I bellissimi personaggi di Takehiko Inoue appartengono a lui ed ai suoi editori, io mi ci sono solo divertita un po', per far vivere loro alcune delle mie fantasie.
Papà Inoue, basketboys di tutto il manga di SlamDunk, vi adoro!!!
In alcune noiosissime giornate di fine mese, dove i miei clienti si fanno vedere più di rado che la neve d'agosto (?!?), ho eccezionalmente deciso di scrivere mentre lavoravo, dal negozio, per adempiere ad un impegno che mi ero presa con una mia carissima amica...


Just a bad day
- parte 2 -
by Choco-chan


Uozumi era più che sorpreso, quasi sconvolto.

Il volto di Koshino era irriconoscibile, i suoi bei lineamenti contratti in un'espressione quasi buffa, nel tentativo, peraltro fallito, di trattenere le lacrime.

Per un attimo, il gigantesco capitano del Ryonan si sentì responsabile.

"Scu...Scusa, Koshino. Ti ho fatto così tanto male?" Chiese premuroso, rendendosi immediatamente

conto dell'inutilità di quella domanda, prima ancora di prendere atto del fatto che Koshino stava scuotendo la testa, rispondendogli senza parlare.

Riorganizzando le idee, Uozumi chiuse gli occhi, che si erano sgranati un attimo alla vista del pianto del suo, solitamente, accigliato compagno; dopo un lieve sospiro, tornò a guardare negli occhi il suo kohai, che si era irrigidito su quella panchina come se fosse stato un condannato a morte in attesa dell'esecuzione.

"Koshino..." Provò a chiamare piano.

Gli occhi del giovane playmaker, nascosti da nerissime ciocche di capelli, si abbassarono ad incontrare quelli del capitano, pieni di vergogna.

Credeva che si sarebbe suicidato, prima di mettersi a piangere di fronte ad uno qualunque dei suoi compagni di squadra, soprattutto al capitano.

In quel momento, comunque, era talmente sconvolto da non importargli nulla. Aveva bisogno solo di aiuto, di una parola di conforto e, incrociando lo sguardo comprensivo di Uozumi, si sentì libero di lasciarsi andare ancora di più, cominciando a singhiozzare sommessamente, continuando a stringere i denti e le assi della panchina dove stava seduto.

Uozumi sorrise fra sé e sé. Sapeva bene di essere considerato, dalla maggior parte della gente, nient'altro che un grosso scimmione senza cervello, eppure, lui possedeva una sensibilità piuttosto spiccata... Forse, aveva capito cosa si stava agitando dentro al suo kohai... Forse.

"Koshino... Non è per la caviglia, vero?" Chiese, cercando di usare il tono di voce più suadente che il suo timbro da contrabbasso gli consentiva.

Koshino scosse la testa, mandando altre ciocche seriche e nere come l'ebano a coprire gli occhi arrossati. Non riusciva a trovare la forza per parlare, sarebbe stato troppo...

Uozumi cercò gli occhi del compagno sotto quella spessa cortina di seta nera che li nascondeva, momentaneamente, alla sua indagine.

"... E' per Sendoh? E' per quello che ha fatto prima?" Continuò ad informarsi, cercando di non diventare troppo indiscreto. La sua non era curiosità; semplicemente, si sentiva in dovere, come capitano, di preoccuparsi se uno dei suoi compagni dimostrava, come in questo caso, di

avere un problema.

Nel sentire pronunciare il nome di Sendoh, Koshino sussultò; Uozumi continuava a guardarlo, inginocchiato a terra, con occhi persuasivi ed indagatori.

Koshino distolse lo sguardo, eludendo quello del suo capitano, arrossendo ancora di più di quanto non lo fosse già, a causa di quel patetico sfogo.

Non riusciva nemmeno ad alzare una mano per asciugarsi le lacrime, o pulirsi il naso che, per renderlo ancora più ridicolo, aveva cominciato a colargli.

Si sentiva così miserabile da farsi quasi pena.

Uozumi si alzò finalmente in piedi e gli diede una leggera pacca sulla spalla, scompigliandogli i capelli subito dopo.

