprio!! Io non sono una donna che si deve imbellettare!” sbottò Minori,
serrando i pugni.
“L’uomo ha da puzzà…”
chiarì meglio Shinichi.
“Giusto!” si aggregò
Hanamichi, dopo un primo momento di perplessità.
“ANDATE IMMEDIATAMENTE A
FARVI IL BAGNO!!!”
I sette si misero
immediatamente in fila per raggiungere le docce. Il timido quattr’occhi
sapeva essere minaccioso quando voleva, soprattutto quando brandiva
minacciosamente il coltello della carne. E i ragazzi di città avevano fama
di essere delicati e gentili!
Finalmente erano tutti
pronti, scesero le scale in fila, avvolti negli asciugamani, guardando il
lungo filo steso in giardino dal quale pendevano i loro vestiti rappezzati.
Si disposero mogiamente
intorno al tavolo, un po’ imbarazzati per trovarsi seminudi di fronte ad un
estraneo. Almeno per sei di loro il problema era questo; per il settimo, la
mancanza di vestiti portava altre difficoltà…
Quando Akira si protese
con tutto il busto sul tavolo per afferrare il cestino del pane, una
cucchiaiata sulle dita lo fece ritrarre con un lamento:
“Ahio! Mi ha fatto
male!!” piagnucolò all’indirizzo di Hisashi, che era invece ben contento che
la punizione di Kimi-kun non fosse toccata a lui.
“Non tollero altre scene
come quelle di ieri sera – comunicò Kogure – adesso mangerete con
educazione, altrimenti butterò tutto quello che vi ho cucinato nelle
mangiatoie dei maiali. Sono stato chiaro?”
“Piggy non mangia le uova
e il caffè…”.
Ormai neanche il nuovo
arrivato dava più peso alle parole del terzogenito della famiglia Mitsui, e
infatti si limitò ad uno sguardo gelido.
Spirito d’adattamento
viene chiamato.
“Puoi passarmi le
salsicce, Hana?” chiese Toru, stringendosi nell’asciugamano umido.
“Con piacere,
spilungone…” mormorò il rossino tra i denti, rivolgendo uno sguardo
assassino al gemello, pronto a sgozzarlo al primo cenno di derisione. Ma
anche il codino stava a testa bassa, aspettando il proprio turno per il
caffè, che Kogure stava servendo ad ognuno di loro.
Takenori tentò di
allungare una mano verso le uova lasciate incustodite da Akira, troppo preso
ad osservare le posate e a chiedersi cosa dovesse farsene, quando la presa
ferma di Hisashi sul suo polso lo costrinse immediatamente a desistere.
Era incredibile vederli
così tranquilli e silenziosi. Niente resti di cibo sulle pareti e sul
pavimento, niente urla… Kiminobu si rilassò contro lo schienale della sedia,
l’espressione soddisfatta di una mamma chioccia di fronte alla sua nidiata.
Terminata la colazione, i
sette andarono a prepararsi, gli abiti finalmente asciutti e freschi di
bucato.
Kogure li osservò sparire
ordinatamente dietro le porte al piano superiore: scosse la testa, aveva
raggiunto un primo risultato, ma la strada appariva ancora lunga. Raccolse i
piatti e sistemò la tavola. Riempì poi il lavello della cucina, e cominciò a
ripulire tutto quello che era servito per la colazione.
Fece un balzo in avanti,
quando sentì due braccia muscolose avvolgergli la vita. Dopo il primo
istante di terrore, voltò leggermente la testa, sapendo bene chi si sarebbe
trovato di fronte.
“Grazie Kimi-kun… e non
solo per la colazione” gli mormorò Hisashi, poggiandogli le labbra sul
collo.
“Era ora che qualcuno vi
insegnasse un po’ di educazione” ribadì lui, continuando ad insaponare la
tazza che aveva in mano.
“Ma ora ci sei tu…”
Il tono ironico dello
sfregiato era molto evidente, ma lui gli piantò lo stesso una gomitata tra
le costole:
“Comincio a pensare che
Anzai-sensei avesse ragione, ho fatto davvero un colpo di testa” mormorò tra
i denti.
Si sentì afferrare per le
spalle e ruotare con decisione, fino a trovarsi di fronte a Mitsui. Non fece
in tempo a protestare, che l’altro lo assalì con un bacio deciso e
passionale, che lo lasciò ansimante e incapace di tenersi in piedi da solo.
“Non provare mai più a
dire una cosa del genere – e stavolta il tono del compagno era terribilmente
serio – se tu pensassi davvero una cosa del genere, significherebbe che non
sono riuscito a farti capire quanto io abbia bisogno di te”.
Lui rimase in silenzio.
C’erano diversi sentimenti che si agitavano dentro di lui, e l’essersi
sentito tradito la sera precedente, pur non essendo il più forte, era ancora
lì, perseverante come tutte le paure. Sollevò una mano fino a sfiorare con
le dita il viso perfettamente rasato dell’altro:
“Prendiamoci del tempo”
rispose alla fine, voltandosi di nuovo verso il lavello per terminare il
lavoro che stava facendo.
Quando ebbe terminato, si
preparò per uscire: si era accorto che in cucina mancavano molte cose, cose
che i sette fratelli evidentemente non ritenevano fondamentali, ma che lui
doveva assolutamente andare a prendere in città.
Avrebbe preso il furgone
e sarebbe passato al centro commerciale. Fra l’altro, possibile che nessuno
dei Mitsui possedesse un cambio di vestiti? E i pigiami? Quando era entrato
per prendere gli abiti da lavare, si era accorto che dormivano tutti con la
sola biancheria addosso. Qualcosa di assolutamente incredibile!
Cercò Hisashi, trovandolo
nella falegnameria insieme ai gemelli.
“Mi servono le chiavi del
furgone per andare in città – esordì – mancano delle provviste per la casa”.
Si accorse immediatamente
del mutamento dell’espressione dell’altro; sembrava accigliato e deluso.
“Ho detto che servono
delle provviste, riuscirò a tornare per il primo pomeriggio” ripeté,
allungando una mano fino a sfiorare delicatamente quella del primogenito
della famiglia Mitsui.
“Non abbiamo preso ieri
tutto il necessario?” fu la risposta ancora un po’ risentita.
Lui scosse la testa:
“Hai preso solo roba per
la fattoria, non per la casa. Ti ho detto che tornerò presto”.
“Avrai bisogno di aiuto.
Vuoi portare qualcuno con te?” si arrese stancamente Hisashi.
“ANDRA’ IL TENSAI!!! Solo
la mia forza prodigiosa, il mio eroico coraggio, la mia intelligenza
sopraffina consentiranno al tuo tesorino di tornare a casa!!! Sìììììì!!! Il
Tensai alla conquista della città… TA DAAAAA!!!!” urlò subito il rossino.
“Ecco… - cominciò Kogure
sconvolto – forse potrei farcela da solo…”
L’idea di andare in giro
con quel terremoto umano non gli sorrideva più di tanto.
