Secretum

di IrisAlba.

 

Capitolo III.

 

Vivere con Sanzo non era affatto facile, per tutta una serie di ragioni.

Innanzitutto fui costretto a mettermi subito a studiare e per uno come me, che in tutta la sua vita aveva racimolato pochi mesi

di scuola, fu un vero trauma.

Ogni mattina dovevo alzarmi alla stessa ora di Sanzo, prepararmi e andare con lui all’Università. Dovevo seguire tutte le sue lezioni con attenzione e non nego che le prime volte mi sembrava che stesse parlando una lingua straniera!!!.

Il mio tutore, però, cercò di incoraggiarmi (a modo suo, ovvero con tante dosi di sventagliate…) dicendo che per uno che

era cresciuto come una scimmia selvatica certi concetti non erano subito assimilabili!!!.

Quando tornavamo a casa, comunque, ci siedavamo assieme ad un tavolino vicino ad una finestra enorme e lì Sanzo mi rispiegava tutto quello che aveva detto durante le sue lezioni.

Erano quelli, per me, i momenti più belli della giornata. Quando eravamo fuori, infatti, Sanzo si mostrava sempre terribilmente annoiato o infastidito o irritato, oltre che perennemente insoddisfatto. Sembrava non gradire molto gli ambienti che la sua professione e la sua fama lo costringevano a frequentare.

Ma se eravamo soli in casa, invece, Sanzo riusciva ad assumere un’espressione quasi tranquilla. Con tutta la santa pazienza (che comunque in lui non abbondava, lo testimoniano i numerosi colpi di ventaglio che mi sono preso!!!) cercava di iniziarmi

ai misteri della sua disciplina e a volte assumeva un’aria talmente distesa che sembrava sarebbe potuto riuscire anche

a sorridere.

Dio, quanto avrei voluto vedere Sanzo sorridere!!!.

Le giornate più brutte, invece, erano quelle in cui Sanzo non aveva lezione. Lui se ne restava tutto il giorno nella sua stanza

a leggere, mentre io ero costretto a sorbirmi le noiosissime ripetizioni del mio insegnante privato.

Comunque, malgrado per un ragazzo vivace come me stare sempre seduto a studiare era un vero martirio, riuscivo a sopportare tutto, ad impegnarmi a fondo, solo per far piacere a Sanzo.

Volevo che lui fosse fiero di me. La mia gratitudine, che si era trasformata in vera e propria adorazione nei suoi confronti,

mi impediva di lasciar perdere tutto.

Lasciar perdere tutto avrebbe significato perdere Sanzo. Ed io non riuscivo più a pensare la mia vita senza di lui.

Questi sentimenti nei suoi confronti, però, non erano dovuti solo al fatto che, grazie a lui, ora vivevo in una bella casa,

lontano dalle sofferenze di quella che era stata una vera e propria prigione.

Erano infatti qualcosa che trascendeva l’aspetto puramente materialistico.

Sanzo non aveva un carattere particolarmente socievole. Era sempre imbronciato, annoiato, scorbutico, arrogante. Mi riprendeva spesso e molte volte le sue parole facevano davvero male, al punto che arrivavo a chiedermi perché quel

giorno aveva deciso di prendermi con sé.

Nei giorni di pioggia, poi, era inavvicinabile. Si chiudeva a chiave nella sua stanza e per ore rimaneva lì in assoluto silenzio, senza mai muoversi se non quando la pioggia cessava.

Quante volte avevo bussato alla porta della sua camera, chiedendogli se voleva qualcosa da mangiare o se potevo aiutarlo

in qualche modo. E quante volte l’ho aspettato alzato, sperando che si decidesse ad uscire.

Eppure i miei sentimenti per Sanzo non mutavano. Non mutava la gratitudine per avermi preso con sé, la stima nei confronti della sua intelligenza e del suo carisma, l’orgoglio che provavo quando all’Università alcune ragazze e ragazzi più grandi, che seguivano le sue lezioni, dicevano di invidiare la sorte che mi aveva permesso di vivere con lui.

Inoltre c’era uno sguardo, che Sanzo riservava a me solo e che per me significava tanto.

Ho detto prima che, quando nei giorni di pioggia si barricava in camera, io non mi muovevo da dietro alla sua porta. Ebbene, ogni volta che si decideva ad uscire e si rendeva conto che lo avevo aspettato per tutto quel tempo, mi lanciava uno sguardo totalmente incredulo, quasi che non credesse possibile che lo avessi atteso per tutte quelle ore.

Io mi avvicinavo subito e gli chiedevo se voleva finalmente decidersi a mangiare o aveva bisogno di altro ma lui, senza dirmi nulla, posava delicatamente la sua mano fra i miei capelli, in una impercettibile carezza di qualche secondo. Poi, sempre senza dirmi nulla, si allontanava.