"Gli altri stanno arrivando." Disse in tono di avvertimento, sentendo la voce di Taoka, proveniente dalla palestra, che decretava la fine di quella disastrosa giornata di allenamento.

"Affrontalo." Aggiunse poi Uozumi, lanciandogli uno dei suoi mezzi sorrisi. Dopodiché, cominciò a riporre i medicinali e le bende nella cassetta del pronto soccorso, mentre i compagni di squadra cominciavano ad entrare rumorosamente negli spogliatoi, lamentandosi di Taoka-sensei,

scherzando fra di loro, preparandosi a rilassarsi sotto un bel getto di acqua tiepida.

Koshino, consapevole dell'imminente entrata in scena del resto della squadra, si era destato dal suo stato di incapacità di agire ed era riuscito ad asciugarsi il viso con la manica della felpa.

Teneva comunque il viso abbassato, in modo da non dovere incontrare lo sguardo di nessuno e di scoraggiare eventuali domande sul suo stato di salute; voleva passare inosservato, non voleva dare spiegazioni, voleva solo essere lasciato in pace.

Mentre si infilava i pantaloni della tuta, cercando di non appoggiare il piede a terra e di non muovere troppo la caviglia dolorante, intravide un'ombra lunga incombere sopra di lui.

Un'ombra dagli inconfondibili capelli a spazzola.

'Sendoh...'

Koshino alzò lentamente la testa.

'Affrontalo', gli aveva suggerito Uozumi. Già, era l'unica cosa da fare. Del resto, con la caviglia in quelle condizioni, non avrebbe nemmeno potuto scappare via.

Molte volte, quando lui e Sendoh litigavano, Koshino se ne andava accigliato, fingendo rabbia e rancore e nascondendo paura ed insicurezza. Scappava sempre, sapendo bene che la mattina dopo Sendoh, pur di non dover riprendere a discutere, purché lui non rimanesse imbronciato, gli siavvicinava con una battuta delle sue e tutto si risolveva con una risata...

Ma adesso lui era inchiodato lì, su quella panchina, con un piede fasciato e l'impossibilità di muoversi...

"Non vai a fare la doccia?" gli chiese, senza guardarlo in faccia e cercando di atteggiarsi in una delle sue più accigliate espressioni.

'Ti prego, va a fare la doccia. Va via di qui, ti prego, ti prego, ti prego...'

Ma Sendoh se ne rimaneva in piedi davanti a lui, con le mani sui fianchi e senza nemmeno l'ombra di uno dei suoi famosi sorrisi sul bel viso pacifico.

"No", rispose infine, "Dobbiamo parlare. Dato che gli altri sono tutti nelle docce, mi sembra il momento adatto."

Koshino venne scosso da un brivido, senza capire se avesse freddo o meno.

"Di cosa vuoi parlare?" chiese a Sendoh, in modo piuttosto sgarbato.

"Di te."

Koshino fece un gesto di stizza e sbuffò, piegando gli angoli della bocca in un tiratissimo, amaro sorriso.

"Non posso avere una giornata no?!?" Lo aggredì, continuando a tenere ostinatamente la testa voltata da un lato, in modo da non doverlo guardare in faccia. Le sue mani continuavano a stringere le assi della panchina, così forte che le nocche delle dita gli erano quasi diventate bianche per lo sforzo.

A Sendoh quel particolare non sfuggì; dopo un lieve sospiro, si inginocchiò ai piedi del compagno e, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, cominciò a fissarlo insistentemente, come a ribadire che, finché Koshino non si fosse lasciato andare e non gli avesse confidato cosa lo turbava tanto, negli ultimi tempi, da fargli addirittura perdere interesse per il basket, lui non aveva la minima intenzione di muoversi da lì.

Koshino si sentì meno intimidito con Sendoh accucciato ai suoi piedi e, molto lentamente, guardò con la coda dell'occhio il volto dell'amico, per constatare che aveva assunto un'espressione decisamente più rassicurante.

"Perché mi hai picchiato?" Chiese di botto. Avrebbe voluto spiegargli tantissime cose, ma non sapeva davvero da che parte cominciare e quello gli pareva il modo più diretto di iniziare una conversazione.