“No, è meglio che ti
faccia accompagnare. E poi se devi comprare molte cose, avrai bisogno di
qualcuno per caricare il furgone”.
In quel momento passò
Minori.
“Ehi, codino
spelacchiato! Il tensai va in città con Kimi-san, e tu rimani qui a
marcire!! Pappappero, pappappò… il tensai il codino fregò!”
“Tu in città?! Hisashi!!!!
Allora ci vado anch’io, non è giusto che MALEDETTO DI UN ROSSINO faccia
qualcosa che io non posso fare!!!”
“Serve solo per aiutare
Kogure, tu invece devi finire di rimettere a posto la palizzata!” gli ribadì
il fratello maggiore.
“LO FARO’ DOPO!!”
Da questa conversazione
potrebbe sembrare che Minori fosse a cento metri dal gruppetto, e invece
solo una trentina di centimetri li divideva. Che fossero tutti sordi?
“Te la senti di portarti
anche Minori? E’ parecchio che non vanno in città… gli farà bene vedere un
ambiente diverso” mormorò Hisashi, cercando di mediare.
“Nessun problema” rispose
Kogure, sudando freddo.
Rientrò in casa per
prendere la lista che aveva buttato giù e i soldi della cassa comune che
Mitsui gli aveva detto di usare. Quando raggiunse il furgone, però, si
fermò, incapace di proseguire di un solo passo…
“Abbiamo deciso che siamo
TUTTI necessari, per salvaguardare la tua virtù” gli urlò Hanamichi, un bel
sorriso soddisfatto stampato sul volto.
E infatti il mezzo
mostrava, affacciati ai vari finestrini, sei visi soddisfatti e sorridenti.
I fratelli Mitsui, a parte Hisashi, si erano già stipati sui sedili, accorsi
immediatamente a suo sostegno per la pericolosa missione nelle terre
civilizzate.
Kogure deglutì a fatica.
Oddio… oddio… oddio…
“Eh, sì, in un giorno ti
sei già dimostrato difficile da tenere a bada” aggiunse Takenori, dando con
l’occasione un pugno sulla testa dei gemelli. Non perché ce ne fosse un
motivo, più che altro a scopo preventivo.
“E poi io ho bisogno del
gel…” mormorò Akira, dalla sua posizione assurda con la testa rovesciata
verso il basso, in modo che la forza di gravità compisse il lavoro fino a
quel giorno proprio della sostanza gommosa.
“Servono gli antibiotici
per il puledro” aggiunse Toru, quasi a scusarsi.
“E un nuovo secchio per
le vacche” concluse pelle-gialla.
“Shinichi ha scoperto che
se usa un secchio più piccolo, Milly ne riempirà di nuovo tre…” spiegò Akira,
battendo con approvazione sulla spalla del fratello, orgoglioso del suo
ingegno.
“Molto astuto…” convenne
Kiminobu, sostenendosi con un braccio al cofano del furgone. Respirò
profondamente e decise che doveva trovare il coraggio di cominciare quel
viaggio. Tre sé e sé si ripeteva che sarebbero arrivati, avrebbero comprato
le cose necessarie e sarebbero tornati. Un lasso di tempo troppo breve
perché accadesse qualcosa di irreparabile. Ecco, doveva pensare così, solo
in questo modo poteva trovare il coraggio di salire in macchina.
Il viaggio trascorse
abbastanza tranquillo, se si fa eccezione per le canzoni di montagna cantate
a squarciagola, per i commenti sempre acuti di Akira e Shinichi, e per i
dispetti che si scambiavano i due gemelli.
Quando fecero ingresso in
città, a Kogure sembrava che presto i suoi capelli castani avrebbero
raggiunto il candore di quelli di Anzai-sensei, bisognava solo trascorrere
più tempo con la famiglia Mitsui e la trasformazione sarebbe stata
automatica.
Parcheggiarono di fronte
al centro commerciale. La struttura era imponente, e le vetrine colorate e
vivaci sembravano irresistibili per tutti i ragazzi.
C’era molta gente in giro
per lo shopping, del resto era sabato mattina, e con gli uffici e le scuole
chiuse era il giorno ideale per rilassarsi con una bella passeggiata tra le
vetrine.
Scendendo dal furgone,
Kogure chiamò i sei fratelli a raccolta:
“Adesso possiamo anche
dividerci, in modo che ognuno di voi possa soddisfare le necessità che hanno
ritenuto indispensabile che mi accompagnaste… ma MI RACCOMANDO – e
sottolineò il concetto con un’occhiataccia – comportatevi da gentiluomini,
capito?”
I sei annuirono
entusiasticamente, e il ragazzo capì immediatamente che non avevano
afferrato una sola parola del suo discorso.
“Allora ci rivediamo tra
un paio d’ore di fronte a quel fast food, siate puntuali… e non fatemi
vergognare di voi”.
Parole al vento, quello
che era rimasto dopo la loro fuga in tutte le direzioni.
Scosse la testa, e
cominciò a pregare che tutto andasse bene, prima di entrare nei grandi
magazzini per cercare nuovi utensili per la cucina.
Akira Mitsui cominciò a
vagare tra i negozi, cercando di individuare una profumeria in cui comprare
una confezione gigante di gel per capelli. L’idea che la sua meravigliosa
acconciatura fosse stata rovinata dall’iniziativa di Kogure-san di infilare
i vestiti in lavatrice senza controllare cosa ci fosse dentro, lo faceva
andare in bestia! Molti bambini adorano i cuccioli, oppure il cavalluccio di
legno, o il peluche preferito senza il quale non riescono ad addormentarsi.
Beh, a lui i pupazzi non erano mai piaciuti, ma non aveva mai potuto
affrontare una giornata senza il rito della sistemazione dei capelli.
L’odore della gelatina gli era confortevole come quello del pane caldo, e
altrettanto indispensabile.
Ah, era arrivato! Ecco
una profumeria!!!
Entrò deciso, felice di
aver trovato finalmente la soluzione ai suoi patemi.
“Posso aiutarla? Le serve
qualcosa?” gli si rivolse il giovane commesso.
“Non sarei qui,
altrimenti, non ti pare?” rispose lui, stupito dalla scarsa intelligenza del
ragazzo.
“Senti… vedi di non farmi
perdere tempo. Se cerchi qualcosa, dimmelo e lasciami lavorare. Altrimenti…
smamma!”
Acidooo! Vabbé, meglio
sbrigarsi, poi doveva solo trovare un bagno per sistemarsi la capigliatura:
quel miscuglio di acqua e farina che aveva usato la mattina non avrebbe
retto ancora a lungo.
“Mi serve un gel” ordinò,
cercando di mantenersi calmo. Così vicino all’obiettivo, non riusciva a
sopportare nuovi ostacoli.
“Sii più specifico:
antitartaro, coagulante, per le unghie, per gli occhi, per acconciature…”
cominciò a snocciolare stancamente il tipo dietro il bancone.
“Per acconciature”
specificò lui, pronto ad aggrapparsi alla definizione appena sentita.
