Me: Ora…io questa l’ho iniziata senza pretese. Mi sono inventata un po’ a destra e un po’ manca.

Ed: Per un volta che ti inventi qualcosa…

Me: Eh, già…mondo crudele…Ho scoperto che Ed è esistito. -_-

Ed: Sai che roba, chissà quanti ce ne sono stati.

Me: Io il nome l’ho scelto per un altro motivo, però…questo è esistito nella prima metà del 300. t_t

Ed: Quello è il periodo in cui inizia la guerra dei Cent’anni. Ci sono Re Edoardo I, II, III…

Me: (testuali parole del mio libro di storia) “Edoardo III Re d’Inghilterra sconfisse ripetutamente gli scozzesi, avanzò pretese, in quanto nipote di Filippo il bello, al trono di Francia. Con la presa di Calais divenne il monarca più temuto d’Europa. Fece costruire il palazzo di Windsor e sostituì alla lingua inglese quella normanna…” Y_Y

Ed: Embè?

Me: Ed. tu non sei Re.

Ed: …?

Me: “Assieme al figlio, Edoardo di Galles, “Il Principe Nero”, armò un esercito di 40.000 uomini”. Non ce ne sono altri che si chiamino proprio così e poi non è mai diventato Re. C’è solo quello. Oddio…mi vengono i brividi…e poi…”Il Principe Nero”…brrr

Ed: Se mi presenti così mi fai sembrare un mostro…T_T

Me: Comunque sia mi sono fatta due conti ed ho aggiustato la contestualizzazione storica. Alcuni personaggi restano di pura invenzione

 

 

 

 

 


Scotland Overview

parte I

di Yuu

 

Il 14 Maggio 1456, mentre l’Europa stava finalmente ritrovando la serenità dopo una guerra durata cent’anni, nell’incompiuto castello di Beaumaris Papa Pio III, in via del tutto segretissima, presentava ad una ristretta cerchia di ecclesiastici il nipote di Sisto IV, destinato a succedergli. Girava voce che si trattasse di un giovane di salute cagionevole, ma dalle singolari capacità, alla stregua di uno mago. Proprio il fatto che il Papa lo avesse tenuto nascosto per più di quindici anni, riservandogli un’educazione rigidissima, era sufficiente a nutrire simili dicerie; in molti dubitavano persino del suo diritto di sangue, stimando probabile che venendo a sapere delle sue arti Pio III lo avesse accolto a Roma per farne un santo. Quello stesso giorno, allontanatosi dal suo seguito per visitare in pace il maniero, il ragazzino scomparve e fu ritrovato soltanto dopo alcuni giorni. Il suo carattere tuttavia era notevolmente mutato e presentava delle gravi ferite alla mani. Riferì di essersi smarrito e, trovandosi di fronte una strana iscrizione,. di aver trascorso due giorni nel tentativo di decifrarla. Il Papa volle accertarsene, ma nessuna scritta fu mai trovata e mai si venne a capo del mistero. 

 

                                                  ______________*______________

 

<<La vita è soltanto un susseguirsi di emozioni distinte e incomprensibili, che si nascondono nel profondo del nostro animo e giocano sul volto della persone che abbiamo di fronte. Mi risulta spesso difficile comprendere il loro modo di comportarsi, delle persone intendo. In verità sono piuttosto abile nel comprendere quale sia l’indole di colui che mi trovo di fronte. A non apparirmi chiara è quella serie di fattori, forse invalicabili, che costringono le persone a mutare la loro personalità ed a fornire una versione dei fatti diversa e spesso contraddittoria a seconda del momento e dell’uditorio in cui essa viene esposta. Oddio, queste ragioni nel luogo in cui vivo non sono certo difficili da riscontrare. Le opinioni proprie da queste parti conducono ad un punto di non ritorno, per inciso: la bara. Eppure nelle mie visite segrete nel resto del mondo ho sempre notato un atteggiamento identico ed assai più ingiustificato. Quasi nessuna ‘rivelazione’ esprime il reale pensiero di colui che la formula. Non so cosa sarebbe di noi e del mondo se fossimo in grado di leggerci reciprocamente nell’animo. Sarebbe un mondo di amore e verità o forse uno di odio per la smascherata ipocrisia?

Per assurdo qui è legge il non poter nemmeno pensare di esprimere i propri pensieri. Da quando sono nato non ho mai sentito un giudizio diverso da quello di mio padre, dal suo soltanto poiché, non appena sono divenuto abbastanza ‘maturo’ per proferire pareri, ai miei occhi si è dipanata tutta la menzognera trama cui appartenevo ed ho giurato a me stesso che non avrei più asserito nulla che non fosse indispensabile e che, adattandomi, non avrei ostentato i miei sentimenti, ma confutato la tesi di chiunque avesse tentato di sostenermi.

Naturalmente, per quanto io possa essere invidiato e lodato per modi, perspicacia, conoscenza, forse anche fascino, merito della mia defunta madre, ciascuno concorda con mio padre nel ritenermi un erede indegno, che non si cura di ciò cui un vero sovrano dovrebbe indirizzarsi e che, quantunque sia il primogenito, generato dalla prima sovrana, non sarà mai all’altezza del fratello minore. E non appena sarà sufficientemente maturo il piccolo Giovanni mi saprà di certo essere migliore. Nonostante questo per il timore reverenziale che induco nessuno osa ‘ragguagliarmi’ sulla ‘retta’ via da percorrere. Neanche mio padre, che, ritenendomi un buono stratega e quindi un utile apporto in battaglia, trova un motivo più che sufficiente a rendere la mia presenza essenziale e far spiccare, ai propri occhi e a quelli degli altri, l’inutilità di un eventuale ulteriore rottura nei nostri rapporti, tanto più in un momento in cui proprio la guerra incombe.>>

 

                                                 __________***___________

 

Un uomo dai lunghi capelli corvini stava mollemente poggiato ad un balcone marmoreo, che si affacciava su un piccolo chiostro decorato da un gruppo di statue ormai antiche e parzialmente ricoperte di brina, disposte a circolo attorno ad una fontana, la cui acqua era gelata dal rigido ed insensibile inverno. La vasta distesa antistante, coperta di un delicato manto che pareva mandare bagliori, si rispecchiava in quel colorito niveo che si addice agli abitanti della mezzanotte, restii alla luce. Un pesante mantello rosso bruno avvolgeva il corpo riposato. Lo sguardo aveva in sé le sfumature speranza e bruma della Scozia in primavera e trasmetteva una quieta amareggiata noncuranza, non dimentico di una qualche fiera disposizione d’animo, riconducibile con facilità all’alterigia, ma essenziale all’assoluta perfezione del volto. Egli pareva sprofondare in un sentimento di sopraffazione così profonda da renderlo una perfetta rappresentazione gotica. Era statua immobile tra le statue, neve capace di brillare sulla neve, gelo tanto distaccato da far rabbrividire il gelo stesso, luminosa tenebra nel grigio del vespro senza Sole.

Gli occhi carezzavano indolenti il marmo freddo di ogni statua, mentre i capelli ondeggiavano nella gelida brezza, che provocò un tremito improvviso all’intera figura. L’uomo si sollevò e diede un’ultima occhiata al paesaggio avvolto nella nebbia oltre le mura, quindi il volto si volse di nuovo verso il giardino interno al maniero: quattro portoni ad arcata davano libero accesso ai corridoi, che ne delimitavano il perimetro, con un filare di colonne. Uno di essi si aprì pesantemente. Ne sbucarono quattro guardie armate. La prima, lancia alla mano, guidava il tetro corteo, la seconda si apprestava ad aprire un altro portone, mentre le rimanenti procedevano a fatica nella neve, conducendo a forza un prigioniero. I mantelli erano contrassegnati da uno scudo diviso in quattro parti, due scarlatte e due auree, al cui centro spiccava un nero drago a tre teste; tale era il simbolo della casata di De Baliol. Non si trattava di guardie della cittadella.

Gli occhi, impassibili smeraldi, si dilatarono per un istante. Il ragazzino era ben poco coperto e avrebbe dovuto quantomeno perdere i sensi per il freddo, ma si dimenava impetuosamente. Ancor più bizzarro non sembrava affatto un inglese, tanto meno un gallese o scozzese, la pelle scura ricordava un luogo caldo e luminoso, come quelli dell’area mediterranea. Si sforzava di chiedere aiuto con un linguaggio frammentario ed oscuro, ma di certo non inglese, né normanno e nemmeno un qualche dialetto della regione. Una delle guardie, quella che guidava la fila, si voltò bruscamente e piantò la lancia affilata nell’addome del prigioniero, estraendola subito con violenza e macchiando di sangue il suolo bianco.

“Così almeno adesso ti lamenterai per qualcosa!” asserì con voluta ferocia, mentre il ragazzino, piegandosi in ginocchio, si cingeva i fianchi con le braccia.

Il nobile rimase immobile affacciato alla terrazza, lo sguardo attento, forse vagamente in ansia. Nonostante si trovi piuttosto in alto, riesce chiaramente ad avvertire il sospiro rassegnato del prigioniero. Non gli erano mai piaciuti i modi incivili e violenti di Warzendorf, anzi era persino scosso per il trattamento subito da qualcuno che vedeva per la prima volta. Anni e anni di impegno per mantenere sempre il medesimo contegno ed ora si trovava di fronte a questo. Non l’avesse mai pensato!:Occhi dolci come il miele e splendenti come il sole si posarono su di lui.

- Dio…Perché? – pensò. - Ora non riuscirò più a riposare… -

E avrebbe potuto senza indugio considerare che quel tale fosse dissimile agli altri, per una sola occhiata! Sarebbe stata certo una pia illusione. Nondimeno la creatura riusciva a risvegliare in lui un istinto che credeva morto da tempo e dell’interesse o meglio: ne era pericolosamente affascinato. Il ragazzino gemette per il dolore, perdendo i sensi, e le due guardie lo afferrarono nuovamente. Strattonandolo senza riguardi per i polsi sottili, lo trascinarono verso il nuovo portone spalancato, che si apriva sul corridoio per le prigioni del castello.

