Fic interamente dedicata e concepita per Ria, per festeggiare il suo compleanno, ma soprattutto per ringraziarla dell’allegria e dell’ottimismo che ci trasmette. Ho impiegato più del previsto a scriverla e so di essere colpevolmente  in ritardo, però le buone intenzioni c’erano… è mancato il tempo!

Tanti auguri, webmom!!

Un baciotto e un ringraziamento a Nausicaa e Calipso, come sempre indispensabili per il sostegno e l’aiuto che mi danno.

Un saluto particolare anche a Angie, Kira e Fra-chan, e a chiunque riterrà di aver passato dei minuti piacevoli leggendo questa storia.

I personaggi di SD non sono miei, così come non è mio il soggetto del film ‘Sette spose per sette fratelli’, che, pur completamente stravolto,  mi è stato di ispirazione.

Ultima cosa: a me piacciono tutti i personaggi di Slam Dunk, senza anche uno solo di loro questo manga bellissimo non sarebbe lo stesso. Se mi sono lasciata trasportare dall’ironia, nel descriverne alcuni, l’ho fatto con affetto.

Buona Lettura.


 

 


7 Basketmen for 7 Brothers

parte II - Un giorno di ordinaria follia

di Greta


Prima notte e già sbattuto fuori della camera da letto!! Indubbiamente quel giorno lui e Kiminobu avevano bruciato le tappe in molte cose. Troppe.

Scese lentamente le scale, cercando di farsi venire in mente qualche idea per risolvere la situazione. Quando però arrivò nel soggiorno, si accorse improvvisamente delle sei paia d’occhi fisse su di lui, e immediatamente si rese anche conto dei sorrisetti maliziosi.

Diamine! Adesso quei deficienti lo avrebbero deriso a vita…

“Che succede, Hisa-kun – cominciò Hanamichi, sogghignando – già si è accorto che sei una fregatura?”

“Oppure non vi eravate capiti bene, prima? – rincarò Minori – Magari potete fare un po’ per uno…”

 “Forse Kogure-chan ha mal di testa…” provò Takenori, scoppiando poi in una risata da far tremare i vetri.

“O forse si è accorto che quaggiù c’è qualcuno molto più affascinante…” suggerì Akira, passandosi le dita tra i capelli, e rimanendo con il braccio per aria, impossibilitato a liberare la mano dalla sostanza vischiosa che gli schermava il cranio.

“Tre secchi faceva…” contribuì Shinichi.

“STATE ZITTI! Deficienti…. – prese tempo Mitsui, cercando di far lavorare forsennatamente il cervello per trovare una via d’uscita – Kogure è perfettamente felice con me!”

“E’ per questo che ti ha cacciato dalla stanza da letto?! Bel modo di dimostrare il suo amore…” lo punzecchiò subito Hanamichi.

“Tu stai zitto, che in cinquanta ti hanno scaricato, e la camera da letto non l’avevi ancora vista neanche in fotografia!”

“CHE STAI DICENDO, SFREGIATO DEFICIENTE! Io non facevo sul serio con loro, altrimenti il tensai le avrebbe conquistate!”

“Già… già…” mormorò Akira, le dita ancora imprigionate nella capigliatura lucida.

“Comunque rimane che lui sia su, in camera da letto, e tu quaggiù… è questo il vostro concetto di intimità?” intervenne Takenori, sfoggiando un ghigno inquietante sul suo viso gorillesco.

“Adesso basta, lasciateli stare”.

La voce Toru era intervenuta decisa, del resto lui era l’unico che avesse un po’ di sale in zucca, là dentro.

Purtroppo, però, il silenzio sceso tra loro lo lasciava adesso nella necessità di dire qualcosa per spiegare cosa fosse accaduto, e Hisashi non sapeva assolutamente cosa.

“Ok, sono sceso qui sotto perché mi ha chiesto un bicchiere d’acqua!”

Bravo Hisashi, complimenti, una spiegazione di quelle che risolvono ogni problema!

Shinichi si sporse a raccogliere il bicchiere rotolato vicino al divano durante la cena, e lo immerse nel boccione del pesce rosso:

“Tiè, adesso torna su” gli disse soddisfatto, sicuro di essergli stato di grande aiuto.

“Shinichi, Akira deve aver sofferto durante il parto, ma tu già dal concepimento!”

“Concepimento?! – il fratello lo guardò sorpreso – Però… veloce la tua ragazza! Meglio di Bucaneve… quando sgrava?”

Eppure ormai doveva esserci abituato… perché si stupiva sempre quando Shinichi parlava?

Andò in cucina e prese dell’acqua pulita, poi tornò verso le scale.

“Invece di guardare, ANDATEVENE TUTTI A LETTO!” li sgridò, sperando che si togliessero dai piedi, permettendogli di uscire con dignità da quella situazione imbarazzante. Ma quelli si limitarono a restituirgli un sorriso divertito e a accomodarsi meglio sulle sedie e sul divano sfondato.

Scosse la testa, non gli restava che sperare nella clemenza di Kogure, e questo pensiero non lo rassicurava.

Salì le scale lentamente, sentendosi fisicamente tutti quegli occhi addosso. Arrivato agli ultimi gradini, si rese conto che ormai si stava trascinando come una lumaca stanca, nel vano tentativo di rimandare l’inevitabile. Si riscosse: certamente non aveva paura della reazione di un altro ragazzo, e poi lui era un uomo, e forte anche, sarebbe riuscito a risolvere tutto.

Bussò con decisione contro quella che fino al giorno prima era stata la sua stanza. Sentì distintamente la voce all’interno chiedere chi fosse. Infame! Come se Kiminobu non sapesse che era lui!

“Sono io… Hisashi. Aprimi!” rispose deciso, occhieggiando contemporaneamente i fratelli protesi ai piedi della scala.

“Che vuoi?!”

Ok, non esattamente il massimo come invito.

“Ti… ho portato l’acqua che mi avevi chiesto!” provò, sperando che l’altro gli reggesse il gioco.

Sentì dei passi avvicinarsi alla porta, poi la voce di Kiminobu sussurrare:

“Sparisci, immediatamente!”

“Come? Del succo d’arancia?! Ok, scendo a prendertelo…” ribatté a voce alta, sperando che gli altri si stufassero finalmente del gioco e se ne andassero a dormire.

Riscese quella maledetta scala per l’ennesima volta…

“Come siamo servizievoli, fratellone!”

“…perché a noi non porti delle birre?”

“…cameriere! Un hamburger al tavolo sette!”

“Proprio spiritosi! Adesso toglietevi dai piedi… siete così ansiosi di fare i pavoni con un ragazzo di città? Di solito a quest’ora ronfate come maiali stanchi!” li redarguì, ben consapevole che la migliore difesa è l’attacco.

“Guardare te è meglio del cinema!”

“Già, e questo film potremmo chiamarlo ‘Una notte in bianco ’…”

“Oppure ‘Luna di miele stregata’?”

Adesso stava cominciando ad arrabbiarsi…

“Sarà ‘La strage dei deficienti’ se non vi sbrigate a togliervi dai piedi!” tuonò. Ma la sua autorità doveva essere andata a farsi friggere da tempo, visto che gli altri sei ridevano come se avesse fatto una battuta piuttosto che una minaccia che aveva tutte le intenzioni di mettere in atto.

Hisashi raggiunse la cucina ad ampie falcate, aprì con decisione il frigorifero, e tirò fuori un tetrapak di succo di ciliegia, versandone distrattamente il contenuto in due bicchieri. Quando ripassò di fronte ai fratelli, li fulminò con un’occhiata gelida, una sfida ad osare anche solo mormorare qualcosa.

Eppure i loro tentativi di rimanere seri e soffocare le risa erano ancora più indisponenti delle prese in giro dirette.

Risalì la scala con passo deciso, facendo tremare la casa ogni volta che il piede si poggiava sull’impiantito di legno. Giunto di fronte alla porta della stanza da letto, bussò deciso, ingoiando a fatica per il timore della reazione di Kogure.

“Ho detto che mi devi lasciare solo!” si sentì rispondere.

“Ehm… Kimi-kun apri! – si voltò verso le scale, poi aggiunse a voce molto più bassa – ti prego, non lasciarmi qui fuori come un idiota!”

“Che accidenti stai bisbigliando?! Lasciami stare e vai a dormire, ho sonno!”

Accidenti! Doveva assolutamente convincerlo ad aprire quella dannata porta! Ma mai avrebbe permesso, a quello che doveva essere il suo affettuoso fidanzato, di calpestare la sua dignità: Hisashi Mitsui non si abbassava a implorare nessuno!

“Kimi-kun, sono io! – ribadì quasi urlando per l’esasperazione. Dopo un istante ricominciò, di nuovo in un sussurro – Se hai un minimo di pietà, fammi entrare… ti prego!”

Dignità, eh?! Ma mica poteva tornare di fronte ai fratelli con la coda tra le gambe…

Per qualche istante non ricevette alcuna risposta, e ormai stava perdendo ogni speranza quando sentì la chiave girare nella serratura.

La porta si aprì fino a mostrare un Kogure molto serio e accigliato, già pronto per la notte.

“Spero che almeno tu l’abbia portato, il succo di frutta” lo udì mormorare con voce carica di rimprovero.

Sapeva di avere un sorriso idiota dipinto sul volto, eppure non riuscì a cancellarlo mentre allungava la mano in cui stringeva il bicchiere colmo. Fu in quel momento che qualcosa di insolito attrasse la sua attenzione: si sporse leggermente in avanti per sincerarsi di aver visto bene…

Il suo Kimi-kun indossava un pigiama con disegnato un enorme pesce palla giallo!

