Sentieri Interrotti
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CAP:5/5
SERIE: Saint Seiya
AUTORE: Dhely
RATING: R PG. Angst. V. AU.
PAIRING: SagaXIkki – Saga POV
ATTENZIONE: Si può scrivere una fic su una fic?! Non lo so di preciso, ma sappiate che mi sono molto molto molto ispirata alla fan fic di Hana-bi “VARIAZIONI SU UN TEMA DI MASAMI KURUMADA”. Spero vi piacerà comunque.
NOTE: i personaggi, le situazioni non mi appartengono e non ci guadagno niente, se non divertimento, a scrivere quello che sto scrivendo. Spero almeno di far divertire anche voi che leggete!
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Cosa mi porta qui non lo so neppure io. Non so che nome dare a questo.. istinto? Desiderio?
No: l’istinto è un pericolo che ho raggirato tanti anni fa e che non mi visita più da troppo. I desideri sono il mio pane quotidiano, e sono io a creare loro, non viceversa.
Allora cos’è?
Non lo so.
E rimango sbigottito da questa scoperta ben più di quanto mi capiti con lo sguardo della Fenice, lì, di fronte a me.
E’ lì, lui.
Non si è destato da tanto, l’avrei percepito, altrimenti. Ma come sempre esce dal limbo tiepido che separa la veglia dal sonno con una elegante velocità: semplicemente si scrolla le ali e se le asciuga dall’umidore del sogno con un colpo secco.
Il profumo: sono la siepe di gelsomini fioriti che avvolge tutto. Strano.
Ho sempre dormito qui. Ho sempre vissuto qui. Quel profumo c’è sempre stato, l’ho sempre percepito, eppure non mi è mai parso.. così.
La mia pelle sa di questo profumo? Come tutta questa stanza, come le lenzuola, i teli di lino, i guanciali..
La Fenice non sa di gelsomino.
..
Veramente non lo so. Ovviamente non mi sono mai curato di cosa profumasse.
Eppure ora non riesco ad allontanare il pensiero che mi darebbe un enorme piacere scoprire, un giorno, questo sentore candido e dolce sulla sua pelle. Sarebbe un ulteriore marchio che io gli avrei imposto, sarebbe in parte sconvolgere la sua essenza.
Sì.
Se lo guardo, ed a lui dovessi associare un profumo, direi legno di sandalo, ambra, incenso, qualcosa di speziato e denso. Avrebbe in parte l’odore del Tempio, soffocato e sovraccarico di doni e bracieri di bronzo lucido e candele di cera d’api e miele gocciolanti su ripiani lustri. E in parte saprebbe di .. di cieli aperti e infiniti che si spalancano sul mare caldo di Grecia nel culmine dell’estate, con il sole a picco che aumenta di mille volte la sua luminosità grazie al riverbero dell’acqua e delle rocce chiare.. uno di quei giorni quando immagino che, dallo spazio, la nostra angusta Terra debba brillare più pura e forte del Sole stesso.
Cosa mi deve importare del profumo della Fenice? Di più: della pelle di Ikki?
Perché perdo tempo a cercare di intuire dei particolari che non hanno alcuna importanza?
Ha ragione Ikki a dire che non esistono particolari privi di importanza? E, ancora: da quando io mi metto a imparare da un mio allievo?
Non riesco a comprendere.
Lo guardo mettersi in piedi, stirarsi indosso, con i palmi delle mani, le vesti sobrie che porta ogni giorno al Tempio. Non sono neppure da paragonare con ciò che ho drappeggiato addosso: le preziose vesti cerimoniali di seta intessuta e pietre preziose, e fili d’oro intrecciati nella trama che si svelano appena nei movimenti e nei cenni. Eppure lo trovo magnifico in quegli abiti anonimi e umili, quasi, paragonati ai miei.
Perché, alla fine, non esiste nulla di umile, in lui. Ogni suo gesto, ogni sguardo gronda di arroganza neppure falsamente celata, di sicurezza, disprezzo. Forza.
Ma non solo fisica.
Non è solo il suo corpo perfettamente addestrato, no. Non mi piacciono i corpi, non sono mai affascinato da loro. Ma quello che contengono, a volte, è così in armonia con l’involucro esterno che ne rimango incantato.
Sono circondato da esseri umani perfettamente allenati, sono attorniato da Cavalieri di svariate gerarchie e vivo tra esseri che sembrano statue di Fidia a cui un dio particolarmente benevolo abbia dato vita e respiro. Se fosse solo il suo corpo, la linea della sua schiena, le spalle, la curva dell’avambraccio, ecco, allora sarebbe niente.
La sua forza. Il suo fuoco.
Lui.
Lo guardo e so, improvvisamente, di non voler capire.
Non c’è nulla che mi impedisca di sapere, se non me stesso. Non esiste nulla per cui non ci sia una parola per nominarla, almeno dentro di me.
Lui. La Fenice che è dentro di lui e.. Ikki.
Ikki.
“Ikki.”
Mi guarda, lievemente stupito. Non ho quasi mai utilizzato il suo nome, almeno non ad alta voce. E pure dentro di me quel suono è vibrato raramente.
Eppure è quello il nome che m’è fiorito sulle labbra.
Eppure ora non avrei potuto chiamarlo con nessun altro nome.
Sento qualcosa, dentro, che mi fruga nell’anima con artigli affilati, e la fa a brandelli e la annienta e la fa diventare niente. E dentro mi si accende un fuoco assurdo, allucinante.
Desiderio.
Questo è desiderio, questo lo so nominare. Non voglio altro, non conta altro.
Non il sole che è alto, fuori, nel mio giardino. Non gli impegni che mi aspettano. Non il mio essere Sacerdote Supremo. Non la statua immota d’una Dea morta.