"'Picchiato'?!? Quello non è picchiare, è 'ammonire'. La prossima volta che mi farai arrabbiare così tanto, ti assicuro che non te la caverai con uno schiaffone."

Koshino sentì di nuovo le lacrime salirgli prepotenti agli occhi e capì che non gli importava nulla. Anzi, che Sendoh le vedesse pure, che si rendesse finalmente conto di quanto stava male, di quanto stava soffrendo...

'Non capisci niente, Akira Sendoh...'

"Ma si può sapere cosa ti ho fatto? Credevo che tu, almeno, mi capissi..."

"Oh, andiamo, Hirohaki, smettila con questa lagna!"

Il tono di Sendoh non era ostile, ma, piuttosto, esasperato; in ogni modo, sentirsi chiamare con

il suo nome proprio provocò a Koshino una sensazione simile a quella che si riceve a ricevere un

pugno nello stomaco. Solitamente, lui per Sendoh era 'Kosh' o 'Hiro-kun'; lo chiamava 'Hirohaki'

solo quando litigavano, o quando voleva affrontare un argomento particolarmente serio, ad esempio chiedergli di aiutarlo con i compiti di algebra prima di un test...

"Senti..." Continuò Sendoh, alzando gli occhi al cielo e sospirando profondamente, per cercare

di trovare la concentrazione adatta ad affrontare il suo amico senza provocare uno dei suoi

soliti scatti di nervi. "...Lo sai che ti sono amico, ma proprio per questo non riesco a tollerare il fatto che tu faccia di tutto per renderti odioso agli altri. Ultimamente, poi, stai dando il meglio di te, sul serio... Cosa ti è venuto in mente, quando hai spinto Aida a quel modo? C'era bisogno?

E poi, ti ricordo che eri tu, quello che stava giocando malissimo! Scusa, Hirohaki, ma ultimamente stai davvero esagerando."

Koshino non seppe cosa ribattere e rimase in silenzio, anche perché intravide Ikegami e Aida uscire dalle docce ed entrare negli spogliatoi.

Si limitò ad abbassare la testa, stringendosi nelle spalle, in modo che i suoi compagni non riuscissero a vederlo in viso.

In fondo, quella specie di predica da parte di Sendoh gli aveva fatto quasi piacere, significava che gli importava ancora qualcosa della loro amicizia...

Hikohichi Aida si stava avvicinando ai due con un'aria sinceramente preoccupata; si arrestò, quando Sendoh alzò una mano, invitandolo con un cenno del capo a rimandare a un momento più propizio le sue premure da mamma chioccia.

"Io... Non so come dirtelo." Disse infine Koshino, con una voce talmente flebile da riuscire appena ad essere udita.

Sendoh alzò un sopracciglio, poi si protese verso il compagno, avvicinando l'orecchio alle sue labbra.

"Come?!?" Chiese, sorpreso.

"Vorrei... Devo parlarti di una cosa. Ma non so da che parte cominciare..."

Koshino stava sussurrando per non farsi sentire dagli altri, che si stavano affollando negli spogliatoi e guardavano lui e Sendoh incuriositi.

Aveva troppo bisogno di confidarsi con qualcuno, ormai era giunto al limite, quella giornata terribile ne era stata la prova inconfutabile... Ma perché doveva esserci tutta quella gente negli spogliatoi, proprio in quel momento?

All'improvviso, le mani di Sendoh si appoggiarono sulle sue spalle e lui trasalì, colto alla sprovvista. Alzò gli occhi rossi e gonfi di pianto per guardare in viso il suo amico, che dovette trattenersi per non scoppiare a ridere alla vista della faccia del suo battagliero compagno ridotta in quello stato.

"Dai, mi metto la tuta e ti accompagno. Dammi solo il tempo di fare una doccia veloce..." Propose Sendoh, alzandosi in piedi, senza staccare le mani dalle spalle dell'altro.

"Mi... Accompagni?!?" Domandò Koshino, sorpreso.

"Certo, non puoi camminare... Taoka-sensei voleva portarti a casa in macchina, ma posso benissimo accompagnarti io in bici..." spiegò Sendoh "Così, almeno, potremo parlare in pace" aggiunse poi, a voce più bassa, dopo aver lanciato qualche furtiva occhiata intorno a loro.