“Cos’è quello?!” riuscì a trovare la voce per chiedere attonito.

L’altro sembrava non capire, ma poi, seguendo il suo dito proteso, si guardò la maglietta su cui spiccava l’orrida sogliola:

“Hai un bel coraggio a stupirti: meglio i vostri pantaloni sdruciti e gli scarponi infangati, eh?!”

Ach! Aveva sbagliato di nuovo…

Nel terrore di essere rispedito nel corridoio, cercò di cancellare lo sgomento dai propri occhi, per poi sussurrare mieloso:

“Volevo solo dire che è un disegno… bellissimo!”

“Vero? – gli rispose il compagno, improvvisamente sorridente – ne ho anche altri, tutti diversi!! Sono davvero contento che ti piaccia… magari troveremo qualcosa di adatto anche per te!”

“Sì… davvero una bella idea”.

Cosa non doveva fare per evitare la figuraccia con la marmaglia sghignazzante al piano di sotto.

Ma gliel’avrebbero pagata, e cara anche!

Si sedette sulla sedia mezzo sfondata mentre Kogure si appoggiava al piano del tavolo. Rimasero in silenzio, finché non fu proprio il quattr’occhi a parlare:

“Non stavo scherzando, non voglio che tu dorma qui dentro. Trova un sistema per salvare il tuo orgoglio, ma non ti voglio tra i piedi. Non intendo rimangiarmi la parola!”

Lui abbassò il viso, cercando di assumere la propria migliore espressione da cane bastonato:

“Come vuoi…” rispose, un tono che inteneriva anche se stesso. Poi si alzò in piedi, appoggiò il bicchiere vuoto sul tavolo, stando ben attento a sfiorare delicatamente la mano di Kogure nella manovra, e poi si diresse deciso e impavido verso la finestra, aprendola con uno scatto.

Si sporse verso l’esterno, senza far caso al richiamo del compagno, e scavalcò il davanzale.

“NOOOOOOO!!!” fu l’ultima parola che sentì…

…prima di accoccolarsi comodamente nella ramificazione del grosso acero che sfiorava la facciata della casa.

“Sei… sei… – sembrava un disco incantato, ma poi il suo Megane-kun si riprese  – MI HAI FATTO PRENDERE UN COLPO!”

Non rinunciò al proprio sguardo da cane bastonato, e invece cominciò a strofinarsi le braccia, per sottolineare il freddo che stava patendo. Doveva metterla sul patetico, non c’era altro modo.

“Hai davvero intenzione di trascorrere tutta la notte lì fuori?” gli chiese lentamente il compagno, non appena si fu un po’ calmato.

Lui annuì senza guardarlo, agitandosi invece come a cercare una posizione più comoda.

“Comunque non mi intenerisco!” la voce di Kimi-kun era però più incerta di quanto volesse apparire, mentre, appoggiato sul davanzale, guardava quello che aveva creduto essere il suo ragazzo atteggiarsi a grosso scoiattolo tra le fronde dell’albero.

Hisashi appoggiò la testa al tronco nodoso, chiudendo gli occhi:

“Torna a dormire, amore, così prendi freddo. E poi… non preoccuparti, rispetterò i tuoi desideri e rimarrò qui fuori: non è certo la prima volta”.

Ecco, sì, orgoglio e sofferenza. Cocktail perfetto!

L’altro si allontanò, spengendo la luce centrale e lasciando accesa solo la piccola lampada accanto al letto. Lo sentì sedersi sul materasso scricchiolante, e poi percepì il leggero fruscio delle coperte che venivano scostate.

Possibile che avesse il cuore così duro?! E poi davvero cominciava a far freddo, lì fuori. Per non parlare degli spunzoni del tronco che gli perforavano la schiena.

In ogni caso il suo orgoglio lo avrebbe portato a soffrire in silenzio. Quei deficienti dei fratelli non avrebbero avuto la soddisfazione di vederlo scendere di nuovo quelle dannate scale!

Anche la piccola luce si spense, e adesso rimaneva solo il lontano e pallido bagliore della luna. Akira gli aveva detto che Kiminobu era una fidanzata di carattere… beh, non aveva sbagliato del tutto, ed era la prima volta nella sua vita.

Stava cominciando ad organizzare un piano per uccidere quel gufo menagramo che si agitava sul ramo superiore, quando sentì la voce di Kogure improvvisamente vicina:

“Tu, su quel ramo… stai già dormendo?”

Eccolo, eccolo il senso di colpa!!! Lo sapeva, il suo intuito di miglior cacciatore di tacchini del Giappone non lo aveva tradito neanche questa volta!

“Vorrei solo che quest’uccellaccio del malaugurio la piantasse di urlarmi nelle orecchie…”

“Un duro come te si lascia infastidire da così poco?” lo sentì mormorare con voce falsamente ironica.

“Vorrei vedere te a dormire qui fuori, tra la scomodità e il freddo!”

“Freddo? Devo ricordarti che siamo a Maggio? Dubito che morirai”

“Intendevo il freddo che attanaglia il mio cuore ferito…” tono melodrammatico, sguardo perso nel vuoto, atteggiamento di chi porta il proprio fardello con coraggio.

Tra di loro scese un silenzio carico di pensieri profondi; lo aveva colpito, già, colpito e affondato!

“Sei davvero patetico, Hisashi Mitsui, e io lo sono ancora più di te, perché ho deciso di non lasciarti là fuori, sebbene te lo meriteresti. Vieni dentro, prima che cambi idea!”

Kogure non dovette quasi finire la frase, che lui era già sul pavimento, un bel sorriso a quarantaquattro denti bianchi e splendenti ad illuminargli il volto:

“Da che parte del letto preferisci dormire, amore?” sussurrò sporgendosi verso il compagno, pronto ad approfittare appieno della possibilità che gli era stata data.

“Piantala di fare l’idiota!”

“Ma come? Non ho ancora cominciato…” e in quel momento prese la rincorsa…

 

CCCCCRRRRRRAAAAAAAACCCCCCKKKKKKK!!!!!

“Secondo voi cos’è stato?” chiese Akira, guardando il soffitto.

“Spaccano legna, niente di meglio per il freddo” interpretò Shinichi.

“Già, aiuta anche i muscoli” riconobbe subito il porcospino, stupito di non averci pensato prima.

“Questi due non hanno un solo gene in comune con me!” stabilì Takenori, guardandoli con compatimento, poi però non riuscì a nascondere un ghigno al pensiero di come il fratello maggiore si stesse facendo valere. Buon sangue non mente…

“Hisashi è proprio uno stallone!” ridacchiò Hanamichi.

“Così si fa!” aggiunse Minori, ammiccando all’indirizzo del soffitto, dal quale filtravano rumori concitati.

“Andiamo a dormire” provò a proporre Toru, a disagio per quello che doveva star succedendo al piano superiore.

“Spaccano legna… niente di meglio contro il freddo”.

“Shinichi… TACI!!!”

 

Nonostante le rovine del letto tra le quali stava dormendo, il risveglio trovò Mitsui sorridente e soddisfatto di se stesso.

Il volo ad angelo sul vecchio mobile aveva causato il crollo della struttura tarlata, e aveva anche contribuito ad un’occhiata abbastanza accigliata di Kogure, e ai suoi successivi e accorati rimbrotti.

Però avevano dormito insieme, e tutto sommato le cose erano state più che soddisfacenti…

Un nuovo ghigno seguì questo pensiero: era stato efficace nel far sbollire la rabbia del compagno, e, una volta liberatisi dall’impiccio di quegli stupidi occhiali, la cosa aveva rasentato la perfezione… già, l’unico problema era stato il rifiuto di Kogure di liberarsi dell’orrido pigiama. Per quanto Hisashi si sentisse spesso onnipotente, non era riuscito a superare l’intralcio felposo e il pesce palla, e a conquistare l’ultima fortezza. Ma ci sarebbe riuscito presto, un guerriero come lui sentiva quando la vittoria era vicina.

Aprì gli occhi su una bella giornata assolata. Dopo essersi preso qualche istante per abituarsi alla luce, si voltò su un fianco, facendo scorrere la mano sul materasso, pronto a conquistarsi un altro po’ di divertimento.

Il letto era grande, ma era ormai sdraiato di traverso, con il braccio proteso in avanti, e ancora non aveva raggiunto la pelle morbida di Kogure. E neanche la stoffa del pigiama, se è per questo.

Riuscì con fatica a sollevare una palpebra.

Ehm… forse era il caso di sollevare anche l’altra.

Saltò immediatamente sul pavimento: sedotto e abbandonato!! Il suo Kimi-kun lo aveva lasciato solo tra le lenzuola!

Cercò affannosamente i vestiti abbandonati disordinatamente per la stanza la sera precedente, pronto a reagire all’affronto subito, quando improvvisamente lo raggiunse un profumo irresistibile di salsiccia, uova e pane caldo…

MA DOVE DIAVOLO SI ERANO NASCOSTI QUEI VESTITI?!

 

Intanto, nell’enorme stanza dall’altro lato del corridoio, si stava svolgendo una scena simile. Il profumo della colazione aveva raggiunto anche i sei ragazzi ancora semiaddormentati nei letti addossati alle pareti.

“Salsiccia!!!” urlò Hanamichi.

“Uova!!” non gli fu da meno Minori.

“Pane caldo…” aggiunse Akira sognante.

“Interiora di porco!” captò Shinichi.

“COLAZIONE CALDA!!!” urlarono tutti e sei insieme, scaraventandosi fuori dalle coperte.

