Fic interamente dedicata e concepita per Ria, per festeggiare il suo compleanno, ma soprattutto per ringraziarla dell’allegria e dell’ottimismo che ci trasmette. Ho impiegato più del previsto a scriverla e so di essere colpevolmente  in ritardo, però le buone intenzioni c’erano… è mancato il tempo!

Tanti auguri, webmom!!

Un baciotto e un ringraziamento a Nausicaa e Calipso, come sempre indispensabili per il sostegno e l’aiuto che mi danno.

Un saluto particolare anche a Angie, Kira e Fra-chan, e a chiunque riterrà di aver passato dei minuti piacevoli leggendo questa storia.

I personaggi di SD non sono miei, così come non è mio il soggetto del film ‘Sette spose per sette fratelli’, che, pur completamente stravolto,  mi è stato di ispirazione.

Ultima cosa: a me piacciono tutti i personaggi di Slam Dunk, senza anche uno solo di loro questo manga bellissimo non sarebbe lo stesso. Se mi sono lasciata trasportare dall’ironia, nel descriverne alcuni, l’ho fatto con affetto.

Buona Lettura.


 

 


7 Basketmen for 7 Brothers

parte I - Hisashi e i suoi fratelli

di Greta


Venticinque anni, lavoro sicuro, autonomo, casa di proprietà, carattere aperto, senso dell’umorismo, forza eccezionale, aspetto fisico, come dire… un figone come se ne vedono pochi, mentalità pratica. Insomma, con tutto questo bendiddio, quanto avrebbe impiegato a trovarsi una compagna che lo seguisse e lo aiutasse, la classica ‘ciliegina sulla torta’?

Hisashi Mitsui parcheggiò il furgone e cominciò a camminare per le strade della città. Aveva un solo giorno a disposizione: quella sera stessa sarebbe dovuto tornare sui monti, visto che il lavoro non gli dava respiro, soprattutto in quel periodo dell’anno, quindi doveva fare in fretta.

Cominciò a fissare ogni ragazza che incontrava, sorridendo allegramente ogni volta che ne incrociava gli sguardi un po’ stupiti e un po’ divertiti. Certo, queste ragazzine di città avevano raramente avuto la possibilità di vedere un vero uomo, e lui, alto, con la barba folta e i capelli fluenti, non doveva certamente passare inosservato!

Per prima cosa entrò dal ferramenta: c’erano più di un paio di cose assolutamente necessarie, su alla segheria, e poi doveva comprare delle provviste, dei vestiti, dei semi, tutto quello che gli avrebbe impedito di dover tornare a breve in città. E poi la cosa più importante… una ragazza.

Erano mesi che ci stava pensando… o forse sarebbe meglio dire, che gli ci stavano facendo pensare. Sembrava che tutti ritenessero che a venticinque anni fosse indispensabile costruirsi una famiglia. Non che lui avesse delle obiezioni in merito, semplicemente non gli sembrava una cosa così urgente. Ma ora si era abituato all’idea ed era anche contento di poter sistemare quest’altra faccenda. Gli aveva sempre dato fastidio lasciare dei doveri in sospeso, a volte le persone intorno a lui si erano lamentate della sua abnegazione al lavoro, per il suo piglio da comandante… schiavista, lo aveva chiamato quel demente di Hanamichi… e quindi ora avrebbe risolto anche questa questione. Fra l’altro non si riteneva di grandi pretese: gli bastava una ragazza sufficientemente carina e simpatica, magari abile in cucina, una lavoratrice, perché la vita sui monti non era una passeggiata, affettuosa e ubbidiente. Ecco, tutto sommato non doveva essere un’impresa, visto quello che lui aveva da dare in cambio!

Sorrise ad una brunetta con i lunghi capelli ricci e un’espressione aperta e schietta, poi scosse la testa passando innanzi, quando si accorse dello sguardo feroce del nanetto che la accompagnava: il mare era pieno di pesci, inutile perdere tempo con uno già all’amo!

Era quasi l’ora di pranzo, e lo stomaco cominciò a inviargli segnali di protesta abbastanza espliciti.

Terminati gli acquisti, si rivolse al proprietario del grande emporio, chiedendogli un consiglio per un locale economico ma dignitoso dove andare a mangiare:

“…in fondo alla strada, c’è il ristorante di Anzai-sensei. E’ uno dei migliori, la cucina è ottima, le razioni abbondanti, e l’ambiente simpatico. Glielo consiglio caldamente, Mitsui-san” gli disse l’uomo, inchinandosi leggermente davanti al ragazzo che conosceva ormai da quindici anni.

Si diresse lentamente verso il posto che gli era stato indicato. Non aveva nessuno a fargli fretta, in qualche modo era sicuro che prima di sera avrebbe risolto anche l’ultima commissione. Si infilò le mani in tasca e cominciò a fischiettare un motivetto allegro. Rovesciò indietro la testa: il cielo era azzurro, privo di nuvole… si sentiva euforico, come se presentisse che qualcosa di piacevole stava per accadergli.

L’insegna era discreta, e nella piccola piazza il ristoratore, questo Anzai-sensei di cui gli aveva parlato Takato-san, aveva sistemato dei tavoli sotto gli ombrelloni. Era strano trovare un posto come quello a Kanagawa, in genere gli unici posti con alberi e possibilità di sedere all’aperto erano i parchi, e invece questo angolo della città sembrava ricalcare quelle immagini dell’enciclopedia dei ragazzi in cui venivano rappresentate le capitali europee.

Sorrise fra sé: come diavolo gli erano venuti in mente dei pensieri così profondi? Però era vero… aveva sempre avuto l’animo del filosofo.

Quando si affacciò sulla soglia del locale, un signore sulla sessantina, un po’ in carne e con i capelli completamente bianchi gli si fece incontro:

“E’ da solo, signore?”

Mitsui sgranò gli occhi. Nonostante i modi compiti, quell’uomo sembrava nascondere un carattere deciso, e la bonomia, nei suoi occhi nascosti dagli occhiali, si mescolava ad una forte dose di ironia.

Improvvisamente si sentì come un ragazzino colto in fallo dall’insegnante, eppure non ne aveva alcun motivo.

“Sono solo. Vorrei un tavolo all’aperto…” mormorò, voltandosi verso l’esterno. Il tavolo più grande era occupato da una comitiva abbastanza rumorosa, che aveva già cominciato gli antipasti.

Il proprietario lo accompagnò ad un tavolo più piccolo, sistemato in maniera tale da poter dar modo di seguire quello che accadeva agli altri clienti, ma abbastanza defilato da poter consentire una certa privacy.

“Spero che qui si trovi bene…” mormorò l’uomo, sistemando la tovaglia e porgendogli un menù. Poi, guardandolo con più insistenza, aggiunse:

“Sono sicuro che l’ha mandata Takato-san”.

Come diavolo aveva fatto a capirlo?! Forse perché un ragazzo con il suo aspetto poteva venire solo dall’emporio agrario? Stava quasi per alzarsi sdegnato, quando arrivò qualcuno alle sue spalle:

“Posso esserti d’aiuto, Anzai-sensei?”

Una voce profonda, ma morbida, un tono gentile, sicuramente accompagnato ad un sorriso rassicurante…

Hisashi Mitsui si voltò lentamente, come se volesse gustarsi fino in fondo quegli istanti di attesa, prima di vedere LA persona.

“Posso occuparmi io del signore, zio” continuò quella voce. E lui vide, vide quel sorriso che lo stupì perché superava di molto le sue aspettative, si perse nello sguardo limpido, aperto, nell’espressione tranquilla ed efficiente.

Si abbandonò contro lo schienale, come se le forze lo avessero abbandonato… e in quel momento capì che anche la sua ultima commissione era giunta al capolinea, e aveva trovato ben di più della miseria che credeva sarebbe stata più che sufficiente a soddisfarlo, aveva capito che probabilmente cercando un coniglio si era invece imbattuto in un cervo.