Per qualche strano motivo, Koshino si sentì arrossire fino alla radice dei capelli; ancora una volta, si asciugò il viso con la manica della maglia e annuì, guardando negli occhi Sendoh, che aveva ritrovato il suo famoso sorriso e la sua aria serena e flemmatica.

***

Sendoh aveva lasciato le loro borse da ginnastica negli spogliatoi, d'altra parte sarebbe stato impossibile portarsele dietro in bicicletta.

Uozumi aveva gentilmente aspettato che si facesse la doccia, per aiutarlo a portare fuori Koshino; ancora una volta, il capitano del Ryonan aveva preso in braccio il suo kohai come avrebbe fatto con un fratellino piccolo e, nuovamente, Sendoh provò un ingiustificato senso di fastidio, mentre si recava a recuperare la bici, per raggiungere i due compagni di squadra che lo aspettavano fuori della palestra.

'Sei un cretino... Tu avrai anche superato il problema, ma tanto sai che Hiro-kun non ci penserebbe nemmeno... Anzi, con il carattere che ha, probabilmente ti picchierebbe pure, se cominciasse a sospettare qualcosa... Che ingiusta, la vita...' Pensò, pedalando distrattamente.

Quando arrivò a destinazione, trovò Koshino sorretto a Uozumi, con il piede ingiuriato sollevato, stretto al braccio del capitano per mantenere l'equilibrio.

"Sembrate quasi una coppietta!" Scherzò Sendoh, sorridendo a dispetto del disagio che provava,solo per divertirsi ad osservare Koshino che arrossiva di rabbia e Uozumi che alzava gli occhi al cielo, rassegnato.

"Cerca di non andare a sbattere da nessuna parte, piuttosto, stai per trasportare un infortunato... ci manca solo che ti faccia male anche tu!" Ribatté Uozumi, mezzo serio e mezzo no, aiutando Koshino a sedersi sulla parte posteriore della bici di Sendoh.

"Non ti preoccupare, capitano... Ho trasportato un sacco di fanciulle su questa bici e sono ancora tutte intere, esattamente come la bici stessa!"

A quella battuta, Koshino si sentì stringere lo stomaco e riaffiorare le lacrime agli occhi, cacciandole indietro prepotentemente: quello non era davvero il momento per lasciarsi andare, o...

"Hiro-kun, sei sicuro di riuscire a mantenere l'equilibrio? Forse è meglio se ti reggi a me..."

La voce di Sendoh lo aiutò nel suo intento, permettendogli di reagire nel suo solito modo a quella frase che, in quel momento, gli era sembrata quasi una provocazione.

"Mi sono fatto male alla caviglia, non ho alcun problema al mio apparato vestibolare, quindi non ho nessun bisogno di stringermi a te per riuscire a stare seduto su questa tua bici sgangherata!"

Sendoh si lasciò scappare una delle sue risate a cuore in mano, mentre Uozumi sorrise appena e salutò i due ragazzi che si allontanavano lentamente.

***

Il viaggio fino a casa di Koshino fu silenziosissimo. Nessuno dei due ragazzi parlò.

Hirohaki era ancora imbarazzato da morire per tutto quello che era accaduto in quel movimentato pomeriggio, mentre Sendoh voleva aspettare di poter guardare il suo amico negli occhi, prima di iniziare un qualsiasi discorso.

In realtà, erano entrambi parecchio confusi e, nelle loro teste, non riuscivano ad organizzare alcun pensiero coerente; questo, però, lo ignoravano l'uno dell'altro.

Arrivato a destinazione, Sendoh frenò dolcemente la bicicletta, facendo in modo che Koshino riuscisse ad appoggiare per primo il piede sano a terra, mantenendosi in equilibrio; con circospezione, appoggiò la bici sul cavalletto e raggiunse il compagno.

Gli passò un braccio intorno alla vita, mentre Koshino gli appoggiava il suo intorno alle spalle; così, supportato da Akira, Hirohaki saltellò su un piede solo fino alla porta di casa, dove suonò

il campanello e venne accolto da una preoccupatissima, una volta notata l'evidente fasciatura alla caviglia, signora Koshino.