Considerò che il riposo fosse la cosa migliore. Il giorno successivo, poiché il Re avrebbe fatto ritorno dalle trattative, sarebbe stato molto pesante e traboccante di menzogne. C’era anche la possibilità di trovarsi davanti quel particolare prigioniero e doverlo giudicare. Quindi si voltò e rientrò nella sala buia. Quella parte del maniero era abitata da lui soltanto e a nessuno era concesso di entravi senza aver avuto il suo benestare. Si diresse alla grande stanza da letto, dove scrutò amareggiato le lenzuola pesanti in broccato rosso, su cui era poggiata una grande pelle d’orso ed il baldacchino intarsiato magistralmente. Presto sarebbe stato costretto a sposarsi, eppure l’idea gli faceva ribrezzo. Nessuno mai avrebbe dovuto avere il permesso di giacere nel suo letto, troppo vicino al suo vero io. La grande stanza era poco arredata, quasi spoglia, se non per un grande armadio scuro, un tavolinetto con un catino di ceramica decorata pieno d’acqua, uno scrittoio pregiato su cui svettavano una boccetta d’inchiostro scuro, una piuma d’oca e dei fogli alla rinfusa. Su tutte e quattro le pareti si poggiavano piccole librerie e mensole con manuali e testi consunti. In alto pendevano preziosi arazzi provenienti da paesi stranieri. Tappeti finemente intrecciati, anche con fili d’oro o d’argento, coprivano quasi interamente il freddo pavimento di granito scuro. L’uomo indossò la veste da camera e si distese sul letto, senza tuttavia coricarsi. Stette a fissare un punto indefinito nell’aria, finché adagio le palpebre calarono e scivolò in un sonno privo di sogni.

 

____________ * _____________

 

A seguito di un brusco risveglio, senza riflettere era disceso alle segrete ed ora si trovava di fronte ad una guardia; dormiva in piedi appoggiata allo stipite della grande cancellata, che introduceva alle prigioni. Il capo era pigramente reclinato sulla grande spalla, la lancia stretta nella mano callosa. Il volto pareva infantile, ma allo stesso tempo attento, come quello di un bambino diffidente. Possedeva qualcosa di affascinante l’inconscia insolenza che manifestava e che da sveglio si sarebbe trasformata in assoluta dedizione. L’uomo dai lunghi capelli corvini si fermò ad osservarlo, soppesando le varie possibilità. La veste da camera scura sfiorava il suolo sporco e non si addiceva a quel luogo sudicio. La sua presenza era del tutto ingiustificata. Si diede un ceffone mentale, poiché stava ragionando proprio come suo padre. Poiché aveva bisogno delle chiavi per entrare, mentre l’uomo di fronte a lui ronfava disinteressato, prese una risoluzione: gli diede una pacca sulla spalla, scotendolo leggermente e ponendo così in bilico il suo precario equilibrio. La guardia sobbalzò spalancando gli occhi scuri.

P-P-Principe Edward!!!” trasalì sbiancando, non appena si rese conto della situazione.

Anche se divertito, Edward assunse un’espressione tra l’altezzoso e lo stizzito.

P-perdonatemi altezza…I-io non…non…” continuò la sentinella balbettando.

Qual’è il tuo nome?” lo interruppe il principe senza badargli. Scrutava l’oscurità all’interno delle prigioni.

“Io sono…W-William, signore” rispose esitante.

Dunque ho bisogno delle chiavi, William” disse soltanto.

Edward avrebbe forse reagito in modo differente, se avesse saputo a cosa si doveva quel nome? Comunque sia il soldato si inchinò al principe, mostrando le chiavi, e si voltò per aprire l’inferriata.

“Questo è stato il tuo ultimo giorno in cui poter servire la corona inglese” riprese gelido il sovrano.

La giovane guardia sgranò gli occhi e spalancò la bocca in un’espressione che Edward giudicò alquanto buffa.

“Ve ne prego…non uccidetemi” farfugliò.

Il moro dovette trattenersi dal ridere, per conservare il proprio distacco.

“Ti metterai a guardia delle mie stanze. Non fare domande e non obbedire ad altri che a me” decretò.

L’espressione di William mutò in un ghigno di esaltazione. Era un vero divertimento, un caso senza speranza. Con impegno tentava di fingere come tutti, ma non gli riusciva. Le prigioni non erano un luogo adatto a lui. Il principe varcò l’inferriata e ordinò alla guardia di attendere all’uscita. Che cosa ci fosse andato a fare, non lo sapeva nemmeno lui. A denti stretti si diede dello stupido. Stupida quella curiosità che non aveva mai portato nulla di buono. Ma desiderava sapere, era più forte di lui. Così, cercando di non fare rumore e di ignorare il fetore di morte, passò innanzi a molte celle. Alcune erano vuote, ma la maggior parte ospitava prigionieri morenti, magri e trascurati. Molti giacevano lamentandosi nel sonno o nella veglia, strattonavano debolmente le catene di ferro, che gli cingevano i polsi o le caviglie andandosi a fissare alla parete. Giunto in fondo al lungo corridoio di pietra, si fermò innanzi all’ultima tetra e sudicia cella. Una strana creatura, quasi un animale selvatico, stava accovacciata in una angolo buio, e quando avvertì la presenza del principe alzò il capo arruffato, puntando uno sguardo dorato e luminoso a fissarlo ostile. Non era legato; quasi certamente era stato sbattuto in cella senza tanti convenevoli, considerando che non sarebbe sopravvissuto abbastanza da tentare la fuga. E a giudicare dalla pozza rubino che si era formata ai suoi piedi, imbrattando gli abiti logori, non era un pronostico tanto infondato.

La creatura misteriosa sussultò, gemendo di dolore, ed abbassato lo sguardo minaccioso si cinse l’addome ferito. Subito dopo svenne, cadendo a terra priva di forze, forse anche priva di vita.

- Morrà, prima di domani, sicuramente morrà… - pensò.

La sua curiosità, a patto che fosse stata questa a muoverlo, avrebbe dunque dovuto rimanere insoddisfatta?

Il principe si voltò, tornando veloce sui suoi passi, e domandò all’uomo, che lo attendeva accanto all’inferriata, se erano stati gli unici del castello a vedere quel nuovo prigioniero. A seguito della perplessa risposta affermativa, gli ordinò di non riferire a nessuno, nemmeno al re, ciò che aveva e avrebbe visto quella notte. Tale richiesta aveva gli stessi rischi di un tradimento e in caso ne avrebbe avuto il medesimo esito. Infine si fece aprire la cella e comandò di portare il ragazzino svenuto alla sua ala del castello.

Haem…Non credete che sia un po’ avventato…potrebbe essere pericoloso, mio signore” tentò di opporsi William. Si espresse ancora una volta con una saccenteria per cui il Re non avrebbe risparmiato un esilio, se non addirittura una condanna a morte.

Edward si limitò a rivolgergli uno sguardo gelido e fermo. La guardia eseguì gli ordini all’istante, portando il prigioniero alle stanze indicate ed adagiandolo sul grande letto della camera principale. Nessuno, nemmeno il Re, si azzardava ad entrare senza la concessione del principe stesso e proprio per questo soltanto al re ed ai servitori era consentito visitare quell’ala del castello. All’interno si respirava un intenso profumo di lavanda; girava voce che fossero i fiori preferiti di Lady Eleanor, la defunta Regina.

Il principe esaminò con occhio critico la ferita all’addome del giovane prigioniero, quindi aprì uno degli armadi e ne trasse alcune pomate medicinali e fasce.

Sentendo su di se lo sguardo stranito della guardia, - Mia madre predispose affinché fossi istruito ai fondamenti delle arti curative –, si giustificò distratto. La Sovrana era morta tra atroci sofferenze, di una malattia per cui non si possedeva alcuna cura; anche se la versione non ufficiale lasciava intendere qualcosa di assai più funesto. Gli abiti del ragazzino erano umidi di gelo e sangue, sporchi e lisi, perciò l’uomo glieli sfilò senza esitazione ed afferrato un asciugamano, bagnandolo nel catino, ripulì con cura la ferita dal sangue rappreso e liquido e dalla sporcizia. Quindi spalmò con attenzione e delicatezza l’unguento, la bendò con cura. Infine gli mise una delle sue pregiate vestaglie da camera.

Trasferitosi nella stanza accanto, Edward si lasciò ricadere su una poltrona di legno intarsiato, ricoperta da una morbida stoffa bordeaux, stropicciandosi gli occhi stanchi con una mano e scostando i lunghi capelli corvini dietro le spalle. Sarebbe stato un lavoro impeccabile, un vero gesto di umanità, se non avesse accarezzato l’idea di prendere e tenere per sé quel giovane corpo; per la prima volta nella sua vita realizzò di aver un problema che la sua calcolata razionalità non sarebbe stata in grado di risolvere. La guardia lo seguì e fatto un inchino si congedò mestamente. Rimuginando sull’eccentricità del principe, che credeva essere come il padre, ma si era rivelato il perfetto contrario, richiuse la grande porta alle proprie spalle e sfilata una lancia di decoro dal suo appoggio, sul muro di pietra scura, si mise a guardia dell’ingresso. Edward, seduto immobile, sospirò, piegato sotto il peso dei suoi stessi pensieri. Dopo quello che aveva combinato, se il padre ne fosse venuto a conoscenza non solo avrebbe punito lui, ma ucciso sia William che il ragazzino. In fin dei conti quest’ultimo sarebbe morto comunque, no? Perché non aveva lasciato che le cose andassero come dovevano? Forse perché il destino aveva voglia di ridere alle sue spalle, o forse per poterlo fare a sua volta. Poco prima dell’alba, in quella scomoda posizione si riaddormentò.

 

________________ * _________________

 

 

Un peso inaspettato premette sulle sue gambe, allora, mentre le trame dell’incoscienza si dissipavano come la bruma scozzese sotto il tiepido sole del mattino, riemerse dal sonno. Sgranò gli occhi per lo stupore: lo strano ragazzino se ne stava comodamente accovacciato sulle sue ginocchia e lo guardava in un misto di interesse e trepidazione. Non sapendo come reagire rimase immobile. Senza considerare che quel piccolo dall’espressione terribilmente ingenua avrebbe anche potuto ucciderlo, William aveva avuto ragione sulla sua avventatezza; anche se questo non avrebbe mutato la sua decisione. Il piccolo non pareva intenzionato ad attaccare, né a fuggire. Ancora una volta si domando perché un essere simile si trovasse in prigione. Una piccola mano delicata si avvicinò esitante al suo volto. Constatò che non sembrava affatto la mano di qualcuno che abbia passato la vita a lavorare, eppure tutto poteva essere meno che uno schizzinoso, arrogante, rampollo dell’alta società. I grandi occhi d’oro incatenarono i suoi, penetrandoli a fondo, affascinati; vi si serbava la purezza di chi non ha mai visto il mondo. Le dita sfiorarono lievi la pelle pallida. Per la sorpresa il principe ritrasse il capo, guadagnandosi lo sguardo sorpreso di colui che ha appena visto una statua animarsi. Quindi il prigioniero si guardò intorno e con uno scatto improvviso saltò giù dalle sue ginocchia. Qualcos’altro aveva catturato la sua attenzione; si fermò di fronte ad un grande arazzo italiano, che ritraeva l’ascesa di Romolo, e sorrise, un sorriso penoso, misto di nostalgia e disprezzo.