L’altro sollevò lo
sguardo:
“E’ per una esibizione?”
domandò scettico.
Che diavolo cambiava?
“No, per tutti i giorni…”
L’altro scosse la testa,
come se si trovasse davanti ad un idiota.
“Di che taglia è?”
chiese.
Che significava ‘di che
taglia è’?! Di cosa diavolo stava parlando?!
“Scusa?” prese tempo.
“Di che taglia è il
tuo animale!” spiegò il ragazzo.
Akira si strangolò
inghiottendo. Il… il suo ANIMALE?!
“Non credo siano affari
tuoi – mormorò arrossendo – comunque… - continuò con tono cospiratorio, e
indicando con l’indice le proprie parti basse – il mio Bobby è una
pertica!”
AHIO!!!! Perché quel
disgraziato gli aveva dato uno schiaffo in faccia??!!!
“Che diavolo dici,
maniaco!!” gli sibilò il commesso, avvampando.
“Ma… sei stato tu a
chiedere!!! – provò a difendersi lui. Era proprio strano quel tale… eppure
non riusciva a trovarlo antipatico, gli piaceva la sua scontrosità – sei
stato tu a cominciare a parlare del mio animale!” proseguì,
imbronciandosi.
“Ma… MA CHE HAI CAPITO!!
Pensavo all’animale per cui ti serviva il gel! Non ti sei accorto che sei in
un pet-shop, oppure sei totalmente deficiente?!”
Un pet-shop? Akira
sorrise interdetto, poi un lumicino stento si accese nel suo cervello… sì,
ora era tutto più chiaro:
“Pensavo fosse una
profumeria – sussurrò – le spazzole… le boccette… E poi tu mi hai detto che
avevi il gel!”
“Non sai che si usa per
intrecciare le criniere dei cavalli, nelle esibizioni? – il ragazzo scosse
la testa, accigliato – che ne sapevo che neanche sai leggere le insegne?!”
“KOSHINO!” urlò una donna
anziana da dietro l’altro banco.
“Sì, Matsui-san” rispose
il commesso, immediatamente più servizievole.
“E’ tanto che stai
lavorando… prenditi una pausa. Vai con il tuo amico a prendere un sandwich”
suggerì la donna, sorridendo.
“LUI NON E’…”
Ma la voce alterata del
ragazzo fu immediatamente sovrastata da quella di Akira:
“Grazie signora,
approfitteremo per mangiare qualcosa” disse, sorridendo e inchinandosi
leggermente. Poi afferrò la mano del commesso, trascinandoselo all’aria
aperta.
“Lasciami! Voglio sapere
che ti dia il diritto…”
“Smettila di ringhiare,
sembri il vecchio Blackie… abbaiava e ringhiava, ma poi non mordeva mai!
Strano cane da guardia…” terminò pensoso.
“Non me ne frega niente
della storia dei tuoi sacchi di pulci. Voglio un panino, quindi vedi di
lasciarmi in pace, e vattene per i fatti tuoi!”
“No, ho bisogno che mi
aiuti a trovare una profumeria…”
Koshino lo guardò
rabbioso, poi, improvvisamente, sul suo viso comparve il primo sorriso
divertito:
“Il famoso gel, eh?!”
“Esatto. Non riesco a
muovermi in tutta questa confusione!”
Il ragazzo di città
scosse la testa e scrollò le spalle, ma poi i due cominciarono a camminare
sul marciapiede affollato.
Nel frattempo, in un
altro angolo del centro commerciale, Takenori Mitsui stava cercando un posto
in cui placare la propria fame. Nonostante la lauta colazione preparata
quella mattina da Kogure-san, aveva voglia di mangiare del pesce, una
pietanza difficile da reperire lassù in montagna.
Non appena vide un
piccolo ristorante che gli ispirò fiducia, il ragazzo entrò, pregustando un
bel pranzetto tradizionale.
Si sedette ad un tavolo
d’angolo, afferrando il menu.
Si prese il mento fra le
mani: sembrava che ci fossero parecchie specialità diverse, e lui era
piuttosto incerto. Non era una situazione abituale per lui, visto che a casa
andavano avanti con la carne e le verdure che coltivavano nei campi, il
tutto sbattuto in padella, senza troppa cura. Del resto, cosa aspettarsi
quando gli addetti ai fornelli erano gli orridi gemelli?
Fece un cenno alla
giovane cameriera e comunicò la propria ordinazione, afferrando
contemporaneamente il giornale appoggiato sulla panca, per darsi un
contegno.
Quando fu di nuovo solo,
sfogliò velocemente quelle pagine fitte, fino a fermarsi al supplemento
sportivo… ah, ai suoi tempi era stato un grande atleta, nel lancio
dell’accetta non aveva mai avuto rivali, rimembrò soddisfatto.
Cominciò a divorare la
zuppa di pesce, e poi il sushi e le verdure rosolate. I molluschi fritti
erano deliziosi, e il sushi inarrivabile. Davvero una delizia per il suo
stomaco abituato a bistecche e patate!
Al terzo bis, la
cameriera gli si fermò accanto più a lungo:
“E’ davvero un grande
piacere avere dei clienti come lei! Con questa mania delle diete e del cibo
leggero, tutti sembrano tanti uccellini; la gente becchetta, invece di
mangiare!”
Takenori sorrise,
mostrando pezzi di alga infilati tra i denti candidi:
“Vanno tutti troppo di
fretta – convenne addentando l’aragosta – e nessuno sa più godersi i sani
piaceri della tavola” concluse con tono da uomo vissuto.
La ragazza annuì
soddisfatta, e poi propose la scelta dei dolci per concludere il pasto.
Il secondogenito della
famiglia Mitsui era nel bel mezzo di una visita odontoiatrica, stuzzicadenti
alla mano, quando vide avanzare verso il proprio tavolo un ragazzo
altissimo, robusto, con corti capelli scuri e un’espressione tesa.
Si stupì nel vederlo
fermarsi accanto alla sua sedia, e poggiare sul tavolo un piatto coperto:
“Il dolce, offerta della
casa”.
Tolse il coperchio, e un
trionfo di cioccolato e creme si manifestò in tutto il proprio splendore.
Takenori sollevò lo
sguardo, stupito:
“Non… capisco!” mormorò
rivolto al ragazzone che gli era rimasto accanto, quasi a voler studiare la
sua reazione.
“Non è frequente avere
clienti come lei. Io sono il cuoco, qui, e già dal suo ordine avevo già
capito di trovarmi di fronte ad una persona di classe. Questo è un mio
personale omaggio a qualcuno che sa apprezzare i piaceri della buona
tavola”.
Gli occhi del gorilla si
illuminarono: finalmente una persona in grado di comprendere a prima vista
il suo valore, ben nascosto sotto la scorza da uomo duro! Si rilassò contro
lo schienale della sedia e sorrise con finta modestia, scuotendo
contemporaneamente la testa:
“Ora mi sta adulando… -
poi divise il dolce su due piattini – mi faccia compagnia, ormai il
ristorante è semivuoto”.