"Hiro-kun!!! Che cosa è successo?!?" Esclamò sua madre, volgendo lo sguardo da uno all'atro, aspettandosi una spiegazione.

"Oh... Niente di grave, zia! L'allenatore ha detto che, probabilmente, per domani sarà tutto a posto... Il nostro capitano gli ha fatto una fasciatura impeccabile!" La rassicurò Sendoh con uno dei suoi sorrisi più dolci, che tanto piacevano alla madre di Hirohaki e che tanto avrebbe voluto vedere, qualche volta, sul viso di suo figlio.

"Ma... Siamo sicuri? Non è meglio andare al pronto soccorso?!?" Chiese la signora, non del tutto convinta.

"Non ti preoccupare, kaasan... Se non si sarà sgonfiata per domani, allora faremo un salto in ospedale... Ah!" Koshino si interruppe, facendo una smorfia di dolore. Sua madre si affrettò ad aiutare Sendoh a sostenerlo e, in qualche modo, in due riuscirono a fargli salire le scale e ad accompagnarlo in camera sua, dove poté, finalmente, sedersi sul suo letto.

"Vado a prepararvi un tè, ragazzi... Akira-kun, ti fermi a cena da noi?" Chiese premurosamente la signora Koshino, un po' trafelata per lo sforzo che aveva compiuto nel sostenere suo figlio.

Gli occhi di Akira e Hirohaki si incontrarono, interrogativi quelli del primo, smarriti quelli dell'altro.

"Si, kaasan." Si risolse a rispondere Koshino. "Prepara anche per lui."

Sendoh sorrise alla madre del suo amico, ringraziandola; la signora ricambiò il sorriso e lasciò i due ragazzi, non prima di aver raccomandato: "Hiro-kun, stenditi e cerca di riposare; vi porto la cena in camera, così non dovrai fare altri sforzi. Akira-kun, perché non telefoni a casa per avvisare che stasera ceni qui?" E, con questo, uscì dalla stanza.

Sendoh sorrise.

"E' tutta agitata... E' strano che tu sia venuto su così scontroso, con una madre tanto apprensiva..." Considerò, prima di inginocchiarsi davanti al letto dove Koshino era seduto, esattamente nella medesima posizione di quando avevano cominciato a discutere negli spogliatoi.

"Non credevo che ti avrebbe fatto piacere che rimanessi a cena..." Continuò, cercando gli occhi dell'amico che, una volta uscita di scena sua madre, si erano ostinatamente incollati al pavimento.

"...Dovevamo parlare, no? Così, avremo più tempo..." Lo rimbeccò Koshino, senza staccare gli occhi dal suolo e con una voce che non prometteva nulla di buono.

Sendoh sospirò.

"Hirohaki... Guarda che sei stato tu a dirmi di aver bisogno di parlare..." Gli ricordò gentilmente.

"Credi che sia facile, per me?" Scattò Koshino, quasi gridando, facendo sussultare lievemente Akira, che inarcò le sopracciglia, smarrito.

"E'... Davvero una questione tanto delicata?" Provò ad indagare, ormai seriamente preoccupato per l'amico. Cosa poteva mai essere accaduto a Koshino di così grave? Così grave da non riuscire a palarne neppure con lui, così grave da compromettere persino la sua abilità nel basket, così grave da farlo piangere come un bambino negli spogliatoi, lui, che mascherava sempre tutte le sue debolezze con l'aggressività?

"E'... più che 'delicata'. E'... E'... E' terribile!" Sull'ultima parola, la voce di Koshino si incrinò e, sul suo viso, si sciolse nuovamente il cipiglio aggrottato che lo distingueva per far posto all'espressione triste ed indifesa che Sendoh gli aveva visto prima, in palestra; Koshino affondò il viso nelle mani, per nascondere al suo compagno quella visione patetica, per poter continuare a sfogarsi tramite quelle maledettissime lacrime senza doverle per forza mostrare anche a lui.

Si sentiva dilaniato tra il desiderio di rimanere da solo e poter finalmente piangere disperatamente tutta la notte per quello che lo stava tormentando e che gli aveva causato tanti guai in quella terribile giornata e la voglia di confidarsi con qualcuno, di farsi consolare, consigliare...

