Fic interamente
dedicata e concepita per Ria, per festeggiare il suo compleanno, ma
soprattutto per ringraziarla dell’allegria e dell’ottimismo che ci
trasmette. Ho impiegato più del previsto a scriverla e so di essere
colpevolmente in ritardo, però le buone intenzioni c’erano… è mancato il
tempo!
Tanti auguri, webmom!!
Un baciotto e un
ringraziamento a Nausicaa e Calipso, come sempre indispensabili per il
sostegno e l’aiuto che mi danno.
Un saluto particolare
anche a Angie, Kira e Fra-chan, e a chiunque riterrà di aver passato dei
minuti piacevoli leggendo questa storia.
I personaggi di SD non
sono miei, così come non è mio il soggetto del film ‘Sette spose per sette
fratelli’, che, pur completamente stravolto, mi è stato di ispirazione.
Ultima cosa: a me
piacciono tutti i personaggi di Slam Dunk, senza anche uno solo di loro
questo manga bellissimo non sarebbe lo stesso. Se mi sono lasciata
trasportare dall’ironia, nel descriverne alcuni, l’ho fatto con affetto.
Buona Lettura.
7 Basketmen
for 7 Brothers
parte I - Hisashi e i suoi fratelli
di Greta
Venticinque anni,
lavoro sicuro, autonomo, casa di proprietà, carattere aperto, senso
dell’umorismo, forza eccezionale, aspetto fisico, come dire… un figone
come se ne vedono pochi, mentalità pratica. Insomma, con tutto questo
bendiddio, quanto avrebbe impiegato a trovarsi una compagna che lo
seguisse e lo aiutasse, la classica ‘ciliegina sulla torta’?
Hisashi Mitsui parcheggiò
il furgone e cominciò a camminare per le strade della città. Aveva un solo
giorno a disposizione: quella sera stessa sarebbe dovuto tornare sui monti,
visto che il lavoro non gli dava respiro, soprattutto in quel periodo
dell’anno, quindi doveva fare in fretta.
Cominciò a fissare ogni
ragazza che incontrava, sorridendo allegramente ogni volta che ne incrociava
gli sguardi un po’ stupiti e un po’ divertiti. Certo, queste ragazzine di
città avevano raramente avuto la possibilità di vedere un vero uomo, e lui,
alto, con la barba folta e i capelli fluenti, non doveva certamente passare
inosservato!
Per prima cosa entrò dal
ferramenta: c’erano più di un paio di cose assolutamente necessarie, su alla
segheria, e poi doveva comprare delle provviste, dei vestiti, dei semi,
tutto quello che gli avrebbe impedito di dover tornare a breve in città. E
poi la cosa più importante… una ragazza.
Erano mesi che ci stava
pensando… o forse sarebbe meglio dire, che gli ci stavano facendo pensare.
Sembrava che tutti ritenessero che a venticinque anni fosse indispensabile
costruirsi una famiglia. Non che lui avesse delle obiezioni in merito,
semplicemente non gli sembrava una cosa così urgente. Ma ora si era abituato
all’idea ed era anche contento di poter sistemare quest’altra faccenda. Gli
aveva sempre dato fastidio lasciare dei doveri in sospeso, a volte le
persone intorno a lui si erano lamentate della sua abnegazione al lavoro,
per il suo piglio da comandante… schiavista, lo aveva chiamato quel demente
di Hanamichi… e quindi ora avrebbe risolto anche questa questione. Fra
l’altro non si riteneva di grandi pretese: gli bastava una ragazza
sufficientemente carina e simpatica, magari abile in cucina, una
lavoratrice, perché la vita sui monti non era una passeggiata, affettuosa e
ubbidiente. Ecco, tutto sommato non doveva essere un’impresa, visto quello
che lui aveva da dare in cambio!
Sorrise ad una brunetta
con i lunghi capelli ricci e un’espressione aperta e schietta, poi scosse la
testa passando innanzi, quando si accorse dello sguardo feroce del nanetto
che la accompagnava: il mare era pieno di pesci, inutile perdere tempo con
uno già all’amo!
Era quasi l’ora di
pranzo, e lo stomaco cominciò a inviargli segnali di protesta abbastanza
espliciti.
Terminati gli acquisti,
si rivolse al proprietario del grande emporio, chiedendogli un consiglio per
un locale economico ma dignitoso dove andare a mangiare:
“…in fondo alla strada,
c’è il ristorante di Anzai-sensei. E’ uno dei migliori, la cucina è ottima,
le razioni abbondanti, e l’ambiente simpatico. Glielo consiglio caldamente,
Mitsui-san” gli disse l’uomo, inchinandosi leggermente davanti al ragazzo
che conosceva ormai da quindici anni.
Si diresse lentamente
verso il posto che gli era stato indicato. Non aveva nessuno a fargli
fretta, in qualche modo era sicuro che prima di sera avrebbe risolto anche
l’ultima commissione. Si infilò le mani in tasca e cominciò a fischiettare
un motivetto allegro. Rovesciò indietro la testa: il cielo era azzurro,
privo di nuvole… si sentiva euforico, come se presentisse che qualcosa di
piacevole stava per accadergli.
L’insegna era discreta, e
nella piccola piazza il ristoratore, questo Anzai-sensei di cui gli aveva
parlato Takato-san, aveva sistemato dei tavoli sotto gli ombrelloni. Era
strano trovare un posto come quello a Kanagawa, in genere gli unici posti
con alberi e possibilità di sedere all’aperto erano i parchi, e invece
questo angolo della città sembrava ricalcare quelle immagini
dell’enciclopedia dei ragazzi in cui venivano rappresentate le capitali
europee.
Sorrise fra sé: come
diavolo gli erano venuti in mente dei pensieri così profondi? Però era vero…
aveva sempre avuto l’animo del filosofo.
Quando si affacciò sulla
soglia del locale, un signore sulla sessantina, un po’ in carne e con i
capelli completamente bianchi gli si fece incontro:
“E’ da solo, signore?”
Mitsui sgranò gli occhi.
Nonostante i modi compiti, quell’uomo sembrava nascondere un carattere
deciso, e la bonomia, nei suoi occhi nascosti dagli occhiali, si mescolava
ad una forte dose di ironia.
Improvvisamente si sentì
come un ragazzino colto in fallo dall’insegnante, eppure non ne aveva alcun
motivo.
“Sono solo. Vorrei un
tavolo all’aperto…” mormorò, voltandosi verso l’esterno. Il tavolo più
grande era occupato da una comitiva abbastanza rumorosa, che aveva già
cominciato gli antipasti.
Il proprietario lo
accompagnò ad un tavolo più piccolo, sistemato in maniera tale da poter dar
modo di seguire quello che accadeva agli altri clienti, ma abbastanza
defilato da poter consentire una certa privacy.
“Spero che qui si trovi
bene…” mormorò l’uomo, sistemando la tovaglia e porgendogli un menù. Poi,
guardandolo con più insistenza, aggiunse:
“Sono sicuro che l’ha
mandata Takato-san”.
Come diavolo aveva fatto
a capirlo?! Forse perché un ragazzo con il suo aspetto poteva venire solo
dall’emporio agrario? Stava quasi per alzarsi sdegnato, quando arrivò
qualcuno alle sue spalle:
“Posso esserti d’aiuto,
Anzai-sensei?”
Una voce profonda, ma
morbida, un tono gentile, sicuramente accompagnato ad un sorriso
rassicurante…
Hisashi Mitsui si voltò
lentamente, come se volesse gustarsi fino in fondo quegli istanti di attesa,
prima di vedere LA persona.
“Posso occuparmi io del
signore, zio” continuò quella voce. E lui vide, vide quel sorriso che lo
stupì perché superava di molto le sue aspettative, si perse nello sguardo
limpido, aperto, nell’espressione tranquilla ed efficiente.
Si abbandonò contro lo
schienale, come se le forze lo avessero abbandonato… e in quel momento capì
che anche la sua ultima commissione era giunta al capolinea, e aveva trovato
ben di più della miseria che credeva sarebbe stata più che sufficiente a
soddisfarlo, aveva capito che probabilmente cercando un coniglio si era
invece imbattuto in un cervo.