“Ha già scelto qualcosa dal menù?”

Il vecchio se ne era andato, finalmente, ed erano rimasti loro due, e quell’aria di aspettativa che li avvolgeva.

“Ehi tu, vieni a portarci altro sakè!!” urlò nella loro direzione un uomo dalla tavolata accanto, evidentemente alticcio.

Mitsui si alzò in piedi, e camminò deciso verso il gruppo. Afferrò l’uomo che aveva appena parlato per il colletto della camicia, sollevandolo in piedi e sbattendolo contro il muro:

“Non mi sembra di averti sentito dire perfavore” gli sibilò sul viso.

Come osava quel rifiuto umano rivolgersi in quel modo sguaiato ad una persona così gentile?

L’uomo, con gli occhi sbarrati, ansimava sotto la stretta delle sue mani.

“Lo lasci!! Ma cosa sta facendo?!”

Non poteva crederci… cercava anche di difendere quel beone arrogante?! Quale anima candida e generosa doveva nascondersi dietro lo sguardo limpido dei suoi occhi nocciola…

Diede un ultimo strattone all’uomo, facendogli sbattere ancora una volta la nuca contro il muro:

“Questa volta ti è andata bene… prova a rivolgerti in questo modo un’altra volta e ti spacco la faccia!” gli sibilò a pochi centimetri dal viso.

Lasciò la presa e, finalmente soddisfatto, si diresse verso il proprio tavolo.

“Non avevo bisogno di un salvatore… sono capace di cavarmela da me!” si sentì mormorare, mentre gli veniva porto ancora una volta il menù.

Alzò lo sguardo, sorridendo:

“Non ne dubito – poi, mentre ricominciava a scorrere il menu, aggiunse – ti piace il tuo lavoro?”

Sembrò che la sua domanda fosse qualcosa di inaspettato:

“E’ un impiego temporaneo, sto finendo l’università”.

“Sai cucinare bene? Devi aver fatto parecchia pratica, con tuo zio…” a Mitsui non sfuggì che queste domande dovevano sembrare, come minimo, indiscrete, ma aveva bisogno di conoscere le risposte, prima di proseguire con il suo piano. A metà pomeriggio doveva rimettersi in marcia per la montagna, e voleva sistemare la questione nel minor tempo possibile.

“Beh… lavoro qui da parecchio tempo. Alla fine si impara per forza. Ma…”

Lui lo interruppe:

“E non ti spaventano i lavori domestici, vero? Con il ristorante, immagino che dobbiate faticare parecchio: lavare i piatti, mettere a posto i tavoli, i pavimenti…”

“Con un ristorante, sono cose obbligatorie. Non sono piacevoli, ma farle è meno antipatico di quello che potrebbe sembrare – sorrise, scuotendo la testa – se non mi darà presto il suo ordine, però, rischio di non doverle più fare, lo zio mi licenzierà!”

Anche Mitsui sorrise… era impensabile non corrispondere l’espressione rilassata e tranquilla di quel viso:

“E ti piace vivere in città? Non preferiresti l’aria pulita della montagna?”

Ok, questa era l’ultima prova…

“Fino a qualche anno fa, andavo spesso in montagna con i miei genitori. Poi…” distolse lo sguardo per un istante, poi abbozzò un sorriso di scusa “…ora non ho nessuno con cui andarci! Rimpiango quella vita, semplice ma piena di soddisfazioni! Amo la città, ma spesso mi viene il desiderio di scappare…” si interruppe di nuovo, come per lo stupore di aver detto cose molto private ad un perfetto sconosciuto.

Ma Mitsui continuò a sorridergli:

“Sono contento di quello che mi dici – mormorò – Puoi portarmi il menu del giorno, qualsiasi sia, poi vai a prepararti. Fra tre ore partiremo per la montagna”.

Si rilassò contro lo schienale della sedia. Il più era fatto, almeno quello che era in suo potere. Ora non gli restava che sperare.

“Ma… cosa sta dicendo?!”

Sembrava non credergli, forse era il caso di essere più espliciti:

“Senti, io sono sceso in città non solo per comprare semi e attrezzi. Sto cercando una persona, LA persona… e penso che sia tu! Vuoi venire con me in montagna?” ripeté, stavolta più serio, temendo di non essere accettato.

Stupore, il viso fino a poco prima calmo e sorridente, tradiva ora solo stupore. Poi però scoppiò a ridere:

“Ma cosa stai dicendo… – continuò a ridere, poi abbassò la voce, mormorando – non ti sei reso conto che sono un uomo?!”

I soliti particolari superflui:

“Senti… come ti chiami? Io sono Mitsui, Hisashi Mitsui”

“Kogure… Kiminobu Kogure, ma…” non riuscì a continuare che lui lo interruppe di nuovo:

“Non ti piacerebbe lasciare il lavoro nel ristorante e realizzare il tuo sogno di fuga dalla città? E poi… - allungò il braccio, afferrandogli la mano – sono sicuro che saresti felice con me! La vita in montagna non è facile, ma con me… - guardò dritto in quegli occhi caldi – io credo che sarai felice!”

Tutto sommato, aveva sempre avuto fama di essere un partito, su a Fujimori. Non che ci fosse tutta questa gente, ma la vecchia Katsuki non lo chiamava sempre ‘bello della zia?!’, e poi, ancora non gli aveva detto quanti capi di bestiame avevano, su ai pascoli. Ma se lo sarebbe tenuto come asso nella manica…

“Io… non capisco” gli replicò Kogure. Come erano dolci i suoi occhi dietro le lenti degli occhiali!

E poi era quasi arrossito…

“Tu di’ di sì, il resto te lo racconterò durante il viaggio. Insomma, ti faccio proprio schifo?!” non poteva essere, con il suo fisico, il suo sorriso, la sua faccia da schiaffi, non poteva fargli schifo! Non era assolutamente possibile…

Kiminobu (come scorreva bene il suo nome!) distolse lo sguardo dal suo viso, arrossendo ancora di più:

“Se è uno scherzo, signore, è di cattivo gusto” sussurrò, cercando di sembrare freddo.

“Se vuoi una prova, ti bacio qui davanti a tutti!” e gli si avvicinò, pronto a trasformare in realtà la sua promessa.

Gli aveva quasi poggiato le mani sulle spalle, ma l’altro si allontanò immediatamente, con un balzo indietro:

“Ho capito… non c’è bisogno d’altro! Ma io non… ho la mia vita, qui. L’università, mio zio…”.

“Tra due ore passo a prenderti. Dimmi solo di sì…” insomma, se era così complicato dichiararsi ad un’altra persona, come facevano ad esserci così tanti matrimoni?

“Io non so cosa dire…” ribatté il quattr’occhi, era come se avesse una terribile confusione in testa. Quel Mitsui era un perfetto sconosciuto, eppure era stato così facile parlare con lui, c’era qualcosa in quel viso da bel tenebroso, in quel modo di fare diretto e schivo insieme che lo aveva attirato sin da subito… che lo aveva ‘affascinato’.

Scosse la testa, che diavolo stava pensando!

Eppure… sentì le dita dell’altro scorrergli leggermente sul dorso della mano, e non la ritrasse.

“E’ una pazzia…” mormorò.

“No. Abbiamo solo bruciato le tappe… ma ti abituerai anche a questo. Io sono un uomo d’azione!”

Kogure sorrise. Un uomo… lui non avrebbe mai pensato a se stesso come a un uomo. Sentiva di non aver vissuto abbastanza esperienze per potersi appropriare di un nome come quello.

Alzò lo sguardo sul compagno, di nuovo sospettoso. Poteva fidarsi di questo pazzo che era entrato nel loro ristorante per mangiare e dopo appena mezz’ora gli aveva detto di seguirlo in chissà quale posto sperduto, senza altra garanzia di quello sguardo serio e sorridente insieme?