Si volse ancora a guardare il principe, era chiaro che desiderasse parlargli, senza sapere come fare.

Edward lo fissava statico, nel tentativo di afferrare qualcosa che trascendeva l’umana comprensione, si riebbe soltanto nel momento in cui il ragazzino, accorgendosi del cambio d’abiti, arrossì vistosamente. Scorso lo sguardo sulle lettere gotiche ricamate sulla stoffa pregiata, parve illuminarsi e corse nell’altra stanza, dove di fronte alla libreria s’illuminò nuovamente. Dopo averne tratto un grosso volume, ritornò fremente dal principe. Lo mise di fonte ai suoi occhi: Sant’Agostino, De confessionis. Era un libro scritto in latino antico, che, nonostante i contenuti equivoci, la Chiesa di Roma non aveva ancora ritenuto eretico. Ebbe un moto disgusto richiamando alla mente l’ipocrisia del clero. Il ragazzino lo aprì e ne sfogliò le pagine con frenesia, indicandone i caratteri gotici latini. Edward di rimando lo osservava con disinteresse, perseverando nel suo fermo distacco, tanto che l’altro si intristì e parve rassegnarsi. Un attimo dopo una fitta di dolore al ventre lo piegò, costringendolo a richiudere il libro, stringendolo al petto titubante, e si lasciò ricadere sul tappeto a testa bassa.

“Con tutto questo movimento di sicuro ti salirà la temperatura” commentò il principe con un sottile tono di rimprovero, ma senza curarsi dell’essere compreso o meno.

Edward non era uno stupido, anzi proprio questo lo spingeva a volersi divertire alle spalle di coloro che lo avvicinavano; tanto più questi penavano nell’incoscienza, tanto più lui si divertiva a raggirarli. Ma questa volta il suo animo si ribellò, prendendo le parti della vittima immobile ai suoi piedi e la sua perfetta macchina per l’eliminazione delle emozioni fu costretta a cedere il passo.

“Quid est nomen tuum?”[Qual’ è il tuo nome?]  domandò, abbassando lo sguardo verso il ragazzino a terra.

Il capo castano si sollevò fulmineo e gli occhi dorati furono di nuovo puntati su di lui esterrefatti.

Quid?”[Che cosa?] ripeté sorpreso.

Edward, poggiando con grazia il mento ad una mano, inclinò lievemente la testa. Non era certo di aver utilizzato la forma corretta, era anzi probabile che avesse sbagliato qualcosa. Considerò che poteva anche aver sbagliato lingua. Il silenzio regnò per qualche minuto.

Finché, “Iulis…” mormorò l’altro, scrutando le sue reazioni; pareva quasi sorpreso di ascoltare la propria voce.

Comprese che non si trattava di latino, ma di greco. Tuttavia, se si fosse trattato di un nome proprio, avrebbe significato che il piccolo sapeva parlare entrambe le lingue. Non riusciva però a rammentarne la traduzione. Si alzò e si diresse nella stanza a fianco, quindi si accovacciò a scorrere una mensola bassa e, ringraziando sua madre e il suo amore per la letteratura e la filosofia classiche, trasse un quaderno manoscritto; che a quanto ne sapeva riportava una sorta di studio della lingua greca, redatto da un religioso. Cercò per un po’, finché non trovò la parola. Riconobbe la grafia di sua madre; quel termine doveva esserle piaciuto particolarmente. L’aveva segnato e in elegante grafia vi aveva posto una traduzione: burning warmth [calore ardente].

Ricordò che ella aveva sempre sostenuto di non essere sufficientemente vitale per vivere, di mancare di passionalità, di quel fuoco che pareva divampare negli altri. Accanto vi era una nota sbiadita dal tempo, ma nel medesimo modo di scrivere, si trattava di una sorta di preghiera.

Ead weard

Thy…delivereth…fro…thlot of death…

Una parte era completamente cancellata.

slave and keeper of that burning warmth.

[Guardiano del tesoro

Tu…liberato…destino di morte…

Schiavo e guardiano di quel calore ardente.]

Rimase così accovacciato, perdendosi ad osservare le lettere vaporose scritte dalla madre, fino a quando una piccola mano, insinuandosi sopra la sua spalla, si avvicinò alla pagina sino a sfiorarla lievemente, come a voler toccare la parola. Una voce dolce bisbigliò sul suo collo, mentre il fiato caldo carezzò la sua nuca sfiorando i lunghi capelli.

Burning warmth…?” intonò.

Sorprendentemente rispetto alla sua linea di pensiero e di condotta, Edward non riuscì a trattenere una lieve risata; non solo per la pronuncia letterale, forse anche per l’imbarazzo che lo aveva colto. Il ragazzino non diede segno di volersi spostare, ma attendeva paziente.

Cupiditate ardens...”[desiderio ardenteàcon sfumatura sessuale…eheheh!ndYu] tradusse soprappensiero, richiudendo il quaderno.

L’altro si allarmò e si staccò da lui, allontanandosi di qualche passo. Quando Edward si voltò interdetto, notò che era avvampato e teneva lo sguardo basso. Valutò la possibilità di aver sbagliato qualcosa, effettivamente non conosceva il latino alla perfezione, e fece spallucce.

“Così il tuo nome è Iulis?” chiese, dimenticando di non essere compreso.

Forse per intuizione o per qualche altra ragione, Iulis annuì, quietandosi. Poi, saltellando come un animaletto della foresta, scomparve nell’altra stanza.

Era giunto il momento di recarsi a ricevere il padre ed Edward non poteva permettersi un ritardo.

- Non deve vedere questa creatura così singolare e preziosa - pensò

Si risolvette ad ignorare da quale parte della sua mente, o meglio del suo animo, potesse essere giunta una simile espressione e si diresse alla porta che separava le due stanze, la socchiuse leggermente, intravedendo Iulis intento a scrutare gli arazzi decorati, tenendo aperto tra le mani il libro di Sant’Agostino e mormorando mezze parole in qualche strano dialetto o forse soltanto mal pronunciate. Constatò che la sala non aveva vie d’uscita e poteva dunque lasciarlo tranquillo. Ritornato sui propri passi, si risolvette a prepararsi per andare ad accogliere il padre. Non era neanche riuscito a spogliarsi completamente che la porta si spalancò. Il ragazzino sgranò gli occhi, mentre le sue gote si tingevano di porpora e abbassò di botto il capo a fissare distrattamente i suoi stessi piedi scalzi.

Mei habitus…”[I miei vestiti] farfugliò incerto.

Intus[Là dentro] rispose atono il principe, indicando l’armadio, e senza dimostrare il minimo imbarazzo. Parve riflettere per un attimo, poi continuò: “Excerpe” [Scegli] impose.

Purtroppo la sua conoscenza, piuttosto stentata, del latino non gli permetteva di spiegarsi meglio. Il ragazzino, rivoltogli uno sguardo interrogativo, si avvicinò all’armadio e aprendolo, ne osservò l’interno. Vi erano anche degli abiti di qualche anno prima, doni della madre che Edward aveva voluto conservare.

Iulis sfiorò indeciso il tessuto blu di un paio di pantaloni che usava quando ancora gli era consentito correre lungo le vaste pianure scozzesi e insozzarsi dalla punta dei piedi alla punta dei capelli. Li raccolse con cura, ancora titubante, afferrò quindi una camicia leggera e si voltò di nuovo a guardarlo appassionato. Indugiò sui muscoli levigati dell’addome e, carezzandolo con lo sguardo luminoso, lo ripercorse lentamente, fino a farlo affogare.

Gratias ago…”[Rendo grazie] farfugliò infine, inchinandosi e correndo via.

Il principe smarrito, riavutosi in quell’istante, scosse la testa e finì di prepararsi. Dilaniato dal dubbio più inquietante della sua vita, il suo animo si dibatteva tra la consapevolezza di tutto ciò che di maligno c’era in quello che il suo istinto bramava e la speranza di qualcosa che non solo non avrebbe potuto, ma nemmeno avrebbe voluto, credere possibile. D’altro canto Iulis, i cui occhi, per la loro innocenza, parevano non essersi mai posati su altri se non su di lui e forse era proprio così, non era che un bambino. Avrebbe preferito mille volte la più atroce delle morti e veder straziato in due il proprio corpo, anziché piegarsi all’evidenza di ciò che lui stesso in realtà desiderava ardentemente.   

 

_________________ * __________________

 

Il cielo scurissimo dell’inverno era puntellato di stelle lontane e luminose, ma poiché non era in vena di romanticherie, la volta celeste gli ricordava soltanto che aveva dovuto sopportare un intera giornata di convenevoli e falsità: il ritorno del padre, un banchetto di benvenuto e persino il ballo. Si allontanò dalla grande sala in cui si trovavano a danzare e cenare qualche centinaio di ospiti, provenienti anche dai luoghi più remoti ostentavano variopinti abiti e falsi sorrisi dipinti sul volto. Trasse un profondo respiro liberatorio. La mattina, prima di uscire, aveva istruito William affinché portasse da mangiare a Iulis. Si era reso conto che fino ad allora era stato talmente perso nella contemplazione di quella creatura che l’idea di offrirgli un pasto decente, cosa di cui probabilmente aveva molto bisogno, non lo aveva neppure sfiorato. Di recente la sua testa doveva essersi trasferita sulla luna. (aahhh…pure la mia…ndYu -_-ndEd) Si concesse la soddisfazione di assumere un’aria seccato, al pensiero che, dato il colossale banchetto, si sarebbe ritrovato in camera un’ospite del premuroso padre. Cercando di contenere la sua malevolenza, si passò un mano sul volto con remissione e lieve dissenso. In verità aveva bisogno di sfogarsi un po’, anche molto, volendo essere onesti. Riprese a camminare lungo i corridoi sempre più deserti, fino a giungere alla sua ala del castello. Si guardò attorno pensieroso e contrariato; William non si trovava alla porta. Stabilì che quel giorno Dio doveva essersi messo particolarmente d’impegno per fargli perdere le staffe, sospinse la porta ed entrò. Per sua fortuna la sentinella dai capelli rossi era seduta a gambe incrociate su un tappeto al centro della stanza e parlottava con Iulis. Utilizzava parole semplici, descrivendo a gesti la cosa a cui si riferiva. Il ragazzino dal canto suo ascoltava ed osservava con attenzione, stringendo tra le mani il solito libro di Sant’Agostino, forse perché non aveva il coraggio di prenderne altri. Avevano già mangiato. Iulis era guardingo, ma piuttosto sereno, mentre William sorrideva apertamente.