“Ha già scelto qualcosa
dal menù?”
Il vecchio se ne era
andato, finalmente, ed erano rimasti loro due, e quell’aria di aspettativa
che li avvolgeva.
“Ehi tu, vieni a portarci
altro sakè!!” urlò nella loro direzione un uomo dalla tavolata accanto,
evidentemente alticcio.
Mitsui si alzò in piedi,
e camminò deciso verso il gruppo. Afferrò l’uomo che aveva appena parlato
per il colletto della camicia, sollevandolo in piedi e sbattendolo contro il
muro:
“Non mi sembra di averti
sentito dire perfavore” gli sibilò sul viso.
Come osava quel rifiuto
umano rivolgersi in quel modo sguaiato ad una persona così gentile?
L’uomo, con gli occhi
sbarrati, ansimava sotto la stretta delle sue mani.
“Lo lasci!! Ma cosa sta
facendo?!”
Non poteva crederci…
cercava anche di difendere quel beone arrogante?! Quale anima candida e
generosa doveva nascondersi dietro lo sguardo limpido dei suoi occhi
nocciola…
Diede un ultimo strattone
all’uomo, facendogli sbattere ancora una volta la nuca contro il muro:
“Questa volta ti è andata
bene… prova a rivolgerti in questo modo un’altra volta e ti spacco la
faccia!” gli sibilò a pochi centimetri dal viso.
Lasciò la presa e,
finalmente soddisfatto, si diresse verso il proprio tavolo.
“Non avevo bisogno
di un salvatore… sono capace di cavarmela da me!” si sentì mormorare, mentre
gli veniva porto ancora una volta il menù.
Alzò lo sguardo,
sorridendo:
“Non ne dubito – poi,
mentre ricominciava a scorrere il menu, aggiunse – ti piace il tuo lavoro?”
Sembrò che la sua domanda
fosse qualcosa di inaspettato:
“E’ un impiego
temporaneo, sto finendo l’università”.
“Sai cucinare bene? Devi
aver fatto parecchia pratica, con tuo zio…” a Mitsui non sfuggì che queste
domande dovevano sembrare, come minimo, indiscrete, ma aveva bisogno di
conoscere le risposte, prima di proseguire con il suo piano. A metà
pomeriggio doveva rimettersi in marcia per la montagna, e voleva sistemare
la questione nel minor tempo possibile.
“Beh… lavoro qui da
parecchio tempo. Alla fine si impara per forza. Ma…”
Lui lo interruppe:
“E non ti spaventano i
lavori domestici, vero? Con il ristorante, immagino che dobbiate faticare
parecchio: lavare i piatti, mettere a posto i tavoli, i pavimenti…”
“Con un ristorante, sono
cose obbligatorie. Non sono piacevoli, ma farle è meno antipatico di quello
che potrebbe sembrare – sorrise, scuotendo la testa – se non mi darà presto
il suo ordine, però, rischio di non doverle più fare, lo zio mi licenzierà!”
Anche Mitsui sorrise… era
impensabile non corrispondere l’espressione rilassata e tranquilla di quel
viso:
“E ti piace vivere in
città? Non preferiresti l’aria pulita della montagna?”
Ok, questa era l’ultima
prova…
“Fino a qualche anno fa,
andavo spesso in montagna con i miei genitori. Poi…” distolse lo sguardo per
un istante, poi abbozzò un sorriso di scusa “…ora non ho nessuno con cui
andarci! Rimpiango quella vita, semplice ma piena di soddisfazioni! Amo la
città, ma spesso mi viene il desiderio di scappare…” si interruppe di nuovo,
come per lo stupore di aver detto cose molto private ad un perfetto
sconosciuto.
Ma Mitsui continuò a
sorridergli:
“Sono contento di quello
che mi dici – mormorò – Puoi portarmi il menu del giorno, qualsiasi sia, poi
vai a prepararti. Fra tre ore partiremo per la montagna”.
Si rilassò contro lo
schienale della sedia. Il più era fatto, almeno quello che era in suo
potere. Ora non gli restava che sperare.
“Ma… cosa sta dicendo?!”
Sembrava non credergli,
forse era il caso di essere più espliciti:
“Senti, io sono sceso in
città non solo per comprare semi e attrezzi. Sto cercando una persona, LA
persona… e penso che sia tu! Vuoi venire con me in montagna?” ripeté,
stavolta più serio, temendo di non essere accettato.
Stupore, il viso fino a
poco prima calmo e sorridente, tradiva ora solo stupore. Poi però scoppiò a
ridere:
“Ma cosa stai dicendo… –
continuò a ridere, poi abbassò la voce, mormorando – non ti sei reso conto
che sono un uomo?!”
I soliti particolari
superflui:
“Senti… come ti chiami?
Io sono Mitsui, Hisashi Mitsui”
“Kogure… Kiminobu Kogure,
ma…” non riuscì a continuare che lui lo interruppe di nuovo:
“Non ti piacerebbe
lasciare il lavoro nel ristorante e realizzare il tuo sogno di fuga dalla
città? E poi… - allungò il braccio, afferrandogli la mano – sono sicuro che
saresti felice con me! La vita in montagna non è facile, ma con me… - guardò
dritto in quegli occhi caldi – io credo che sarai felice!”
Tutto sommato, aveva
sempre avuto fama di essere un partito, su a Fujimori. Non che ci fosse
tutta questa gente, ma la vecchia Katsuki non lo chiamava sempre ‘bello
della zia?!’, e poi, ancora non gli aveva detto quanti capi di bestiame
avevano, su ai pascoli. Ma se lo sarebbe tenuto come asso nella manica…
“Io… non capisco” gli
replicò Kogure. Come erano dolci i suoi occhi dietro le lenti degli
occhiali!
E poi era quasi
arrossito…
“Tu di’ di sì, il resto
te lo racconterò durante il viaggio. Insomma, ti faccio proprio schifo?!”
non poteva essere, con il suo fisico, il suo sorriso, la sua faccia da
schiaffi, non poteva fargli schifo! Non era assolutamente possibile…
Kiminobu (come scorreva
bene il suo nome!) distolse lo sguardo dal suo viso, arrossendo ancora di
più:
“Se è uno scherzo,
signore, è di cattivo gusto” sussurrò, cercando di sembrare freddo.
“Se vuoi una prova, ti
bacio qui davanti a tutti!” e gli si avvicinò, pronto a trasformare in
realtà la sua promessa.
Gli aveva quasi poggiato
le mani sulle spalle, ma l’altro si allontanò immediatamente, con un balzo
indietro:
“Ho capito… non c’è
bisogno d’altro! Ma io non… ho la mia vita, qui. L’università, mio zio…”.
“Tra due ore passo a
prenderti. Dimmi solo di sì…” insomma, se era così complicato dichiararsi ad
un’altra persona, come facevano ad esserci così tanti matrimoni?
“Io non so cosa dire…”
ribatté il quattr’occhi, era come se avesse una terribile confusione in
testa. Quel Mitsui era un perfetto sconosciuto, eppure era stato così facile
parlare con lui, c’era qualcosa in quel viso da bel tenebroso, in quel modo
di fare diretto e schivo insieme che lo aveva attirato sin da subito… che lo
aveva ‘affascinato’.
Scosse la testa, che
diavolo stava pensando!
Eppure… sentì le dita
dell’altro scorrergli leggermente sul dorso della mano, e non la ritrasse.
“E’ una pazzia…” mormorò.
“No. Abbiamo solo
bruciato le tappe… ma ti abituerai anche a questo. Io sono un uomo
d’azione!”
Kogure sorrise. Un uomo…
lui non avrebbe mai pensato a se stesso come a un uomo. Sentiva di non aver
vissuto abbastanza esperienze per potersi appropriare di un nome come
quello.
Alzò lo sguardo sul
compagno, di nuovo sospettoso. Poteva fidarsi di questo pazzo che era
entrato nel loro ristorante per mangiare e dopo appena mezz’ora gli aveva
detto di seguirlo in chissà quale posto sperduto, senza altra garanzia di
quello sguardo serio e sorridente insieme?