Kiminobu Kogure non aveva mai preso decisioni avventate: in tutta la sua vita, era sempre stato pacato e razionale, e del resto, con la prematura scomparsa dei genitori, si era ritrovato a dover presto badare a se stesso, senza potersi affidare al consiglio di altri.

E per la prima volta si rese conto dell’ebbrezza di lasciarsi tentare da qualcosa di assolutamente irrazionale. Gli occhi ancora fissi in quelli di Hisashi Mitsui, sentì che difficilmente dopo tre mesi avrebbe potuto conoscerlo meglio che dopo quella misera mezz’ora. Gli sembrava di conoscerlo da sempre, di poter prevedere ogni sua reazione, di indovinare tutta la sua forza e tutte le sue debolezze. E sapeva anche che per l’altro non era lo stesso, che la sincerità delle sue parole era istintiva. Sì, il ragazzo che aveva di fronte stava agendo d’istinto, probabilmente rischiando molto più di quello che stava rischiando lui.

Sorrise, facendo un passo indietro:

“Menù del giorno allora. E qui tra due ore… - si interruppe arrossendo, poi ridiventò serio – devo parlare con mio zio…”.

“Se fa storie, ci penso io! So essere molto convincente” fu la risposta dell’altro, il cui viso si era disteso in un sorriso compiaciuto.

Lui si allontanò senza rispondere. Convincente, sì… se ne era accorto.

 

Bene! Aveva risolto in breve tempo anche l’ultima commissione, e lo aveva fatto con parecchia soddisfazione! Kogure era sicuramente la persona migliore che gli potesse capitare, anzi… forse era anche troppo per lui.

Quando lasciò il ristorante, tornò da Takato-san per riempire il furgone, poi decise di prepararsi al meglio per poi tornare a prendere il compagno.

Nello specchietto retrovisore si era dato un’occhiata di sfuggita: forse la capigliatura aveva bisogno di una ritoccatina, così come i bei baffi. Aveva notato che nessuno in città li portava come i suoi, e, nonostante ne fosse andato fiero per tanto tempo, adesso desiderava qualcosa di diverso.

Entrò dal barbiere, portandosi dietro la sacca presa dal portabagagli.

Un’ora dopo era pronto.

Si rimirò nello specchio grande, voltandosi a destra e a sinistra, per cercare di cogliere tutti i nuovi particolari del suo aspetto rinnovato. Ghignò soddisfatto: il suo Kimi-kun sarebbe certamente stato contento del risultato!

Saltò sul furgone e si diresse nuovamente verso il ristorante di Anzai-sensei. Era tempo di ritirare il premio, e fra l’altro dovevano anche mettersi in marcia, la strada per arrivare alla segheria era lunga.

Frenò a secco sul brecciolino del parcheggio, poi si attaccò al clacson. Oddio, non capiva perché i passanti lo guardassero con disapprovazione, e qualche ragazza nascondesse un risolino dietro la mano. Lui era sempre stato abituato a richiamare l’attenzione con il clacson, che c’era di male?!

Eppure il quattr’occhi non si vedeva, possibile che avesse cambiato idea?

Scese dal mezzo con un balzo elastico, nonostante  il ginocchio ancora convalescente per quello stupido incidente con l’accetta, e si diresse verso l’ingresso del locale.

Ormai erano quasi le quattro del pomeriggio; di avventori non ce ne erano più, e i tavoli erano stati tutti sparecchiati. Guardò la scena con soddisfazione: tanti tavoli messi in ordine in pochissimo tempo… dovevano essere proprio dei lavoratori, come piacevano a lui!

Bussò sulla porta a vetri ed entrò deciso:

“Ehi, sono io! Dove vi siete nascosti?” esclamò deciso, cercando di non leggere in quel silenzio il presagio che qualcosa stesse andando male.

“Ah… proprio lei aspettavo! – la voce del signor Anzai si levò limpida, e chiaramente adirata – che diavolo mi sta dicendo mio nipote?! Dove vorrebbe portarlo? Spero che qualcosa nel suo cervello si sia inceppato e mi abbia detto delle idiozie!”

Mitsui inghiottì a vuoto, ma raddrizzò le spalle ed avanzò deciso:

“Nessun inceppamento. Verrà con me su in montagna, alla segheria”.

“E per far cosa?! Lui sta finendo l’Università, non ha bisogno di una vacanza.”

Ok, bisognava specificare qualche particolare:

“Non si tratta di una vacanza. Kogure-kun verrà a vivere con me. Lei potrà venire a trovarci in ogni momento, alla segheria c’è posto per tutti…” ecco, non poteva non averlo convinto, aveva anche mostrato tutta la sua generosità. La loro casa sarebbe stata la sua e così via!

Eppure il vecchio si era tutto gonfiato, diventando scarlatto di rabbia:

“IO NON SONO UN TRONCO DA PIALLARE!!! – urlò, e Mitsui evitò di fargli notare che magari una piallatina non gli avrebbe poi fatto così male – e Kiminobu ha altre prospettive che fare il taglialegna!”

“Non farà il taglialegna, lui si occuperà di me. Ho bisogno di un compagno!” sbottò lui.

Un silenzio di tomba calò nella sala vuota del ristorante.

Il vecchio si voltò verso il nipote, fino a quel momento rimasto silenzioso in disparte:

“Ho… capito bene?! Tu hai una relazione con questo montanaro?”

Il ragazzo fece un passo avanti, portandoglisi accanto:

“Non ho nessuna relazione, ma ho deciso di accettare la sua offerta” disse calmo.

“COSA SIGNIFICA?!” gli sibilò lo zio sul viso.

“SIGNIFICA CHE VERRA’ CON ME” si intromise Mitsui, spazientito da tutto quel discutere di una cosa ormai stabilita.

Afferrò la mano del quattr’occhi e se lo tirò dietro, uscendo a grandi falcate dal ristorante. Si era stancato, ogni minima cosa in città sembrava così terribilmente complicata!

Salirono sul furgone, e lui mise in moto, partendo con una sgommata. Voltandosi un istante verso il proprio compagno, si accorse del borsone che aveva appoggiato vicino ai piedi:

“Mettilo dietro, starai più comodo. Il viaggio è lungo…”

L’altro non rispose, sembrava preso dai propri pensieri, ed era chiaro che non dovessero essere troppo allegri. Lui allungò una mano, stringendogli le dita sottili:

“Mi dispiace che tuo zio non l’abbia presa bene. Non era mia intenzione scatenare questo putiferio…”

Sentì la mano di Kogure ricambiare la sua stretta, poi lui dovette lasciarlo, per riportare la propria sul cambio:

“Forse vorrai sapere qualcosa di me…” tentò di cambiare argomento.

Il ragazzo scosse la testa, appoggiandosi contro lo schienale, la testa buttata leggermente all’indietro:

“Stai bene senza baffi e con i capelli corti…” mormorò senza guardarlo.

Lui sorrise:

“Un tempo mi ero anche lasciato crescere la barba, per nascondere la cicatrice!”

Il compagno si voltò a guardarlo, stupito. Poi sorrise:

“Non l’avevo notata…” mormorò.

“Si nasconde nella perfezione di tutti gli altri tratti!” scherzò lui, cercando di continuare nell’opera di rasserenamento del ‘suo’ ragazzo.

Se avesse potuto, gli avrebbe sfilato gli occhiali e gli avrebbe passato le dita tra quei capelli che sembravano così morbidi, proprio come quei film mielosi che odiava tanto vedere.

Ormai si erano lasciati la città alle spalle, e avevano imboccato l’autostrada. Avevano acceso alla radio, che rimaneva come sottofondo, mentre loro chiacchieravano delle cose più disparate. Kogure era di nuovo sorridente, e in quegli occhi si poteva vedere uno scintillio di felicità sempre più marcato.