“Idiota di un rossino! Dove hai messo i miei vestiti?!” dopo essersi guardato intorno per più di un minuto, dopo aver buttato le lenzuola sul pavimento, e dopo aver rovesciato il materasso, il gemello dalla coda di cavallo si portò a tre centimetri dall’altro: “Rossino maledetto! Un altro dei tuoi scherzi deficienti!!!”

“Che diavolo vai blaterando, deficiente!!” gli ribadì il fratello, soffocando uno sbadiglio.

E questo fu troppo: Minori lo afferrò per le spalle cominciando a scuoterlo violentemente.

“RIDAMMI I MIEI VESTITI!!! Tutto per appropriarti della mia colazione, subdola carota!!!”

E l’altro non fu da meno, non appena riuscì a riprendersi:

“Demente di un codino!!! – urlò aggrappandosi ai lunghi capelli mossi – io non li ho visti, i tuoi luridi stracci! Toglimi queste manacce di dosso!”

“Ehi ragazzi… anch’io non trovo i miei vestiti!” intervenne Toru, un accenno di panico nella sua voce solitamente tranquilla.

“I miei pantaloni!! Dentro c’era il gel per capelli!!” si lamentò Akira, l’appiccicosa impalcatura ormai sbilenca dopo la nottata.

“CHI HA FATTO QUESTO SCHERZO ME LA PAGHERA’!” tuonò Takenori.

“Sono stati i ladri! – esclamò Shinichi, coprendosi la biancheria consunta con il lenzuolo – Ohi! Mi hai fatto male!” aggiunse poi, al pugno in testa del fratello maggiore.

“I ladri devono essere venuti quando eri piccolo, e ti si son fregati il cervello!” gli tuonò in risposta l’uomo-gorilla.

Si sentirono dei colpi contro la porta. Mitsui, avvolto nella coperta, stava appoggiato al muro, mentre Kogure era affacciato ai piedi delle scale.

“Non troviamo i nostri vestiti!! Chi cazzo ce li ha presi… se trovo quel bastardo, lo uccido!” lo investì Minori, alzando il pugno.

“Puoi cominciare subito – gli si rivolse, dal piano inferiore, senza fare una piega, il ragazzo con gli occhiali – Ho deciso che qui le cose devono cambiare. I vostri vestiti stanno visitando la lavatrice, probabilmente per la prima volta. E voi farete lo stesso… niente colazione, niente salsicce, niente uova, niente caffè fresco se prima non vi sarete tolti tutti quegli strati di sudiciume che vi portate appresso. Forza, sotto le docce!”.

I sei fratelli portarono i loro sguardi sbalorditi sul fratello maggiore:

“MA CHE DIAVOLO STA DICENDO?!” sbottò Hanamichi, trattenuto dal saltare alla gola al nuovo arrivato solo dalla paura di rotolare per le scale con la coperta.

“Ho detto SOTTO LE DOCCE! – e stavolta la voce di quel ragazzo apparentemente così gentile, era rabbiosa – provate ad obiettare e vi prendo a mestolate, uno per uno, senza pietà. Fino a farvi urlare come i maiali con cui siete abituati a condividere la pulizia!”

“Ma… ma… COME OSA!” esclamò Akira, le mani a tenere alzati i capelli, in mancanza del famoso tubetto di gel.

“Non ci farà male darci una lavata…” provò a mediare Toru, avviandosi per primo verso il bagno.

“Non se ne parla proprio!! Io non sono una donna che si deve imbellettare!” sbottò Minori, serrando i pugni.

“L’uomo ha da puzzà…” chiarì meglio Shinichi.

“Giusto!” si aggregò Hanamichi, dopo un primo momento di perplessità.

“ANDATE IMMEDIATAMENTE A FARVI IL BAGNO!!!”

I sette si misero immediatamente in fila per raggiungere le docce. Il timido quattr’occhi sapeva essere minaccioso quando voleva, soprattutto quando brandiva minacciosamente il coltello della carne. E i ragazzi di città avevano fama di essere delicati e gentili!

Finalmente erano tutti pronti, scesero le scale in fila, avvolti negli asciugamani, guardando il lungo filo steso in giardino dal quale pendevano i loro vestiti rappezzati.

Si disposero mogiamente intorno al tavolo, un po’ imbarazzati per trovarsi seminudi di fronte ad un estraneo. Almeno per sei di loro il problema era questo; per il settimo, la mancanza di vestiti portava altre difficoltà…

Quando Akira si protese con tutto il busto sul tavolo per afferrare il cestino del pane, una cucchiaiata sulle dita lo fece ritrarre con un lamento:

“Ahio! Mi ha fatto male!!” piagnucolò all’indirizzo di Hisashi, che era invece ben contento che la punizione di Kimi-kun non fosse toccata a lui.

“Non tollero altre scene come quelle di ieri sera – comunicò Kogure – adesso mangerete con educazione, altrimenti butterò tutto quello che vi ho cucinato nelle mangiatoie dei maiali. Sono stato chiaro?”

“Piggy non mangia le uova e il caffè…”.

Ormai neanche il nuovo arrivato dava più peso alle parole del terzogenito della famiglia Mitsui, e infatti si limitò ad uno sguardo gelido.

Spirito d’adattamento viene chiamato.

“Puoi passarmi le salsicce, Hana?” chiese Toru, stringendosi nell’asciugamano umido.

“Con piacere, spilungone…” mormorò il rossino tra i denti, rivolgendo uno sguardo assassino al gemello, pronto a sgozzarlo al primo cenno di derisione. Ma anche il codino stava a testa bassa, aspettando il proprio turno per il caffè, che Kogure stava servendo ad ognuno di loro.

Takenori tentò di allungare una mano verso le uova lasciate incustodite da Akira, troppo preso ad osservare le posate e a chiedersi cosa dovesse farsene, quando la presa ferma di Hisashi sul suo polso lo costrinse immediatamente a desistere.

Era incredibile vederli così tranquilli e silenziosi. Niente resti di cibo sulle pareti e sul pavimento, niente urla… Kiminobu si rilassò contro lo schienale della sedia, l’espressione soddisfatta di una mamma chioccia di fronte alla sua nidiata.

Terminata la colazione, i sette andarono a prepararsi, gli abiti finalmente asciutti e freschi di bucato.

Kogure li osservò sparire ordinatamente dietro le porte al piano superiore: scosse la testa, aveva raggiunto un primo risultato, ma la strada appariva ancora lunga. Raccolse i piatti e sistemò la tavola. Riempì poi il lavello della cucina, e cominciò a ripulire tutto quello che era servito per la colazione.

Fece un balzo in avanti, quando sentì due braccia muscolose avvolgergli la vita. Dopo il primo istante di terrore, voltò leggermente la testa, sapendo bene chi si sarebbe trovato di fronte.

“Grazie Kimi-kun… e non solo per la colazione” gli mormorò Hisashi, poggiandogli le labbra sul collo.

“Era ora che qualcuno vi  insegnasse un po’ di educazione” ribadì lui, continuando ad insaponare la tazza che aveva in mano.

“Ma ora ci sei tu…”

Il tono ironico dello sfregiato era molto evidente, ma lui gli piantò lo stesso una gomitata tra le costole:

“Comincio a pensare che Anzai-sensei avesse ragione, ho fatto davvero un colpo di testa” mormorò tra i denti.

Si sentì afferrare per le spalle e ruotare con decisione, fino a trovarsi di fronte a Mitsui. Non fece in tempo a protestare, che l’altro lo assalì con un bacio deciso e passionale, che lo lasciò ansimante e incapace di tenersi in piedi da solo.

“Non provare mai più a dire una cosa del genere – e stavolta il tono del compagno era terribilmente serio – se tu pensassi davvero una cosa del genere, significherebbe che non sono riuscito a farti capire quanto io abbia bisogno di te”.

Lui rimase in silenzio. C’erano diversi sentimenti che si agitavano dentro di lui, e l’essersi sentito tradito la sera precedente, pur non essendo il più forte, era ancora lì, perseverante come tutte le paure. Sollevò una mano fino a sfiorare con le dita il viso perfettamente rasato dell’altro:

“Prendiamoci del tempo” rispose alla fine, voltandosi di nuovo verso il lavello per terminare il lavoro che stava facendo.

Quando ebbe terminato, si preparò per uscire: si era accorto che in cucina mancavano molte cose, cose che i sette fratelli evidentemente non ritenevano fondamentali, ma che lui doveva assolutamente andare a prendere in città.

Avrebbe preso il furgone e sarebbe passato al centro commerciale. Fra l’altro, possibile che nessuno dei Mitsui possedesse un cambio di vestiti? E i pigiami? Quando era entrato per prendere gli abiti da lavare, si era accorto che dormivano tutti con la sola biancheria addosso. Qualcosa di assolutamente incredibile!

Cercò Hisashi, trovandolo nella falegnameria insieme ai gemelli.

“Mi servono le chiavi del furgone per andare in città – esordì – mancano delle provviste per la casa”.

Si accorse immediatamente del mutamento dell’espressione dell’altro; sembrava accigliato e deluso.

“Ho detto che servono delle provviste, riuscirò a tornare per il primo pomeriggio” ripeté, allungando una mano fino a sfiorare delicatamente quella del primogenito della famiglia Mitsui.

“Non abbiamo preso ieri tutto il necessario?” fu la risposta ancora un po’ risentita.

Lui scosse la testa:

“Hai preso solo roba per la fattoria, non per la casa. Ti ho detto che tornerò presto”.