Il fatto era che la persona che si trovava con lui in quei momenti e che stava cercando di farlo sentire meglio era anche la causa di tutto...

Mentre cercava di soffocare i singhiozzi e, almeno, di piangere in silenzio per non rendersi ulteriormente ridicolo, Koshino sentì le mani di Sendoh chiudersi sulle sue, scostandogliele dal viso.

Fece un po' di resistenza, cercando di voltarsi di lato per non dover guardare l'amico negli occhi...

Sentì Sendoh sospirare, mentre continuava a tenergli le mani tra le sue, inginocchiato lì ai piedi del letto, con un'espressione di impotenza che Koshino avrebbe giurato impossibile riuscire mai a scorgere sul volto di qualcuno come lui.

"Hirohaki... Ma che ti succede? Sei sempre stato famoso per la tua combattività e adesso nascondi il viso tra le mani come una fanciulla di fine ottocento? Che ti succede? Ci siamo sempre detti tutto, perché questa volta è così difficile, per te?"

"Perché... Perché è una cosa che ti riguarda, baka!" Gli urlò in faccia Koshino, liberando le mani dalle sue con uno strattone.

Sendoh sollevò un sopracciglio e lo scrutò, interrogativo; vide gli occhi del compagno riempirsi di panico, come se avesse detto qualcosa di troppo ed ora si fosse pentito... Ma lui non aveva capito cosa si celava dietro la frase che Koshino aveva appena pronunciato, era troppo preoccupato e confuso nel vederlo reagire a quel modo.

Koshino tentava furiosamente di asciugarsi le lacrime dalle guance, ma ormai cadevano così copiosamente da rendere vano quell'ultimo tentativo di salvaguardare il suo orgoglio. Aveva cominciato a singhiozzare e Sendoh, non sapendo più con quali parole tentare di farlo aprire un po', non riuscì a trovare soluzione migliore che sollevarsi sulle ginocchia, circondargli le spalle tremanti con le braccia e stringerlo a sé, cullandolo piano.

Koshino da principio si irrigidì e tentò di divincolarsi, anche se debolmente; ma, quel gesto d'affetto fece crollare definitivamente le sue difese e, dopo qualche attimo, gettò le braccia al collo dell'amico e vi si aggrappò come un naufrago all'ultima trave di legno della nave appena affondata.

"Sendoh... Sendoh, per favore, non lasciarmi. Io... Ho tanta paura. Per favore..." Pregò Koshino, con la voce alterata dal pianto, il viso affondato nell'incavo della spalla di Sendoh.

"Shh... Hiro-kun, stai tranquillo... Dimmi che cos' hai, ti prego... Mi stai facendo preoccupare da morire." Sendoh cercava di parlare con voce ferma, anche se era difficile non venire trascinati dalla disperazione che gli stava comunicando Koshino.

"Cosa c'è che non va, Hiro-kun? Perché hai detto che c'entro io?" Provò a chiedere di nuovo, stringendolo più forte.

"Non posso... Non posso... Mi odieresti! Io, mi odierei... Io mi odio!"

A quella parole, Sendoh si divincolò dall'abbraccio, prese Koshino per le spalle e lo allontanò di quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi.

Nella sua mente, gli avvenimenti degli ultimi tempi e le parole di Koshino si stavano componendo piano piano, come a formare un puzzle.

Hirohaki sbatté le palpebre, perplesso; Akira lo stava fissando con l'espressione più inquietante che gli avesse mai visto, qualcosa che esprimeva insieme rabbia e... E...?

"Non-potrei-mai-odiarti, idiota!" Scandì Sendoh a denti stretti, scrollando il suo compagno ad ogni parola.

Koshino lo fissava, come ipnotizzato. Aveva visto passare negli occhi del compagno qualcosa che non era riuscito a leggere, ma che, decisamente, gli era sembrato come una sorta di bagliore, di 'illuminazione'.

"Io ti voglio bene, baka! Non l' hai ancora capito?!?" Detto questo, Sendoh annullò la distanza che aveva creato tra di loro attirando a sé l'amico e, con un movimento fulmineo, gli sigillò la bocca con la sua.

-owarii parte 2-


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