Sentieri Interrotti
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CAP:1/5
SERIE: Saint Seiya
AUTORE: Dhely
RATING: R. Angst. AU.
PAIRING: Saga & Ikki – Saga POV
ATTENZIONE: Si può scrivere una fic su una fic?! Non lo so di preciso, ma sappiate che mi sono molto molto molto ispirata alla fan fic di hana-bi “VARIAZIONI SU UN TEMA DI MASAMI KURUMADA”. Spero vi piacerà comunque.
NOTE: i personaggi, le situazioni non mi appartengono e non ci guadagno niente, se non divertimento, a scrivere quello che sto scrivendo. Spero almeno di far divertire anche voi che leggete!
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Sono accorso al tuo richiamo con una fretta che neppure io credevo possibile. Sono stato chiamato, incantato dall’esplosione del tuo potere, il tuo Cosmo fiammeggiante e iridescente, mille colori e nessuno, l’arcobaleno che indica l’appartenenza ad ogni gerarchia e insieme ad alcuna.
Un fuoco simile nasce una volta ogni mille anni, dice la leggenda, potevo perdermi uno spettacolo simile?
La Fenice che rinasce dalle sue ceneri, dal suo stesso sangue che diventa lava, e solida roccia nera, prima di fendersi di nuovo e di nuovo imporre la vita e la forza a un paesaggio ostile e terribile.
Venni alla tua Isola attratto da tanta energia, dalla tua forza, dalla violenza immane delle fiamme che lambirono i cieli, dalla curiosità di leggere negli occhi di una creatura vivente lo stupore inenarrabile della vita che rinasce all’interno di un’autoconsapevolezza matura. Non un fanciullo che urli al mondo, terrorizzato, la sua venuta, ma un adulto, una mente e uno spirito forgiati che superano la soglia dell’assurdo indicibile e ritornano indietro, tra di noi, e divengono immagine e simbolo di ciò che non è possibile compiere. Di ciò che a nessuno di noi è possibile.
Solo a *te*.
Dono e maledizione.
Sono sempre stato attratto dalle dicotomie assolute, come se poi gli opposti possano davvero mai conciliarsi, in questo mondo, se non con qualche sotterfugio meschino e squallido. Tu, la tua esistenza, è la Negazione della Negazione, l’assurdo logico, l’aporia dialettica. L’errore che non può essere corretto. La domanda che non può essere svelata se non con un muto sguardo di fronte al tuo compierti.
Tu sei il sentiero che corre all’interno del bosco dei pensieri, e s’interrompe senza che chi lo percorre ne sappia il motivo, o capisca perché poi, da quel punto, sia impossibile procedere oltre, sia impossibile comprendere perché, oltre quel punto, tutto diventi assurdo: o meglio: la razionalità, superato quel punto di non ritorno, diviene qualcosa di capovolto, qualcosa di inventato, e se ci fosse mai qualcuno dotato di spirito artistico forse direbbe che questo è il regno dell’ispirazione artistica, o il mondo dell’immaginario.
Ma io so che non lo è: è il tuo potere, il tuo Cosmo che prende le leggi razionali e le piega, come sbarre di acciaio sotto il calore insondabile d’una esplosione atomica nel cuore di un sole. Tu incarni, nel tuo fragile corpo, l’eterna ruota cosmica delle mille morti e delle mille rinascite, del principio di conservazione della materia e dell’energia.
Tu.
Un sole che esplode perennemente e, in questa perenne distruzione, genera calore e luce. Distruzione che dona vita, senza la quale, probabilmente, la vita stessa non esisterebbe. Vita scintillante di una potenza infinita, che s’immola e muore e di nuovo nasce grazie alla morte.
Infinito rincorrersi di una ruota mai immobile.
Incomprensibile e assurdo.
Ed esso, quel sole, continua sempre ad ardere su di un piano differente da quello fisico. Il marchio di ciò è forte in tutte le menti che sono aperte al flusso del tuo potere instabile e ardente. Il tocco delle tue ali risveglia in me quel qualcosa che con cura e dedizione avevo costruito, pietra dopo pietra, negli anni e che lì avevo abbandonato, inutilizzato, attendendo che giungesse il momento propizio, sperando, nelle segrete profondità del mio cuore, che tutto quello non fosse da indicare come uno degli innumerevoli sforzi inutili e incompiuti di cui ogni esistenza è piena.
Avevo costruito, con ogni respiro, quel bel sentiero di pietre bianche e nere, come una scacchiera serpeggiante che dividesse in due il bosco fatato che era la mia conoscenza e la mia scienza. E l’avevo interrotto lì, proprio nel punto esatto dove sapevo, o pensavo di sapere, sarebbe stato giusto attendere un dono dal cielo, una di quelle cose che a volte si chiamano ‘Grazia’ altre volte ‘Fortuna’.. avevo sbagliato.