“Avrai bisogno di aiuto. Vuoi portare qualcuno con te?” si arrese stancamente Hisashi.

“ANDRA’ IL TENSAI!!! Solo la mia forza prodigiosa, il mio eroico coraggio, la mia intelligenza sopraffina consentiranno al tuo tesorino di tornare a casa!!! Sìììììì!!! Il Tensai alla conquista della città… TA DAAAAA!!!!” urlò subito il rossino.

“Ecco… - cominciò Kogure sconvolto – forse potrei farcela da solo…”

L’idea di andare in giro con quel terremoto umano non gli sorrideva più di tanto.

“No, è meglio che ti faccia accompagnare. E poi se devi comprare molte cose, avrai bisogno di qualcuno per caricare il furgone”.

In quel momento passò Minori.

“Ehi, codino spelacchiato! Il tensai va in città con Kimi-san, e tu rimani qui a marcire!! Pappappero, pappappò… il tensai il codino fregò!”

“Tu in città?! Hisashi!!!! Allora ci vado anch’io, non è giusto che MALEDETTO DI UN ROSSINO faccia qualcosa che io non posso fare!!!”

“Serve solo per aiutare Kogure, tu invece devi finire di rimettere a posto la palizzata!” gli ribadì il fratello maggiore.

“LO FARO’ DOPO!!”

Da questa conversazione potrebbe sembrare che Minori fosse a cento metri dal gruppetto, e invece solo una trentina di centimetri li divideva. Che fossero tutti sordi?

“Te la senti di portarti anche Minori? E’ parecchio che non vanno in città… gli farà bene vedere un ambiente diverso” mormorò Hisashi, cercando di mediare.

“Nessun problema” rispose Kogure, sudando freddo.

Rientrò in casa per prendere la lista che aveva buttato giù e i soldi della cassa comune che Mitsui gli aveva detto di usare. Quando raggiunse il furgone, però, si fermò, incapace di proseguire di un solo passo…

“Abbiamo deciso che siamo TUTTI necessari, per salvaguardare la tua virtù” gli urlò Hanamichi, un bel sorriso soddisfatto stampato sul volto.

E infatti il mezzo mostrava, affacciati ai vari finestrini, sei visi soddisfatti e sorridenti. I fratelli Mitsui, a parte Hisashi, si erano già stipati sui sedili, accorsi immediatamente a suo sostegno per la pericolosa missione nelle terre civilizzate.

Kogure deglutì a fatica. Oddio… oddio… oddio…

“Eh, sì, in un giorno ti sei già dimostrato difficile da tenere a bada” aggiunse Takenori, dando con l’occasione un pugno sulla testa dei gemelli. Non perché ce ne fosse un motivo, più che altro a scopo preventivo.

“E poi io ho bisogno del gel…” mormorò Akira, dalla sua posizione assurda con la testa rovesciata verso il basso, in modo che la forza di gravità compisse il lavoro fino a quel giorno proprio della sostanza gommosa.

“Servono gli antibiotici per il puledro” aggiunse Toru, quasi a scusarsi.

“E un nuovo secchio per le vacche” concluse pelle-gialla.

“Shinichi ha scoperto che se usa un secchio più piccolo, Milly ne riempirà di nuovo tre…” spiegò Akira, battendo con approvazione sulla spalla del fratello, orgoglioso del suo ingegno.

“Molto astuto…” convenne Kiminobu, sostenendosi con un braccio al cofano del furgone. Respirò profondamente e decise che doveva trovare il coraggio di cominciare quel viaggio. Tre sé e sé si ripeteva che sarebbero arrivati, avrebbero comprato le cose necessarie e sarebbero tornati. Un lasso di tempo troppo breve perché accadesse qualcosa di irreparabile. Ecco, doveva pensare così, solo in questo modo poteva trovare il coraggio di salire in macchina.

Il viaggio trascorse abbastanza tranquillo, se si fa eccezione per le canzoni di montagna cantate a squarciagola, per i commenti sempre acuti di Akira e Shinichi, e per i dispetti che si scambiavano i due gemelli.

Quando fecero ingresso in città, a Kogure sembrava che presto i suoi capelli castani avrebbero raggiunto il candore di quelli di Anzai-sensei, bisognava solo trascorrere più tempo con la famiglia Mitsui e la trasformazione sarebbe stata automatica.

Parcheggiarono di fronte al centro commerciale. La struttura era imponente, e le vetrine colorate e vivaci sembravano irresistibili per tutti i ragazzi.

C’era molta gente in giro per lo shopping, del resto era sabato mattina, e con gli uffici e le scuole chiuse era il giorno ideale per rilassarsi con una bella passeggiata tra le vetrine.

Scendendo dal furgone, Kogure chiamò i sei fratelli a raccolta:

“Adesso possiamo anche dividerci, in modo che ognuno di voi possa soddisfare le necessità che hanno ritenuto indispensabile che mi accompagnaste… ma MI RACCOMANDO – e sottolineò il concetto con un’occhiataccia – comportatevi da gentiluomini, capito?”

I sei annuirono entusiasticamente, e il ragazzo capì immediatamente che non avevano afferrato una sola parola del suo discorso.

“Allora ci rivediamo tra un paio d’ore di fronte a quel fast food, siate puntuali… e non fatemi vergognare di voi”.

Parole al vento, quello che era rimasto dopo la loro fuga in tutte le direzioni.

Scosse la testa, e cominciò a pregare che tutto andasse bene, prima di entrare nei grandi magazzini per cercare nuovi utensili per la cucina.

 

Akira Mitsui cominciò a vagare tra i negozi, cercando di individuare una profumeria in cui comprare una confezione gigante di gel per capelli. L’idea che la sua meravigliosa acconciatura fosse stata rovinata dall’iniziativa di Kogure-san di infilare i vestiti in lavatrice senza controllare cosa ci fosse dentro, lo faceva andare in bestia! Molti bambini adorano i cuccioli, oppure il cavalluccio di legno, o il peluche preferito senza il quale non riescono ad addormentarsi. Beh, a lui i pupazzi non erano mai piaciuti, ma non aveva mai potuto affrontare una giornata senza il rito della sistemazione dei capelli. L’odore della gelatina gli era confortevole come quello del pane caldo, e altrettanto indispensabile.

Ah, era arrivato! Ecco una profumeria!!!

Entrò deciso, felice di aver trovato finalmente la soluzione ai suoi patemi.

“Posso aiutarla? Le serve qualcosa?” gli si rivolse il giovane commesso.

“Non sarei qui, altrimenti, non ti pare?” rispose lui, stupito dalla scarsa intelligenza del ragazzo.

“Senti… vedi di non farmi perdere tempo. Se cerchi qualcosa, dimmelo e lasciami lavorare. Altrimenti… smamma!”

Acidooo! Vabbé, meglio sbrigarsi, poi doveva solo trovare un bagno per sistemarsi la capigliatura: quel miscuglio di acqua e farina che aveva usato la mattina non avrebbe retto ancora a lungo.

“Mi serve un gel” ordinò, cercando di mantenersi calmo. Così vicino all’obiettivo, non riusciva a sopportare nuovi ostacoli.

“Sii più specifico: antitartaro, coagulante, per le unghie, per gli occhi, per acconciature…” cominciò a snocciolare stancamente il tipo dietro il bancone.

“Per acconciature” specificò lui, pronto ad aggrapparsi alla definizione appena sentita.

L’altro sollevò lo sguardo:

“E’ per una esibizione?” domandò scettico.

Che diavolo cambiava?

“No, per tutti i giorni…”

L’altro scosse la testa, come se si trovasse davanti ad un idiota.

“Di che taglia è?” chiese.

Che significava ‘di che taglia è’?! Di cosa diavolo stava parlando?!

“Scusa?” prese tempo.

“Di che taglia è il tuo animale!” spiegò il ragazzo.

Akira si strangolò inghiottendo. Il… il suo ANIMALE?!

“Non credo siano affari tuoi – mormorò arrossendo – comunque… - continuò con tono cospiratorio, e indicando con l’indice le proprie parti basse –  il mio Bobby è una pertica!”

AHIO!!!! Perché quel disgraziato gli aveva dato uno schiaffo in faccia??!!!

“Che diavolo dici, maniaco!!” gli sibilò il commesso, avvampando.

“Ma… sei stato tu a chiedere!!! – provò a difendersi lui. Era proprio strano quel tale… eppure non riusciva a trovarlo antipatico, gli piaceva la sua scontrosità – sei stato tu a cominciare a parlare del mio animale!” proseguì, imbronciandosi.

“Ma… MA CHE HAI CAPITO!! Pensavo all’animale per cui ti serviva il gel! Non ti sei accorto che sei in un pet-shop, oppure sei totalmente deficiente?!”

Un pet-shop? Akira sorrise interdetto, poi un lumicino stento si accese nel suo cervello… sì, ora era tutto più chiaro:

“Pensavo fosse una profumeria – sussurrò – le spazzole… le boccette… E poi tu mi hai detto che avevi il gel!”

“Non sai che si usa per intrecciare le criniere dei cavalli, nelle esibizioni? – il ragazzo scosse la testa, accigliato – che ne sapevo che neanche sai leggere le insegne?!”

“KOSHINO!” urlò una donna anziana da dietro l’altro banco.

“Sì, Matsui-san” rispose il commesso, immediatamente più servizievole.

“E’ tanto che stai lavorando… prenditi una pausa. Vai con il tuo amico a prendere un sandwich” suggerì la donna, sorridendo.