Kiminobu Kogure non aveva
mai preso decisioni avventate: in tutta la sua vita, era sempre stato pacato
e razionale, e del resto, con la prematura scomparsa dei genitori, si era
ritrovato a dover presto badare a se stesso, senza potersi affidare al
consiglio di altri.
E per la prima volta si
rese conto dell’ebbrezza di lasciarsi tentare da qualcosa di assolutamente
irrazionale. Gli occhi ancora fissi in quelli di Hisashi Mitsui, sentì che
difficilmente dopo tre mesi avrebbe potuto conoscerlo meglio che dopo quella
misera mezz’ora. Gli sembrava di conoscerlo da sempre, di poter prevedere
ogni sua reazione, di indovinare tutta la sua forza e tutte le sue
debolezze. E sapeva anche che per l’altro non era lo stesso, che la
sincerità delle sue parole era istintiva. Sì, il ragazzo che aveva di fronte
stava agendo d’istinto, probabilmente rischiando molto più di quello che
stava rischiando lui.
Sorrise, facendo un passo
indietro:
“Menù del giorno allora.
E qui tra due ore… - si interruppe arrossendo, poi ridiventò serio – devo
parlare con mio zio…”.
“Se fa storie, ci penso
io! So essere molto convincente” fu la risposta dell’altro, il cui viso si
era disteso in un sorriso compiaciuto.
Lui si allontanò senza
rispondere. Convincente, sì… se ne era accorto.
Bene! Aveva risolto in
breve tempo anche l’ultima commissione, e lo aveva fatto con parecchia
soddisfazione! Kogure era sicuramente la persona migliore che gli potesse
capitare, anzi… forse era anche troppo per lui.
Quando lasciò il
ristorante, tornò da Takato-san per riempire il furgone, poi decise di
prepararsi al meglio per poi tornare a prendere il compagno.
Nello specchietto
retrovisore si era dato un’occhiata di sfuggita: forse la capigliatura aveva
bisogno di una ritoccatina, così come i bei baffi. Aveva notato che nessuno
in città li portava come i suoi, e, nonostante ne fosse andato fiero per
tanto tempo, adesso desiderava qualcosa di diverso.
Entrò dal barbiere,
portandosi dietro la sacca presa dal portabagagli.
Un’ora dopo era pronto.
Si rimirò nello specchio
grande, voltandosi a destra e a sinistra, per cercare di cogliere tutti i
nuovi particolari del suo aspetto rinnovato. Ghignò soddisfatto: il suo
Kimi-kun sarebbe certamente stato contento del risultato!
Saltò sul furgone e si
diresse nuovamente verso il ristorante di Anzai-sensei. Era tempo di
ritirare il premio, e fra l’altro dovevano anche mettersi in marcia, la
strada per arrivare alla segheria era lunga.
Frenò a secco sul
brecciolino del parcheggio, poi si attaccò al clacson. Oddio, non capiva
perché i passanti lo guardassero con disapprovazione, e qualche ragazza
nascondesse un risolino dietro la mano. Lui era sempre stato abituato a
richiamare l’attenzione con il clacson, che c’era di male?!
Eppure il quattr’occhi
non si vedeva, possibile che avesse cambiato idea?
Scese dal mezzo con un
balzo elastico, nonostante il ginocchio ancora convalescente per quello
stupido incidente con l’accetta, e si diresse verso l’ingresso del locale.
Ormai erano quasi le
quattro del pomeriggio; di avventori non ce ne erano più, e i tavoli erano
stati tutti sparecchiati. Guardò la scena con soddisfazione: tanti tavoli
messi in ordine in pochissimo tempo… dovevano essere proprio dei lavoratori,
come piacevano a lui!
Bussò sulla porta a vetri
ed entrò deciso:
“Ehi, sono io! Dove vi
siete nascosti?” esclamò deciso, cercando di non leggere in quel silenzio il
presagio che qualcosa stesse andando male.
“Ah… proprio lei
aspettavo! – la voce del signor Anzai si levò limpida, e chiaramente adirata
– che diavolo mi sta dicendo mio nipote?! Dove vorrebbe portarlo? Spero che
qualcosa nel suo cervello si sia inceppato e mi abbia detto delle idiozie!”
Mitsui inghiottì a vuoto,
ma raddrizzò le spalle ed avanzò deciso:
“Nessun inceppamento.
Verrà con me su in montagna, alla segheria”.
“E per far cosa?! Lui sta
finendo l’Università, non ha bisogno di una vacanza.”
Ok, bisognava specificare
qualche particolare:
“Non si tratta di una
vacanza. Kogure-kun verrà a vivere con me. Lei potrà venire a trovarci in
ogni momento, alla segheria c’è posto per tutti…” ecco, non poteva non
averlo convinto, aveva anche mostrato tutta la sua generosità. La loro casa
sarebbe stata la sua e così via!
Eppure il vecchio si era
tutto gonfiato, diventando scarlatto di rabbia:
“IO NON SONO UN TRONCO DA
PIALLARE!!! – urlò, e Mitsui evitò di fargli notare che magari una
piallatina non gli avrebbe poi fatto così male – e Kiminobu ha altre
prospettive che fare il taglialegna!”
“Non farà il taglialegna,
lui si occuperà di me. Ho bisogno di un compagno!” sbottò lui.
Un silenzio di tomba calò
nella sala vuota del ristorante.
Il vecchio si voltò verso
il nipote, fino a quel momento rimasto silenzioso in disparte:
“Ho… capito bene?! Tu hai
una relazione con questo montanaro?”
Il ragazzo fece un passo
avanti, portandoglisi accanto:
“Non ho nessuna
relazione, ma ho deciso di accettare la sua offerta” disse calmo.
“COSA SIGNIFICA?!” gli
sibilò lo zio sul viso.
“SIGNIFICA CHE VERRA’ CON
ME” si intromise Mitsui, spazientito da tutto quel discutere di una cosa
ormai stabilita.
Afferrò la mano del
quattr’occhi e se lo tirò dietro, uscendo a grandi falcate dal ristorante.
Si era stancato, ogni minima cosa in città sembrava così terribilmente
complicata!
Salirono sul furgone, e
lui mise in moto, partendo con una sgommata. Voltandosi un istante verso il
proprio compagno, si accorse del borsone che aveva appoggiato vicino ai
piedi:
“Mettilo dietro, starai
più comodo. Il viaggio è lungo…”
L’altro non rispose,
sembrava preso dai propri pensieri, ed era chiaro che non dovessero essere
troppo allegri. Lui allungò una mano, stringendogli le dita sottili:
“Mi dispiace che tuo zio
non l’abbia presa bene. Non era mia intenzione scatenare questo putiferio…”
Sentì la mano di Kogure
ricambiare la sua stretta, poi lui dovette lasciarlo, per riportare la
propria sul cambio:
“Forse vorrai sapere
qualcosa di me…” tentò di cambiare argomento.
Il ragazzo scosse la
testa, appoggiandosi contro lo schienale, la testa buttata leggermente
all’indietro:
“Stai bene senza baffi e
con i capelli corti…” mormorò senza guardarlo.
Lui sorrise:
“Un tempo mi ero anche
lasciato crescere la barba, per nascondere la cicatrice!”
Il compagno si voltò a
guardarlo, stupito. Poi sorrise:
“Non l’avevo notata…”
mormorò.
“Si nasconde nella
perfezione di tutti gli altri tratti!” scherzò lui, cercando di continuare
nell’opera di rasserenamento del ‘suo’ ragazzo.
Se avesse potuto, gli
avrebbe sfilato gli occhiali e gli avrebbe passato le dita tra quei capelli
che sembravano così morbidi, proprio come quei film mielosi che odiava tanto
vedere.
Ormai si erano lasciati
la città alle spalle, e avevano imboccato l’autostrada. Avevano acceso
alla radio, che rimaneva come sottofondo,
mentre loro chiacchieravano delle cose più disparate. Kogure era di nuovo
sorridente, e in quegli occhi si poteva vedere uno scintillio di felicità
sempre più marcato.