Niente.
Il suo corpo contro il mio.
Brucio.
Tutto l’ossigeno che avevo nei polmoni è servito per renderlo più forte, questo fuoco, e ora ne ho bisogno di altro, molto altro.
Toccare quella pelle mi fa perdere la cognizione del tempo e dello spazio, di chi sono, e di cosa ci faccio qui.
Leggo in lui lo stupore, poi la curiosità.
Lanciarsi su una preda ad ali spiegata e ghermirla con gli artigli acuminati.
Qualcosa di denso, forte, tortuoso mi strattona, dentro.
Le labbra sulle labbra non sono un bacio, ma un morso.
Desiderio. Tentativo di trarre il più possibile da qualunque situazione. Stupore. Ricerca del motivo, perché quando qualcuno di potente fa qualcosa che ci spiazza, può sempre avere un motivo.
E’ quello che gli ho insegnato io. E’ quello che gli vedo fare.
Lo vedo, lo osservo finché i fumi del fuoco che mi brucia dentro mi annebbia la vista e non so più su cosa appuntare la mia attenzione, ora che tutto mi sta sfuggendo dalle dita, ora che ho perduto l’orientamento e mi pare di affogare su questa pelle, contro questo corpo.
Sento il lacerarsi della stoffa sotto le mie dita, le sue mani che si muovono su di me.
Una sfida: il suo corpo ha l’odore di una sfida. Per questo sta reagendo.
Imporre la propria volontà ad un altro.
Me e lui.
Ikki.
Lo mordo, lo bacio. Il suo sapore è intossicante, il suo calore ustionante.
Tutto il mio universo è qui.
Tutto quello che voglio è lui.
Il suo potere, la Fenice, Ikki, il suo Cosmo, il suo corpo.
Ikki.
Il suo tocco, la sua pelle, il suo calore.
E’ mio.
Deve esserlo.
Sigillo e marchio, segno di possesso: ecco con cosa voglio bruciarlo sulla carne viva, fino a raggiungergli l’anima.
E’ mio.
Lui lo sente? Lo sa?
Importa mai cosa pensa un animale quando lo pieghiamo ai nostri voleri?
Ikki è figlio di un’altra stirpe, è vero, discendente di una razza astuta e orgogliosa, potente. Solo ora, che è ancora immaturo, e giovane, posso imporgli un guinzaglio che, altrimenti, più avanti mai accetterebbe. Che, forse, io non riuscirei mai più a fargli indossare.
Solo il pensarlo di altri, altre carezze a toccare questa pelle, mi fa infuriare, ora, sento il suo calore che brucia, annienta ogni cosa, il suo potere stuzzica il mio. E sento che, mentre il suo corpo è mio, posseduto, sconfitto, la sua mente mi fissa e .. ride.
Ride di me.
Della mia debolezza.
Del mio desiderio.
Ikki chiude gli occhi, stringe i denti, corruga la fronte accettando un dolore che è solo suo. E intanto *ride*.
Di *me*.
Sono senza fiato. Annientato dalla scoperta, e furioso.
Il suo fuoco si contorce di fronte a me, e ride, si diverte, ondeggiando.
Lo so anche io: lo guardo e lo so. Non importa per quante volte lo possiederò, da oggi. Riderà sempre, lui, come sta facendo ora. Una creatura che non si piega, una creatura che non riconosce padroni.
Ma lui è mio.
L’orgasmo arriva, mi si schianta addosso come un’ondata ardente e non cerco neppure di arginarla. Chiudo gli occhi, e lo sento, con forza, dentro di me.
La Fenice ha bruciato la mia anima. Ma lui è mio.
Sento il mio Cosmo attivarsi un attimo dopo Ikki. Lui continua a guardarmi e a ridere, nonostante gli occhi chiusi, le labbra serrate. Non ha paura di me.
Non ha *paura* di *me*. Il Gran Sacerdote.
Lui che non è niente. Lui che è ..
Rabbia, alta e forte tanto quanto la passione. So che Ikki la riconosce, so che la sente, ma non ha paura. La Fenice non ha *mai* paura.
Neanche di me.
Ira ghiacciata, forte come l’acciaio e acuminata, velenosa. Qualcosa mi scatta dentro.
Il mio potere, il mio Cosmo.
Ikki urla, ora, quando non ha emesso neppure un gemito fino a pochi istanti fa.
Ikki ha gli occhi spalancati, ora e guarda di fronte a se con uno sguardo spento che non riconosco.
Non so se il suo urlo era di fiato e lettere mischiate o solo una vibrazione muta che ha increspato il suo Cosmo.
La Fenice non ha paura.
Una ferita profonda sulla fronte gocciola sangue. Linee carminie gli percorrono il viso, come se fossero lingue di lava con la capacità di imprimerne i segni addosso per sempre. Lo guardo e ne rimango sconvolto.
Sì, sconvolto.
Non ho concentrato intenzionalmente il mio potere. Non volevo colpirlo. Non.. volevo solo che fosse mio.
Mio.
Non so perché, quasi, ma sorrido, e mi chino sul suo orecchio.
La lucidità è sbocciata dentro di me con una chiarezza accecante. Lui è mio.
Sarà sempre e solo mio.
So cosa dirgli, ora. So come usare il mio potere su di lui.
So come legarlo a me, nell’unico modo in cui voglio che mi sia legato.
Mio.
Non importa il resto: non importa dove, e quando, non importano le sue decisioni, le sue scelte di campo, non importa la sua fedeltà, o tantomeno il suo cuore. Non importano le parole, il futuro, il passato.
Non importa nulla.
Lui è mio.
___FINE