- E poi ero io ad essermi comportato da incosciente – valutò il principe - Guarda che agnellino di soldato. -

Finalmente William smise di bofonchiare e si accorsero di lui. Iulis si illuminò, sorridendogli raggiante, laddove la guardia abbassò il capo con aria colpevole e remissiva, rendendosi conto come al solito troppo tardi della sua avventatezza.

“Mostragli dove si trova la camera di mia madre. Dormirà là” lo apostrofò il principe freddamente.

Il ragazzino gli lanciò uno sguardo demoralizzato, forse per la sua apatia e per la radicale trasformazione del suo carattere. Cosa poteva pretendere? La giornata era stata un incubo, la sua fine si prospettava ancora peggiore e il capo gli doleva terribilmente. Era conseguenza naturale che la sua fredda indifferenza verso coloro di cui non stimava eccessivamente il valore si trasformasse in astio mal trattenuto rivolto a chiunque gli capitasse a tiro. William lo intuì e fece cenno a Iulis di seguirlo, questi diede un’ultima mesta occhiata al principe e poi uscì dalla stanza.

Per la seconda volta Edward scosse la testa con rassegnazione e si risolvette a tornare al ballo.

 

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Una fanciulla dai lunghi capelli del colore del miele gli sorrideva dolcemente. Era una creatura estremamente deliziosa. Le labbra si mostravano rubino, gli occhi azzurri, l’abito scollato e ben rifinito, color lavanda. Il fatto che non fosse stata scelta, ma si fosse avvicinata di sua iniziativa, la rendeva anche più attraente. Tuttavia il principe non mutò minimamente la sua espressione distaccata.

“Mi sarebbe estremamente gradito se voi mi invitaste a ballare” esordì irriverente.

Edward non le concesse risposta, ma si mosse verso di lei e dopo averle cinto i fianchi con un braccio, cominciò a seguire il ritmo della musica. La risata gioviale e amplificata dall’alcool di suo padre giunse al suo orecchio; proponeva un brindisi in suo onore, snocciolando complimenti al cavaliere ed elogi alla dama.

“Posso ardire di conoscere il vostro nome?” domandò il principe con una punta di ironia nella voce.

Non aveva nemmeno considerato di dare ascolto alle presentazioni che si erano svolte prima del banchetto, man mano che arrivavano gli ospiti.

Lady Mc Neil…e potete ardire molto di più, maestà” rispose lei, calcando particolarmente sul cognome da signora. Fece un piccolo inchino, porgendogli la mano bianca e vellutata.

Edward si concesse un breve sorriso maligno. Era una donna davvero singolare, arrivare a ricercare così sfacciatamente un’avventura con lui non era un comportamento comune, tanto meno era ammissibile da una donna sposata. Il banchetto si protrasse fino a tarda notte, mentre molti ospiti ancora si profondevano in saluti e ringraziamenti, seguito dalla nobile si diresse alle sue stanze. Lei conversava amabilmente, il tono pacato e lieve, molto piacevole. Citava frivolezze alle quali lui rispondeva soltanto con brevi cenni o assensi. Arrivati alla stanza principale la dama si interruppe per guardarsi attorno piacevolmente impressionata. Infine si volse ad osservarlo compiaciuta.

“Così siete un giovane di cultura…Una qualità assai rara di questi tempi” valutò.

Per la seconda volta in tutta la serata il principe dovette dargliene atto, era una donna davvero arguta e sarebbe stata un buon partito.

“Ho gradito molto la vostra compagnia per questa serata” le si rivolse con voce bassa e suadente.

Ed io la vostra” rispose lei, sorridendo con grazia.

Con movimenti lenti disfece l’acconciatura e gli si avvicinò. Lui le baciò il collo e discese fino al petto, mentre le mani slacciavano il vestito, cingendole la schiena e carezzandola. La sospinse sul letto, dove la spogliò, mentre lei audacemente faceva lo stesso, carezzandogli la pelle candida, che cominciava a scaldarsi, il petto glabro e l’addome piatto. Si baciarono con trasporto. La fece distendere del tutto sul letto e con un unico fluido movimento si unì a lei, che si inarcò gemendo, mentre si spingeva sempre più a fondo. Continuando a muoversi, sollevò il capo gettandolo leggermente all’indietro, per scostare i capelli che gli si appiccicavano al corpo sudato. Fu allora che se ne accorse. Iulis stava in piedi sulla soglia e li fissava stranito, non disgustato, né sorpreso, né interessato, soltanto profondamente smarrito. Le braccia scendevano molli lungo i fianchi e lo sguardo era spento, quasi freddo. Senza rendersene conto Edward si bloccò.

“C-cosa succede…?” gemette la donna.

Senza staccare lo sguardo da lui, diede un’ultima violenta spinta per liberarsi e lo vide correre via agitato e confuso. Uscì dal corpo della donna e ricadde pigramente sopra di lei, che gli carezzò il capo con dolcezza, riprendendo fiato.

“Riposate un poco…poi andate, non curatevi di me” sussurrò, cullandolo con il tono che dovrebbe avere una madre.

Il principe si lasciò carezzare e socchiuse gli occhi intorpidito, ma dopo poco si alzò e rivestendosi fece per uscire dalla stanza, quindi volse il capo e mormorò:

“Spero di rivedervi.”

La donna sorrise annuendo.

“Fate con comodo” ripeté, restando distesa sul grande letto, mentre i capelli morbidi e ondulati rilucevano alla luce della luna.

 

       __________*___________

 

- Stupido ragazzino…Perché diavolo non dorme? Cosa c’è che non va?! – la ragione sibilava adirata nella sua mente. In realtà, lo sapeva benissimo anche lui, diceva a se stesso, ciò nonostante si diresse con passo deciso alle stanze della madre per riprenderlo. Tuttavia quando vi arrivò la sua determinazione scemò in un istante; Iulis era inginocchiato su una sedia e poggiava i gomiti alla finestra inferriata, osservando assorto la luna, la cui luce argentea lo bagnava rendendolo simile ad una visione onirica. Edward fece qualche passo verso di lui, che avvertendo la sua presenza si voltò impaurito. I grandi occhi lo fissavano sull’orlo delle lacrime, addolorati.

“Iacere non possum …” esalò esitante.

Aveva cercato di esprimersi in modo semplice per farsi comprendere. L’espressione del principe non poté che addolcirsi, mentre si avvicinava ancora. Aveva scelto per lui, sentendosi giusto e magnanimo, si era giustificato considerando che si trattava della stanza della madre, poiché nessuno poteva entrarvi, neppure il Re, sarebbe stato per chiunque un grande onore. Ma non aveva pensato a lui, solo a se stesso. Necessitava di allontanarlo e voleva farlo sentendosi irreprensibile. Dormire nella stanza di un morto non è di per sé un’esperienza allettante e Iulis era soltanto un bambino. - Soltanto un bambino… - si ripeté mentalmente. Cosa mai avrebbe potuto fargli?

Erano molte stagioni che neppure lui metteva piede in quel luogo, scorse lo sguardo lungo la stanza, poi gli diede le spalle; tutto era ancora come lei l’aveva lasciato.

“Veni” comandò.

Si chiese se Lady Mc Neil se ne fosse andata e realizzò che se l’avesse ritrovata nella sua stanza, avrebbe rischiato di combinare un danno ancor maggiore, ma, terrorizzato da qualcosa cui non voleva e non poteva dare ascolto, desiderò intensamente che ci fosse. Forse anche Iulis pensava a quella donna. Incrociando il suo sguardo, il ragazzino arrossì vistosamente e volse il capo altrove. Camminarono fino alla stanza principale. Edward socchiuse la porta ed entrò tranquillo. La donna se n’era andata, lasciando un piccolo fiore di stoffa sopra le coperte, come ricordo. Sollevato, ma inquieto, il principe fece cenno a Iulis di usare il suo letto, tuttavia il ragazzino non diede segno di volergli obbedire, restando immobile sulla soglia, a testa bassa e con aria colpevole. Con un sospiro l’uomo sedette sul bordo del grande letto, osservandolo attentamente, senza sapere cosa dire, né come farlo. Cominciava addirittura a sentirsi in colpa nei suoi confronti.

“Veni” gli disse ancora, all’imperativo si contrappose la voce simile a zucchero.

Il piccolo sollevò il capo e si immerse negli occhi inaspettatamente benevoli. Rincuorato, gli si avvicinò, arrivandogli di fronte.

“Veniam peto”[Chiedo scusa] mormorò, chinando ancora il capo, mentre calde lacrime scendevano luminose a segnare le gote abbronzate.

Si era abbandonato ad un pianto silenzioso che poco rispecchiava il suo naturale modo di fare. Incapace di contenersi, il principe allungò una mano e catturò il suo braccio per avvicinarlo a sé. Lo strinse forte, poggiando il capo sul petto fragile; poteva ascoltarne il cuore battere freneticamente.

“Non timere” impose ancora con tono dolce.

“Multitudo captivorum per vias deducti sunt. Duo milia hominum capti sunt, sua quisque nomina pronuntiabant...Paucis illorum fugit, paucis nostrum mecum erantPugnadum fuit. Nemo nostrum caedem effugit. Quod ad me pertinet: ego iussus sum discendere…!”[Una folla di prigionieri furono condotti per le strade, furono presi due migliaia di uomini, dicevano ciascuno il proprio nome…Pochi di loro fuggirono, pochi dei nostri erano con me…Si dovette combattere. Nessuno dei nostri scampò alla strage. A me fu ordinato di allontanarmi!.] mormorò a mezza voce.

Pur senza comprendere appieno il suo sfogo, Edward cercò di rasserenarlo, carezzandogli lentamente la schiena. Doveva essere stato rapito o qualcosa di simile, forse coinvolto in uno scontro e dato che era solo un ragazzino dovevano averlo risparmiato e magari venduto. Il suo pianto si quietò progressivamente ed il suo petto prese ad alzarsi ed abbassarsi piano. Respirava a fondo e si poteva comprendere senza vederlo in volto che le lacrime avevano smesso di scendere. Portò le braccia a circondare il collo del principe, poggiando il mento sul suo capo scuro.

“Ego a puero vetatus sum loqui”[Da bambino mi è stato vietato di parlare.] bisbigliò il segreto. 

Il principe si riscosse, sollevando il capo ed allentando la stretta.