“Non vedo l’ora di
arrivare – disse il ragazzo ad un tratto – non ho mai avuto una casa per me.
Da quando i miei genitori… beh, sono stato con lo zio e la zia. Nonostante
la loro bontà, sentivo di essere in qualche modo un ospite”.
Si era interrotto, quasi
vergognoso di essersi lasciato andare a questa confidenza.
Mitsui sentì una stretta
al cuore. C’era un qualcosa che non lo faceva sentire tranquillo, ma lui
tacitò presto la propria coscienza.
La strada diventava
ripida. Avevano lasciato l’autostrada per tornare sulla statale, e, un
tornante dopo l’altro, stavano salendo sempre di più.
La primavera era nel suo
fulgore, gli arbusti selvatici ai lati della strada erano in piena
fioritura, gli alberi pieni di foglie chiare, il cielo azzurro… sapeva che
c’era un posto particolare da quelle parti, un posto che sarebbe stato
adatto alle parole che voleva rivolgere al suo ragazzo.
Parcheggiò il furgone,
senza alcun preavviso. Sorrise all’occhiata sorpresa di Kogure, e poi scese.
Dopo aver girato intorno alla macchina, fece un gesto con la mano per
invitare il compagno a raggiungerlo. Per un momento aveva pensato di
schioccare le dita, ma temeva che attraverso il vetro chiuso l’altro non lo
avrebbe sentito.
Kimi-kun, come aveva
deciso di chiamarlo, lo raggiunse in un attimo. Si incamminarono fianco a
fianco per lo stretto sentiero erboso. Le braccia oscillavano vicine, e
Mitsui decise che era arrivato il momento per rendere il loro rapporto più
‘intimo’…
Bloccò la mano di Kogure
con la propria, stringendola forte. Poi la lasciò, passandogli il braccio
intorno alla vita:
“E’ un posto bellissimo,
vero?” domandò quando il sentiero si aprì, rivelando un piccolo e limpido
laghetto di montagna.
Gli occhi del ragazzo di
città si illuminarono:
“Un lago?! E’… è
fantastico!! – si voltò verso di lui, gli occhi che brillavano – è un posto
davvero incantevole!” si chinò a toccare l’erba verdissima, i cespugli
fioriti, poi ruotò su se stesso, ridendo:
“Sai che studiavo
Botanica? E il massimo che ho avuto è stato un balcone… eppure riuscivo a
concentrarci un numero enorme di vasetti pieni di fiori; non posso credere
che adesso avrò spazio per un giardino, per divertirmi con gli innesti, per
provare nuovi abbinamenti…” si riportò accanto a Mitsui “…non vedo l’ora di
arrivare a casa! E poi al ristorante mi sono sempre dovuto occupare di
troppe persone, mi sembra incredibile potermi occupare solo di noi. Sarà
meraviglioso, vero?”
Indubbiamente gli era
sfuggito lo sguardo leggermente sorpreso dell’altro, qualcosa di simile ad
una smorfia di disagio, mentre continuava a guardarsi intorno estasiato:
“Lo sai che questa
varietà è molto rara?” continuò indicando una pianta soffocata tra le altre,
vicino alla sponda.
Mitsui annuì,
schiarendosi la gola con un leggero colpo di tosse. Kogure si voltò
immediatamente verso di lui, rialzandosi in piedi:
“Scusami, probabilmente
ti sto facendo perdere tempo, il viaggio è ancora lungo…” mormorò,
arrossendo leggermente.
Ma non era quello il
problema. Diciamo che c’era qualche particolare che forse sarebbe stato il
caso di discutere. Il problema era trovare il modo.
Gli si avvicinò, cercando
di resistere alla tentazione di distogliere lo sguardo da quei grandi occhi
caldi:
“Kimi-kun…” mormorò.
Ma quando gli fu accanto
non ci fu posto per niente che non fossero loro due. Gli appoggiò una mano
dietro la nuca, e l’altra sul fianco. No, non era esattamente la posizione
da confidenze e confessioni. Nonostante l’espressione leggermente
imbarazzata del compagno, lui non si ritirò… anzi! Si avvicinò fino a
sfiorargli delicatamente le labbra:
“No, non mi stai facendo
perdere tempo…” mormorò. E non lasciò tempo per una replica, infatti serrò
l’abbraccio, e finalmente assaporò quella bocca che lo aveva tentato dal
primo momento in cui lo aveva visto.
Aprì gli occhi qualche
secondo prima di interrompere il bacio. Voleva vedere quale fosse
l’espressione del suo Kimi-kun, ma riuscì a cogliere solo gli occhi chiusi,
e le braccia salite a circondargli il collo.
Era davvero una strana
magia: fino a quella mattina lui non avrebbe mai potuto dire che sarebbe
tornato a casa con un ragazzo invece che con una moglie, ed era sicuro che
lo stesso valesse per Kogure. Si erano visti e si erano riconosciuti. Tutto
in pochi minuti. E pensare che lui non aveva mai creduto alle favole
dell’amore a prima vista!
Si separarono quando non
poterono farne a meno, ma Mitsui non allentò la stretta, anzi, costrinse il
compagno ad appoggiargli la testa sulla spalla:
“Se vuoi piantare quel
cespo nel giardino, conviene che ci sbrighiamo a prenderlo. Vorrei arrivare
a casa prima di sera, e ci manca ancora un po’ di strada…” mormorò,
arruffandogli leggermente i capelli con la mano.
L’altro gli sorrise,
scuotendo la testa:
“Non sopporterebbe il
trapianto, e poi ho molti altri semi con me. Voglio vedere come è ridotto il
tuo giardino, prima di cominciare a lavorarci! – si voltò ancora una volta
verso il lago – Questo posto lo ricorderò per sempre. E’ un giorno
importante per me… mi sembra incredibile quello che mi sta accadendo…”
concluse abbassando gli occhi.
“Hai… proprio ragione!
Dai, sbrighiamoci che è tardi!” e con questo si avviò verso il furgone,
camminando rapidamente con gli occhi bassi. Ma dopo poco scrollò le spalle:
si stava preoccupando troppo. Sicuramente sarebbe andato tutto benissimo!
Quasi tre ore dopo,
imboccarono la lunga strada sterrata che portava alla casa. Il grande
cancello di legno che rimaneva permanentemente aperto riportava l’insegna
della segheria Mitsui.
Il ragazzo sorrise
compiaciuto: era contento di mostrare tutto quanto a Kiminobu. Raramente
aveva avuto quel desiderio di ‘vantare’ quello che era stato il frutto del
lavoro della sua famiglia per generazioni, eppure adesso gli sembrava
giusto.
In fondo, sulla sinistra,
si vedevano i grandi capannoni in cui veniva ammucchiata la legna fresca.
Dall’altro lato, invece, c’era la segheria vera e propria, nel cui spiazzo
antistante si trovavano i camion che venivano a ritirare le assi già
piallate.
Sì, c’era la
soddisfazione di poter mostrare il risultato del suo lavoro, un risultato
tangibile.
“E’ incredibile!! Non è
possibile che tutto questo sia tuo! Fino lassù? Oltre ancora? Praticamente
non si riesce a vedere la fine della proprietà… ma come fai a mandare avanti
tutto da solo?!”
Kogure era perso nello
stupore di ritrovarsi di fronte qualcosa a cui non era minimamente
preparato, e non si accorse del fatto che lui rispondeva ad alcune
osservazioni con entusiasmo, felice di sorprenderlo, e ad altre con un
trasporto stranamente contenuto.
Si fermarono lungo la
strada. Le betulle altissime, ma ancora giovani, erano ricoperte dalle
foglie appena spuntate, e il sole quasi al tramonto riusciva ancora ad
illuminarle, facendole brillare.
“Kimi-kun… dovrei dirti
una cosa, prima di arrivare a casa” mormorò Mitsui, giocherellando con le
dita del compagno, strette tra le proprie.
L’altro portò subito la
propria attenzione su di lui. C’era preoccupazione, un qualcosa di molto
simile alla paura in quegli occhi. E lui non poté pensare più a niente se
non a rassicurarlo…
Lo abbracciò stretto:
“Anche per me questo è il
giorno più importante della mia vita” mormorò, affondandogli il viso nei
capelli morbidi.