Per quello sguardo, per il tocco delle sue mani fra i miei capelli, io mi sentivo pronto ad affrontare qualsiasi impegno e fatica. Con il passare dei mesi divenne per me una vera ossessione e studiavo con tutte le mie forze perché volevo che Sanzo non si limitasse a toccarmi dolcemente solo in quei momenti, ma mi concedesse il tocco delle sue mani sempre più spesso.

Passarono in questo modo tre anni, tre anni di convivenza continua, tre anni in cui l’immagine di Sanzo andò incontro a

graduali trasformazioni nella mia mente.

Prima era per me un uomo su cui riversavo tutta la mia gratitudine e la mia adorazione. Poi era diventato un maestro da stimare. Poi un fratello maggiore, imprescindibile punto di riferimento.

E poi, del tutto inaspettatamente, un giorno mi accorsi di amare Sanzo e di desiderarlo con tutte le mie forze.

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A volte riusciamo a far chiarezza nella matassa confusa e aggrovigliata dei sentimenti grazie ad avvenimenti apparentemente banali. Nel mio caso, posso dire che riuscì a prendere consapevolezza della natura dei miei sentimenti per Sanzo grazie ad

una frase sentita casualmente una sera.

Come prima ho avuto modo di dire, erano pochissime le persone che potevano vantarsi di essere amici del mio tutore. In effetti, penso che l’unica persona che Sanzo considerasse davvero come amico era un giovane e promettente medico, proveniente anch’egli da una famiglia nobile e illustre della città. Il suo nome era Cho Hakkai.

Hakkai veniva a trovare spesso Sanzo. Era una persona affabile e gentile, sempre incredibilmente cortese. Mi prese subito

in simpatia e, soprattutto, mostrò di non dare credito a ciò che si diceva sulle persone con gli occhi dorati.

Malgrado Hakkai fosse nato, come Sanzo, in quella città, ormai da anni era costretto a vivere in un paesino molto distante

da S*** e ad accontentarsi di un modesto posto da infermiere.

La sua famiglia, infatti, lo aveva messo al bando ed era stato cacciato dalla prestigiosa clinica in cui lavorava perché era divenuta di dominio pubblico la sua relazione con uno squattrinato, insolente, simpatico musicista jazz di nome Sha Gojyo.

Anche lui veniva spesso a trovarci con Hakkai. Sanzo diceva di non sopportarlo, e in effetti Gojyo amava punzecchiarlo

con le sue battute. Quando ebbe modo di conoscermi, però, decise di allentare la tensione su Sanzo e di concentrare le

sue battutine su di me. Non che trascurasse il mio tutore, comunque.

In particolare, si divertiva a fare domande a doppio senso e sempre chiedeva a Sanzo come mai, invece di scegliersi una

delle tante donne che gli cadevano ai piedi, avesse deciso di portarsi in casa un ragazzino “tenero e carino”, con un corpo “davvero niente male” su cui riversare le sue “attenzioni”.

A quel punto, immancabilmente, Sanzo gli riservava prima un’occhiataccia e poi gli lanciava contro il suo inseparabile

harisen, centrando sempre il bersaglio (ovvero la testa del povero Gojyo!!!).

Erano pomeriggi felici quelli e sembrava che, durante le ore che riuscivamo a passare assieme, le ombre che cercavamo

di nascondere nei nostri cuori fossero realtà inesistenti.

Una sera, comunque, in cui mi sentivo particolarmente contento (Hakkai, infatti, mi aveva confidato che Sanzo si definiva piuttosto soddisfatto dei miei progressi), stavo tornando dal parcheggio dove avevo aiutato Gojyo a cambiare una ruota

alla sua moto quando, nell’accostarmi alla porta, sentì Sanzo che poneva una strana domanda ad Hakkai

-So che ormai non ha più senso chiedertelo, ma sei sempre sicuro che ne valga la pena?-.

Hakkai non rispose subito. Rifletté per qualche istante e poi, con il sorriso più dolce che mai gli avessi visto, disse -Si, ed

è una risposta che viene dal profondo del mio cuore. Per troppo tempo mi limitavo a guardarlo, a girarci attorno, conducendo di giorno la mia solita vita “rispettabile”, la vita che gli altri volevano che io conducessi, e lasciando che la notte il suo pensiero mi lacerasse l’anima. Per troppo tempo ho soffocato i miei sentimenti più veri nel silenzio, dicendo a me stesso di aspettare, di pazientare ancora, perché forse un sentimento così “assurdo”, così contro la morale comune, sarebbe sfumato da solo. Ma

la prova che i miei sentimenti sono puri e nobili sta nel fatto che il mio amore per Gojyo non è mai venuto meno, ed io mi

ero reso conto che era stupido vivere come un animale braccato. Ho preferito che mi trovassero e che mi colpissero: sono

ancora vivo. Ricorda che l’amore non è un sentimento da tener segreto, Sanzo. Cerca di tenerlo a mente!!!. Io sono ora veramente felice e in pace con me stesso-.

Quella sera, nel buio della mia camera, non potei fare a meno di ripensare ossessivamente alle parole di Hakkai.