Non è stato come pensavo che fosse. Avevo immaginato mille situazioni, centinaia di istanti, momenti differenti in cui si sarebbe potuto compiere quel miracolo per il quale possedevo già il perfetto scenario
Invece non è accaduto come volevo: e questo è stato il segno definitivo che tu eri vero.
Eri tu quello che stavo attendendo.
Il tuo potere. Il tuo Cosmo.
Il tuo volo.
Venni alla tua Isola per te, e non sapevo bene cosa attendermi. Però rimasi deluso. Irrimediabilmente deluso. Il primo sguardo si infranse su di te come un sasso che venga gettato sulla vetrata di cristallo che erano i miei pensieri, e i miei desideri.
Eri solo un ragazzino.
I tuoi occhi erano pietre nere e aguzze che contenevano infiniti aghi di luce conficcati al loro interno. Il tuo corpo era di carne e sanguinava, sudicio di dolore e di lordura umana.
Mi aspettavo dalla Fenice un’apparizione degna d’un dio.
Mi attendevo un orgoglio esattamente come il tuo, è vero, ma avvolto da un corpo perfetto, magari non del tutto umano, etereo, come trasfigurato dal potere che possedevi, un figlio del cielo e delle forze celesti, non certo di questa terra. Volevo un’arroganza sublime che si riflettesse in un sorriso superiore e nulla, nulla su questo mondo che potesse scalfire la tua serafica calma e sicurezza. Volevo qualcosa che potesse volare senza sforzo sopra la razza meschina degli uomini, qualcosa che mi si ergesse di fronte e osasse non considerarmi.
Quando ti vidi non eri nulla del genere: un ragazzino lacero e sanguinante a un passo appena dalla lucidissima follia che rende gli uomini, dicono, in grado di conoscere il volere degli Dei ma che, ai miei occhi appariva solo come ulteriore segno di bassezza fragile e meschina.
Sì, eri solo un ragazzino ubriaco e pazzo, folle dal troppo potere che trattenevi dentro, colmo di energia, capace, se avessi voluto, se fossi stato in grado di concentrarti, di annichilire con un solo sguardo le menti di coloro che ti stavano intorno, in un raggio di chilometri.
Bastava che stendessi le mani, e le punte delle tue piume sarebbero riuscite a toccare fino nella parte più infinitesimale ogni atomo di materia, e di spirito pure. Energia: energia pura.
Data nelle mani di un ragazzino.
Inutile: decisi.
Tutto quel potere sprecato, tutto quello sfoggio di energia dato a chi non era degno.
Ti colpii e tu cadesti, come una foglia in autunno, arrossando tutto l’orizzonte. Ma cadesti senza un suono: il tuo corpo sbatté contro la roccia aguzza ma nulla uscì dalle tue labbra, dai tuoi occhi. Quando le tue palpebre si aprirono di nuovo essi parlarono: ed erano parole senza fiato, senza voce, senza suono. Erano parole di fuoco ed energia, di potere.
Un potere che era tuo. E tu eri suo.
Non avevo mai compreso davvero che un mistero non si poteva comprendere, ma solo accettare, osservare, vivere. Tu eri tutto quello: nulla di razionale sussisteva in te, nulla di comprensibile spiegabile, narrabile.
Un sentiero interrotto su questa terra perché conduceva a un varco aperto su l’indicibile. L’incomprensibile.
Rimasi incantato e folgorato.
Tu che non eri nulla: un giovane, ingenuo straccione esaltato, e io che ero già tutto, al sommo della scala gerarchica, potere e razionalità, ammantato d’oro e terrore, arguzia, furbizia. Io che ero Grande Sacerdote. Tu appena nuovo cavaliere.
Avrei potuto ucciderti con un mignolo.
Avrei potuto schiacciarti sotto il mio tallone come il parassita che eri e nessuno, sapevo, avrebbe pianto la tua scomparsa.
Eppure..
Un mistero.
Tu eri un mistero, per me.
Accorso alla tua Isola per poter godere dell’esplosione del tuo potere, per dimostrare quanto potessi essere più forte di te, mi accorsi che non era quello il campo in cui sarebbe stato soddisfacente batterti.
Un potere simile.
Un potere simile non poteva essere sconfitto.
Fragile tu sì, lo eri, ma non il tuo potere: e questo lo vidi un attimo dopo averti passato, deluso, gli occhi addosso, quando avevo visto vibrare, intorno alla tua figura, i lembi di fiamma carminia e dorata che indicavano la derivazione celeste del tuo potere in tutta la sua possanza. E ora tu e lui eravate così intimamente uniti da rendere impossibile ogni scissione, da qui all’eternità.