“Non vedo l’ora di arrivare – disse il ragazzo ad un tratto – non ho mai avuto una casa per me. Da quando i miei genitori… beh, sono stato con lo zio e la zia. Nonostante la loro bontà, sentivo di essere in qualche modo un ospite”.

Si era interrotto, quasi vergognoso di essersi lasciato andare a questa confidenza.

Mitsui sentì una stretta al cuore. C’era un qualcosa che non lo faceva sentire tranquillo, ma lui tacitò presto la propria coscienza.

La strada diventava ripida. Avevano lasciato l’autostrada per tornare sulla statale, e, un tornante dopo l’altro, stavano salendo sempre di più.

La primavera era nel suo fulgore, gli arbusti selvatici ai lati della strada erano in piena fioritura, gli alberi pieni di foglie chiare, il cielo azzurro… sapeva che c’era un posto particolare da quelle parti, un posto che sarebbe stato adatto alle parole che voleva rivolgere al suo ragazzo.

Parcheggiò il furgone, senza alcun preavviso. Sorrise all’occhiata sorpresa di Kogure, e poi scese. Dopo aver girato intorno alla macchina, fece un gesto con la mano per invitare il compagno a raggiungerlo. Per un momento aveva pensato di schioccare le dita, ma temeva che attraverso il vetro chiuso l’altro non lo avrebbe sentito.

Kimi-kun, come aveva deciso di chiamarlo, lo raggiunse in un attimo. Si incamminarono fianco a fianco per lo stretto sentiero erboso. Le braccia oscillavano vicine, e Mitsui decise che era arrivato il momento per rendere il loro rapporto più ‘intimo’…

Bloccò la mano di Kogure con la propria, stringendola forte. Poi la lasciò, passandogli il braccio intorno alla vita:

“E’ un posto bellissimo, vero?” domandò quando il sentiero si aprì, rivelando un piccolo e limpido laghetto di montagna.

Gli occhi del ragazzo di città si illuminarono:

“Un lago?! E’… è fantastico!! – si voltò verso di lui, gli occhi che brillavano – è un posto davvero incantevole!” si chinò a toccare l’erba verdissima, i cespugli fioriti, poi ruotò su se stesso, ridendo:

“Sai che studiavo Botanica? E il massimo che ho avuto è stato un balcone… eppure riuscivo a concentrarci un numero enorme di vasetti pieni di fiori; non posso credere che adesso avrò spazio per un giardino, per divertirmi con gli innesti, per provare nuovi abbinamenti…” si riportò accanto a Mitsui “…non vedo l’ora di arrivare a casa! E poi al ristorante mi sono sempre dovuto occupare di troppe persone, mi sembra incredibile potermi occupare solo di noi. Sarà meraviglioso, vero?”

Indubbiamente gli era sfuggito lo sguardo leggermente sorpreso dell’altro, qualcosa di simile ad una smorfia di disagio, mentre continuava a guardarsi intorno estasiato:

“Lo sai che questa varietà è molto rara?” continuò indicando una pianta soffocata tra le altre, vicino alla sponda.

Mitsui annuì, schiarendosi la gola con un leggero colpo di tosse. Kogure si voltò immediatamente verso di lui, rialzandosi in piedi:

“Scusami, probabilmente ti sto facendo perdere tempo, il viaggio è ancora lungo…” mormorò, arrossendo leggermente.

Ma non era quello il problema. Diciamo che c’era qualche particolare che forse sarebbe stato il caso di discutere. Il problema era trovare il modo.

Gli si avvicinò, cercando di resistere alla tentazione di distogliere lo sguardo da quei grandi occhi caldi:

“Kimi-kun…” mormorò.

Ma quando gli fu accanto non ci fu posto per niente che non fossero loro due. Gli appoggiò una mano dietro la nuca, e l’altra sul fianco. No, non era esattamente la posizione da confidenze e confessioni. Nonostante l’espressione leggermente imbarazzata del compagno, lui non si ritirò… anzi! Si avvicinò fino a sfiorargli delicatamente le labbra:

“No, non mi stai facendo perdere tempo…” mormorò. E non lasciò tempo per una replica, infatti serrò l’abbraccio, e finalmente assaporò quella bocca che lo aveva tentato dal primo momento in cui lo aveva visto.

Aprì gli occhi qualche secondo prima di interrompere il bacio. Voleva vedere quale fosse l’espressione del suo Kimi-kun, ma riuscì a cogliere solo gli occhi chiusi, e le braccia salite a circondargli il collo.

Era davvero una strana magia: fino a quella mattina lui non avrebbe mai potuto dire che sarebbe tornato a casa con un ragazzo invece che con una moglie, ed era sicuro che lo stesso valesse per Kogure. Si erano visti e si erano riconosciuti. Tutto in pochi minuti. E pensare che lui non aveva mai creduto alle favole dell’amore a prima vista!

Si separarono quando non poterono farne a meno, ma Mitsui non allentò la stretta, anzi, costrinse il compagno ad appoggiargli la testa sulla spalla:

“Se vuoi piantare quel cespo nel giardino, conviene che ci sbrighiamo a prenderlo. Vorrei arrivare a casa prima di sera, e ci manca ancora un po’ di strada…” mormorò, arruffandogli leggermente i capelli con la mano.

L’altro gli sorrise, scuotendo la testa:

“Non sopporterebbe il trapianto, e poi ho molti altri semi con me. Voglio vedere come è ridotto il tuo giardino, prima di cominciare a lavorarci! – si voltò ancora una volta verso il lago – Questo posto lo ricorderò per sempre. E’ un giorno importante per me… mi sembra incredibile quello che mi sta accadendo…” concluse abbassando gli occhi.

“Hai… proprio ragione! Dai, sbrighiamoci che è tardi!” e con questo si avviò verso il furgone, camminando rapidamente con gli occhi bassi. Ma dopo poco scrollò le spalle: si stava preoccupando troppo. Sicuramente sarebbe andato tutto benissimo!

 Quasi tre ore dopo, imboccarono la lunga strada sterrata che portava alla casa. Il grande cancello di legno che rimaneva permanentemente aperto riportava l’insegna della segheria Mitsui.

Il ragazzo sorrise compiaciuto: era contento di mostrare tutto quanto a Kiminobu. Raramente aveva avuto quel desiderio di ‘vantare’ quello che era stato il frutto del lavoro della sua famiglia per generazioni, eppure adesso gli sembrava giusto.

In fondo, sulla sinistra, si vedevano i grandi capannoni in cui veniva ammucchiata la legna fresca. Dall’altro lato, invece, c’era la segheria vera e propria, nel cui spiazzo antistante si trovavano i camion che venivano a ritirare le assi già piallate.

Sì, c’era la soddisfazione di poter mostrare il risultato del suo lavoro, un risultato tangibile.

“E’ incredibile!! Non è possibile che tutto questo sia tuo! Fino lassù? Oltre ancora? Praticamente non si riesce a vedere la fine della proprietà… ma come fai a mandare avanti tutto da solo?!”

Kogure era perso nello stupore di ritrovarsi di fronte qualcosa a cui non era minimamente preparato, e non si accorse del fatto che lui rispondeva ad alcune osservazioni con entusiasmo, felice di sorprenderlo, e ad altre con un trasporto stranamente contenuto.

Si fermarono lungo la strada. Le betulle altissime, ma ancora giovani, erano ricoperte dalle foglie appena spuntate, e il sole quasi al tramonto riusciva ancora ad illuminarle, facendole brillare.

“Kimi-kun… dovrei dirti una cosa, prima di arrivare a casa” mormorò Mitsui, giocherellando con le dita del compagno, strette tra le proprie.

L’altro portò subito la propria attenzione su di lui. C’era preoccupazione, un qualcosa di molto simile alla paura in quegli occhi. E lui non poté pensare più a niente se non a rassicurarlo…

Lo abbracciò stretto:

“Anche per me questo è il giorno più importante della mia vita” mormorò, affondandogli il viso nei capelli morbidi.