Sentì il compagno
rilassarsi, la tensione scivolare via da quel corpo, mentre il ragazzo
ricambiava il suo abbraccio.
“Vieni, andiamo a casa…”
concluse, passandogli un braccio intorno alla vita.
Il dado era tratto… c’era
solo da sperare che lo shock non lo facesse fuggire via!
Quando salirono i pochi
gradini che portavano al portone principale della grande casa, si sentì un
fruscio provenire dall’estremità del portico.
Mitsui sperò… e sembrò
che per una volta Qualcuno lo avesse ascoltato:
“Ehi, ce l’hai fatta a
tornare! La prossima volta ci vado io in città: ho proprio voglia di…”
La voce si interruppe
bruscamente, mentre finalmente la figura, uscita dall’ombra, si rivelò
davanti a loro.
Kogure, inizialmente
preso dall’osservazione di quella casa enorme ma un po’ cadente, era rimasto
immobile. Quando vide il ragazzo che si era fermato davanti a loro, fece un
mezzo passo indietro.
C’era qualcosa di
inquietante in quella figura, qualcosa che neanche lui all’inizio riusciva a
comprendere.
Si voltò verso Mitsui,
chiaramente interrogativo. Che diavolo ci faceva quel tipo nella loro casa?!
“Ehm… Kiminobu, questo è
mio fratello. Akira.”
Fratello?
Kogure accennò un sorriso
amichevole. Certo, Hisa-kun avrebbe potuto anche parlargliene, ma forse con
tutte le emozioni della giornata, questo particolare doveva essere sfuggito
al suo ragazzo…
“Molto piacere di
conoscerti: Kogure Kiminobu” mormorò, inchinandosi leggermente.
L’altro spalancò la bocca
in un sorriso inquietante, poi allungò una mano, fino ad afferrargli la sua,
pronto a stritolargliela e ad agitargliela come una pompa.
Tutto questo senza che
neanche un capello gli si muovesse: sì, finalmente aveva focalizzato il
particolare disarmante: una pettinatura in grado di sfidare la forza di
gravità, tante ciocchette appuntite sparate verso l’alto. Un lavoro da
certosino, non c’era dubbio…
“E tu sei la ragazza di
Hisashi?”
Ohi, ma era normale?!
“No. Sono un ragazzo”
mormorò, cercando di essere gentile.
L’altro scoppiò a ridere:
“Sì, sembri proprio un
ragazzo. Ma allora dov’è la fidanzata?” e guardò dietro di loro, come
aspettandosi di vederla spuntare dal portabagagli del furgone.
“Demente! Non c’è nessuna
ragazza. Ho scelto lui. E adesso smamma, che stai già scassando…”
Kogure si voltò verso
Hisashi leggermente sorpreso: lui non aveva avuto fratelli, però quel tipo
di linguaggio! Ok, sicuramente era solo uno scherzo.
“FERMATI O TI AMMAZZO,
DANNATO ROSSINO!!!” si sentì urlare per la strada.
“NON E’ ANCORA NATO CHI
BATTERA’ IL TENSAI!!!” tuonò un’altra voce.
Di nuovo il sorriso di…
Akira? Sì, Akira.
“EHI!!! Piantatela, voi
due!! Hisa-kun ha portato ospiti!”
“TREGUA PER LA SCORFANA,
ALLORA!” propose la seconda voce.
“DOPO TI AMMAZZO LO
STESSO!”
Che diavolo stava
succedendo lì dentro? E chi erano questi due?! Era stanco, aveva voglia di
riposare, e invece già ricevevano le prime visite del vicinato?
E poi quel modo di
esprimersi… scorfana!
“Hisashi…” provò a
mormorare, cercando di attrarre l’attenzione del ragazzo, che però era
troppo preso dal prendere a calci il piede del fratello, nel tentativo di
fargli smettere di ostacolare il loro cammino verso la porta di casa.
“EHI AKIRA! – possibile
che questi altri due non potessero parlare con un tono di voce normale? –
DOVE STATE?! 10 a 1 che è una rospa!” e giù risate senza fine.
Oddio, voleva scappare… e
Mitsui che non faceva una piega!
Fino ad allora, almeno!
“Basta, dementi!
Smettetela di fare questo casino, ricordatevi che abbiamo ospiti!” aveva
pronunciato duramente.
Una frazione di secondo
di silenzio, e poi di nuovo risate a non finire:
“Oh, oooh, Hisa-kun vuole
che ci comportiamo da gentiluomini con la nuova conquista!”
Finalmente erano usciti
allo scoperto, e Kogure non sapeva se essere più sconvolto dalla frase sulla
nuova conquista o dal loro aspetto!
Alti, robusti, imponenti…
uno con i capelli lunghi, mossi, legati in una coda di cavallo, con due
occhi neri fiammeggianti di rabbia, evidentemente diretta contro il
compagno. Quest’ultimo aveva invece corti capelli… rossi?! Sì, erano proprio
rossi!! Occhi nocciola, dall’espressione divertita, e una smorfia di
arroganza sul volto:
“Ma dov’è la tipa?! – il
ragazzo dai capelli rossi si fermò, guardandosi intorno incuriosito e senza
degnarlo di uno sguardo – BWAHAHAHAH!! Lo sapevo che non se lo sarebbe
accattato nessuna!!!” ricominciò ad urlare.
L’altro era rimasto con
la mascella pericolosamente spalancata, ma non durò a lungo:
“AHHHHH!!!! ABBIAMO UN
ALTRO SFIGATO!!! Non ci bastava Hana-scimmia, ora anche lo sfregiato!!!!
BWAHAHAHAHAH!!!”
Non era possibile! Ma chi
erano questi due pazzi?! E perché dicevano tutte quelle cose su Hisashi
senza che lui li interrompesse? Aveva sempre saputo che la vita sulle
montagne poteva fare a meno di certe regole di bon ton, ma questo era
troppo! Si voltò rabbuiato verso Mitsui:
“Chi sono? Cosa sta
succedendo?” chiese gelido. Tutto quanto si stava rivelando un terribile
scherzo di cattivo gusto.
Sentì che l’altro gli
stringeva la mano nella propria. Non gli rispose, ma si girò verso quegli
amici:
“Vi ho detto di
smetterla. Sono andato in città e ho trovato la persona per me… - si voltò
verso di lui, indicandolo con un cenno della testa – questo è Kiminobu
Kogure” scandì chiaramente.
I due smisero di ridere,
chinandosi a fissarlo, mettendolo in imbarazzo:
“E’ un uomo?” chiese
quello con i capelli rossi.
“Non lo vedi? Sei pure
ciecato oltre che deficiente?” ribatté subito quello col codino.
“Beh…”
“Ecco….”
“MA STAI DICENDO SUL
SERIO??!! Nessuna t’ha voluto e ti sei accattato un ragazzo?! Pure tappo e
quattr’occhi?!”
SBONK!
E quest’altro da dove era uscito?! Aria minacciosa, una montagna di muscoli,
un’altezza spropositata, una smorfia furente sul viso che lo faceva
assomigliare pericolosamente ad un gorilla!
“TAKENORI! COME OSI??!!”
esclamarono i due insieme, massaggiandosi i bernoccoli sulla testa, appena
lasciati dai due pugni violenti.
“Che diavolo fate tutti
qui fuori?!” tuonò l’ultimo arrivato.
Infatti, cosa stavano
facendo tutti lì fuori? Perché non se ne tornavano a casa? Lui era stanco, e
sempre più convinto di aver sempre fatto bene a prendere le proprie
decisioni usando la testa, senza lasciarsi trasportare dall’istinto.
Comunque la mattina dopo sarebbe riuscito a ripartire, sarebbe tornato in
città. Doveva solo sperare che Anzai-sensei lo riprendesse a lavorare. Ecco,
faceva bene a prendere quel viaggio come una gita.