Il cuoco si sedette sulla
sedia di fronte, appoggiando l’alto cappello su un angolo del tavolo:
“E’ una nuova ricetta,
spero le piaccia: sicuramente non è un dolce leggero, ma… lei ha un fisico
atletico, non credo avrà problemi a smaltirlo”.
A quel punto il giovane
Mitsui si rese conto che qualcosa era stonato tra loro. Estraendosi l’ultimo
stuzzicadenti dai molari, sorrise al nuovo amico:
“Dobbiamo avere più o
meno la stessa età, che ne dici di darci del tu? Io mi chiamo Takenori
Mitsui” mormorò infilandosi in bocca il primo cucchiaino di dolce, senza
staccare gli occhi da quelli profondi e caldi del ragazzo di fronte.
E l’altro annuì:
“E io sono Jun… Jun
Uozumi”.
Shinichi avanzava sul
marciapiede, ondeggiando il piccolo secchio di metallo che aveva comprato
dal ferramenta. Aveva un bel sorriso soddisfatto stampato sul volto: era da
vedere, adesso, cosa avrebbe escogitato quella vecchia megera di Milly per
non rispettare i suoi doveri! Abbassò lo sguardo sul nuovo acquisto: a tre
sarebbe tornata di sicuro, forse anche quattro! Hisashi sarebbe stato
contento della sua idea per aumentare la produzione di latte!
E adesso doveva solo
aspettare l’ora per rivedere gli altri…
Non gli era mai piaciuto
troppo scendere in città, ma aveva deciso di unirsi ai fratelli perché
voleva capire cosa ci trovassero di tanto entusiasmante, ma poi si erano
tutti divisi, e lui si era ritrovato solo.
Scrollò le spalle, si
sarebbe diretto verso il parco. Prima però, si fermò davanti ad un negozio
di giornali: lesse lentamente i titoli per vedere se ci fosse qualcosa
all’altezza della sua erudizione. Il suo sguardo indugiò su ‘Beauty Farm’…
chissà, poteva essere qualcosa di utile per la fattoria!
Afferrò la rivista con
decisione, e cominciò a sfogliarla. Sollevò un sopracciglio… strane fattorie
facevano la propria fortuna in Giappone!!
Scoppiò a ridere quando
vide l’immagine di un corpo flaccido ricoperto di fango e alghe, e poi nel
vedere pubblicizzate scarne radici dai poteri miracolosi… ma dov’erano
mucche e galline?
Quando risistemò il
giornale sul suo sostegno, si accorse di un gruppo di ragazzine che lo
guardavano ridacchiando. Rivolse loro uno dei suoi famosi sguardi
ammaliatori, quelli che convincevano Piggy a sollevare estasiata dal trogolo
il grosso muso sporco di farinata, e infatti le ragazze, dopo un momento di
romantico rapimento, scapparono timide in mezzo a mille urletti: era sempre
stato noto il suo essere il rubacuori della famiglia!
Continuò a camminare,
respirando profondamente l’aria fresca e ricca di smog, poi entrò nel grande
parco cittadino.
Con passo deciso, si
diresse verso una panchina libera affacciata sul campetto di basket,
sbuffando perché due mummie con nipoti al seguito gli impedivano di occupare
quella in prima fila sul campo di bocce. Vabbè, per una volta avrebbe
sofferto in silenzio.
Appoggiò il secchio
lucente accanto a sé, e poi cominciò a guardarsi attorno.
Nel parco c’era parecchia
gente, del resto era l’unico luogo in città in cui fosse presente un po’ di
verde: gruppi di ragazzi organizzavano picnic sotto gli alberi, famiglie con
carrozzine al seguito occupavano i tavoli di legno messi a disposizione
dalla struttura pubblica, e nei vialetti c’erano parecchie persone che
facevano jogging.
Ahhh, si poteva riposare,
per poi raggiungere gli altri! Indossò gli occhiali da sole gialli, quelli
che facevano pendant con la sua carnagione, e lasciò vagare lo sguardo sui
due ragazzi che giocavano nel campetto di basket. La sua attenzione,
inizialmente poco concentrata, andò via via ravvivandosi. Sembravano bravi,
riuscivano a saltare con facilità e ad insaccare colpi spettacolari. Quello
più alto, magrissimo e dalla pelle chiara, era visibilmente più abile
dell’avversario, nei tiri da lontano, ma quest’ultimo sfoderava un agonismo
che lasciava estasiati…
Dopo un canestro in
seguito al quale il ragazzo dai capelli lunghi era rimasto appeso all’anello
di ferro, lo sentì urlare:
“IO SONO NOBUNAGA KIYOTA,
IL MIGLIOR REALIZZATORE DELLA PREFETTURA!!!”
Ma allora… allora si
trovava davvero davanti ad una star! Ebbe quasi la tentazione di battergli
le mani, ma decise di continuare a seguire lo scontro fino all’ovvia
conclusione.
In un certo qual modo,
questo tipo gli ricordava il fratello Hanamichi, ma in lui riusciva anche a
vedere una eleganza e una grazia difficili da scorgere nel gemello dai
capelli rossi.
“Ehi, te!” si sentì
apostrofare proprio dall’oggetto dei propri pensieri. Portò lo sguardo in
quello del ragazzo, mantenendo il suo famoso sorriso ammaliatore e
aspettando il seguito della frase.
“MA CHE CAZZO TE RIDI!!”
proseguì l’altro, poggiandosi le mani sui fianchi.
Lui non cambiò
espressione, si limitò a scuotere la testa con nonchalance, e quello gli
voltò immediatamente le spalle, mormorando qualcosa al compagno rachitico.
Aveva già fatto colpo,
come sempre!!
Aspettò la fine
dell’incontro, che stranamente sembrava essersi risolto in favore del tipo
con gli occhi enormi, poi si sollevò in piedi, stiracchiandosi, deciso a
saperne di più su quel concentrato di vitalità che aveva incrociato il suo
cammino in modo tanto casuale da sembrare prestabilito da qualche divinità
nascosta.
Li seguì con discrezione
fino all’uscita del parco, e fu a questo punto che Raperonzolo si voltò
nuovamente, sfoderando quell’aria accigliata da ragazzo timido e ritroso:
“Si può sapere che vuoi?!
Non sarai mica una spia di uno dei nostri avversari! – lo squadrò da capo a
piedi, sollevando un sopracciglio con una smorfia ironica – Perché
ovviamente tu non giochi a basket… o forse sei negli OVER 50?!” e scoppiò in
una risata franca, contagiosa.
Anche Shinichi rise: non
aveva ben capito cosa l’altro avesse detto, ma sentiva che il seme gettato
dallo sguardo tenebroso, che aveva mantenuto per tutto il tempo, sarebbe
presto germogliato… del resto, di semine e raccolti lui se ne intendeva!