Sentì il compagno rilassarsi, la tensione scivolare via da quel corpo, mentre il ragazzo ricambiava il suo abbraccio.

“Vieni, andiamo a casa…” concluse, passandogli un braccio intorno alla vita.

Il dado era tratto… c’era solo da sperare che lo shock non lo facesse fuggire via!

 

Quando salirono i pochi gradini che portavano al portone principale della grande casa, si sentì un fruscio provenire dall’estremità del portico.

Mitsui sperò… e sembrò che per una volta Qualcuno lo avesse ascoltato:

“Ehi, ce l’hai fatta a tornare! La prossima volta ci vado io in città: ho proprio voglia di…”

La voce si interruppe bruscamente, mentre finalmente la figura, uscita dall’ombra, si rivelò davanti a loro.

Kogure, inizialmente preso dall’osservazione di quella casa enorme ma un po’ cadente, era rimasto immobile. Quando vide il ragazzo che si era fermato davanti a loro, fece un mezzo passo indietro.

C’era qualcosa di inquietante in quella figura, qualcosa che neanche lui all’inizio riusciva a comprendere.

Si voltò verso Mitsui, chiaramente interrogativo. Che diavolo ci faceva quel tipo nella loro casa?!

“Ehm… Kiminobu, questo è mio fratello. Akira.”

Fratello?

Kogure accennò un sorriso amichevole. Certo, Hisa-kun avrebbe potuto anche parlargliene, ma forse con tutte le emozioni della giornata, questo particolare doveva essere sfuggito al suo ragazzo…

“Molto piacere di conoscerti: Kogure Kiminobu” mormorò, inchinandosi leggermente.

L’altro spalancò la bocca in un sorriso inquietante, poi allungò una mano, fino ad afferrargli la sua, pronto a stritolargliela e ad agitargliela come una pompa.

Tutto questo senza che neanche un capello gli si muovesse: sì, finalmente aveva focalizzato il particolare disarmante: una pettinatura in grado di sfidare la forza di gravità, tante ciocchette appuntite sparate verso l’alto. Un lavoro da certosino, non c’era dubbio…

“E tu sei la ragazza di Hisashi?”

Ohi, ma era normale?!

“No. Sono un ragazzo” mormorò, cercando di essere gentile.

L’altro scoppiò a ridere:

“Sì, sembri proprio un ragazzo. Ma allora dov’è la fidanzata?” e guardò dietro di loro, come aspettandosi di vederla spuntare dal portabagagli del furgone.

“Demente! Non c’è nessuna ragazza. Ho scelto lui. E adesso smamma, che stai già scassando…”

Kogure si voltò verso Hisashi leggermente sorpreso: lui non aveva avuto fratelli, però quel tipo di linguaggio! Ok, sicuramente era solo uno scherzo.

“FERMATI O TI AMMAZZO, DANNATO ROSSINO!!!” si sentì urlare per la strada.

“NON E’ ANCORA NATO CHI BATTERA’ IL TENSAI!!!” tuonò un’altra voce.

Di nuovo il sorriso di… Akira? Sì, Akira.

“EHI!!! Piantatela, voi due!! Hisa-kun ha portato ospiti!”

“TREGUA PER LA SCORFANA, ALLORA!” propose la seconda voce.

“DOPO TI AMMAZZO LO STESSO!”

Che diavolo stava succedendo lì dentro? E chi erano questi due?! Era stanco, aveva voglia di riposare, e invece già ricevevano le prime visite del vicinato?

E poi quel modo di esprimersi… scorfana!

“Hisashi…” provò a mormorare, cercando di attrarre l’attenzione del ragazzo, che però era troppo preso dal prendere a calci il piede del fratello, nel tentativo di fargli smettere di ostacolare il loro cammino verso la porta di casa.

“EHI AKIRA! – possibile che questi altri due non potessero parlare con un tono di voce normale? – DOVE STATE?! 10 a 1 che è una rospa!” e giù risate senza fine.

Oddio, voleva scappare… e Mitsui che non faceva una piega!

Fino ad allora, almeno!

“Basta, dementi! Smettetela di fare questo casino, ricordatevi che abbiamo ospiti!” aveva pronunciato duramente.

Una frazione di secondo di silenzio, e poi di nuovo risate a non finire:

“Oh, oooh, Hisa-kun vuole che ci comportiamo da gentiluomini con la nuova conquista!”

Finalmente erano usciti allo scoperto, e Kogure non sapeva se essere più sconvolto dalla frase sulla nuova conquista o dal loro aspetto!

Alti, robusti, imponenti… uno con i capelli lunghi, mossi, legati in una coda di cavallo, con due occhi neri fiammeggianti di rabbia, evidentemente diretta contro il compagno. Quest’ultimo aveva invece corti capelli… rossi?! Sì, erano proprio rossi!! Occhi nocciola, dall’espressione divertita, e una smorfia di arroganza sul volto:

“Ma dov’è la tipa?! – il ragazzo dai capelli rossi si fermò, guardandosi intorno incuriosito e senza degnarlo di uno sguardo – BWAHAHAHAH!! Lo sapevo che non se lo sarebbe accattato nessuna!!!” ricominciò ad urlare.

L’altro era rimasto con la mascella pericolosamente spalancata, ma non durò a lungo:

“AHHHHH!!!! ABBIAMO UN ALTRO SFIGATO!!! Non ci bastava Hana-scimmia, ora anche lo sfregiato!!!! BWAHAHAHAHAH!!!”

Non era possibile! Ma chi erano questi due pazzi?! E perché dicevano tutte quelle cose su Hisashi senza che lui li interrompesse? Aveva sempre saputo che la vita sulle montagne poteva fare a meno di certe regole di bon ton, ma questo era troppo! Si voltò rabbuiato verso Mitsui:

“Chi sono? Cosa sta succedendo?” chiese gelido. Tutto quanto si stava rivelando un terribile scherzo di cattivo gusto.

Sentì che l’altro gli stringeva la mano nella propria. Non gli rispose, ma si girò verso quegli amici:

“Vi ho detto di smetterla. Sono andato in città e ho trovato la persona per me… - si voltò verso di lui, indicandolo con un cenno della testa – questo è Kiminobu Kogure” scandì chiaramente.

I due smisero di ridere, chinandosi a fissarlo, mettendolo in imbarazzo:

“E’ un uomo?” chiese quello con i capelli rossi.

“Non lo vedi? Sei pure ciecato oltre che deficiente?” ribatté subito quello col codino.

“Beh…”

“Ecco….”

“MA STAI DICENDO SUL SERIO??!! Nessuna t’ha voluto e ti sei accattato un ragazzo?! Pure tappo e quattr’occhi?!”

SBONK!
E quest’altro da dove era uscito?! Aria minacciosa, una montagna di muscoli, un’altezza spropositata, una smorfia furente sul viso che lo faceva assomigliare pericolosamente ad un gorilla!

“TAKENORI! COME OSI??!!” esclamarono i due insieme, massaggiandosi i bernoccoli sulla testa, appena lasciati dai due pugni violenti.

“Che diavolo fate tutti qui fuori?!” tuonò l’ultimo arrivato.

Infatti, cosa stavano facendo tutti lì fuori? Perché non se ne tornavano a casa? Lui era stanco, e sempre più convinto di aver sempre fatto bene a prendere le proprie decisioni usando la testa, senza lasciarsi trasportare dall’istinto. Comunque la mattina dopo sarebbe riuscito a ripartire, sarebbe tornato in città. Doveva solo sperare che Anzai-sensei lo riprendesse a lavorare. Ecco, faceva bene a prendere quel viaggio come una gita.