Io poi, non avevo altri mille anni da attendere, aspettando che la sorte premiasse un altro temerario con l’Armatura che ti premeva ora addosso, sperando che, quell’altro, non fossi ancora tu perché solo tu avresti potuto indossare quell’armatura, possedere quel potere fino a che non avresti trovato, tu stesso qualcuno di degno a cui passarla.
Tu eri un punto di domanda, un arrogante dubbio che non potevo sciogliere, che non potevo allontanare da me. Che non potevo eliminare, ora.
Eri ciò che si può accettare o rifiutare, ma non costringere, o annientare.
Io seppi, in quell’istante, che tu eri colui per il quale ero arrivato fino a lì. Che tu saresti stato mio, che ti avrei insegnato ad esserlo.
Tu possedevi tutta l’energia dell’universo, e insieme il nulla con cui controbilanciarla, eri saturo di un potere indicibile, incomprensibile, che ti aveva reso folle e inavvicinabile. Che ti aveva reso non più abitante di questo mondo, ma neppure di quello divino: a cavallo fra due mondi, vivevi, ed esso era il tuo potere infinito e la tua disgrazia, la più crudele delle punizioni da quando Prometeo fu incatenato sulla rupe per aver osato rubare il fuoco agli dei.
Vidi in te che eri pronto a morire, perché forse non sapevi, ma intuivi che dai miei colpi ti saresti rialzato, ora. Che io non avevo il potere di schiacciarti, non finché il Cosmo della Fenice esprimeva con così tanta forza il suo potere intorno a te.
Ma eri e rimanevi un uomo.
Uomo mortale.
Uomo fragile.
Ti guardai e in te vidi i due opposti convivere insieme, ed era una follia crederlo, eppure ..eppure eri lì. Tu eri lì.
Era incomprensibile, impossibile. Eppure, tu eri quello che avevo aspettato, che avevo cercato, senza mai saperlo
“Vieni con me.” ti dissi.
Tu mi guardasti, e i tuoi occhi si accesero d’infiniti bagliori che non seppi interpretare, la tua mente avvolta, al mio sguardo, da una densa cortina di fiamme lucenti e danzanti.
“Perché mai dovrei? Sono il Signore di quest’Isola!”
“Signore di una misera Isola, Fenice, tu che potresti essere il Signore del vasto Mondo! Vieni con me e t’insegnerò come esserlo!”
Sorridesti. Crudele e terribile, mi parve, senza età né tempo quel tuo sguardo carico d’una rabbia di fuoco d’un fanciullo appena maturo e insieme carico di una densa e preziosa, antica saggezza.
“Non puoi insegnarmi il mio potere, tu! Esso mi appartiene e imparerò ad usarlo ché nessuno può farlo al posto mio.”
Lì seppi che dovevi essere mio. Per il tuo potere assurdo, incontenibile, e per il suo essersi incarnato in un corpo che poteva esser quello di mille altri.. ma la Fenice aveva scelto te..
“Non padroneggio il tuo potere, è vero: ma questo è compito tuo. Però conosco trucchi e segreti. Conosco il modo di manipolare i pensieri sottili che si svolgono nelle menti, so tendere le mani e tesserne intricati arabeschi, so confondere sguardi e convinzioni, so far sciogliere cuori e rendere fragili, fra le dita, spiriti d’acciaio. Tu più di me sei vicino a certe manifestazioni psichiche, tu, più di altri, potresti trarre giovamento dai miei insegnamenti, giovane Fenice. Vieni con me. Che ti trattiene ancora su questo grumo indegno di pietre e lava?”
“Sarai il mio maestro?”
Di nuovo uno sguardo, sgomento questa volta.
Una maschera dai colori sgargianti giaceva pochi passi da te, in una pozza di sangue. La maschera intagliata nel legno pareva stare invecchiando, svanendo ad ogni respiro, i particolari divennero polvere sotto il tuo sguardo, i suoi contorni si scheggiarono e la Fenice distolse lo sguardo, furioso.
“T’insegnerò ciò che ancora non sai. T’insegnerò nuovi modi di utilizzare i tuoi poteri, Fenice.”
“Che vuoi in cambio?”
“Che tu m’aiuti ad aumentare il mio potere, a mantenerlo. Sarai un mio protetto, e alla mia ombra diventerai così possente da non avere altri limiti che il tuo stesso desiderio.”
Non mi disse nulla, la Fenice. Mi fissò un lungo istante mentre le code iridescenti della sua armatura frusciavano alle sue spalle. Si sciolse l’elmo da capelli scuri e mi fissò negli occhi. E quella fu la tua risposta.
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