Si voltò con la ferma
intenzione di dirlo a Mitsui, ma rimase con la bocca socchiusa, incapace di
dar voce alla propria lamentela. Era bastato pericolosamente poco per farlo
innamorare di quel ragazzo, e tutto sommato le promesse che si erano fatti
erano ancora in piedi. L’idea di cominciare una vita insieme, di
confrontarsi con i problemi non da solo, ma finalmente con una persona
accanto, il suo desiderio di dedicarsi completamente a qualcuno erano ad un
passo dalla realizzazione, come poteva pensare di lasciare tutto, senza
combattere?
Doveva solo aspettare che
ci fosse un po’ più di calma, doveva solo attendere che quei pazzoidi che si
erano installati davanti alla loro porta di casa se ne andassero.
Stancamente si appoggiò
ad un pilastro del portico:
“Mitsui-kun, sono stanco”
mormorò, senza neanche sforzarsi di alzare la voce per farsi sentire in
mezzo alla baraonda che li circondava.
Eppure, in mezzo alla
confusione generale, l’alto ragazzo moro si voltò:
“Scusami, adesso
entriamo. Non vi ho neanche presentati…”
Ok, un ultimo piccolo
sforzo.
Sembrava che Hisashi
fosse un pochino a disagio, che prendesse tempo. No, doveva essere solo una
impressione.
“Kimi-kun… ecco, loro
sono Hanamichi – il ragazzo con i capelli rossi fece un passo avanti,
sfoderando un ghigno divertito – e Minori – l’altro, quello con i capelli
legati gli diede una botta sulla spalla, rischiando di sfondargliela – loro
sono…” Mitsui si era interrotto di nuovo, e lui lo invitò a proseguire con
lo sguardo. Perché prolungava quell’agonia?
“Siamo i suoi
fratellini!” sbottò a ridere Hanamichi, avvicinandoglisi poi
minacciosamente, come se volesse dargli una testata.
E poi fu buio…
E adesso? Bel pasticcio
era successo, forse doveva prepararlo, ma come raccontargli dei fratelli? Se
Akira era ancora ancora presentabile, Minori e Hanamichi non potevano essere
in alcun modo ‘migliorati’… nessun infiocchettamento aveva presa su di loro.
Si chinò a guardare il
viso disteso di Kogure. Era un po’ preoccupato, perché era svenuto in quel
modo? Che fosse di salute cagionevole?
Si strofinò il mento:
questo poteva rivelarsi un problema, forse avrebbe dovuto fargli fare
qualche esame, non poteva permettersi che non fosse sano e robusto: la vita
sulle montagne era dura, non tutti potevano resistere.
Si sedette sulla sedia
accanto al divano, continuando a meditare su quello che era successo. Fra
l’altro era quasi ora di cena… un rumore inequivocabile gli fece capire che
anche il suo stomaco se ne era accorto.
Akira era andato a
prendere la legna, e Minori e Hanamichi continuavano a battibeccare sul
portico. Scosse la testa sconsolato, mai che non lo facessero vergognare! Il
fatto che i loro genitori fossero morti che ancora erano bambini, non aveva
certamente aiutato. Eppure lui aveva cercato di impartire ai fratelli
l’educazione di un perfetto gentiluomo di campagna, pensò sputando nella
fornace del camino e reinfilandosi lo stuzzicadenti in bocca, sì, aveva
sempre fatto del proprio meglio. E adesso, con l’aiuto di Kiminobu, tutto
sarebbe andato perfettamente a posto.
Si sporse per
accarezzargli la fronte, per poi ritrarsi immediatamente quando sentì dei
passi dietro di sé:
“Ancora non si è ripreso?
Forse dovresti fare come con la vecchia Clarabella: un panno intriso di
acqua gelata sul groppone!”
“Akira… lui non è una
mucca, nel caso non te ne fossi accorto!” sbuffò, domandandosi ancora una
volta se qualcosa non fosse andato storto nel parto del fratello.
“Uomini, animali… che
differenza c’è?” mormorò l’altro, portando con calma la legna vicino al
camino.
“Guardando te, uno
direbbe nessuna…” ribatté lui acidamente.
E Akira rise. (E Franti
rise…)
Hisashi riportò lo
sguardo sulla figura adagiata sul divano, e si accorse che stava cominciando
a risvegliarsi:
“Ehi, mi hai fatto
preoccupare!” esclamò con voce un po’ tesa.
Kogure aveva finalmente
riaperto gli occhi, ma dal lampo che li aveva attraversati nel momento in
cui il suo sguardo si era concentrato su Mitsui, si capiva che la realtà
della situazione in cui si trovava lo aveva colpito in modo non
completamente piacevole.
“E’ tutto vero, allora…”
Hisashi abbassò e alzò
ripetutamente e decisamente la testa:
“Assolutamente sì!”
replicò, sorridendo.
In quel momento fecero il
proprio ingresso Hanamichi e Minori, con i volti completamente ricoperti di
terra e lividi, ovviamente eredità della rissa avvenuta fuori della porta:
“Ah, la bella
addormentata si è risvegliata!!” esclamò Minori.
“Bella?! Quel quattr’occhi?!”
replicò Hanamichi.
Mitsui non fece in tempo
a zittirli che si accorse che… no! Kiminobu era svenuto di nuovo! Non era
possibile!!
Quando tornò
definitivamente in sé, Kogure decise di affrontare la situazione con
coraggio. Ok, da quella mattina erano accadute parecchie cose, sicuramente
molte erano state sorprendenti, ma alla fine che problema c’era? Hisa-kun
aveva dei fratelli, tre fratelli, per essere precisi. Beh, lassù in montagna
sarebbero stati soli, la presenza di quella famiglia numerosa poteva portare
un po’ di vivacità alla loro vita.
Ecco, doveva cercare di
pensarla in questo modo! Certamente avrebbe preferito che i due più giovani
fossero un po’ meno violenti, sia nel modo di agire che di parlare, ma tutto
sommato avrebbe potuto cercare di lavorare su questo. L’altro, Akira,
sembrava più tranquillo, tutti i suoi sforzi potevano concentrarsi sui due
teppisti.
Si appoggiò alla
spalliera del divano, cercando di recuperare una posizione che gli
consentisse un maggior controllo della situazione.
“Tieni, questo dovrebbe
farti tornare in forze…” gli mormorò Hisashi, porgendogli un bicchiere,
pieno di qualcosa di scuro e caldo.
Si portò la bevanda alla
bocca.
Dovette trattenersi per
non sputare tutto per terra: ma cos’era quella cosa amarissima e
evidentemente alcolica?! Stavano cercando di ucciderlo, forse?
“E’ una vecchia ricetta
della nostra famiglia. La usiamo per tutti i malanni” gli spiegò il ragazzo
con i capelli a punta, sedendosi sul panchetto basso accanto al camino.
Immediatamente furono
raggiunti anche dai due più giovani:
“Uh, ecco i gemelli…”
mormorò sempre Akira, sollevando un sopracciglio con disapprovazione.
I due ghignarono, e si
sedettero sul pavimento.
Finalmente la situazione
sembrava più tranquilla! Sembrava… i due presto cominciarono a spintonarsi
per conquistare una mattonella in più.
Eppure Hisashi e Akira
sembravano completamente rilassati. Forse, dopo tanto tempo, neanche si
accorgevano più delle baruffe continue tra i due.
E poi comparve di nuovo
quel tale che aveva punito Minori e Hanamichi, quello con quel viso
terribile:
“Ho portato un po’ di tè
– disse poggiando malamente una tazza sul tavolino traballante di fronte al
divano – è sicuramente meglio di quell’intruglio di code di rospo!”
Scoppiarono tutti a
ridere, tutti tranne lui, che cominciò a premersi lo stomaco con le mani
aperte. Code di rospo??!!
“Sta scherzando! Mica te
la sarai presa, signorino!” gli alitò nell’orecchio Minori, dandogli
contemporaneamente un pugno ‘affettuoso’ sulla spalla.
“Mitsui-san, lui è…”
chiese cercando di mostrarsi forte e indicando il gorilla con la testa.
“Takenori… Takenori
Mitsui” rispose l’altro, senza aggiungere spiegazioni.