Si voltò con la ferma intenzione di dirlo a Mitsui, ma rimase con la bocca socchiusa, incapace di dar voce alla propria lamentela. Era bastato pericolosamente poco per farlo innamorare di quel ragazzo, e tutto sommato le promesse che si erano fatti erano ancora in piedi. L’idea di cominciare una vita insieme, di confrontarsi con i problemi non da solo, ma finalmente con una persona accanto, il suo desiderio di dedicarsi completamente a qualcuno erano ad un passo dalla realizzazione, come poteva pensare di lasciare tutto, senza combattere?

Doveva solo aspettare che ci fosse un po’ più di calma, doveva solo attendere che quei pazzoidi che si erano installati davanti alla loro porta di casa se ne andassero.

Stancamente si appoggiò ad un pilastro del portico:

“Mitsui-kun, sono stanco” mormorò, senza neanche sforzarsi di alzare la voce per farsi sentire in mezzo alla baraonda che li circondava.

Eppure, in mezzo alla confusione generale, l’alto ragazzo moro si voltò:

“Scusami, adesso entriamo. Non vi ho neanche presentati…”

Ok, un ultimo piccolo sforzo.

Sembrava che Hisashi fosse un pochino a disagio, che prendesse tempo. No, doveva essere solo una impressione.

“Kimi-kun… ecco, loro sono Hanamichi – il ragazzo con i capelli rossi fece un passo avanti, sfoderando un ghigno divertito – e Minori – l’altro, quello con i capelli legati gli diede una botta sulla spalla, rischiando di sfondargliela – loro sono…” Mitsui si era interrotto di nuovo, e lui lo invitò a proseguire con lo sguardo. Perché prolungava quell’agonia?

“Siamo i suoi fratellini!” sbottò a ridere Hanamichi, avvicinandoglisi poi minacciosamente, come se volesse dargli una testata.

E poi fu buio…

 

E adesso? Bel pasticcio era successo, forse doveva prepararlo, ma come raccontargli dei fratelli? Se Akira era ancora ancora presentabile, Minori e Hanamichi non potevano essere in alcun modo ‘migliorati’… nessun infiocchettamento aveva presa su di loro.

Si chinò a guardare il viso disteso di Kogure. Era un po’ preoccupato, perché era svenuto in quel modo? Che fosse di salute cagionevole?

Si strofinò il mento: questo poteva rivelarsi un problema, forse avrebbe dovuto fargli fare qualche esame, non poteva permettersi che non fosse sano e robusto: la vita sulle montagne era dura, non tutti potevano resistere.

Si sedette sulla sedia accanto al divano, continuando a meditare su quello che era successo. Fra l’altro era quasi ora di cena… un rumore inequivocabile gli fece capire che anche il suo stomaco se ne era accorto.

Akira era andato a prendere la legna, e Minori e Hanamichi continuavano a battibeccare sul portico. Scosse la testa sconsolato, mai che non lo facessero vergognare! Il fatto che i loro genitori fossero morti che ancora erano bambini, non aveva certamente aiutato. Eppure lui aveva cercato di impartire ai fratelli l’educazione di un perfetto gentiluomo di campagna, pensò sputando nella fornace del camino e reinfilandosi lo stuzzicadenti in bocca, sì, aveva sempre fatto del proprio meglio. E adesso, con l’aiuto di Kiminobu, tutto sarebbe andato perfettamente a posto.

Si sporse per accarezzargli la fronte, per poi ritrarsi immediatamente quando sentì dei passi dietro di sé:

“Ancora non si è ripreso? Forse dovresti fare come con la vecchia Clarabella: un panno intriso di acqua gelata sul groppone!”

“Akira… lui non è una mucca, nel caso non te ne fossi accorto!” sbuffò, domandandosi ancora una volta se qualcosa non fosse andato storto nel parto del fratello.

“Uomini, animali… che differenza c’è?” mormorò l’altro, portando con calma la legna vicino al camino.

“Guardando te, uno direbbe nessuna…”  ribatté lui acidamente.

E Akira rise. (E Franti rise…)

Hisashi riportò lo sguardo sulla figura adagiata sul divano, e si accorse che stava cominciando a risvegliarsi:

“Ehi, mi hai fatto preoccupare!” esclamò con voce un po’ tesa.

Kogure aveva finalmente riaperto gli occhi, ma dal lampo che li aveva attraversati nel momento in cui il suo sguardo si era concentrato su Mitsui, si capiva che la realtà della situazione in cui si trovava lo aveva colpito in modo non completamente piacevole.

“E’ tutto vero, allora…”

Hisashi abbassò e alzò ripetutamente e decisamente la testa:

“Assolutamente sì!” replicò, sorridendo.

In quel momento fecero il proprio ingresso Hanamichi e Minori, con i volti completamente ricoperti di terra e lividi, ovviamente eredità della rissa avvenuta fuori della porta:

“Ah, la bella addormentata si è risvegliata!!” esclamò Minori.

“Bella?! Quel quattr’occhi?!” replicò Hanamichi.

Mitsui non fece in tempo a zittirli che si accorse che… no! Kiminobu era svenuto di nuovo! Non era possibile!!

 

Quando tornò definitivamente in sé, Kogure decise di affrontare la situazione con coraggio. Ok, da quella mattina erano accadute parecchie cose, sicuramente molte erano state sorprendenti, ma alla fine che problema c’era? Hisa-kun aveva dei fratelli, tre fratelli, per essere precisi. Beh, lassù in montagna sarebbero stati soli, la presenza di quella famiglia numerosa poteva portare un po’ di vivacità alla loro vita.

Ecco, doveva cercare di pensarla in questo modo! Certamente avrebbe preferito che i due più giovani fossero un po’ meno violenti, sia nel modo di agire che di parlare, ma tutto sommato avrebbe potuto cercare di lavorare su questo. L’altro, Akira, sembrava più tranquillo, tutti i suoi sforzi potevano concentrarsi sui due teppisti.

Si appoggiò alla spalliera del divano, cercando di recuperare una posizione che gli consentisse un maggior controllo della situazione.

“Tieni, questo dovrebbe farti tornare in forze…” gli mormorò Hisashi, porgendogli un bicchiere, pieno di qualcosa di scuro e caldo.

Si portò la bevanda alla bocca.

Dovette trattenersi per non sputare tutto per terra: ma cos’era quella cosa amarissima e evidentemente alcolica?! Stavano cercando di ucciderlo, forse?

“E’ una vecchia ricetta della nostra famiglia. La usiamo per tutti i malanni” gli spiegò il ragazzo con i capelli a punta, sedendosi sul panchetto basso accanto al camino.

Immediatamente furono raggiunti anche dai due più giovani:

“Uh, ecco i gemelli…” mormorò sempre Akira, sollevando un sopracciglio con disapprovazione.

I due ghignarono, e si sedettero sul pavimento.

Finalmente la situazione sembrava più tranquilla! Sembrava… i due presto cominciarono a spintonarsi per conquistare una mattonella in più.

Eppure Hisashi e Akira sembravano completamente rilassati. Forse, dopo tanto tempo, neanche si accorgevano più delle baruffe continue tra i due.

E poi comparve di nuovo quel tale che aveva punito Minori e Hanamichi, quello con quel viso terribile:

“Ho portato un po’ di tè – disse poggiando malamente una tazza sul tavolino traballante di fronte al divano – è sicuramente meglio di quell’intruglio di code di rospo!”

Scoppiarono tutti a ridere, tutti tranne lui, che cominciò a premersi lo stomaco con le mani aperte. Code di rospo??!!

“Sta scherzando! Mica te la sarai presa, signorino!” gli alitò nell’orecchio Minori, dandogli contemporaneamente un pugno ‘affettuoso’ sulla spalla.

“Mitsui-san, lui è…” chiese cercando di mostrarsi forte e indicando il gorilla con la testa.

“Takenori… Takenori Mitsui” rispose l’altro, senza aggiungere spiegazioni.