Toru Mitsui entrò nella
più grande libreria del Centro Commerciale. Quando riusciva ad andare in
città, approfittava sempre per farvi un salto, in modo da arricchire la
propria raccolta di libri di veterinaria. Da quando aveva quindici anni, in
famiglia era sempre stato lui ad occuparsi degli animali malati, e pian
piano si era costruito un buon bagaglio di esperienza.
Si guardò intorno,
individuando immediatamente l’angolo che gli interessava, e cominciò a
sfogliare un volume dopo l’altro. A volte gli dispiaceva non aver potuto
iscriversi all’Università, dopo il diploma, ma era un pensiero che non lo
faceva star male: sapeva che tutti loro erano indispensabili per portare
avanti la fattoria. Tutto sommato, poi, seppur carente di una preparazione
accademica, ne aveva maturata abbastanza direttamente sul campo: la nascita
del puledro di Bucaneve, il pomeriggio precedente, era stata tutt’altro che
uno scherzo. Un parto podalico, la cosa peggiore che si potesse presentare,
con la possibilità che gli zoccoli del nascituro ferissero la madre nello
sforzo di uscire.
Sorrise, Bucaneve era
sempre stata una cavalla docile, aveva lavorato parecchio e si era
guadagnata ogni razione d’avena. Vederla ripulire il suo puledro, dopo il
parto, spingerlo con il muso, aiutarlo a mettersi in piedi, era stato
bellissimo. C’erano fattrici che respingevano i figli, Bucaneve no, e con la
sua età, probabilmente quello sarebbe stato il suo ultimo parto.
I cavalli erano i suoi
animali preferiti, proprio per questo si diresse verso la sezione Animali
d’Allevamento… spesso gli sembrava di trascurare gli altri, nei suoi studi.
Sul piccolo tavolino rotondo con le ultime novità scorse un bel volume sui
parassiti degli ovini. Oddio, non uno degli argomenti più avvincenti del
mondo, però, considerando le infestazioni che avevano colpito altri
allevamenti negli ultimi anni, era forse il caso di dargli un’occhiata.
Allungò distrattamente il
braccio per afferrare il volume in cima alla pila quando si accorse che
un’altra mano si era posata sullo stesso esemplare. Sollevò la testa
sorpreso, ma pronto ad allentare la stretta, quando incontrò i più
meravigliosi occhi azzurri che avesse mai visto. Per un momento rimase senza
parole, e non solo per gli occhi… il ragazzo che aveva di fronte non si
poteva descrivere se non come bellissimo: capelli castani, corti, alto ma
non altissimo, magro, il viso perfetto, pulito, regolarissimo come raramente
se ne vedevano anche al cinema.
Ritirò la mano come
scottato, e tentò un sorriso imbarazzato:
“Scusami…” mormorò, con
la non troppo vaga impressione di stare avvampando.
“No, scusa tu…” mormorò
l’altro, una voce morbida, gentile.
Rimasero entrambi fermi
come deficienti, mentre il libro che li aveva uniti giaceva ancora sul
tavolo basso.
A questo punto Toru ne
afferrò due copie, porgendone una al ragazzo:
“In questo modo siamo
entrambi a posto…” mormorò, cercando di apparire disinvolto.
Cominciarono a sfogliare
i due volumi uguali, spalla contro spalla.
Poteva essere un romanzo
di avventura, per quel che riusciva a capire il quartogenito della famiglia
Mitsui. Non riusciva a concentrarsi nemmeno sulle figure, visto che i suoi
occhi tendevano a divagare, sbirciando in continuazione le mani sottili del
vicino.
“Studi veterinaria anche
tu?”
Toru si guardò intorno,
voltandosi freneticamente a destra e a sinistra… oddio, sembrava proprio che
il ragazzo stesse parlando con lui!
“Ecco… no, non studio
veterinaria. Abbiamo una fattoria, su in montagna, e…”
“Ho capito – lo
interruppe l’altro, sorridendo – ti sei costruito una esperienza diretta!”
Anche lui sorrise,
contagiato dalla meravigliosa espressione del vicino:
“Sto cercando di farlo”
mormorò lentamente.
L’altro si appoggiò con
le spalle all’alto scaffale di legno:
“Non hai certamente
scelto la strada più facile. Io ho quasi terminato l’Università, e non credo
che avrò mai a che fare con grandi allevamenti. In città si finisce per
essere relegati a cani, gatti, criceti e pesci rossi!”
Toru rise in risposta
alla risata dell’altro: temeva di sembrare sciocco, ma gli sembrava davvero
complesso effettuare un’operazione chirurgica su un pesce, a meno che non
fosse propedeutica all’ultimo viaggio verso la padella.
Rimasero entrambi in
silenzio, giocando con il volume che tenevano tra le mani, e fu il compagno
il primo a dire qualcosa:
“Hai deciso di prenderlo,
il libro?” gli aveva chiesto, alla fine.
O la va o la spacca…
“Solo se me lo consigli…”
Oddio, una frase da
filmetto romantico da arena estiva… ma non gli era venuto in mente di
meglio.
“Avete un allevamento di
pecore, su in montagna?” gli replicò l’altro.
“Sì… shetland, scelte da
mia madre” rispose lui, un tono di orgoglio nella voce.
“Allora prendilo, potrà
esserti utile. Conosco l’autore, insegna alla mia Università. Se non dovesse
piacerti, ti prometto che ti accompagnerò da lui per dirgliene quattro!”
Aveva parlato con tono
serio, ma stava evidentemente facendo uno sforzo per non ridere… a Toru quel
ragazzo piaceva ogni istante di più.
“Affare fatto!” accettò,
sciogliendo, con la propria risata, anche quella del compagno.
“Senti… fa caldo, ti
andrebbe di andarci a prendere un tè freddo?” propose poi, mantenendosi
sullo stesso livello di intraprendenza di prima. Per un momento gli sembrò
di leggere un lampo di incertezza negli occhi azzurri dell’altro, e allora
si affrettò a fare marcia indietro:
“Scusami… magari non sei
neanche da solo” provò.
Ma l’altro sorrise:
“Effettivamente sono con
un mio compagno di corso – e con un cenno della testa indicò un ragazzo
alto, la cui capigliatura somigliava in modo abbastanza sospetto a quella di
Akira – ma mi basta avvertirlo. A proposito – si interruppe tendendogli la
mano – io sono Kenji Fujima”.
“Toru Mitsui” riuscì a
mormorare lui, ricambiando quasi con reverenza il tocco morbido di quelle
dita.
Mentre Fujima si
allontanava per avvertire l’amico, Toru andò a pagare il libro.
Poco dopo uscirono
insieme dalla libreria.
I due gemelli Mitsui
stavano litigando, praticamente ancora fermi di fronte ai Grandi Magazzini
in cui era entrato Kogure.
“Ti ho detto che se
andiamo a destra è meglio… sono sicuro che incontreremo un sacco di
ragazze!” tuonava Hanamichi.
“Se andiamo a sinistra,
becchiamo sia le ragazze, sia il chiosco di ramen!! E poi, te l’ho detto
mille volte, tu devi camminare dietro di me, così, se non ti vedono subito,
forse abbiamo qualche possibilità!” gli ribatteva Minori.