“Quid? Quousque?”[Che cosa? Fino a quando?] domandò colto alla sprovvista, fissandolo nei begli occhi dorati. Questa volta aveva compreso appieno il significato dell’espressione.

“Iam tum, iam nunc”.[Da allora, fino ad ora.] asserì con convinzione il più giovane, sorridendo.

Il principe lo fissò stranito, preferendo non comprendere quello che poteva significare la sua affermazione. Doveva lasciar correre per ora e per sempre, per il bene di tutti. Imbrigliò la sua anima ribellatasi e sancì che avrebbe ceduto il proprio letto all’ospite ferito, mentre a lui sarebbe toccata un’altra stanza. Tanto ovunque fosse andato, l’esito sarebbe stato immutabile: lo aspettava una notte insonne.

“Tempus est…[E’ ora…]” esordì, ma si interruppe, senza riuscire a spiegarsi.

“Cubitum eundi tempus est”[E’ ora di andare a dormire] gli sorrise il ragazzino, intento ad osservare i suoi lunghi capelli scuri e a prima vista intenzionato a sfiorarli. Assorto in una tale contemplazione prese infatti a carezzarli con cura.

“Quis es?”[Chi sei?] mormorò assente.

“Custodes tuum”[Il tuo custode] rispose Edward.

Scostata la sua mano, si alzò e gli scompigliò affettuosamente i capelli, per poi dirigersi nell’altra stanza.

Il ragazzino rimase a fissarlo triste, fino a che non fu di fronte alla porta.

“Posso…dormire…con…te?” esalò titubante, cercando di pronunciare le parole in modo comprensibile.

Il signore si fermò, voltandosi a fissarlo interdetto.

“William…”, senza poter nascondere la porpora che velava le sue gote, Iulis si giustificò, in risposta alla mutua domanda su come avesse fatto ad esprimersi, dato che non conosceva la lingua.

Ma tu guarda…” borbottò l’uomo, scotendo lievemente il capo con divertita rassegnazione.

Privo di esitazioni, proibendosi di indugiare sull’espressione delusa dell’altro, passò nella stanza accanto. Quel giorno Dio si era impegnato decisamente molto più di quanto potesse immaginare.

 

_________*_________

 

Con lentezza sfilò i guanti bianchi e raccolse il libro di Sant’Agostino, poggiato sul tavolo, per sfogliarlo.

Era un testo che riportava anche una traduzione nella sua lingua. (Forse Anglonormanno…?D’altronde anche il mio latino è piuttosto spiantato. Ma bisogna pure notare che nel 300 il latino classico era scomparso già da un pezzo e la lingua più dotta parlata era da molto un latino volgare, solo negli scritti sopravviveva il classico, anche se la questione della lingua aveva già preso piede, grazie a Dante…Ahahah!ndYu La filologia uccide…ndGure-scotendo la testa Avrebbe dovuto fare neuro chirurgia o biologia molecolarendMuraki Si e poi chissà che avrebbe fatto al mio Ru-chan!ndHana Ohohoh…Pivellino!Ne uccide di più la penna che il bisturi!*-*ndYu) Realizzò che quasi certamente il ragazzino lo avesse utilizzato per capire meglio ed imparare più in fretta. Accese un paio di candele, sedette sulla sua poltrona bordeaux e si risolvette a leggere un po’; ma fu sufficiente qualche attimo affinché la nostalgia, che dal mattino cercava di mettere alla porta, lo facesse naufragare con prepotenza. Si ritrovò ad osservare, oltre le grandi finestre a volta, quel paesaggio tanto caro a sua madre. La bruma era rada e, nonostante la tarda notte, la neve risplendeva alla luce della luna offrendo uno spettacolo meraviglioso. Una lieve brezza sospingeva il sottile strato di foschia sopra il manto bianco, trasfigurandolo in una sorta di paesaggio onirico, che, unito ai sospiri del vento stesso, sarebbe stato facilmente scambiato per una banshee in cerca di riposo. Sospirò pesantemente. Assalito dalla sensazione che la sua vita si stesse complicando terribilmente, rimpianse la sua serena apatia. Si rese conto di non aver visto William alla porta e ripensò a ciò che dell’uomo lo contrariava. Era sin troppo colto per essere un semplice soldato, tanto da poter istruire qualcuno che comunica solo in latino. Aveva modi troppo diretti e mani troppo curate. Mentre pensava alle unghie di William, si diede del folle, aveva ormai imparato che questo suo rimuginare su inutili dettagli era soltanto un modo per non pensare ad altro. Chissà se l’incomprensibile ragazzino si era addormentato. La cosa migliore era non uscire dalla stanza in cui si trovava, per nessuna ragione. E pensare che l’altro aveva persino chiesto di dormire con lui.

Riposto il libro, raccolse i lunghi capelli corvini dietro la nuca con un nastro di velluto blu e spenta una delle due candele, si sedette di nuovo sulla sua poltrona, osservando distrattamente la notte al di là della finestra più vicina. Tolse gli scomodi stivaletti bianchi e dorati che aveva indossato per il ballo, distendendo le gambe per abbandonarsi un istante. Vi erano molte stanze in cui avrebbe potuto riposare comodamente in un letto, ma sapeva che non sarebbe riuscito ad allontanarsi da lì. Quindi sbottonò con calma la giacca di velluto blu dai ricami dorati, per poi sfilarla e poggiarla allo schienale della poltrona. Sciolse il cravattino e dischiuse leggermente la vaporosa camicia di seta bianca. Sbuffò, voltandosi contrariato e si diresse verso la porta, senza fare rumore. - Prenderò soltanto la mia veste da camera. Prenderò soltanto la mia veste da camera. Prenderò soltanto la mia veste da camera – si ripeteva nella testa come un sortilegio.

Si avvicinò all’armadio, ne trasse la veste da camera, ma vi trovò anche l’occasione di disubbidire al controllo della propria mente. Fissando i medicamenti, si disse che era costretto a farlo, in quanto suo preciso dovere morale. Come se gliene fosse mai importato qualcosa della morale. Prese una boccetta di unguento e delle fasce pulite. Iulis dormiva, o comunque fingeva di farlo, perciò gli si avvicinò e, dopo avergli aperto la camicia, tolse le bende lievemente macchiate di sangue per esaminare la ferita. Era pressoché guarito. Per quanto miracolose potessero essere le sue cure, neanche il soldato più temprato dalle battaglie avrebbe avuto una ripresa tanto rapida. Realizzò che probabilmente il suo aiuto era quasi superfluo, il prigioniero sarebbe sopravvissuto comunque. Senz’ombra di dubbio. Cominciò a temere lo strano comportamento dei De Baliol. Svuotò la mente. Con un panno bagnato ripulì con cura la ferita e dopo aver asciugato un po’ l’addome del ragazzo, vi passò delicatamente l’unguento, massaggiandolo con attenzione. Prestando ascolto alla voce melensa del suo animo istintivo, si chinò adagio e posò un bacio lieve sulla pelle scura, facendola vibrare nel sonno. Il suo autocontrollo sembrava essere partito per l’Africa, portandosi dietro famiglia e bagagli. Tentò di preoccuparsene. Godere di un semplice gesto come quello era cosa mai provata prima d’allora. Decretò che non andava affatto bene. Risollevatosi, fece nuovamente la fasciatura. Riposto l’unguento, gettò le garze sporche ed uscì velocemente dalla stanza, stringendo fra le mani la veste da camera. Indossatala, si risedette sulla solita poltrona, cercando di placarsi. Il fuoco nel caminetto non era stato ravvivato e si era spento. Poco a poco la stanchezza lo avvolse e si addormentò. Qualcuno entrò silenziosamente nella stanza fredda, illuminata dalla prima, vaga luce dell’alba, si avvicinò al principe e sussurrando piano, gli tese una mano. Edward sollevo il capo in una specie di dormiveglia, forse confidando di trovarsi in un sogno. Iulis sorrise dolcemente ed in latino gli disse di mettersi a letto, poiché lui si era riposato abbastanza. Lo accompagnò nell’altra stanza, dove  riaccese il fuoco, infine si volse per uscirne.

Dove vai?” chiese l’uomo disteso sul letto, senza neppure aprire gli occhi.

Quid?” replicò Iulis, scotendo il capo senza capire.

Gli occhi chiusi si accompagnavano ad un’aria spossata, ma nessuna reazione. Non ottenendo risposta il più giovane si avvicinò. Il principe ascoltò i passi leggeri. Quando si fermarono, proseguì: “Cubare…mecum…potest”[Puoi…giacere nel letto…con me.] disse piano, sollevando le palpebre stanche.

Gli occhi smeraldo fissarono condiscendenti l’espressione imbarazzata e le guance arrossate.

Gratias ago…” [Rendo grazie] rispose il ragazzino, abbassando la testa e sottraendosi al suo sguardo.

Edward richiuse gli occhi per concedersi finalmente un po’ di riposo. Non sentì il ragazzino distendersi sul letto accanto a lui.

 

_________*_________

 

“Madre, dove siete?” un bimbo si spostava impaziente da una parte all’altra della stanza.

Una donna bellissima e delicata, dai lunghi capelli corvini e profondi occhi verdi, comparve alle sue spalle.

“Edward, piccolo mio, dovresti imparare a controllarti…” esordì con voce dolce e calma.

“Ma…madre, io voglio andare a cavallo…Però voglio che veniate anche voi!” replicò il bimbo con convinzione, andando a sfiorare con la manina bianca l’abito di velluto blu della madre.

La donna si chinò per passare una mano pallida e affusolata tra i capelli corvini e sulla guancia morbida del bimbo. “Tesoro, tu non vuoi che la tua mamma stia male, vero?” proferì con calma, quasi divertita.

Il piccolo Edward scosse violentemente la testa.

“Allora va’ con tuo padre. Se vuoi, dopo,  potremo andare a fare una passeggiata insieme” concluse, posandogli un lieve bacio sulla fronte morbida.

“Va bene, ma me l’avete promesso!” esclamò il bimbo, correndo fuori dalla stanza.