“Quindi anche lui ha il tuo stesso cognome…”

I due gemelli annuirono insieme:

“E’ il fratellone!” rivelarono, guardandosi poi in cagnesco per aver parlato contemporaneamente, mentre ognuno di loro voleva essere il primo a fare la rivelazione.

Kogure strinse le dita intorno al bracciolo del divano.

Fratello… un altro?

“E sono finiti qui, oppure me ne manca ancora qualcuno?” provò a scherzare, cercando di reagire con carattere all’inondazione di parenti. Gli sembrava che il suo sogno sul nido d’amore tra le montagne si stesse velocemente dissolvendo, in mezzo a quelle risate beffarde.

“Ma come? Non ti ha raccontato niente di noi?! – il tono di Takenori-gorilla sembrava sinceramente sorpreso – Hisashi! Non ti vergognerai mica della tua famiglia!”

E giù risate. Possibile che questo fosse il loro modo di scherzare?!

“Idioti! Non ce ne è stata occasione. Tutto è accaduto così in fretta… - Mitsui-kun si interruppe per guardarlo sorridente – comunque la famiglia è quasi al completo…” lo rassicurò.

“Uh… ecco i ‘quasi’!” esclamarono i gemelli in coro, voltandosi verso la porta, da cui provenivano dei rumori.

E la porta si aprì.

Il mistero era stato svelato: la madre dei Mitsui doveva essere la donna delle nevi, e il padre il gigante Golia… altrimenti come potevano essere tutti così alti?

“Questi sono Shinichi e Toru… sono gli ultimi, lo giuro” gli mormorò Hisashi, cercando di leggere la reazione nei suoi occhi.

“Anche loro sono…”

Akira annuì:

“Le notti qui sono lunghe e fredde… i nostri genitori avevano trovato il modo per occuparle!”

“Stai zitto, deficiente!” tuonò il gorilla.

I due nuovi arrivati si fermarono davanti al fuoco, poi il più basso si voltò.

Aveva una carnagione strana, decisamente tendente al giallastro, e una smorfia di sufficienza sul volto. Sembrava quasi che si ritenesse migliore degli altri. Quando si accorse che stava per parlare, Kogure si sentì leggermente in soggezione. Era sicuro di stare per ascoltare qualcosa che gli sarebbe rimasto per sempre scolpito nella mente:

“Munto Milly. Due secchi. ‘Sta vacca c’ha qualcosa che non va. Tre ne sparava, fino alla settimana scorsa”.

Il ragazzo rimase a bocca aperta:

“Ah… interessante” provò a mormorare sorridendo. Oddio… oddio… oddio…

“E’ nato, è un maschio” mormorò invece il ragazzo più alto, quello con gli occhiali e l’aspetto pulito, gentile “Pensavo che Bucaneve non ce la facesse, il parto si presentava podalico, Hisa-kun; è stata dura, ma è nato. Ed è già in piedi”.

Kiminobu si accorse dello sguardo attento e soddisfatto del compagno. Vi si leggeva molta stima nei confronti del fratello, Toru, se aveva ben capito.

“SEI STATO GRANDE, SPILUNGONE!!”

Non dovette voltarsi per capire da chi provenisse l’urlo. Aveva ormai imparato a riconoscere la voce argentina del rossino.

“Questo è Kiminobu Kogure – lo presentò Hisashi agli ultimi due fratelli – è il mio ragazzo” spiegò fiero, posandogli una mano sul braccio.

“Sono contento per te, fratellone!” rispose Toru, sorridendo.

“Tre secchi faceva. Non capisco che le stia prendendo…” si felicitò Shinichi.

“EHI!!! MA NON E’ ORA DI CENA??!! IL TENSAI HA FAME!!!”

Sarebbe diventato sordo, non c’era dubbio… o peggio, avrebbe cominciato ad urlare come loro. Non c’erano alternative.

“Ma tu sai cucinare?!” gli chiese Takenori, sospettoso.

“Kimi-kun ha lavorato per anni nel ristorante dello zio” ribatté pronto Hisashi, chiaramente soddisfatto di poter rivelare la bravura del suo fidanzato.

Kogure sorrise, arrossendo leggermente. Era contento di saper fare qualcosa che potesse rendere orgoglioso il suo ragazzo di fronte alla famigliola.

“E ALLORA CHE ASPETTI?! VAI A CUCINARE!”

L’urlo di Minori lo aveva fatto saltare sul sedile! Perché doveva gridare quando li separavano solo 20 centimetri?

“Beh… io…” si sentiva un po’ in imbarazzo. Gli sembrava di dover dimostrare qualcosa, di dover superare una prova. Però era contento di farlo per Hisashi. Avrebbe preparato una cena coi fiocchi!!

“Ditemi solo dov’è la cucina. Sono sicuro che rimarrete stupiti dalla mia abilità – esclamò fiero – e non osate alzare un dito!”

“Quanto a questo, non ci pensiamo proprio!” replicò subito Akira, precipitandosi a prendere il suo posto sul divano, e allungandosi in modo da indicare chiaramente che non si sarebbe schiodato da lì neanche fosse crollata la montagna. Lui scrollò la testa, non era certamente una cosa importante, e poi era evidente che approfittassero di questa soluzione anche per riposarsi un po’.

Si rimboccò le maniche e raggiunse la cucina.

Doveva preparare per… contò sulle dita: Hisashi, Takenori, Shiniki, Toru, Akira, Minori e Hanamichi. Sette, sette fratelli… e poi per sé, certo.

La cucina era enorme. Certo, non era proprio ordinatissima come quella del ristorante, ma non gli sarebbe stato necessario molto tempo per rimetterla in sesto.

Abituato a cucinare per molte persone, non si stupì delle pentole enormi, e delle provviste per un reggimento che trovò stipate nel grande frigorifero e nella dispensa.

Si fermò un istante per pensare a cosa preparare. Non voleva fare qualcosa di complicato, tra l’altro era anche piuttosto stanco, ma voleva comunque fare un buona figura, e così decise di cominciare con la zuppa di soba, facendola seguire dal sukiyaki.

Un’ora dopo aveva apparecchiato la tavola, e finito di cucinare una cena completa: zuppa, carne, verdure. Aveva disposto tutto ad arte nei piatti di portata. Non era niente di particolarissimo, ma il tutto faceva davvero un bell’effetto sulla tovaglia candida che aveva trovato nascosta in fondo ad un cassetto. Per un momento aveva quasi temuto che la famigliola non usasse tovaglie, ma ovviamente si era subito vergognato di questo pensiero, e infatti la ricerca era stata premiata.

Diede un’ultima occhiata, poi si affacciò nella stanza accanto per chiamare i ragazzi per la cena.

“Venite? E’ tutto pron…”

Non riuscì a terminare che fu letteralmente travolto da quel piccolo esercito, tra spintoni e urla belluine.

“Ma cosa fate…” mormorò sconvolto, vedendoli sbattere le sedie, per poi gettarsi direttamente sui piatti di portata, litigandoseli e strappandoseli l’un l’altro dalle mani.

“Hisashi…” tentò di protestare, vedendo il compagno che raggiungeva gli altri nella sala da pranzo. Si rilassò leggermente, lui li avrebbe riportati all’ordine, sembrava l’unico a ricordarsi le buone maniere…

“Che diavolo state facendo, bifolchi?!” aveva infatti subito esordito all’indirizzo dei fratelli.

Kogure sorrise dolcemente. Era sicuro che Hisashi non l’avrebbe deluso. Vide il ragazzo sedersi a capotavola e guardare torvamente i fratelli, per poi… scoppiare a ridere buttandosi sul piatto di portata più vicino!

Mentre un pezzo di carne gli pendeva dalle labbra, lo udì dire:

“Cominciate la battaglia senza il vostro fratello maggiore?!”

E la baraonda riprese peggiore di prima.