“Quindi anche lui ha il
tuo stesso cognome…”
I due gemelli annuirono
insieme:
“E’ il fratellone!”
rivelarono, guardandosi poi in cagnesco per aver parlato contemporaneamente,
mentre ognuno di loro voleva essere il primo a fare la rivelazione.
Kogure strinse le dita
intorno al bracciolo del divano.
Fratello… un altro?
“E sono finiti qui,
oppure me ne manca ancora qualcuno?” provò a scherzare, cercando di reagire
con carattere all’inondazione di parenti. Gli sembrava che il suo sogno sul
nido d’amore tra le montagne si stesse velocemente dissolvendo, in mezzo a
quelle risate beffarde.
“Ma come? Non ti ha
raccontato niente di noi?! – il tono di Takenori-gorilla sembrava
sinceramente sorpreso – Hisashi! Non ti vergognerai mica della tua
famiglia!”
E giù risate. Possibile
che questo fosse il loro modo di scherzare?!
“Idioti! Non ce ne è
stata occasione. Tutto è accaduto così in fretta… - Mitsui-kun si interruppe
per guardarlo sorridente – comunque la famiglia è quasi al completo…” lo
rassicurò.
“Uh… ecco i ‘quasi’!”
esclamarono i gemelli in coro, voltandosi verso la porta, da cui provenivano
dei rumori.
E la porta si aprì.
Il mistero era stato
svelato: la madre dei Mitsui doveva essere la donna delle nevi, e il padre
il gigante Golia… altrimenti come potevano essere tutti così alti?
“Questi sono Shinichi e
Toru… sono gli ultimi, lo giuro” gli mormorò Hisashi, cercando di leggere la
reazione nei suoi occhi.
“Anche loro sono…”
Akira annuì:
“Le notti qui sono lunghe
e fredde… i nostri genitori avevano trovato il modo per occuparle!”
“Stai zitto, deficiente!”
tuonò il gorilla.
I due nuovi arrivati si
fermarono davanti al fuoco, poi il più basso si voltò.
Aveva una carnagione
strana, decisamente tendente al giallastro, e una smorfia di sufficienza sul
volto. Sembrava quasi che si ritenesse migliore degli altri. Quando si
accorse che stava per parlare, Kogure si sentì leggermente in soggezione.
Era sicuro di stare per ascoltare qualcosa che gli sarebbe rimasto per
sempre scolpito nella mente:
“Munto Milly. Due secchi.
‘Sta vacca c’ha qualcosa che non va. Tre ne sparava, fino alla settimana
scorsa”.
Il ragazzo rimase a bocca
aperta:
“Ah… interessante” provò
a mormorare sorridendo. Oddio… oddio… oddio…
“E’ nato, è un maschio”
mormorò invece il ragazzo più alto, quello con gli occhiali e l’aspetto
pulito, gentile “Pensavo che Bucaneve non ce la facesse, il parto si
presentava podalico, Hisa-kun; è stata dura, ma è nato. Ed è già in piedi”.
Kiminobu si accorse dello
sguardo attento e soddisfatto del compagno. Vi si leggeva molta stima nei
confronti del fratello, Toru, se aveva ben capito.
“SEI STATO GRANDE,
SPILUNGONE!!”
Non dovette voltarsi per
capire da chi provenisse l’urlo. Aveva ormai imparato a riconoscere la voce
argentina del rossino.
“Questo è Kiminobu Kogure
– lo presentò Hisashi agli ultimi due fratelli – è il mio ragazzo” spiegò
fiero, posandogli una mano sul braccio.
“Sono contento per te,
fratellone!” rispose Toru, sorridendo.
“Tre secchi faceva. Non
capisco che le stia prendendo…” si felicitò Shinichi.
“EHI!!! MA NON E’ ORA DI
CENA??!! IL TENSAI HA FAME!!!”
Sarebbe diventato sordo,
non c’era dubbio… o peggio, avrebbe cominciato ad urlare come loro. Non
c’erano alternative.
“Ma tu sai cucinare?!”
gli chiese Takenori, sospettoso.
“Kimi-kun ha lavorato per
anni nel ristorante dello zio” ribatté pronto Hisashi, chiaramente
soddisfatto di poter rivelare la bravura del suo fidanzato.
Kogure sorrise,
arrossendo leggermente. Era contento di saper fare qualcosa che potesse
rendere orgoglioso il suo ragazzo di fronte alla famigliola.
“E ALLORA CHE ASPETTI?!
VAI A CUCINARE!”
L’urlo di Minori lo aveva
fatto saltare sul sedile! Perché doveva gridare quando li separavano solo 20
centimetri?
“Beh… io…” si sentiva un
po’ in imbarazzo. Gli sembrava di dover dimostrare qualcosa, di dover
superare una prova. Però era contento di farlo per Hisashi. Avrebbe
preparato una cena coi fiocchi!!
“Ditemi solo dov’è la
cucina. Sono sicuro che rimarrete stupiti dalla mia abilità – esclamò fiero
– e non osate alzare un dito!”
“Quanto a questo, non ci
pensiamo proprio!” replicò subito Akira, precipitandosi a prendere il suo
posto sul divano, e allungandosi in modo da indicare chiaramente che non si
sarebbe schiodato da lì neanche fosse crollata la montagna. Lui scrollò la
testa, non era certamente una cosa importante, e poi era evidente che
approfittassero di questa soluzione anche per riposarsi un po’.
Si rimboccò le maniche e
raggiunse la cucina.
Doveva preparare per…
contò sulle dita: Hisashi, Takenori, Shiniki, Toru, Akira, Minori e
Hanamichi. Sette, sette fratelli… e poi per sé, certo.
La cucina era enorme.
Certo, non era proprio ordinatissima come quella del ristorante, ma non gli
sarebbe stato necessario molto tempo per rimetterla in sesto.
Abituato a cucinare per
molte persone, non si stupì delle pentole enormi, e delle provviste per un
reggimento che trovò stipate nel grande frigorifero e nella dispensa.
Si fermò un istante per
pensare a cosa preparare. Non voleva fare qualcosa di complicato, tra
l’altro era anche piuttosto stanco, ma voleva comunque fare un buona figura,
e così decise di cominciare con la zuppa di soba, facendola seguire dal
sukiyaki.
Un’ora dopo aveva
apparecchiato la tavola, e finito di cucinare una cena completa: zuppa,
carne, verdure. Aveva disposto tutto ad arte nei piatti di portata. Non era
niente di particolarissimo, ma il tutto faceva davvero un bell’effetto sulla
tovaglia candida che aveva trovato nascosta in fondo ad un cassetto. Per un
momento aveva quasi temuto che la famigliola non usasse tovaglie, ma
ovviamente si era subito vergognato di questo pensiero, e infatti la ricerca
era stata premiata.
Diede un’ultima occhiata,
poi si affacciò nella stanza accanto per chiamare i ragazzi per la cena.
“Venite? E’ tutto pron…”
Non riuscì a terminare
che fu letteralmente travolto da quel piccolo esercito, tra spintoni e urla
belluine.
“Ma cosa fate…” mormorò
sconvolto, vedendoli sbattere le sedie, per poi gettarsi direttamente sui
piatti di portata, litigandoseli e strappandoseli l’un l’altro dalle mani.
“Hisashi…” tentò di
protestare, vedendo il compagno che raggiungeva gli altri nella sala da
pranzo. Si rilassò leggermente, lui li avrebbe riportati all’ordine,
sembrava l’unico a ricordarsi le buone maniere…
“Che diavolo state
facendo, bifolchi?!” aveva infatti subito esordito all’indirizzo dei
fratelli.
Kogure sorrise
dolcemente. Era sicuro che Hisashi non l’avrebbe deluso. Vide il ragazzo
sedersi a capotavola e guardare torvamente i fratelli, per poi… scoppiare a
ridere buttandosi sul piatto di portata più vicino!
Mentre un pezzo di carne
gli pendeva dalle labbra, lo udì dire:
“Cominciate la battaglia
senza il vostro fratello maggiore?!”
E la baraonda riprese
peggiore di prima.