La donna trasse un profondo respiro e si diresse ad un tavolo, dove raccolse una sorta di quaderno di appunti, che conteneva uno studio della lingua greca, stette a fissare una parola in particolare. Prese una penna e dopo averla intinta nell’inchiostro vi scrisse una sorta di preghiera. Accese le cinque candele che si trovavano in particolari punti della stanza e depose il libro sul grande letto a baldacchino, proprio al centro. Si avvicinò ad una parete scura e scostando l’arazzo che la copriva, fece pressione su di una pietra sporgente, un attimo dopo scomparve dietro all’arazzo. Si trovava in una piccola stanza, contenente strani manufatti, grossi libri polverosi, ossa di animali e forse uomini, candele e candelabri, un gran numero di boccette ordinate di colori diversi, pergamene che riportavano le più svariate iscrizioni e simboli. Si lasciò ricadere su una morbida poltrona bordeaux e gettando il capo all’indietro sospirò. Ripresasi, cominciò a consultare libri, riportandone formule e mormorando frasi sconnesse, raggruppò alcuni oggetti ed una boccetta e sorrise soddisfatta, anche se con un velo di tristezza. Trascorse nella stanzetta polverosa alcune ore, trafficando con liquidi, ceneri e formule. Infine richiusi i libri, ordinò il tavolo, raccolse la boccetta e uscì, ritornando alla stanza principale. Tirò una corda accanto al letto ed una cameriera apparve sulla soglia.

“Va’ a chiamare il principe Edward” comandò freddamente.

“Si, mia signora” obbedì la cameriera, scomparendo immediatamente.

Poco dopo ricomparve alla porta in compagnia del bimbo.

“Puoi andare” la licenziò la Regina, ella si congedò con un con un inchino reverenziale.

“Edward, allora vuoi venire a fare una passeggiata con me?” chiese, mutando il tono in dolce.

Certo, madre!” rispose allegro il bimbo.

La donna gli porse quindi la mano affusolata, che egli strinse fulmineo e si avviarono verso l’uscita del castello. Era una bella giornata primaverile, il sole splendeva e l’aria era frizzante. La regina si sedette con grazia all’ombra di un piccolo pesco, restando ad osservare il figlio che correva ad ammirare il paesaggio da una piccola altura poco distante. Il vestito di velluto scuro faceva risaltare l’incarnito eburneo, mentre i capelli corvini scendevano lunghissimi ad incorniciarle con dei piccoli riccioli il volto. I profondi occhi verdi quasi rispecchiavano con intensità i colori del paesaggio. Ma l’impressione che la sua salute fosse estremamente precaria spiccava più d’ogni altra. Ella portava in sé una bellezza morta, spenta, priva di calore, pure se non appassita. Tra le pieghe vaporose dei pizzi trasse la boccetta pregiata; conteneva un liquido di una tonalità più scuro del sangue, ma di simile sfumatura. Sorridendo amaramente, ne sollevo il piccolo tappo, decorato da bassorilievo in oro, e bevve il contenuto tutto. Poggiò la schiena contro l’albero, inclinando leggermente il capo, improvvisamente affaticata. Il bimbo tornò sorridendo felice, le si avvicinò e l’abbraccio stretta. Lei posò un bacio lieve sulla guancia morbida e scorse le dita sulla pelle del suo volto candido e puro, sorrise dolcemente.

“Edward…” disse piano. “Un giorno tu possiederai un grande tesoro”.

“Dite davvero?!” la interruppe il bambino.

“Certo, ma, vedi, c’è sempre un prezzo da pagare…” proseguì pacata. “Esso sarà il più ambito dei tesori, ma nella più inconcepibile delle forme”.

Cosa significa?” chiese lui, avvicinandosi ed accostandosi a lei.

“Il tuo tesoro è tanto prezioso…per questo può farti stare molto male” mormorò, un po’ a fatica.

Lui le si strinse addosso, preoccupato nel vederla così debole, ma non la interruppe.

“Fin dalla nascita, la tua mamma ha deciso il tuo futuro, che non si può più cambiare.”(Sindrome congenita da clampite acuta…non è contagiosa, ma uccide!ndYu)

“Madre, non vi capisco…cosa dite?”

“Forse non riuscirai mai a capirmi…perché faccio questo a te, sangue del mio sangue. Ma io…io ti maledico per salvarti!” la donna si piegò in avanti, assalita da un capogiro.

“Madre…state male?” mormorò Edward, preoccupato, vedendola impallidire.

“Per riconoscere il tuo tesoro, ricorda bene quello che ti dico: esso prenderà il nome di ciò che più desidererai. La regina respirò a fondo, mentre la pelle delicata si imperlava di piccole gocce salate. “Per questa nostra stirpe maledetta, che con te finirà nel sangue, io te lo giurò: tu l’avrai.”

Ma se lo perderò starò ancora più male, no?”

“Non lo perderai mai, nemmeno se scomparisse…” scosse la testa amareggiata. “Perdonami, amore mio…questo è tutto quello che ho potuto fare per sperare nel tuo perdono” tossì, piegandosi nuovamente.

“Voi non avete bisogno del mio perdono, madre…perché mai dovreste?!

“Io ti ho condannato, per porre fine alla nostra stirpe immonda, ti ho condannato! Ti ho tolto ogni cosa…gli eredi, la corona…e colui che ti sarà più vicino si macchierà del tuo sangue…ma l’ho fatto per te, per te, puoi capirlo…?” scoppiò in lacrime. “Voglio che tu possa ardere!”

In preda alla febbre la donna delirava.

“Madre…madre, voi state male! Vado a cercare aiuto!” strillò, assalito dalla preoccupazione e si alzò in piedi di colpo, cominciando a correre verso il palazzo.

Lei si sollevò un poco per fissarlo e tese un braccio verso di lui.

“Aspetta…la chiave…la chiave…” sussurrò, ma svenne, senza poter terminare la frase.

Il bambino strillò ancora e corse il più veloce possibile verso il castello.

Arrivarono tutti i migliori guaritori e alchimisti. Persino dei preti esorcisti furono mandati da Roma per salvare la regina, tacciata di stregoneria e di possessione. Alcuni di loro, anch’essi sospettati di stregoneria, compresero immediatamente la causa del suo male ed approntarono dei rimedi per lenire le sue sofferenze, ma non vollero rivelarla, perciò furono scacciati dal castello.

“Edward, tua madre sta morendo” esordì il Re con freddezza. “Quindi è meglio che ti prepari alla conduzione di un regno; riceverai sin d’ora un’educazione militare. Basta con le passeggiate e le letture, basta con le inutili frivolezze!” concluse rigido.

Il bimbo corse nelle stanze della madre e si gettò sulle sue coperte piangendo.

“Non preoccuparti, piccolo mio,” sussurrò dolcemente, ormai incapace di alzarsi, “potrai fare quello che vuoi se dimostrerai di avere carattere” riuscì a concludere con un velo di tristezza. Sollevando a fatica la piccola mano del bambino sul suo letto, ne bacio il palmo, quindi sospirò lievemente e chiuse gli occhi.

Da quel giorno la Regina non si svegliò più.

 

______________*______________

 

Mentre ritornava dal regno dei sogni o da quello dei morti, avvertì un peso leggero ed un lieve tepore infiammare il suo petto. Socchiuse gli occhi con lentezza, trovandosi di fronte il capo di Iulis. Placidamente poggiato su di lui respirava piano, dormendo tranquillo. Un braccio minuto cingeva la sua vita, mentre i morbidi capelli color miele gli solleticavano il collo. Sul tenero volto di bambino le ciglia scure baciavano la pelle abbronzata ed un sorriso rilassato curvava le labbra. Non poté non sorridere a sua volta. Fece per muoversi, cercando di non svegliarlo, quando gli occhi luminosi si aprirono pigri su di lui, in un espressione di mutua preghiera.

“Eri già sveglio?” domandò il principe, scordando ancora una volta di non essere compreso.

“Sveglio…” disse l’altro annuendo, compreso il senso della domanda.

Edward non poté che accettare l’idea che fosse assai al di fuori della norma; non solo la sua capacità di guarigione era strabiliante, ma anche quella di apprendimento. L’oggetto dei suoi pensieri stiracchiandosi si sollevò con la grazia e l’agilità di un gatto, poggiando le mani sul suo petto. Lo guardava tra interesse e timore, quasi soggezione, finché, socchiusi gli occhi, allungò una mano a sfiorare lieve il suo volto. Contemplandolo, si chinò a posare un timido bacio sulla sua guancia e, staccatosi, un sorriso dolce gli curvò nuovamente le labbra. Dopo un istante si alzò di scatto e corse fulmineo fuori dalla stanza, come se avesse commesso chissà quale peccato.

Il principe si alzò con calma deciso ad informarsi sulle trattative appena concluse dal padre, sulle intenzioni dei Baliol, sull’identità di Iulis e magari anche sull’assenza ingiustificata di William. Fece appena in tempo a prepararsi per prendere parte alla colazione assieme a suo padre, quando dei poderosi colpi scuoterono la porta robusta. Domandò di chi si trattava. Il comandate delle guardie delle corona, i soldati più fedeli a suo padre, il cui unico compito era appunto la sua difesa, si presentò senza esitazione. Gli concesse udienza.

“Mio principe, perdonate la mia visita inopportuna” l’uomo alto e muscoloso esordì, con tono chiaro e deciso.

Edward, mentre sistemava i polsini della giacca scura, lo spronò a proseguire con un lieve cenno.

“Poco prima dell’alba abbiamo ricevuto la visita di alcune guardie reali di Baliol. Sono alla ricerca di una persona alquanto importante, che si è introdotta nel castello due notti or sono, tuttavia non hanno voluto fornirci ulteriori informazioni. Dato che vostro padre era assente, hanno l’ardire di chiedere un colloquio con voi” detto questo, rimase immobile sulla soglia, in attesa.

“Mio padre che cosa ne pensa?” domandò il principe riflettendo.

“Dice” l’uomo si schiarì la voce “qualunque sia la sua decisione, in seguito dovrà parlare con me. Poiché se davvero qualcuno si è introdotto nel castello in mia assenza si merita una punizione esemplare!”. Riportò fedelmente il capitano, sempre in tono distaccato e preciso.

“Capisco…” soggiunse Edward ancora corrucciato.

L’altro uomo sollevò lievemente il capo intenzionato ad intervenire. “Se posso permettermi…” riprese, questa volta il tono era naturale, quasi confidenziale.

“Parla, ti ascolto” lo incitò interessato il principe.

“Le voci che ci giungono dai soldati scozzesi e dalla gente riportano un fatto a mio parere interessante” fece una pausa, come a voler tastare l’interesse del sovrano. “Pare che sia scomparso nientemeno che l’erede al trono, figlio di Giovanni de Baliol. Queste sono soltanto delle voci, ma…” trasse un profondo respiro. “Comunque sia il segno di riconoscimento dell’erede è un disegno inciso sulla spalla destra, ritengo probabile si tratti del simbolo del casato, o almeno così mi è stato riferito qualche tempo fa dal capitano delle loro guardie” concluse, restando nuovamente in attesa.