“LUI NON E’…”

Ma la voce alterata del ragazzo fu immediatamente sovrastata da quella di Akira:

“Grazie signora, approfitteremo per mangiare qualcosa” disse, sorridendo e inchinandosi leggermente. Poi afferrò la mano del commesso, trascinandoselo all’aria aperta.

“Lasciami! Voglio sapere che ti dia il diritto…”

“Smettila di ringhiare, sembri il vecchio Blackie… abbaiava e ringhiava, ma poi non mordeva mai! Strano cane da guardia…” terminò pensoso.

“Non me ne frega niente della storia dei tuoi sacchi di pulci. Voglio un panino, quindi vedi di lasciarmi in pace, e vattene per i fatti tuoi!”

“No, ho bisogno che mi aiuti a trovare una profumeria…”

Koshino lo guardò rabbioso, poi, improvvisamente, sul suo viso comparve il primo sorriso divertito:

“Il famoso gel, eh?!”

“Esatto. Non riesco a muovermi in tutta questa confusione!”

Il ragazzo di città scosse la testa e scrollò le spalle, ma poi i due cominciarono a camminare sul marciapiede affollato.

 

Nel frattempo, in un altro angolo del centro commerciale, Takenori Mitsui stava cercando un posto in cui placare la propria fame. Nonostante la lauta colazione preparata quella mattina da Kogure-san, aveva voglia di mangiare del pesce, una pietanza difficile da reperire lassù in montagna.

Non appena vide un piccolo ristorante che gli ispirò fiducia, il ragazzo entrò, pregustando un bel pranzetto tradizionale.

Si sedette ad un tavolo d’angolo, afferrando il menu.

Si prese il mento fra le mani: sembrava che ci fossero parecchie specialità diverse, e lui era piuttosto incerto. Non era una situazione abituale per lui, visto che a casa andavano avanti con la carne e le verdure che coltivavano nei campi, il tutto sbattuto in padella, senza troppa cura. Del resto, cosa aspettarsi quando gli addetti ai fornelli erano gli orridi gemelli?

Fece un cenno alla giovane cameriera e comunicò la propria ordinazione, afferrando contemporaneamente il giornale appoggiato sulla panca, per darsi un contegno.

Quando fu di nuovo solo, sfogliò velocemente quelle pagine fitte, fino a fermarsi al supplemento sportivo… ah, ai suoi tempi era stato un grande atleta, nel lancio dell’accetta non aveva mai avuto rivali, rimembrò soddisfatto.

Cominciò a divorare la zuppa di pesce, e poi il sushi e le verdure rosolate. I molluschi fritti erano deliziosi, e il sushi inarrivabile. Davvero una delizia per il suo stomaco abituato a bistecche e patate!

Al terzo bis, la cameriera gli si fermò accanto più a lungo:

“E’ davvero un grande piacere avere dei clienti come lei! Con questa mania delle diete e del cibo leggero, tutti sembrano tanti uccellini; la gente becchetta, invece di mangiare!”

Takenori sorrise, mostrando pezzi di alga infilati tra i denti candidi:

“Vanno tutti troppo di fretta – convenne addentando l’aragosta – e nessuno sa più godersi i sani piaceri della tavola” concluse con tono da uomo vissuto.

La ragazza annuì soddisfatta, e poi propose la scelta dei dolci per concludere il pasto.

Il secondogenito della famiglia Mitsui era nel bel mezzo di una visita odontoiatrica, stuzzicadenti alla mano, quando vide avanzare verso il proprio tavolo un ragazzo altissimo, robusto, con corti capelli scuri e un’espressione tesa.

Si stupì nel vederlo fermarsi accanto alla sua sedia, e poggiare sul tavolo un piatto coperto:

“Il dolce, offerta della casa”.

Tolse il coperchio, e un trionfo di cioccolato e creme si manifestò in tutto il proprio splendore.

Takenori sollevò lo sguardo, stupito:

“Non… capisco!” mormorò rivolto al ragazzone che gli era rimasto accanto, quasi a voler studiare la sua reazione.

“Non è frequente avere clienti come lei. Io sono il cuoco, qui, e già dal suo ordine avevo già capito di trovarmi di fronte ad una persona di classe. Questo è un mio personale omaggio a qualcuno che sa apprezzare i piaceri della buona tavola”.

Gli occhi del gorilla si illuminarono: finalmente una persona in grado di comprendere a prima vista  il suo valore, ben nascosto sotto la scorza da uomo duro! Si rilassò contro lo schienale della sedia e sorrise con finta modestia, scuotendo contemporaneamente la testa:

“Ora mi sta adulando… - poi divise il dolce su due piattini – mi faccia compagnia, ormai il ristorante è semivuoto”.

Il cuoco si sedette sulla sedia di fronte, appoggiando l’alto cappello su un angolo del tavolo:

“E’ una nuova ricetta, spero le piaccia: sicuramente non è un dolce leggero, ma… lei ha un fisico atletico, non credo avrà problemi a smaltirlo”.

A quel punto il giovane Mitsui si rese conto che qualcosa era stonato tra loro. Estraendosi l’ultimo stuzzicadenti dai molari, sorrise al nuovo amico:

“Dobbiamo avere più o meno la stessa età, che ne dici di darci del tu? Io mi chiamo Takenori Mitsui” mormorò infilandosi in bocca il primo cucchiaino di dolce, senza staccare gli occhi da quelli profondi e caldi del ragazzo di fronte.

E l’altro annuì:

“E io sono Jun… Jun Uozumi”.

 

Shinichi avanzava sul marciapiede, ondeggiando il piccolo secchio di metallo che aveva comprato dal ferramenta. Aveva un bel sorriso soddisfatto stampato sul volto: era da vedere, adesso, cosa avrebbe escogitato quella vecchia megera di Milly per non rispettare i suoi doveri! Abbassò lo sguardo sul nuovo acquisto: a tre sarebbe tornata di sicuro, forse anche quattro! Hisashi sarebbe stato contento della sua idea per aumentare la produzione di latte!

E adesso doveva solo aspettare l’ora per rivedere gli altri…

Non gli era mai piaciuto troppo scendere in città, ma aveva deciso di unirsi ai fratelli perché voleva capire cosa ci trovassero di tanto entusiasmante, ma poi si erano tutti divisi, e lui si era ritrovato solo.

Scrollò le spalle, si sarebbe diretto verso il parco. Prima però, si fermò davanti ad un negozio di giornali: lesse lentamente i titoli per vedere se ci fosse qualcosa all’altezza della sua erudizione. Il suo sguardo indugiò su ‘Beauty Farm’… chissà, poteva essere qualcosa di utile per la fattoria!

Afferrò la rivista con decisione, e cominciò a sfogliarla. Sollevò un sopracciglio… strane fattorie facevano la propria fortuna in Giappone!!

Scoppiò a ridere quando vide l’immagine di un corpo flaccido ricoperto di fango e alghe, e poi nel vedere pubblicizzate scarne radici dai poteri miracolosi… ma dov’erano mucche e galline?

Quando risistemò il giornale sul suo sostegno, si accorse di un gruppo di ragazzine che lo guardavano ridacchiando. Rivolse loro uno dei suoi famosi sguardi ammaliatori, quelli che convincevano Piggy a sollevare estasiata dal trogolo il grosso muso sporco di farinata, e infatti le ragazze, dopo un momento di romantico rapimento, scapparono timide in mezzo a mille urletti: era sempre stato noto il suo essere il rubacuori della famiglia!

Continuò a camminare, respirando profondamente l’aria fresca e ricca di smog, poi entrò nel grande parco cittadino.

Con passo deciso, si diresse verso una panchina libera affacciata sul campetto di basket, sbuffando perché due mummie con nipoti al seguito gli impedivano di occupare quella in prima fila sul campo di bocce. Vabbè, per una volta avrebbe sofferto in silenzio.

Appoggiò il secchio lucente accanto a sé, e poi cominciò a guardarsi attorno.

Nel parco c’era parecchia gente, del resto era l’unico luogo in città in cui fosse presente un po’ di verde: gruppi di ragazzi organizzavano picnic sotto gli alberi, famiglie con carrozzine al seguito occupavano i tavoli di legno messi a disposizione dalla struttura pubblica, e nei vialetti c’erano parecchie persone che facevano jogging.

Ahhh, si poteva riposare, per poi raggiungere gli altri! Indossò gli occhiali da sole gialli, quelli che facevano pendant con la sua carnagione, e lasciò vagare lo sguardo sui due ragazzi che giocavano nel campetto di basket. La sua attenzione, inizialmente poco concentrata, andò via via ravvivandosi. Sembravano bravi, riuscivano a saltare con facilità e ad insaccare colpi spettacolari. Quello più alto, magrissimo e dalla pelle chiara, era visibilmente più abile dell’avversario, nei tiri da lontano, ma quest’ultimo sfoderava un agonismo che lasciava estasiati…

Dopo un canestro in seguito al quale il ragazzo dai capelli lunghi era rimasto appeso all’anello di ferro, lo sentì urlare:

“IO SONO NOBUNAGA KIYOTA, IL MIGLIOR REALIZZATORE DELLA PREFETTURA!!!”

Ma allora… allora si trovava davvero davanti ad una star! Ebbe quasi la tentazione di battergli le mani, ma decise di continuare a seguire lo scontro fino all’ovvia conclusione.

In un certo qual modo, questo tipo gli ricordava il fratello Hanamichi, ma in lui riusciva anche a vedere una eleganza e una grazia difficili da scorgere nel gemello dai capelli rossi.

“Ehi, te!” si sentì apostrofare proprio dall’oggetto dei propri pensieri. Portò lo sguardo in quello del ragazzo, mantenendo il suo famoso sorriso ammaliatore e aspettando il seguito della frase.