Per qualche secondo lui
rimase a guardarli sconvolto: si tiravano la roba da mangiare, si
strappavano il pane dalle mani, infilavano le dita direttamente nei piatti
di portata, il vino aveva inzuppato la tovaglia, e parecchie stoviglie erano
finite in terra.
No, non poteva accettare
qualcosa del genere, quelle non erano persone.
Si avvicinò deciso al
tavolo, ignorando lo sguardo sorridente di Hisashi, e quello stupito di
Minori e Hanamichi, che stavano combattendo senza esclusione di colpi per
uno spiedino. Con le mani afferrò un lato del piano di legno:
“MANGIATE COME ANIMALI!!
– gridò, adeguandosi allo standard della famiglia Mitsui – Beh, adesso
mangerete proprio come le bestie, per terra!”
E con un movimento secco
ribaltò la tavola, facendo finire tutto per terra, piatti, posate, cibo,
bevande. Tutto sul pavimento lurido.
Gli aveva dato una enorme
soddisfazione sfogarsi in quel modo. Aveva preparato tutto sperando di far
loro apprezzare la propria abilità, ma a quelli sarebbe bastata una zuppa di
cavolo, non erano assolutamente in grado di cogliere la minima raffinatezza.
Raffinatezza… che
parolona, quelli non erano in grado di comportarsi come persone. A forza di
vivere con le bestie, ne avevano assunto i modi. E lui… lui si era gettato
coscientemente in una gabbia di pazzi!!
“Kimi-kun, che diavolo ti
prende?!” gli chiese Hisashi, visibilmente spazientito, ma con le mani di
nuovo in una delle casseruole.
“MI PRENDE CHE NON SIETE
DEGNI DEI MIEI SFORZI! Mangiate in una maniera indecente, c’è da vergognarsi
al solo guardarvi!” urlò furente.
“Non mi sembra carino che
tu ci tratti così…” gli replicò l’altro, come se non riuscisse assolutamente
a capire il motivo di tanta rabbia.
“Ti sei trovato una
fidanzata di carattere, fratellone!” intervenne Akira, risucchiando poi lo
spaghetto di soia che gli penzolava dalle labbra, con un rumore che gli fece
accapponare la pelle.
“IO SONO UN RAGAZZO,
IDIOTA!!!” gli replicò subito. Ma quello si era limitato a sorridere,
stringendosi nelle spalle. Inquietante, non c’era altra parola…
“E comunque, ora che tu
sei con noi, sono sicuro che le cose andranno meglio! La cena è davvero
ottima…” proseguì Mitsui, serafico.
“E la casa? Questa casa è
un porcile!”
“Ma ora ci sei tu” ripeté
l’altro, come se fosse la cosa più scontata del mondo “Perché pensi che
avessi bisogno di una compagna?!”
“COOOOOSAAAAA???!!! –
dovette fermarsi un istante per riprendere fiato e assorbire il colpo: aveva
davvero compreso bene?! – ti servo per pulire i pavimenti e preparare da
mangiare?! Questo è il motivo per cui mi hai portato sin quassù?”
Dovette sedersi; una
volta tradotta in parole, quella situazione era ancora più raggelante.
Hisashi gli si avvicinò,
posandogli una mano sul braccio, ma lui si scosse immediatamente,
liberandosi di quella presa:
“Questo desideravi…
qualcuno che ti facesse le pulizie” mormorò senza forze.
L’altro rimase per un
momento in silenzio, poi riprovò a farsi sotto:
“Ma… ma cosa hai capito!
Assolutamente no, però è chiaro che il fatto che tu sia così bravo con le
cose di casa può aiutarci. Non c’entra niente con i sentimenti che provo per
te!!”
Un coro di fischi
sottolineò le sue parole, e neanche la sua occhiataccia inceneritrice riuscì
a zittire quel pubblico molesto, ancora sparso sul pavimento in mezzo ai
piatti sporchi.
Kogure alzò la testa,
portando lo sguardo ferito in quello del compagno:
“Sei un bastardo, Hisashi
Mitsui… io che facevo sogni, e tu che ti facevi i calcoli sulla convenienza
di abbindolare uno che per anni aveva fatto solo il cameriere!”
“SMETTILA!!! – gli urlò
il compagno – E PIANTATELA ANCHE VOI!” gridò rivolto ai fratelli, che ancora
vociavano in sottofondo.
Ma lui non si intimorì,
ricambiò quello sguardo furioso con uno sprezzante, poi sibilò:
“Dimmi dove posso andare
a dormire. Domani me ne andrò”.
“Dormirai in camera mia,
così come stabilito – gli ribatté Hisashi, cercando di mascherare il leggero
rossore che gli si era soffuso sulle guance – E non parlare di andare via.
Sei solo stanco, e tra poco riuscirai a vedere tutta la situazione più
freddamente” gli predisse.
“Scordatelo”.
Si accorse benissimo che
l’altro era in imbarazzo, probabilmente essere respinti di fronte a sei
bifolchi che, tra le altre cose, erano anche i suoi fratelli lo metteva a
disagio. Kogure non riuscì a reprimere una smorfia sarcastica: probabilmente
c’era in gioco la virilità del capofamiglia!
Si sentì tirare per un
braccio e trascinare su per la scala ripida, mentre dal basso provenivano
risate e miagolii derisori. Si liberò con uno strattone:
“Scordati tutto quello
che ci siamo detti, Hisashi. Le promesse erano sincere solo da parte mia. Io
non voglio più aver nulla a che fare con te”.
L’altro non rispose, ma
gli afferrò il polso, guidandolo con decisione, ma senza la violenza di
prima, verso una camera in fondo al corridoio del piano di sopra.
Quando finalmente ebbe
chiuso la porta alle loro spalle, il ragazzo parlò:
“Quando ti ho detto che
anche per me questo era il giorno più bello della mia vita, non stavo
scherzando! Non l’avrei detto se avessi visto in te uno schiavo, lo
capisci?!” sbottò, posandogli le mani sulle spalle.
“Tu desideri solo
qualcuno che si occupi della casa, che vi prepari da mangiare e che non si
stanchi a pulire tutto il giorno lo schifo che fate. Non ti serve un
compagno, non sapresti che fartene. E io a queste condizioni non rimango”
ribatté Kogure, calmo.
“Non pensarci nemmeno! Io
non ti lascio andare via, mettitelo in testa!”
“Intendi forse tenermi
prigioniero? Già, questo si adatterebbe ai vostri modi barbampfhhh…”
Non era riuscito a
continuare, che l’altro lo aveva spinto contro il muro, stringendolo forte e
baciandolo violentemente. Cercò di sottrarsi a quell’assalto scuotendo la
testa e provando ad assestargli qualche calcio negli stinchi, ma fu tutto
vano, e presto si ritrovò a contraccambiare quel bacio, attaccando la bocca
di Mitsui con la stessa foga con cui l’altro aveva ormai conquistato la sua.
Si separarono solo per riprendere fiato per un altro ‘confronto’, e Kogure
si rese conto che stava completamente perdendo il controllo: aveva passato
le braccia, finalmente libere, prima intorno alle spalle del compagno, poi
intorno al collo, e aveva cominciato a giocare con le ciocche appena
tagliate.
Ritornò in sé solo molto
tempo dopo, e il ghigno soddisfatto che aleggiava sul viso di Hisashi gli
fece solo venire voglia di dargli un pugno sul naso: quel ragazzo cominciava
ad avere troppo potere su di lui, e ne era troppo consapevole!
“Non te ne andrai, vero?”
lo sentì mormorare tra i suoi capelli, e poi quelle labbra cominciarono a
giocare con il lobo del suo orecchio.
Si allontanò di scatto,
spintonando il compagno:
“Faremo una prova, anche
se non te la meriti – gli comunicò – questa prova prevede che io rimanga
alle mie condizioni, la prima delle quali è che tu te ne vada da quella che
ora è la mia stanza. Fuori!” e lo spintonò sul pianerottolo, chiudendo poi a
chiave la porta.
Sette Basketmen per Sette
Fratelli – Fine prima parte
Vai all'Archivio Fan Fictions |
Vai all'Archivio Original
Fictions
|
|