Probabilmente era venuto a conoscenza tramite i domestici  della presenza di un ospite singolare nelle sue stanze e si era ben guardato dal riferirlo a suo padre senza prima farlo capire a lui. Un uomo davvero molto astuto. Anche se, data la quantità di stolti con cui avrebbe dovuto parlare in seguito, una presenza alquanto irrilevante.

“Ti ringrazio” rispose Edward serafico. “Riferisci a mio padre che accetto l’udienza e che chiunque sia entrato qui dentro, se lo stanno cercando, è molto meglio non farglielo trovare”.

Il comandate si inchinò nuovamente e fece per andarsene.

“Una spia non si cerca con tanto clamore” concluse freddamente.

L’altro uomo sorrise. “Ai vostri ordini altezza” disse infine, scomparendo in fretta da dove era venuto.

Realizzò che non era proprio il caso di perdere alto tempo e finì di prepararsi. Raccolto un libro da una delle librerie, entrò nella stanza accanto e si avvicinò al ragazzino, che lo scrutava interessato dalla sua poltrona, gli ordinò di non uscire, gli scompigliò affettuosamente i capelli ed uscì in fretta. Si diresse alla sala delle udienze. Là lo attendevano il padre, che lo squadrò minacciosamente, ed il comandante delle guardie, rispettosamente inchinatosi al suo passaggio. Al centro dell’immensa sala stavano inginocchiate sul tappeto rosso tre guardie in veste ufficiale, stringevano i vessilli di Baliol, mentre davanti a loro quello che sembrava il comandante chinò il capo appena vide entrare il principe.

“Mi è stata riferita l’ingerenza della vostra inattesa visita” esordì Edward e con quel tono da damerino che tanto detestava suo padre si profuse in inutili convenevoli. “Spero vorrete perdonarmi se la mia indole mi impedisce di interessarmi a simili tediose faccende, ma, vedete, ben altri sono i miei passatempi. Tuttavia se è una fanciulla che cercate forse potrei esservi d’aiuto…” concluse mellifluo. Una delle guardie rise grossolanamente, zittita immediatamente dal capitano.

“In questo caso spero che sarete voi a perdonarci per avervi annoiato” replicò il capitano, chinando nuovamente il capo. “Ed ora vorremmo prendere congedo” concluse freddamente.

“Oh…certo, certo…Andate pure” terminò la sua recita Edward.

Appena scomparvero dalla sala il Re diede in escandescenze.

Che diavolo ti è saltato in mente di comportarti come una damerino?!” sbraitò feroce.

“Padre, questo è il modo più facile per essere sottovalutati” rispose tranquillo Edward, mentre passeggiava lungo il tappeto fulvo con aria pensierosa.

Appunto!” gridò adirato il padre.

“E’ sempre stata loro intenzione sconfiggerti. Hanno appreso che sono il tuo consigliere in battaglia e sanno che battere un sovrano giovane e sprovveduto è una passeggiata” si volse alla porta, accingendosi ad andarsene.

Ma ti rendi conto di quello che vai farneticando?! IN QUESTO MODO NON ESITERANNO UN ISTANTE AD ATTACARCI! PER DI PIù GLI HAI DATO LA CERTEZZA DI SAPERNE QUALCOSA!!! tuonò di nuovo il Re, cercando di ricominciare a respirare regolarmente.

Edward finse di ignorarlo e si diresse verso il corridoio dal quale era venuto. Il padre scoteva la testa contrariato, intenzionato a continuare il suo rimprovero, quando egli si fermò improvvisamente sulla soglia.

Ma io non sono certo uno sprovveduto” sibilò crudelmente, riprendendo a camminare deciso.

“M – ma tu guarda…che razza di…di…” sentì il padre blaterare, mentre si allontanava sbuffando tra l’annoiato e l’irritato.

 

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Fece richiamare il comandante delle guardie, assieme a quelli delle varie legioni. Da quando era alla reggenza suo padre, che aveva ereditato Inghilterra e Galles e si era conquistato una parte della Scozia; in fondo, nonostante la sua smania per il combattimento e la tanto sbandierata virtù militare, si finiva sempre col giungere a scontri brevi e proficue alleanze. Non si poteva dire che il loro fosse un paese troppo bellicoso. In verità avevano avuto non pochi problemi ad ampliare i confini del regno dalla parte della Scozia, la cui popolazione era poco propensa nel sottostare ad un qualsiasi tipo di istituzione che non fosse di origine autoctona e strettamente legata alla propria cultura. Inoltre, senza voler sminuire le loro origini o usanze, erano molto portato alle arti militari e assai poco inclini alla trattativa ed al dialogo. Giovanni de Baliol era senza dubbio il più ragionevole tra i sovrani Scozia, ma si agitava ancora in lui quello spirito guerriero che aveva animato i suoi antenati, che avrebbe portato a scontri sanguinari e senza posa. Proprio per questa ragione si preferì dare spazio alle trattative, anziché  conquistare una nazione che non avrebbe che fomentato rivolte e carneficine, portando continui attacchi al potere centrale. Tuttavia era noto, per quanto ottuso fosse, ad ogni membro della corte e probabilmente anche a buona parte del popolo, che Giovanni avesse accettato malvolentieri questo tipo di soluzione, mostrando con assai poca nonchalance la sua intenzione di rivendicare l’indipendenza della Scozia, nonché di impadronirsi di Galles ed Inghilterra.

Nonostante Edward fosse assai meno propenso del padre ad imbarcarsi in una lunga ed estenuante guerra contro una massa feroce, che faceva di orgoglio e resistenza il proprio cavallo di battaglia, non riuscì a trovare una migliore soluzione alla crisi che logorava i due paesi e ai continui tentativi di trovare un pretesto per attaccare da parte degli scozzesi  Perciò contando che il suo modo distaccato e controllato di portare avanti una guerra, giocando altresì d’astuzia, nonché la qualità dei soldati scelti che costituivano il loro esercito, potessero prevalere sull’impeto animalesco di un popolo che amava lo scontro fisico, ordinò a coloro che si trovavano riuniti nella sala dei consigli di guerra di organizzare l’esercito, per affrontare la battaglia definitiva ed impadronirsi della Scozia.

C’erano tuttavia ancora parecchi punti oscuri per quanto riguardava l’atteggiamento dei loro “alleati”. Il  principe non capiva chi potesse essere colui che veniva ricercato con tanto interesse, tanto da ignorare orgoglio ed amor proprio, spingendosi persino a presentarsi di fronte al principe di Galles. Se si fosse trattato di Iulis avrebbero potuto limitarsi a chiedere di visitare le prigioni, non riteneva che fossero abbastanza astuti da temere di creare sospetti facendo una simile richiesta, inoltre si era verificato molte volte che controllassero le prigioni alla ricerca di reclute per il loro stesso esercito. Se si fosse trattato dell’erede al trono, come sosteneva il comandante delle guardie, avrebbero potuto perquisire il castello intero, prigioni incluse, ma forse per loro un simile segno di debolezza, quale il tradimento del figlio del sovrano, era da nascondere nel modo più categorico possibile. Forse speravano che fossero i gallesi a trovarlo e giustiziarlo per loro. Si convinse che lo cercassero là, credendolo nelle mani degli Inglesi.

Se così fosse stato, allora chi era Iulis e perché lo avevano portato alle prigioni? C’era ancora qualcosa che strideva nel suo ragionamento, qualcosa che non sapeva o forse soltanto non riusciva a ricordare. Iulis non poteva certo essere l’erede al trono di Warzendorf, per quanto aveva visto del suo corpo e poteva dire di averlo guardato (mooltooo…^.^ndYu -_- ndEd) bene, non vi compariva alcuno stemma; poteva sbagliarsi, certo, ma Iulis non aveva proprio nulla a che fare, né come aspetto, né come indole con gli scozzesi. Eppure anche quel ragazzino dall’aria tanto dolce e innocente doveva avere una qualche parte nei loro piani, la sua presenza spiccava troppo per non avere rilevanza. Avrebbe sempre potuto spogliarlo e ricontrollare.

No.

Ora stava divagando.

Decise di porre in secondo piano le ricerche riguardo l’identità di Iulis, non solo perché finiva sempre col visualizzare una serie di ‘particolari’ non pertinenti al suo fine, ma anche perché non avrebbe saputo da dove cominciare. Doveva occuparsi dei problemi più gravi ed incombenti. Si rese conto di non essersi informato sulle trattative con la Francia, cui il padre aveva partecipato per rivendicare, in quanto nipote di Filippo il bello, il trono di Francia e si risolvette ad affrontare un’altra conversazione con quest’ultimo. Cercando di fare ordine e chiarezza nella sua mente assillata dai dubbi, si allontanò dalla sala, nella quale era rimasto solo già da un po’. Mentre attraversava ancora pensieroso gli stretti corridoi, in modo inavvertibile gli giunse all’orecchio una voce. Era quella di Lady Mc Neil, non poteva avere dubbi, credette quasi di trovarsela di fronte quando svoltò l’angolo, ma per tutta la lunghezza dell’ampio corridoio non si scorgeva anima viva. Dubitando di essere impazzito, come di provare nostalgia per la donna tanto da sentirne la voce, si fermò e si guardò attorno. La parte del castello in cui si trovava era assai poco praticata, poiché snodandosi attraverso le segrete portava dalle sue stanze, alle quali era vietato l’acceso tranne che per sua concessione, alla Sala del Trono. Si trattava del percorso che aveva fatto seguire a William, quando avevano portato via Iulis. Per quanto riguardava l’arredo, esso diventava sempre più scarno e freddo man mano che vi si addentrava. Nel corridoio in cui si trovava l’unica cosa a risaltare era un arazzo, sospeso accanto ad una delle grezze torce, che si ergevano ad intervalli regolari, intercalate da due lance incrociate sul possente muro di pietra; in quanto unica decorazione, essa era piuttosto fuori luogo.

Sua madre, quando era piccolo, gli ripeteva spesso di fare attenzione a non aggirarsi nelle parti del castello che non conosceva, soprattutto la zona un cui si trovava al momento, e in caso vi ci fosse trovato di non appoggiarsi ovunque ed anzi di non toccare nulla. Edward strinse gli occhi osservando l’arazzo. Sembrava molto pesante e pregiato ed era assolutamente identico a quello, che aveva scoperto nascondere una nicchia segreta, dove la madre praticava magia ed alchimia. Il problema non era dunque scoprire se si trattava di un passaggio, ma decidere se entrarvi o meno. Poiché avvertì nuovamente la voce della donna, il principe non si mosse. Essa aveva disseppellito un altro interrogativo per la sua stanca mente; la nobildonna avrebbe dovuto andarsene dal castello dopo il banchetto, non certo trovarsi in un simile posto.