“Già, abbiamo il divo di
Hollywood! MA TI SEI MAI VISTO? BRUTTO CODINO, ORRIDO E SPELACCHIATO!!!”
“MALEDETTO DI UN ROSSINO!!!
Anello di congiunzione tra la scimmia e il barbagianni!”
E così, scambiandosi
questi ameni complimenti, i due continuavano a stare fermi esattamente
davanti al furgone che li aveva portati in città.
Ma, come si dice, se
Maometto non va alla montagna… e infatti, in quel momento, sul marciapiede
di fronte ai Grandi Magazzini passarono tre ragazze. Dovevano essere in giro
per lo shopping del fine settimana, almeno a valutare dalla quantità di
pacchetti che stringevano nelle mani.
“VEDI CHE IL TENSAI AVEVA
RAGIONE?” urlò il rossino, direttamente nell’orecchio del gemello.
“DEFICIENTE! Non ci siamo
mossi di un passo, mentre tu avevi detto di andare a destra!”
“Tsk, tsk, inutili
particolari… il grande genio sapeva che questo era il posto migliore! E
adesso… PARTE LA CACCIA!!!” urlò, lanciandosi all’inseguimento del trio.
Gli ultimogeniti della
famiglia Mitsui si misero rapidamente alle costole delle ragazze. In realtà
non è che fossero esattamente delle fate, anzi, però rispondevano ad alcuni
requisiti fondamentali: genere femminile, monocefale, due gambe, due
braccia, due occhi… cosa importava il mezzo cervello?
“MA SEI SICURO?! Secondo
me Piggy gli dà le piste a queste scrofe!” notò con delicatezza Minori.
“C’è da vergognarsi ad
andare in giro con te!” gli replicò il rossino, ancora una volta pentendosi
di non essere mai riuscito ad ordinare i prodigiosi occhiali che
permettevano di vedere attraverso i vestiti, quelli pubblicizzati
nell’ultima pagina della guida al bird-watching dal tipo con la lingua di
fuori. Sarebbero stati davvero utili, in quel frangente!
“Devo forse ricordarti
che non ci sei riuscito neanche con la nipote della vecchia Kozumi?” gli
ricordò Minori, esibendo un sorrisetto sarcastico.
“QUELLA ASSOMIGLIAVA A
MILLY!” protestò Hanamichi. Insomma, pure lui aveva degli standard sotto i
quali non riusciva ad andare!
“Appunto, e neanche
quella ti s’è preso… pensa come stai!” gli replicò l’altro, soddisfatto del
proprio sadismo.
“Sei un codino morto,
stupido deficiente!! Di te rimarrà solo lo scalpo! – ribatté pronto il
rossino, deciso però a rimandare la resa dei conti a conquista avvenuta, e
infatti dopo poco proseguì, più calmo – tu quale preferisci?” accennando
contemporaneamente con la testa al terzetto, che continuava a chiacchierare
e ridere animatamente.
“Le tre racchie te le
puoi gustare tutte tu, grazie!”
Hanamichi tentò di
osservare le prede con occhio critico: la tipa con i codini tutto sommato
non faceva per lui, più che altro poteva fare il paio con Minori, si
sarebbero potuti scambiare consigli per i capelli; quella dall’altro lato
sembrava troppo timida e delicatina. Rimaneva la ragazza in mezzo, con i
capelli più lunghi, sciolti. Sì, sicuramente rispondeva di più ai suoi
gusti.
Sgomitò nel fianco del
fratello:
“Il tensai parte
all’attacco: guarda e stupisciti!”
Senza far caso alla
smorfia di derisione di quel demente del gemello, Hanamichi Mitsui si portò
le dita alla bocca e fece partire il suo famoso fischio, quello che, su alla
fattoria, riusciva a riunire in pochi secondi l’intero gregge.
E le tre pecorelle di
città si voltarono immediatamente, esattamente come previsto…
Il rossino cercò di
nascondere il sorriso di soddisfazione, e, trascinandosi il fratello per un
polso, si avvicinò alle tre. Come gli aveva detto una volta Akira, il
segreto è nel sorriso, e così esibì tutta la sua dentatura, molari inclusi:
“Ehi, gallinelle!”
esordì, passandosi le dita tra la capigliatura sgargiante.
Le tre si guardarono tra
loro, poi quella con i ciuffetti fece un mezzo passo in avanti,
fermandoglisi di fronte:
“Stai parlando con noi,
razza di cafone?!”
“Matsui… cosa dici!” la
riprese, arrossendo, quella con i capelli sciolti.
Hanamichi gongolò di
soddisfazione, sapeva di aver trovato l’anima gemella!! E lui di gemelli se
ne intendeva. Ignorò l’amica racchia e scorbutica e si avvicinò invece a
quella più dolce:
“Io sono HANAMICHI MITSUI!!!
– si presentò, esibendo la sua voce da concorso per Ugola d’Oro – vieni a
fare un giro con me, baby… non te ne pentirai!” e le strizzò l’occhio,
accompagnando il tutto con una sonora pacca sulla schiena della tipa.
Minori si appoggiò alla
staccionata, pronto a godersi la scena delle tre, armate di borse e
borsette, pronte a picchiare il rossino senza pietà. Era sempre un delirio
uscire insieme!! Quando andavano a scuola, Hanamichi aveva anche avuto il
coraggio di dichiararsi allo scheletro travestito del laboratorio! In
seguito si era giustificato, dicendo di essersi accorto immediatamente dello
scherzo. Peccato che avesse fatto in tempo a decantare le qualità di pace
interiore della ragazza, prima che il cappello cadesse, rivelandone il
teschio di plastica.
“Ma… ma che…
SCREANZATO!!” gridarono le tre tutte insieme.
“Lascia stare Haruko,
immediatamente” urlò la tipa con i codini, prendendo a calci lo stinco del
ragazzo.
“Non essere timida,
piccola… pochi secondi da soli, e capirai il mio vero valore!” continuò però
Hanamichi, imperterrito.
Proprio in quel momento
due ragazzi passarono sul marciapiede opposto. Minori sollevò un
sopracciglio quando vide Haruko cominciare a sbracciarsi all’indirizzo dei
nuovi arrivati:
“RUKAWA!!! AIUTO… MI
VUOLE VIOLENTARE!!!”
Nonostante il grido
disperato, i due ci misero più di qualche istante per decidere di
attraversare la strada ed accorrere in suo aiuto, ma alla fine raggiunsero
il luogo del tentato delitto.
“Si può sapere che sta
succedendo?! Lasciala stare!” urlò uno dei due, strattonando Hanamichi per
un braccio.
“Oh, Ru…” mormorava
intanto la tipa, abbarbicandosi al collo dell’altro, che ancora non aveva
detto una parola.
Bene, bene, mancavano
solo i popcorn e lo spettacolo sarebbe stato completo. Peccato, però, che la
staccionata fosse così poco comoda!