“MA CHE CAZZO TE RIDI!!” proseguì l’altro, poggiandosi le mani sui fianchi.

Lui non cambiò espressione, si limitò a scuotere la testa con nonchalance, e quello gli voltò immediatamente le spalle, mormorando qualcosa al compagno rachitico.

Aveva già fatto colpo, come sempre!!

Aspettò la fine dell’incontro, che stranamente sembrava essersi risolto in favore del tipo con gli occhi enormi, poi si sollevò in piedi, stiracchiandosi, deciso a saperne di più su quel concentrato di vitalità che aveva incrociato il suo cammino in modo tanto casuale da sembrare prestabilito da qualche divinità nascosta.

Li seguì con discrezione fino all’uscita del parco, e fu a questo punto che Raperonzolo si voltò nuovamente, sfoderando quell’aria accigliata da ragazzo timido e ritroso:

“Si può sapere che vuoi?! Non sarai mica una spia di uno dei nostri avversari! – lo squadrò da capo a piedi, sollevando un sopracciglio con una smorfia ironica – Perché ovviamente tu non giochi a basket… o forse sei negli OVER 50?!” e scoppiò in una risata franca, contagiosa.

Anche Shinichi rise: non aveva ben capito cosa l’altro avesse detto, ma sentiva che il seme gettato dallo sguardo tenebroso, che aveva mantenuto per tutto il tempo, sarebbe presto germogliato… del resto, di semine e raccolti lui se ne intendeva!

 

Toru Mitsui entrò nella più grande libreria del Centro Commerciale. Quando riusciva ad andare in città, approfittava sempre per farvi un salto, in modo da arricchire la propria raccolta di libri di veterinaria. Da quando aveva quindici anni, in famiglia era sempre stato lui ad occuparsi degli animali malati, e pian piano si era costruito un buon bagaglio di esperienza.

Si guardò intorno, individuando immediatamente l’angolo che gli interessava, e cominciò a sfogliare un volume dopo l’altro. A volte gli dispiaceva non aver potuto iscriversi all’Università, dopo il diploma, ma era un pensiero che non lo faceva star male: sapeva che tutti loro erano indispensabili per portare avanti la fattoria. Tutto sommato, poi, seppur carente di una preparazione accademica, ne aveva maturata abbastanza direttamente sul campo: la nascita del puledro di Bucaneve, il pomeriggio precedente, era stata tutt’altro che uno scherzo. Un parto podalico, la cosa peggiore che si potesse presentare, con la possibilità che gli zoccoli del nascituro ferissero la madre nello sforzo di uscire.

Sorrise, Bucaneve era sempre stata una cavalla docile, aveva lavorato parecchio e si era guadagnata ogni razione d’avena. Vederla ripulire il suo puledro, dopo il parto, spingerlo con il muso, aiutarlo a mettersi in piedi, era stato bellissimo. C’erano fattrici che respingevano i figli, Bucaneve no, e con la sua età, probabilmente quello sarebbe stato il suo ultimo parto.

I cavalli erano i suoi animali preferiti, proprio per questo si diresse verso la sezione Animali d’Allevamento… spesso gli sembrava di trascurare gli altri, nei suoi studi. Sul piccolo tavolino rotondo con le ultime novità scorse un bel volume sui parassiti degli ovini. Oddio, non uno degli argomenti più avvincenti del mondo, però, considerando le infestazioni che avevano colpito altri allevamenti negli ultimi anni, era forse il caso di dargli un’occhiata.

Allungò distrattamente il braccio per afferrare il volume in cima alla pila quando si accorse che un’altra mano si era posata sullo stesso esemplare. Sollevò la testa sorpreso, ma pronto ad allentare la stretta, quando incontrò i più meravigliosi occhi azzurri che avesse mai visto. Per un momento rimase senza parole, e non solo per gli occhi… il ragazzo che aveva di fronte non si poteva descrivere se non come bellissimo: capelli castani, corti, alto ma non altissimo, magro, il viso perfetto, pulito, regolarissimo come raramente se ne vedevano anche al cinema.

Ritirò la mano come scottato, e tentò un sorriso imbarazzato:

“Scusami…” mormorò, con la non troppo vaga impressione di stare avvampando.

“No, scusa tu…” mormorò l’altro, una voce morbida, gentile.

Rimasero entrambi fermi come deficienti, mentre il libro che li aveva uniti giaceva ancora sul tavolo basso.

A questo punto Toru ne afferrò due copie, porgendone una al ragazzo:

“In questo modo siamo entrambi a posto…” mormorò, cercando di apparire disinvolto.

Cominciarono a sfogliare i due volumi uguali, spalla contro spalla.

Poteva essere un romanzo di avventura, per quel che riusciva a capire il quartogenito della famiglia Mitsui. Non riusciva a concentrarsi nemmeno sulle figure, visto che i suoi occhi tendevano a divagare, sbirciando in continuazione le mani sottili del vicino.

“Studi veterinaria anche tu?”

Toru si guardò intorno, voltandosi freneticamente a destra e a sinistra… oddio, sembrava proprio che il ragazzo stesse parlando con lui!

“Ecco… no, non studio veterinaria. Abbiamo una fattoria, su in montagna, e…”

“Ho capito – lo interruppe l’altro, sorridendo – ti sei costruito una esperienza diretta!”

Anche lui sorrise, contagiato dalla meravigliosa espressione del vicino:

“Sto cercando di farlo” mormorò lentamente.

L’altro si appoggiò con le spalle all’alto scaffale di legno:

“Non hai certamente scelto la strada più facile. Io ho quasi terminato l’Università, e non credo che avrò mai a che fare con grandi allevamenti. In città si finisce per essere relegati a cani, gatti, criceti e pesci rossi!”

Toru rise in risposta alla risata dell’altro: temeva di sembrare sciocco, ma gli sembrava davvero complesso effettuare un’operazione chirurgica su un pesce, a meno che non fosse propedeutica all’ultimo viaggio verso la padella.

Rimasero entrambi in silenzio, giocando con il volume che tenevano tra le mani, e fu il compagno il primo a dire qualcosa:

“Hai deciso di prenderlo, il libro?” gli aveva chiesto, alla fine.

O la va o la spacca…

“Solo se me lo consigli…”

Oddio, una frase da filmetto romantico da arena estiva… ma non gli era venuto in mente di meglio.

“Avete un allevamento di pecore, su in montagna?” gli replicò l’altro.

“Sì… shetland, scelte da mia madre” rispose lui, un tono di orgoglio nella voce.

“Allora prendilo, potrà esserti utile. Conosco l’autore, insegna alla mia Università. Se non dovesse piacerti, ti prometto che ti accompagnerò da lui per dirgliene quattro!”

Aveva parlato con tono serio, ma stava evidentemente facendo uno sforzo per non ridere… a Toru quel ragazzo piaceva ogni istante di più.

“Affare fatto!” accettò, sciogliendo, con la propria risata, anche quella del compagno.

“Senti… fa caldo, ti andrebbe di andarci a prendere un tè freddo?” propose poi, mantenendosi sullo stesso livello di intraprendenza di prima. Per un momento gli sembrò di leggere un lampo di incertezza negli occhi azzurri dell’altro, e allora si affrettò a fare marcia indietro:

“Scusami… magari non sei neanche da solo” provò.

Ma l’altro sorrise:

“Effettivamente sono con un mio compagno di corso – e con un cenno della testa indicò un ragazzo alto, la cui capigliatura somigliava in modo abbastanza sospetto a quella di Akira – ma mi basta avvertirlo. A proposito – si interruppe tendendogli la mano – io sono Kenji Fujima”.

“Toru Mitsui” riuscì a mormorare lui, ricambiando quasi con reverenza il tocco morbido di quelle dita.

Mentre Fujima si allontanava per avvertire l’amico, Toru andò a pagare il libro.

Poco dopo uscirono insieme dalla libreria.

 

I due gemelli Mitsui stavano litigando, praticamente ancora fermi di fronte ai Grandi Magazzini in cui era entrato Kogure.

“Ti ho detto che se andiamo a destra è meglio… sono sicuro che incontreremo un sacco di ragazze!” tuonava Hanamichi.

“Se andiamo a sinistra, becchiamo sia le ragazze, sia il chiosco di ramen!! E poi, te l’ho detto mille volte, tu devi camminare dietro di me, così, se non ti vedono subito, forse abbiamo qualche possibilità!” gli ribatteva Minori.

“Già, abbiamo il divo di Hollywood! MA TI SEI MAI VISTO? BRUTTO CODINO, ORRIDO E SPELACCHIATO!!!”

“MALEDETTO DI UN ROSSINO!!! Anello di congiunzione tra la scimmia e il barbagianni!”

E così, scambiandosi questi ameni complimenti, i due continuavano a stare fermi esattamente davanti al furgone che li aveva portati in città.

Ma, come si dice, se Maometto non va alla montagna… e infatti, in quel momento, sul marciapiede di fronte ai Grandi Magazzini passarono tre ragazze. Dovevano essere in giro per lo shopping del fine settimana, almeno a valutare dalla quantità di pacchetti che stringevano nelle mani.

“VEDI CHE IL TENSAI AVEVA RAGIONE?” urlò il rossino, direttamente nell’orecchio del gemello.

“DEFICIENTE! Non ci siamo mossi di un passo, mentre tu avevi detto di andare a destra!”

“Tsk, tsk, inutili particolari… il grande genio sapeva che questo era il posto migliore! E adesso… PARTE LA CACCIA!!!” urlò, lanciandosi all’inseguimento del trio.