Si sforzò di capirne le parole, ma la maggior parte delle sue espressioni appartenevano al difficile dialetto scozzese. Dunque si era portato a letto una spia, che chissà cosa era andata cercare. Comprese ch’ella aveva fatto una richiesta al suo interlocutore, desiderava che quest’ultimo facesse qualcosa per lei, qualcosa di importante a giudicare dal tono controllato ed autoritario. Improvvisamente cominciò ad urlare, in preda all’agitazione.

“NO! NO! NO!!!” ripeté più volte, aggiungendovi cose incomprensibili, ma decisamente offensive.

Chiunque fosse colui al quale si rivolgeva non parlò mai, probabilmente si limitava a fare dei cenni di dissenso. Gli strepiti cessarono, mentre si avvicinava un rumore di passi. A quest’ultimo se ne sovrappose un altro, che si approssimava molto più velocemente, ma risuonava più leggero. Non proveniva da dietro l’arazzo come il primo, ma dal corridoio da cui era arrivato anche Edward, il quale si risolvette a spostarsi velocemente, fermandosi soltanto dopo aver svoltato alla fine del corridoio e sperando di poter sentire cosa sarebbe accaduto. Entrambi i suoni si placarono ed un attimo dopo si avvertì qualcuno allontanarsi, parlottando; la voce di William prese a cantare una stupida canzone popolare, alternandola a delle sarcastiche invettive contro Iulis. Probabilmente colui che si nascondeva dietro l’arazzo doveva essere fuggito da un altro passaggio, eppure era strano, l’andatura del soldato non era per nulla leggera e perché avrebbe dovuto tornare sui suoi passi? Forse stava facendo una ronda? Quando fu certo che William se ne fosse andato, il principe si avvicinò all’arazzo e storse la bocca, non aveva sentito i passi della donna: brutto segno, brutto presentimento. Sollevò la pesante stoffa e passò oltre. All’interno era buio ed umido e quello che da fuori non avrebbe potuto sentire, un gemito soffocato, gli giunse all’orecchio. Qualche metro più avanti lo stretto ingresso, varcato da un altro passaggio interno, sboccava in uno stanzino poco più largo, dove si poteva scorgere una tenue luce. La donna dai bei capelli dorati sedeva a terra vicino al muro e riversa su se stessa si stringeva il busto, non si era neppure accorta di lui e gemeva fiocamente.

“Barbara…” mormorò il principe.

Aveva una profonda ferita all’addome, nella quale si trovava ancora conficcato un pugnale di pregevole fattura, che poteva appartenere soltanto ad una donna. Nonostante i danni che aveva causato, un uomo scozzese sarebbe stato come minimo evirato se si fosse portato in giro un simile oggetto, considerato più un monile che un arma. Le si avvicinò, le si inginocchiò di fronte e portandole un mano sotto il mento, le sollevò il volto pallido e contrito.

“Chi è stato a farvi questo?” domandò piano.

Lei ridacchiò forzatamente, per poi tossire, imbrattando di sangue la bocca rosata. Egli si ritrasse. La donna sollevò con fatica un braccio latteo, per portare la mano a sfiorare il suo volto.

Siete davvero troppo buono” proferì con un tono sarcastico, ritraendo la mano per tossire ancora.

Il principe si risolvette ad sporgersi per estrarre il pugnale, facendole emettere un gemito di dolore, quindi si appresto a sollevarla per condurla fino alle sue stanze e medicarla. Lady McNeil tentò di allontanare le sue braccia e scosse il capo, con una divertita rassegnazione.

“Oramai è tardi” disse “E poi…io non sono venuta qui per voi” gli fece cenno di avvicinarsi, fino ad accostare la bocca al suo orecchio. “Io sono una spia” gli sussurrò affettata, mentre raccoglieva il pugnale e lacerava la stoffa della sua manica e la pelle sotto di essa.

Edward si limitò a storcere la bocca e sollevare un sopracciglio.

“Non vi scomponete proprio mai, eh?” ridacchiò la donna, tossendo di nuovo.

“Ora smettetela di comportarvi come una bambina. Non siete la prima donna che vedo andarsene e non ho intenzione di giustificare questo vostro comportamento soltanto perché state morendo” replicò atono, rialzandosi.

Lei rise a più riprese, cercando faticosamente di respirare.

“Vediamo…se…con questo…lo capirete…” riuscì a dire piano.

Il principe si chinò di nuovo su di lei.

“L’erede di Baliol…senza farne parola con alcuno…” mormorò ancora. “Egli è venuto qui…per voi” chinò il capo, socchiudendo gli occhi. Sì lasciò ricadere pesantemente, scivolando contro il muro.

Edward si avvicinò, per cercare di sollevarla fra le proprie braccia. C’era qualcosa in lei, qualcosa che gli faceva capire che non era quello che sembrava essere, come per sua madre quando si era rivelata una strega, ciò non implicava che lei fosse malvagia. Si bloccò, aveva sentito di nuovo la voce di Wargarv, che si avvicinava velocemente, seguendo dei passi leggeri. Qualcuno era entrato nel passaggio segreto, facendosi rincorrere. Iulis sbucò nel piccolo vestibolo, gli si avvicinò correndo quasi spaventato e si rannicchiò contro di lui, nascondendosi tra le sue braccia ancora a mezz’aria. Il soldato arrivò subito dopo, sbraitando improperi.

“Ma dove diavolo sei andato a ficcarti, piccoletto?!” concluse palesemente seccato, sgranando gli occhi e spalancando la bocca alla vista del Principe, che lo fissava interdetto, proteso verso la donna morente e con il ragazzino che gli si nascondeva contro il petto.

Lady Mc Neil tossì forte, sollevò il capo a fatica e lanciò al soldato uno sguardo tra l’astioso e il disperato, accompagnandolo ad uno stentato sorriso maligno, che non sfuggì ad Edward. “Uomini…” mormorò fiocamente “uno peggio dell’altro” concluse, reclinando ancora il capo. Iulis si voltò a fissarla con aria interrogativa, come se per la prima volta si fosse trovato di fronte ad una persona nel suo stato e stesse chiedendosi che cosa le stava succedendo. Catturò il suo sguardo e, staccandosi dal petto dell’uomo, si inginocchiò, chinandosi su di lei e abbracciandola forte.

“Si tratta di una spia” si rivolse alla guardia il Principe. “Te l’affido, conducila alle mie stanze. Ho intenzione di curarla.”

William annuì, mentre un lampo di preoccupazione gli attraversava lo sguardo. Si avvicinò, per poterla sollevare, ma non appena allungò il braccio, il ragazzino prese a scuotere la testa freneticamente e a piangere. La donna sollevò a fatica le braccia e dopo aver passato una mano tra i suoi capelli, sollevandogli il volto, lo scostò con garbo “…in domini voluptatem” sussurrò con dolcezza, prima di svenire.

A quelle parole Iulis, lentamente e un po’ controvoglia, si allontanò da lei, rialzandosi senza staccare lo sguardo dalla sua figura, e permettendo a William di sollevarla per portarla con sé.

La contessa non sembrava certo avergli fatto una buona impressione, non che la situazione in cui l’aveva vista per la prima volta fosse delle migliori, ma era sembrato estremamente deluso, come se avesse assistito

a qualcosa di proibito e la sua fiducia in qualcuno fosse venuta meno. Fino a qualche attimo prima Edward non avrebbe esitato nel fare una simile considerazione e anzi avrebbe giurato di essere stato la principale causa di quella reazione (eheh…cala, cala principino!ndYu), ma inaspettatamente questa certezza gli era venuta meno. La premura del ragazzo per la donna e la reazione di quest’ultima, che un attimo prima si era rivelata tutt’altro che affettuosa, senza contare le sue ultime parole pronunciate in latino, che non potevano essere casuali, avevano ribaltato del tutto la sua opinione in merito. Frattanto il soldato era scomparso portando con sé la donna e Iulis, stringendo un lembo della sua giacca, stava immobile a fissare perduto la semioscurità del passaggio d’entrata. Dopo qualche istante Edward lo prese tra le braccia e sollevatolo, tenendolo stretto a sé, si inoltrò nel corridoio di destra; il colloquio con il padre avrebbe potuto aspettare ed anche i suoi scrupoli morali.

 

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Uscirono all’aperto in un piccolo cortile nascosto nella parte posteriore del castello, superarono le ultime mura di protezione, attraverso un altro piccolo passaggio occultato, da utilizzarsi come via di fuga per il sovrano in casi estremi, e solo allora Edward si fermò, continuando però a tenerlo tra le braccia, riparato sotto il proprio mantello. Il ragazzino sollevò il capo, per concedere al proprio addolorato sguardo di scoprire in quale luogo fosse stato condotto; di fronte a lui il sole rosso si immergeva in un oceano marmoreo e splendente, riflessi infuocati fiammeggiavano su tutte le forme candide all’orizzonte. Si abbandonò alla contemplazione di un simile spettacolo, cui non aveva mai potuto assistere e, quando riuscì a ritrovarsi, la sua attenzione si spostò confusa verso colui che lo stringeva; un sorriso dolce ne curvava un poco le labbra e gli occhi penetranti lo fissavano sereni.

“Madre, questo basta a farmi amare la mia vita” mormorò, perdendosi anch’egli nel tramonto.

Le braccia sottili di Iulis scivolarono lentamente attorno al suo collo, richiamando la sua attenzione.

“Quid est cupiditatem tuam?” [Qual è il tuo desiderio?] la voce vibrò bassa ed inaspettata, in una domanda all’apparenza priva di senso.

Il principe sussultò e strinse la presa. Silenziosamente chinò la testa sulla sua spalla e con religiosa lentezza posò le proprie labbra sul suo collo. Dopo alcuni istanti esse si scostarono di un soffio e scivolarono sino all’orecchio.

“Ita cupio…flagrare” [E’ mio desiderio…ardere] bisbigliò sulla pelle abbronzata, carezzandola con il caldo respiro.

Il corpo fra le sue braccia fu scosso da un fremito, mentre il ragazzino nascondeva a sua volta il capo poggiandolo sul suo petto.

 

Si quid cupias…Te flagrare facerim [Se questo desideri…Io ti farò ardere]

 

 

FINE PRIMA PARTE

 

Iulis: Tempus omnia medetur. ^_^

Me: Adesso manca solo che scopra che Papa Giulio II è esistito e mi faccio santa. T___T

Iulis: E’ esistito….

Me: noooooooooooooooooooooo….Sakuyaaaaaaa, io dovevo sposarmi con teeee!!!non posso farmi suora!!!T___T