“E te che diavolo vuoi,
DEFICIENTE!” si rivoltò il rossino, spingendo via il ragazzo che lo aveva
preso per il braccio.
Sorpreso dal gesto,
questi scattò in avanti, pronto a colpirlo, ma fu richiamato indietro dalla
voce morbida del compagno, quello che ancora non aveva parlato:
“Fermati, Minami”.
Un tono basso ma
perentorio, qualcosa che faceva drizzare i capelli e venire i brividi.
“Fammi dare una lezione a
questo bifolco! Ci penserà tre volte prima di infastidire di nuovo una
ragazza di città…” insistette l’altro.
Il tipo però scosse la
testa, e, anzi, gli affidò la ragazza che ancora gli stava avviticchiata
addosso. Poi si avvicinò ad Hanamichi, ignorando il fatto che questi lo
aspettasse con espressione furente e i pugni alzati:
“Ehi, tu!” lo apostrofò
poco gentilmente.
“Togliti dai piedi,
damerino!! Questa è una questione tra me e quel calimero, sparisci!”
Come farsi nemico anche
chi cerca di aiutarti, Hanamichi era un vero e proprio maestro in quest’arte.
“Mi sembra che queste
ragazze non gradiscano le tue attenzioni. Vattene e non farti più vedere”
gli ribatté l’altro, imperturbabile.
“Ohi, deficiente! Ci
senti o sei sordo?! Nessuno ti ha chiamato!”
Minori si accorse
immediatamente che la cosa sarebbe velocemente degenerata, conosceva troppo
bene il fratello per poter avere dei dubbi in merito.
Quello strano ragazzo,
invece di farsi indietro, si portò a ridosso del rossino. Un bel coraggio
davvero, per uno che sembrava così delicatino… oddio, non che avesse
l’aspetto di una femminuccia, visto che doveva essere alto quasi come
Hanamichi, ma il fisico sottile, la pelle candida, gli occhi azzurri e i
capelli neri acconciati in un morbido caschetto, gli conferivano un aspetto
quasi etereo.
“Stai cominciando a
seccarmi, do’aho!”
E questa fu la famosa
goccia! Anzi che Hanamichi aveva tenuto duro fino a quel momento!
Gli partì un pugno che
l’altro riuscì a parare solo a stento, e poi preparò il suo colpo segreto:
la testata libera-scocciatori…
E accadde l’incredibile,
perché il suo avversario rimase in piedi, seppure barcollante! Anzi…
restituì il pugno, facendogli uscire il sangue dal naso.
“BASTARDO!” riuscì solo a
gridare Hanamichi, ancora incredulo.
E poi la rissa degenerò.
Se la stava godendo alla
grande, quando l’altro, quello che il fratello aveva già ribattezzato ‘Calimero’,
gli si fece sotto:
“Che cazzo hai da ridere,
faccia da deficiente!”
Non poteva crederci! Un
altro che cercava rogne… ma aveva trovato la persona giusta! Si arrotolò le
maniche sin sopra il gomito, e, senza pensarci due volte, rispose
all’insulto a modo suo.
Montagna o città, era
sempre delizioso cominciare la giornata con una rissa!
“FERMATI, ANIMALE!!”
sentiva urlare Haruko, che cercava di aggrapparsi con le unghie al collo di
Hanamichi.
“Io ti distruggo, stupido
impiccione! Imparerai a farti i fatti tuoi!” minacciava il rossino, cercando
di immobilizzare il moretto sull’asfalto.
“Do’aho” replicava Rukawa.
“RU… RESISTI!”
interveniva la tipa coi codini.
“MUORI!” gli sibilava il
calimero a due millimetri di distanza, cercando di stringergli le mani
intorno al collo.
“Smettila di agitarti
come un’anguilla” cercava di fermarlo lui, consapevole di star perdendo più
di un capello nella stretta dell’altro.
E improvvisamente una
voce che non c’entrava niente, pur non essendo estranea:
“COSA STATE COMBINANDO,
VOI DUE!!!”
Ah, finalmente rinforzi!
E quelli del gorilla erano sempre ben accetti.
Ma poi un’altra voce:
“Haruko, Fuji, Matsui…
state bene?!”
“Oh, Uozumi… questi due
mostri hanno cercato di aggredirci!”
Ma che film aveva visto
la tipa?
“E tu li conosci?” di
nuovo quella sconosciuta voce maschile, ma ora non solo preoccupata, proprio
furente.
“Sono i miei… fratelli…”
questo era Takenori. Ma perché quel tono serio, teso?
Non ci fu tempo per
altro, se non per nuovi pugni e calci. Quando Minori riuscì per un attimo a
liberarsi dalle attenzioni del Calimero, si accorse che la rissa si era
allargata a tutti i fratelli Mitsui: anche Akira, Shinichi e Toru erano
arrivati a dare man forte, e ora si trovavano alle prese con tre nuovi
avversari, uno grasso, uno coi baffi e un altro bruno, un terzetto che
doveva essere sbucato all’improvviso da qualche vicolo… in un tutti contro
tutti di grande soddisfazione.
Se le stavano dando alla
grande, quando si sentì levare in urlo:
“CHE STATE FACENDO!
FERMATEVI IMMEDIATAMENTE!”
Tutti sollevarono gli
occhi verso un Kogure furente e sepolto dai pacchetti.
Ehm… la situazione
risultava un po’ difficile da spiegare.
“Non è come credi…”
mormorò Hanamichi, praticamente sdraiato sul corpo del ragazzo dagli occhi
azzurri, senza lasciargli le braccia che gli aveva bloccate contro il
pavimento.
“Ci hanno chiamati
animali” provò Minori, sperando di conquistarsi un po’ di simpatie.
“Ci hanno accusato
ingiustamente!” sottolineò Takenori, lanciando uno sguardo invelenito alle
tre ragazze, e aiutando contemporaneamente il suo robusto avversario ad
alzarsi da terra.
“MI HAI ROVINATO LA
PETTINATURA!” si lamentò Akira, guardando torvamente il tipo coi baffi.
“Coi tuoi cosciotti
potremmo ottenere due bei prosciutti…” notificò Shinichi al ragazzo grasso,
con occhio clinico.
“E tu Toru? Non hai nulla
da aggiungere?” la voce di Kogure-san era abbastanza minacciosa “Speravo
almeno in te, per tenere a freno questi teppisti!”.
“Mi dispiace…” mormorò il
ragazzo alto, sollevandosi in piedi e dando un’occhiata anche ad un giovane
dai capelli castani, rimasto al lato del marciapiede “Stavano picchiando i
miei fratelli, non potevo non intervenire”.
Kogure scosse la testa,
gli veniva quasi da piangere per la rabbia: possibile che dovessero
comportarsi sempre in maniera così irresponsabile? Non c’era differenza fra
loro e i bambini: non ragionavano, agivano d’impulso e si ficcavano sempre
nei guai.