Per qualche secondo lui rimase a guardarli sconvolto: si tiravano la roba da mangiare, si strappavano il pane dalle mani, infilavano le dita direttamente nei piatti di portata, il vino aveva inzuppato la tovaglia, e parecchie stoviglie erano finite in terra.

No, non poteva accettare qualcosa del genere, quelle non erano persone.

Si avvicinò deciso al tavolo, ignorando lo sguardo sorridente di Hisashi, e quello stupito di Minori e Hanamichi, che stavano combattendo senza esclusione di colpi per uno spiedino. Con le mani afferrò un lato del piano di legno:

“MANGIATE COME ANIMALI!! – gridò, adeguandosi allo standard della famiglia Mitsui – Beh, adesso mangerete proprio come le bestie, per terra!”

E con un movimento secco ribaltò la tavola, facendo finire tutto per terra, piatti, posate, cibo, bevande. Tutto sul pavimento lurido.

Gli aveva dato una enorme soddisfazione sfogarsi in quel modo. Aveva preparato tutto sperando di far loro apprezzare la propria abilità, ma a quelli sarebbe bastata una zuppa di cavolo, non erano assolutamente in grado di cogliere la minima raffinatezza.

Raffinatezza… che parolona, quelli non erano in grado di comportarsi come persone. A forza di vivere con le bestie, ne avevano assunto i modi. E lui… lui si era gettato coscientemente in una gabbia di pazzi!!

“Kimi-kun, che diavolo ti prende?!” gli chiese Hisashi, visibilmente spazientito, ma con le mani di nuovo in una delle casseruole.

“MI PRENDE CHE NON SIETE DEGNI DEI MIEI SFORZI! Mangiate in una maniera indecente, c’è da vergognarsi al solo guardarvi!” urlò furente.

“Non mi sembra carino che tu ci tratti così…” gli replicò l’altro, come se non riuscisse assolutamente a capire il motivo di tanta rabbia.

“Ti sei trovato una fidanzata di carattere, fratellone!” intervenne Akira, risucchiando poi lo spaghetto di soia che gli penzolava dalle labbra, con un rumore che gli fece accapponare la pelle.

“IO SONO UN  RAGAZZO, IDIOTA!!!” gli replicò subito. Ma quello si era limitato a sorridere, stringendosi nelle spalle. Inquietante, non c’era altra parola…

“E comunque, ora che tu sei con noi, sono sicuro che le cose andranno meglio! La cena è davvero ottima…” proseguì Mitsui, serafico.

“E la casa? Questa casa è un porcile!”

“Ma ora ci sei tu” ripeté l’altro, come se fosse la cosa più scontata del mondo “Perché pensi che avessi bisogno di una compagna?!”

“COOOOOSAAAAA???!!! – dovette fermarsi un istante per riprendere fiato e assorbire il colpo: aveva davvero compreso bene?! – ti servo per pulire i pavimenti e preparare da mangiare?! Questo è il motivo per cui mi hai portato sin quassù?”

Dovette sedersi; una volta tradotta in parole, quella situazione era ancora più raggelante.

Hisashi gli si avvicinò, posandogli una mano sul braccio, ma lui si scosse immediatamente, liberandosi di quella presa:

“Questo desideravi… qualcuno che ti facesse le pulizie” mormorò senza forze.

L’altro rimase per un momento in silenzio, poi riprovò a farsi sotto:

“Ma… ma cosa hai capito! Assolutamente no, però è chiaro che il fatto che tu sia così bravo con le cose di casa può aiutarci. Non c’entra niente con i sentimenti che provo per te!!”

Un coro di fischi sottolineò le sue parole, e neanche la sua occhiataccia inceneritrice riuscì a zittire quel pubblico molesto, ancora sparso sul pavimento in mezzo ai piatti sporchi.

Kogure alzò la testa, portando lo sguardo ferito in quello del compagno:

“Sei un bastardo, Hisashi Mitsui… io che facevo sogni, e tu che ti facevi i calcoli sulla convenienza di abbindolare uno che per anni aveva fatto solo il cameriere!”

“SMETTILA!!! – gli urlò il compagno – E PIANTATELA ANCHE VOI!” gridò rivolto ai fratelli, che ancora vociavano in sottofondo.

Ma lui non si intimorì, ricambiò quello sguardo furioso con uno sprezzante, poi sibilò:

“Dimmi dove posso andare a dormire. Domani me ne andrò”.

“Dormirai in camera mia, così come stabilito – gli ribatté Hisashi, cercando di mascherare il leggero rossore che gli si era soffuso sulle guance – E non parlare di andare via. Sei solo stanco, e tra poco riuscirai a vedere tutta la situazione più freddamente” gli predisse.

“Scordatelo”.

Si accorse benissimo che l’altro era in imbarazzo, probabilmente essere respinti di fronte a sei bifolchi che, tra le altre cose, erano anche i suoi fratelli lo metteva a disagio. Kogure non riuscì a reprimere una smorfia sarcastica: probabilmente c’era in gioco la virilità del capofamiglia!

Si sentì tirare per un braccio e trascinare su per la scala ripida, mentre dal basso provenivano risate e miagolii derisori. Si liberò con uno strattone:

“Scordati tutto quello che ci siamo detti, Hisashi. Le promesse erano sincere solo da parte mia. Io non voglio più aver nulla a che fare con te”.

L’altro non rispose, ma gli afferrò il polso, guidandolo con decisione, ma senza la violenza di prima, verso una camera in fondo al corridoio del piano di sopra.

Quando finalmente ebbe chiuso la porta alle loro spalle, il ragazzo parlò:

“Quando ti ho detto che anche per me questo era il giorno più bello della mia vita, non stavo scherzando! Non l’avrei detto se avessi visto in te uno schiavo, lo capisci?!” sbottò, posandogli le mani sulle spalle.

“Tu desideri solo qualcuno che si occupi della casa, che vi prepari da mangiare e che non si stanchi a pulire tutto il giorno lo schifo che fate. Non ti serve un compagno, non sapresti che fartene. E io a queste condizioni non rimango” ribatté Kogure, calmo.

“Non pensarci nemmeno! Io non ti lascio andare via, mettitelo in testa!”

“Intendi forse tenermi prigioniero? Già, questo si adatterebbe ai vostri modi barbampfhhh…”

Non era riuscito a continuare, che l’altro lo aveva spinto contro il muro, stringendolo forte e baciandolo violentemente. Cercò di sottrarsi a quell’assalto scuotendo la testa e provando ad assestargli qualche calcio negli stinchi, ma fu tutto vano, e presto si ritrovò a contraccambiare quel bacio, attaccando la bocca di Mitsui con la stessa foga con cui l’altro aveva ormai conquistato la sua. Si separarono solo per riprendere fiato per un altro ‘confronto’, e Kogure si rese conto che stava completamente perdendo il controllo: aveva passato le braccia, finalmente libere, prima intorno alle spalle del compagno, poi intorno al collo, e aveva cominciato a giocare con le ciocche appena tagliate.

Ritornò in sé solo molto tempo dopo, e il ghigno soddisfatto che aleggiava sul viso di Hisashi gli fece solo venire voglia di dargli un pugno sul naso: quel ragazzo cominciava ad avere troppo potere su di lui, e ne era troppo consapevole!

“Non te ne andrai, vero?” lo sentì mormorare tra i suoi capelli, e poi quelle labbra cominciarono a giocare con il lobo del suo orecchio.

Si allontanò di scatto, spintonando il compagno:

“Faremo una prova, anche se non te la meriti – gli comunicò – questa prova prevede che io rimanga alle mie condizioni, la prima delle quali è che tu te ne vada da quella che ora è la mia stanza. Fuori!” e lo spintonò sul pianerottolo, chiudendo poi a chiave la porta.

 

Sette Basketmen per Sette Fratelli – Fine prima parte





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