Gli ultimogeniti della famiglia Mitsui si misero rapidamente alle costole delle ragazze. In realtà non è che fossero esattamente delle fate, anzi, però rispondevano ad alcuni requisiti fondamentali: genere femminile, monocefale, due gambe, due braccia, due occhi… cosa importava il mezzo cervello?

“MA SEI SICURO?! Secondo me Piggy gli dà le piste a queste scrofe!” notò con delicatezza Minori.

“C’è da vergognarsi ad andare in giro con te!” gli replicò il rossino, ancora una volta pentendosi di non essere mai riuscito ad ordinare i prodigiosi occhiali che permettevano di vedere attraverso i vestiti, quelli pubblicizzati nell’ultima pagina della guida al bird-watching dal tipo con la lingua di fuori. Sarebbero stati davvero utili, in quel frangente!

“Devo forse ricordarti che non ci sei riuscito neanche con la nipote della vecchia Kozumi?” gli ricordò Minori, esibendo un sorrisetto sarcastico.

“QUELLA ASSOMIGLIAVA A MILLY!” protestò Hanamichi. Insomma, pure lui aveva degli standard sotto i quali non riusciva ad andare!

“Appunto, e neanche quella ti s’è preso… pensa come stai!” gli replicò l’altro, soddisfatto del proprio sadismo.

“Sei un codino morto, stupido deficiente!! Di te rimarrà solo lo scalpo! – ribatté pronto il rossino, deciso però a rimandare la resa dei conti a conquista avvenuta, e infatti dopo poco proseguì, più calmo – tu quale preferisci?” accennando contemporaneamente con la testa al terzetto, che continuava a chiacchierare e ridere animatamente.

“Le tre racchie te le puoi gustare tutte tu, grazie!”

Hanamichi tentò di osservare le prede con occhio critico: la tipa con i codini tutto sommato non faceva per lui, più che altro poteva fare il paio con Minori, si sarebbero potuti scambiare consigli per i capelli; quella dall’altro lato sembrava troppo timida e delicatina. Rimaneva la ragazza in mezzo, con i capelli più lunghi, sciolti. Sì, sicuramente rispondeva di più ai suoi gusti.

Sgomitò nel fianco del fratello:

“Il tensai parte all’attacco: guarda e stupisciti!”

Senza far caso alla smorfia di derisione di quel demente del gemello, Hanamichi Mitsui si portò le dita alla bocca e fece partire il suo famoso fischio, quello che, su alla fattoria, riusciva a riunire in pochi secondi l’intero gregge.

E le tre pecorelle di città si voltarono immediatamente, esattamente come previsto…

Il rossino cercò di nascondere il sorriso di soddisfazione, e, trascinandosi il fratello per un polso, si avvicinò alle tre. Come gli aveva detto una volta Akira, il segreto è nel sorriso, e così esibì tutta la sua dentatura, molari inclusi:

“Ehi, gallinelle!” esordì, passandosi le dita tra la capigliatura sgargiante.

Le tre si guardarono tra loro, poi quella con i ciuffetti fece un mezzo passo in avanti, fermandoglisi di fronte:

“Stai parlando con noi, razza di cafone?!”

“Matsui… cosa dici!” la riprese, arrossendo, quella con i capelli sciolti.

Hanamichi gongolò di soddisfazione, sapeva di aver trovato l’anima gemella!! E lui di gemelli se ne intendeva. Ignorò l’amica racchia e scorbutica e si avvicinò invece a quella più dolce:

“Io sono HANAMICHI MITSUI!!! – si presentò, esibendo la sua voce da concorso per Ugola d’Oro – vieni a fare un giro con me, baby… non te ne pentirai!” e le strizzò l’occhio, accompagnando il tutto con una sonora pacca sulla schiena della tipa.

Minori si appoggiò alla staccionata, pronto a godersi la scena delle tre, armate di borse e borsette, pronte a picchiare il rossino senza pietà. Era sempre un delirio uscire insieme!! Quando andavano a scuola, Hanamichi aveva anche avuto il coraggio di dichiararsi allo scheletro travestito del laboratorio! In seguito si era giustificato, dicendo di essersi accorto immediatamente dello scherzo. Peccato che avesse fatto in tempo a decantare le qualità di pace interiore della ragazza, prima che il cappello cadesse, rivelandone il teschio di plastica.

“Ma… ma che… SCREANZATO!!” gridarono le tre tutte insieme.

“Lascia stare Haruko, immediatamente” urlò la tipa con i codini, prendendo a calci lo stinco del ragazzo.

“Non essere timida, piccola… pochi secondi da soli, e capirai il mio vero valore!” continuò però Hanamichi, imperterrito.

Proprio in quel momento due ragazzi passarono sul marciapiede opposto. Minori sollevò un sopracciglio quando vide Haruko cominciare a sbracciarsi all’indirizzo dei nuovi arrivati:

“RUKAWA!!! AIUTO… MI VUOLE VIOLENTARE!!!”

Nonostante il grido disperato, i due ci misero più di qualche istante per decidere di attraversare la strada ed accorrere in suo aiuto, ma alla fine raggiunsero il luogo del tentato delitto.

“Si può sapere che sta succedendo?! Lasciala stare!” urlò uno dei due, strattonando Hanamichi per un braccio.

“Oh, Ru…” mormorava intanto la tipa, abbarbicandosi al collo dell’altro, che ancora non aveva detto una parola.

Bene, bene, mancavano solo i popcorn e lo spettacolo sarebbe stato completo. Peccato, però, che la staccionata fosse così poco comoda!

“E te che diavolo vuoi, DEFICIENTE!” si rivoltò il rossino, spingendo via il ragazzo che lo aveva preso per il braccio.

Sorpreso dal gesto, questi scattò in avanti, pronto a colpirlo, ma fu richiamato indietro dalla voce morbida del compagno, quello che ancora non aveva parlato:

“Fermati, Minami”.

Un tono basso ma perentorio, qualcosa che faceva drizzare i capelli e venire i brividi.

“Fammi dare una lezione a questo bifolco! Ci penserà tre volte prima di infastidire di nuovo una ragazza di città…” insistette l’altro.

Il tipo però scosse la testa, e, anzi, gli affidò la ragazza che ancora gli stava avviticchiata addosso. Poi si avvicinò ad Hanamichi, ignorando il fatto che questi lo aspettasse con espressione furente e i pugni alzati:

“Ehi, tu!” lo apostrofò poco gentilmente.

“Togliti dai piedi, damerino!! Questa è una questione tra me e quel calimero, sparisci!”

Come farsi nemico anche chi cerca di aiutarti, Hanamichi era un vero e proprio maestro in quest’arte.

“Mi sembra che queste ragazze non gradiscano le tue attenzioni. Vattene e non farti più vedere” gli ribatté l’altro, imperturbabile.

“Ohi, deficiente! Ci senti o sei sordo?! Nessuno ti ha chiamato!”

Minori si accorse immediatamente che la cosa sarebbe velocemente degenerata, conosceva troppo bene il fratello per poter avere dei dubbi in merito.

Quello strano ragazzo, invece di farsi indietro, si portò a ridosso del rossino. Un bel coraggio davvero, per uno che sembrava così delicatino… oddio, non che avesse l’aspetto di una femminuccia, visto che doveva essere alto quasi come Hanamichi, ma il fisico sottile, la pelle candida, gli occhi azzurri e i capelli neri acconciati in un morbido caschetto, gli conferivano un aspetto quasi etereo.

“Stai cominciando a seccarmi, do’aho!”

E questa fu la famosa goccia! Anzi che Hanamichi aveva tenuto duro fino a quel momento!

Gli partì un pugno che l’altro riuscì a parare solo a stento, e poi preparò il suo colpo segreto: la testata libera-scocciatori…

E accadde l’incredibile, perché il suo avversario rimase in piedi, seppure barcollante! Anzi… restituì il pugno, facendogli uscire il sangue dal naso.

“BASTARDO!” riuscì solo a gridare Hanamichi, ancora incredulo.

E poi la rissa degenerò.

Se la stava godendo alla grande, quando l’altro, quello che il fratello aveva già ribattezzato ‘Calimero’, gli si fece sotto:

“Che cazzo hai da ridere, faccia da deficiente!”

Non poteva crederci! Un altro che cercava rogne… ma aveva trovato la persona giusta! Si arrotolò le maniche sin sopra il gomito, e, senza pensarci due volte, rispose all’insulto a modo suo.

Montagna o città, era sempre delizioso cominciare la giornata con una rissa!

“FERMATI, ANIMALE!!” sentiva urlare Haruko, che cercava di aggrapparsi con le unghie al collo di Hanamichi.

“Io ti distruggo, stupido impiccione! Imparerai a farti i fatti tuoi!” minacciava il rossino, cercando di immobilizzare il moretto sull’asfalto.

“Do’aho” replicava Rukawa.

“RU… RESISTI!” interveniva la tipa coi codini.

“MUORI!” gli sibilava il calimero a due millimetri di distanza, cercando di stringergli le mani intorno al collo.

“Smettila di agitarti come un’anguilla” cercava di fermarlo lui, consapevole di star perdendo più di un capello nella stretta dell’altro.

E improvvisamente una voce che non c’entrava niente, pur non essendo estranea:

“COSA STATE COMBINANDO, VOI DUE!!!”

Ah, finalmente rinforzi! E quelli del gorilla erano sempre ben accetti.

Ma poi un’altra voce:

“Haruko, Fuji, Matsui… state bene?!”