“Filate immediatamente
nel furgone… SUBITO!” tuonò, il tono così minaccioso che i sei si rialzarono
mogi, cercando di risistemarsi:
“Scusami…” mormorò
Takenori, all’indirizzo di Uozumi, pentendosi di aver risposto al suo
attacco. Si erano trovati bene insieme, e invece quella stupida rissa aveva
rovinato tutto.
Toru sollevò lo sguardo
verso Fujima, ma dovette distoglierlo subito, vedendo il biasimo misto alla
tristezza che offuscava quei meravigliosi occhi azzurri.
Shinichi sorrise e fece
un cenno col capo all’indirizzo del campione di basket che aveva conosciuto
al campetto… campione che in risposta gonfiò le gote, per poi creare un
enorme palloncino rosa con la gomma americana.
“Bella strategia
d’attacco…” mormorò Minori all’indirizzo del Calimero, un sorriso
d’approvazione mentre si asciugava il sangue che gli colava dal labbro.
“La mia pettinatura…” si
lamentò Akira, cercando affannosamente il tubo di gel che aveva comprato
insieme a Koshino… già, Koshino…
“Fra noi non è finita,
Kitsune!” sibilò Hanamichi sul viso del ragazzo con gli occhi da volpe,
prima di abbandonare la presa e rialzarsi in piedi a malincuore.
Una volta che i sei
furono finalmente sistemati sul furgone, Kogure si avvicinò alle tre
ragazze.
Si inchinò profondamente:
“Mi dispiace moltissimo
per quello che è successo – si scusò – Non sono cattivi ragazzi, solo un po’
irrequieti” tentò poi di giustificarli.
La tipa con i capelli più
lunghi, Haruko, gli sorrise gentilmente:
“Non preoccuparti, sempai,
non abbiamo corso dei seri pericoli” e subito si impadronì del braccio
dell’avversario di Hanamichi, la kitsune dagli occhi azzurri:
“Ru, mi riaccompagneresti
a casa? Non vorrei altri brutti incontri…”
Kogure saltò al posto di
guida, mettendo velocemente in moto la macchina e allontanandosi dal gruppo
rimasto a terra.
Il rossino rabbioso
appiccicato al lunotto posteriore rendeva necessaria una ritirata
strategica!
“Che ti succede, stupido
rossino!” gli sibilò Minori, dandogli una gomitata nelle costole.
Hanamichi non rispose,
sentiva che gli era successo qualcosa di strano, quel giorno. Per un momento
guardò i fratelli: tutti quanti, per un motivo o per un altro, sembravano
presi dai propri pensieri. Non c’era più quella spensieratezza che li aveva
accompagnati nel viaggio di andata, nessuno cantava e anche Akira sembrava
avere un sorriso meno smagliante del solito.
“C’è qualcosa che non
va?” gli ripeté il gemello.
Nonostante le risse
continue, le minacce e i dispetti, loro due erano sempre stati molto legati,
più che con gli altri fratelli: probabilmente era stata la scomoda
condivisione del pancione materno, o forse il fatto di essere stati
costretti a indossare, per i primi quattro lunghi anni di vita, le stesse
tutine, oppure l’essere dovuti andare alla festa dell’asilo entrambi
mascherati da Chobin, ma comunque avevano vissuto tantissime esperienze
insieme che avevano agito da collante, che li avevano coalizzati contro il
resto del mondo. E questa situazione aveva portato tra loro ad un legame
speciale.
“Sto bene…” mormorò il
rossino, sapendo bene che l’altro non avrebbe mollato l’osso.
“Raccontane un’altra, pel
di carota!! Mica starai ancora pensando alla rissa?!” insistette infatti
Minori.
“Uh, uh” mugugnò lui, in
un certo senso desiderando affrontare l’argomento, ma allo stesso tempo
volendo avere più tempo per pensare da solo alla strana situazione in cui si
trovava.
Nonostante l’apparente
indifferenza degli altri fratelli, poi, vedeva bene tutte le altre paia di
orecchie che ruotavano come radar nella loro direzione…
“Non ti starai mica
rodendo il fegato per quella babbea che abbiamo incontrato! Non valeva
neanche lo sforzo di guardarla… non hai visto che ragana insipida che era?!”
“Ho visto…” rispose lui,
annuendo freneticamente con la testa.
“E allora?”
“Mi sono… innamorato!”
Immediatamente le
orecchie dei fratelli ruotarono nella direzione opposta:
“E’ SOLO HANAMICHI CHE SI
E’ INNAMORATO DI NUOVO!!!” esclamarono tutti insieme, tranquillizzandosi e
ricominciando a farsi i fatti propri.
“INSENSIBILI!!! Non
capite niente…” si risentì il piccolo Mitsui, profondamente offeso.
L’unico che non lo lasciò
perdere fu ancora una volta il suo gemello:
“Hai detto di esserti
accorto che la tipa non era un granché… come hai fatto a innamorartene,
allora?” gli chiese, stavolta senza nemmeno una nota di sarcasmo.
“Ma io… non mi sono
innamorato di lei!! Così sarebbe stato troppo semplice…” si lamentò il
ragazzo.
“E… allora?! Di chi
diavolo ti sei innamorato! Dannato di un rossino, piantala di prendermi in
giro o ti impicco all’albero più vicino, hai capito?!” lo minacciò l’altro,
spazientito.
Hanamichi rimase qualche
istante in silenzio: possibile che il fratello non capisse?
“Hai presente il tipo con
cui ho fatto a botte?”
“Più o meno…” rispose
Minori, distrattamente.
Il rossino lo afferrò per
il colletto:
“Come ‘più o meno’?! Non
hai notato quel ragazzo bellissimo, meraviglioso, con quella pelle candida,
i capelli neri come l’inchiostro, gli occhi profondi, le dita sottili, le
unghie perfette…”
“…e gli occhi azzurri? –
proseguì l’altro per lui – Sì, l’ho notato” replicò divertito.
“COME OSI AVERLO
NOTATO!!!! Giù le mani, bastardo!! La kitsune è mia!!!”
Minori scoppiò a ridere,
per poi allungarsi su di lui e strofinargli affettuosamente il pugno chiuso
contro i capelli corti:
“E’ bello, ma è troppo
perfetto. Non fa per me… direi che l’amico era più il mio tipo, più
intrigante. Un ragazzo da cui non saprai mai cosa aspettarti!”
Hanamichi si fermò
sbalordito:
“Ma stai parlando del
Calimero?! Di… di… UN UOMO?!” gli chiese come a cercare una smentita.
“Ohi, bello! Guarda che
la tua kitsune non era mica un minerale! Se non te ne sei reso conto, bello
o non bello, quello era tutt’altro che una donna!!!”
“Non… non osare fare
illazioni sulla mia kitsune, maledetto di un codino!”
“E tu sei sempre un
demente di rossino!!! Neanche ti sei accorto di ‘cosa’ sia l’oggetto della
tua adorazione!”
E, archiviato finalmente
il serio e pacato discorso sulle loro pene d’amore, i due ricominciarono a
darsele, e minacciarsele, di santa ragione.
Sette Basketmen per
Sette Fratelli – Fine Seconda Parte
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