“L’amore non è un sentimento da tener segreto” mi ripetevo. “Possibile che ciò che non rivelo neanche a me stesso

sia amore? Possibile che il mio tendere continuamente verso di lui sia amore? Perché le parole di Hakkai mi hanno fatto pensare a Sanzo? Possibile che io sia…..

innamorato di Sanzo?”.

Il giorno dopo, quando ormai ero pronto a lasciarmi quei fastidiosi pensieri alle spalle, mi bastò tornare a guardare

quelle iridi viola perché tutto mi fosse finalmente chiaro.

 

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Fu quello il periodo più brutto della mia vita. Col passare del tempo, infatti, iniziò a pesarmi ogni giorno di più il segreto

dei miei sentimenti, che io volevo e non volevo confessare a Sanzo.

Mi sembrava un segno della mia natura perversa, delle mie origini che affondavano le loro radici nel peccato, l’essermi innamorato di Sanzo. Del mio maestro. Di un altro uomo.

Contemporaneamente alla scoperta del mio amore per lui, quindi, iniziai ad aver paura di me e di quello che provavo.

Stargli vicino fisicamente era diventata una tortura che io disperatamente ricercavo e, al tempo stesso, rifuggivo.

Facevo di tutto affinché le sue dita, se ad esempio doveva passarmi qualcosa, sfiorassero le mie, ma al tempo stesso

temevo che ciò accadesse, perché non volevo che Sanzo capisse come intensamente desideravo che mi toccasse.

La consapevolezza che l’avrei perso se gli avessi rivelato i miei sentimenti mi costringeva a reprimere il mio amore, la

mia passione per lui. Ma ciò non mi impediva di sfogare nella mente tutte le mie fantasie.

Il suo corpo divenne ben presto un’ossessione, l’oggetto dei miei desideri carnali. Aveva iniziato ad affascinarmi in maniera oserei dire morbosa, diversamente da quella volta in cui guardai estasiato, per la prima volta, i suoi splendidi capelli e la sua pelle bianca.

Volevo accarezzare quella pelle e quei capelli, sentire quali sensazioni avrei provato se avessi tentato di toccarli. E volevo sentire le sue mani su di me, anche con violenza. Soprattutto con violenza.

Ma Sanzo non sapeva di essere diventato il soggetto di tutti i miei pensieri impuri, ed io mi sforzavo di continuare a comportarmi come al solito.

Oggi, però, mi rendo conto di come fosse impossibile che a una persona attenta come il mio tutore sfuggisse il diverso modo con cui lo guardavo, o sfuggissero le occhiatacce che lanciavo contro le numerose studentesse che gli si affollavano intorno a fine lezione (per chiedere spiegazioni, dicevano quelle oche!!!). Credevo di riuscire a dissimulare tutto alla perfezione e non

mi accorgevo che arrivavo a mordermi a sangue le labbra o a stringere i pugni fino a farmi sbiancare le nocche, tanto ero

roso dalla gelosia.

Che illuso!!!.

Avrei, comunque, potuto continuare così ancora a lungo, perché il timore di poter perdere Sanzo bastava a farmi ingoiare

ogni boccone amaro, se non fosse stato per una persona, o meglio, per un poeta (lui amava presentarsi solo in questo

modo), che mi insegnò a non avere più paura dei miei sentimenti.

-Forse è vero che siamo esseri impuri, nati dal peccato e inevitabilmente portati a peccare, ma se le cose stanno così, tanto vale coltivare con orgoglio ogni nostra colpa!!!-. Questo che era solito dirmi provocatoriamente Homura e da lui imparai ad accettare, ad esaltare con tutti i miei sensi l’amore per il mio peccato.

 

TO BE CONTINUED!!!

 

P.S.S.S. di IrisAlba: ovviamente non poteva mancare in questa fan fiction l’uomo della mia vita, ovvero quel bel

ragazzuolo di Homura (Oh, my loveee!!!^ç^ Nd.IrisAlba  E non sbavarmi addosso!!!>__<Nd.Homura), che

comunque avrà maggior spazio nel prossimo capitolo (Rassegniamoci alla sorte avversa, allora…Nd.Homura 

E che cavolo!!! Fammi iniziare a scrivere, almeno!!!>__< Nd.IrisAlba).

Forse i sentimenti di Goku vi sembreranno troppo oscuri e morbosi, ma ho cercato (e cercherò) di esprimere

in questo modo le conseguenze di una passione tormentata e repressa nell’animo di un diciottenne (sono, infatti,

ormai passati tre anni).

Ad ispirarmi questo terzo capitolo è stata una frase che ho sentito nel film Storia di una capinera (credo che sia

di Zeffirelli): ad un certo punto, infatti, la protagonista esclama –Io amo il mio peccato-….È TROPPO

COMMUOVENTE!!!

Per ora vi lascio, ma ci si vede al IV capitolo!!!

CIAUUUUU!!!!!^^