“Oh, Uozumi… questi due mostri hanno cercato di aggredirci!”

Ma che film aveva visto la tipa?

“E tu li conosci?” di nuovo quella sconosciuta voce maschile, ma ora non solo preoccupata, proprio furente.

“Sono i miei… fratelli…” questo era Takenori. Ma perché quel tono serio, teso?

Non ci fu tempo per altro, se non per nuovi pugni e calci. Quando Minori riuscì per un attimo a liberarsi dalle attenzioni del Calimero, si accorse che la rissa si era allargata a tutti i fratelli Mitsui: anche Akira, Shinichi e Toru erano arrivati a dare man forte, e ora si trovavano alle prese con tre nuovi avversari, uno grasso, uno coi baffi e un altro bruno, un terzetto che doveva essere sbucato all’improvviso da qualche vicolo… in un tutti contro tutti di grande soddisfazione.

Se le stavano dando alla grande, quando si sentì levare in urlo:

“CHE STATE FACENDO! FERMATEVI IMMEDIATAMENTE!”

Tutti sollevarono gli occhi verso un Kogure furente e sepolto dai pacchetti.

Ehm… la situazione risultava un po’ difficile da spiegare.

“Non è come credi…” mormorò Hanamichi, praticamente sdraiato sul corpo del ragazzo dagli occhi azzurri, senza lasciargli le braccia che gli aveva bloccate contro il pavimento.

“Ci hanno chiamati animali” provò Minori, sperando di conquistarsi un po’ di simpatie.

“Ci hanno accusato ingiustamente!” sottolineò Takenori, lanciando uno sguardo invelenito alle tre ragazze, e aiutando contemporaneamente il suo robusto avversario ad alzarsi da terra.

“MI HAI ROVINATO LA PETTINATURA!” si lamentò Akira, guardando torvamente il tipo coi baffi.

“Coi tuoi cosciotti potremmo ottenere due bei prosciutti…” notificò Shinichi al ragazzo grasso, con occhio clinico.

“E tu Toru? Non hai nulla da aggiungere?” la voce di Kogure-san era abbastanza minacciosa “Speravo almeno in te, per tenere a freno questi teppisti!”.

“Mi dispiace…” mormorò il ragazzo alto, sollevandosi in piedi e dando un’occhiata anche ad un giovane dai capelli castani, rimasto al lato del marciapiede “Stavano picchiando i miei fratelli, non potevo non intervenire”.

Kogure scosse la testa, gli veniva quasi da piangere per la rabbia: possibile che dovessero comportarsi sempre in maniera così irresponsabile? Non c’era differenza fra loro e i bambini: non ragionavano, agivano d’impulso e si ficcavano sempre nei guai.

“Filate immediatamente nel furgone… SUBITO!” tuonò, il tono così minaccioso che i sei si rialzarono mogi, cercando di risistemarsi:

“Scusami…” mormorò Takenori, all’indirizzo di Uozumi, pentendosi di aver risposto al suo attacco. Si erano trovati bene insieme, e invece quella stupida rissa aveva rovinato tutto.

Toru sollevò lo sguardo verso Fujima, ma dovette distoglierlo subito, vedendo il biasimo misto alla tristezza che offuscava quei meravigliosi occhi azzurri.

Shinichi sorrise e fece un cenno col capo all’indirizzo del campione di basket che aveva conosciuto al campetto…  campione che in risposta gonfiò le gote, per poi creare un enorme palloncino rosa con la gomma americana.

“Bella strategia d’attacco…” mormorò Minori all’indirizzo del Calimero, un sorriso d’approvazione mentre si asciugava il sangue che gli colava dal labbro.

“La mia pettinatura…” si lamentò Akira, cercando affannosamente il tubo di gel che aveva comprato insieme a Koshino… già, Koshino…

“Fra noi non è finita, Kitsune!” sibilò Hanamichi sul viso del ragazzo con gli occhi da volpe, prima di abbandonare la presa e rialzarsi in piedi a malincuore.

Una volta che i sei furono finalmente sistemati sul furgone, Kogure si avvicinò alle tre ragazze.

Si inchinò profondamente:

“Mi dispiace moltissimo per quello che è successo – si scusò – Non sono cattivi ragazzi, solo un po’ irrequieti” tentò poi di giustificarli.

La tipa con i capelli più lunghi, Haruko, gli sorrise gentilmente:

“Non preoccuparti, sempai, non abbiamo corso dei seri pericoli” e subito si impadronì del braccio dell’avversario di Hanamichi, la kitsune dagli occhi azzurri:

“Ru, mi riaccompagneresti a casa? Non vorrei altri brutti incontri…”

Kogure saltò al posto di guida, mettendo velocemente in moto la macchina e allontanandosi dal gruppo rimasto a terra.

Il rossino rabbioso appiccicato al lunotto posteriore rendeva necessaria una ritirata strategica!

 

“Che ti succede, stupido rossino!” gli sibilò Minori, dandogli una gomitata nelle costole.

Hanamichi non rispose, sentiva che gli era successo qualcosa di strano, quel giorno. Per un momento guardò i fratelli: tutti quanti, per un motivo o per un altro, sembravano presi dai propri pensieri. Non c’era più quella spensieratezza che li aveva accompagnati nel viaggio di andata, nessuno cantava e anche Akira sembrava avere un sorriso meno smagliante del solito.

“C’è qualcosa che non va?” gli ripeté il gemello.

Nonostante le risse continue, le minacce e i dispetti, loro due erano sempre stati molto legati, più che con gli altri fratelli: probabilmente era stata la scomoda condivisione del pancione materno, o forse il fatto di essere stati costretti a indossare, per i primi quattro lunghi anni di vita, le stesse tutine, oppure l’essere dovuti andare alla festa dell’asilo entrambi mascherati da Chobin, ma comunque avevano vissuto tantissime esperienze insieme che avevano agito da collante, che li avevano coalizzati contro il resto del mondo. E questa situazione aveva portato tra loro ad un legame speciale.

“Sto bene…” mormorò il rossino, sapendo bene che l’altro non avrebbe mollato l’osso.

“Raccontane un’altra, pel di carota!! Mica starai ancora pensando alla rissa?!” insistette infatti Minori.

“Uh, uh” mugugnò lui, in un certo senso desiderando affrontare l’argomento, ma allo stesso tempo volendo avere più tempo per pensare da solo alla strana situazione in cui si trovava.

Nonostante l’apparente indifferenza degli altri fratelli, poi, vedeva bene tutte le altre paia di orecchie che ruotavano come radar nella loro direzione…

“Non ti starai mica rodendo il fegato per quella babbea che abbiamo incontrato! Non valeva neanche lo sforzo di guardarla… non hai visto che ragana insipida che era?!”

“Ho visto…” rispose lui, annuendo freneticamente con la testa.

“E allora?”

“Mi sono… innamorato!”

Immediatamente le orecchie dei fratelli ruotarono nella direzione opposta:

“E’ SOLO HANAMICHI CHE SI E’ INNAMORATO DI NUOVO!!!” esclamarono tutti insieme, tranquillizzandosi e ricominciando a farsi i fatti propri.

“INSENSIBILI!!! Non capite niente…” si risentì il piccolo Mitsui, profondamente offeso.

L’unico che non lo lasciò perdere fu ancora una volta il suo gemello:

“Hai detto di esserti accorto che la tipa non era un granché… come hai fatto a innamorartene, allora?” gli chiese, stavolta senza nemmeno una nota di sarcasmo.

“Ma io… non mi sono innamorato di lei!! Così sarebbe stato troppo semplice…” si lamentò il ragazzo.

“E… allora?! Di chi diavolo ti sei innamorato! Dannato di un rossino, piantala di prendermi in giro o ti impicco all’albero più vicino, hai capito?!” lo minacciò l’altro, spazientito.

Hanamichi rimase qualche istante in silenzio: possibile che il fratello non capisse?

“Hai presente il tipo con cui ho fatto a botte?”

“Più o meno…” rispose Minori, distrattamente.

Il rossino lo afferrò per il colletto:

“Come ‘più o meno’?! Non hai notato quel ragazzo bellissimo, meraviglioso, con quella pelle candida, i capelli neri come l’inchiostro, gli occhi profondi, le dita sottili, le unghie perfette…”

“…e gli occhi azzurri? – proseguì l’altro per lui – Sì, l’ho notato” replicò divertito.

“COME OSI AVERLO NOTATO!!!! Giù le mani, bastardo!! La kitsune è mia!!!”

Minori scoppiò a ridere, per poi allungarsi su di lui e strofinargli affettuosamente il pugno chiuso contro i capelli corti:

“E’ bello, ma è troppo perfetto. Non fa per me… direi che l’amico era più il mio tipo, più intrigante. Un ragazzo da cui non saprai mai cosa aspettarti!”

Hanamichi si fermò sbalordito:

“Ma stai parlando del Calimero?! Di… di… UN UOMO?!” gli chiese come a cercare una smentita.

“Ohi, bello! Guarda che la tua kitsune non era mica un minerale! Se non te ne sei reso conto, bello o non bello, quello era tutt’altro che una donna!!!”

“Non… non osare fare illazioni sulla mia kitsune, maledetto di un codino!”

“E tu sei sempre un demente di rossino!!! Neanche ti sei accorto di ‘cosa’ sia l’oggetto della tua adorazione!”

E, archiviato finalmente il serio e pacato discorso sulle loro pene d’amore, i due ricominciarono a darsele, e minacciarsele, di santa ragione.

 

Sette Basketmen per Sette Fratelli – Fine Seconda Parte





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