TITOLO: Scelte sbagliate
AUTORE: Nuel
SERIE: Slam Dunk
PARTE: 1/2
PAIRING: Rukawa-Sakuragi
RATING: angst
DECLAMER: I pg sono di Mr. Inoue e io scrivo solo per la gloria (eh, si! I fessacchiotti esistono ancora.... °__^)
ARCHIVIO: Ysal
SCELTE SBAGLIATE
Di NUEL
A volte nella vita si commettono degli errori che ti segnano per sempre, lui ne aveva fatti diversi, ed almeno uno di questi aveva rovinato la vita a più di una persona.
Era successo durante l’ ultimo anno di liceo, chissà come, si era reso conto che quella testa rossa gli era entrata nel cuore, ma non poteva accettarlo, era fuori da ogni logica. Tutto il suo essere lo rifiutava. Così era partito, aveva inseguito il suo sogno, ci si era buttato a capofitto ed il sogno era diventato realtà. Tuttavia un peso continuava a gravargli sul petto: Hanamichi Sakuragi. Il suo viso, la sua risata, lo tormentavano anche a chilometri di distanza. Quando, in partita aveva cominciato a cercarlo per passargli la palla, aveva capito di dover trovare una soluzione drastica al suo problema.
Era tornato in Giappone. Ed aveva sposato Ayako. Ayako era l’ unica donna, a parte sua madre, la cui presenza non trovasse insopportabile. L’ aveva sedotta, le aveva fatto lasciare Miyagi..... aveva tradito un suo ex compagno di squadra, un amico, e nonostante tutti insistessero che erano troppo giovani, l’ aveva sposata e portata in America con sè. Poi, la tragedia. Ayako era morta mettendo al mondo loro figlia, Kana.
Aveva affidato la piccola a sua madre, aveva sepolto sua moglie a Kanagawa, ed era tornato in America.
E ora tornava a Kanagawa per il secondo compleanno di Kana. Il secondo anniversario della morte di Aya’.
Pagò il taxi e suonò il campanello. Da tanto aveva perso l’ abitudine di aprire con le sue chiavi. Sua madre corse ad aprire la porta ed abbracciarlo. Entrò ed in salotto incontrò lo sguardo azzurro di una bimba paffuta, con i morbidi capelli neri che ricadevano sulle spalle. La bambina guardò il gigantesco sconosciuto che era suo padre e scoppiò a piangere.
-Vado a mettere la valigia in camera- Disse freddo, dando le spalle alla piccola.
Sua madre lo guardò con disapprovazione e si dedicò a consolare l’ adorata nipotina.
Qualche ora più tardi, a cena, l’ intera famiglia Rukawa era riunita in torno al tavolo, suo padre gli faceva le solite domande: come stai? vincerete il campionato, quest’ anno?...... E Kana osservava col broncetto l’ uomo che le stava togliendo l’ attenzione del nonno, mentre la nonna la imboccava premurosamente.
-Rimarrai un po’ di più, stavolta, Kaede?- Gli chiese speranzosa sua madre.
-Mamma! Lo sai che la mia vita è in America!- Le rispose spazientito.
-Stai frequentando qualcuno?-
-No-
-Allora la tua vita è qui, con Kana! O pensi di portarla con te?- Sua madre sembrava molto battagliera.
-No, non potrei occuparmi di lei, non ne ho il tempo-
-Come non hai avuto tempo per Aya’.....-
-Adesso basta!- Intervenne suo padre. La pensava come sua moglie, ma non era il caso di mettersi subito a discutere a quel modo.
-Dico solo che la parte del vedovo inconsolabile non ti calza affatto, tutto qui!- Puntualizzò la donna.
Rukawa si alzò da tavola, trattenendo col suo perfetto autocontrollo il moto d’ ira che gli era nato dentro.
-Scusate, sono stanco. A domani-
Dette un’ occhiata valutando se fosse il caso di dare un bacio a sua figlia, ma quella lo fissava con un cipiglio degno dei suoi momenti peggiori e decise di lasciar perdere.
Il giorno seguente, indossato il suo miglior completo scuro, Rukawa scese a fare colazione. Intendeva andare al cimitero al più presto, quindi, appena anche Kana ebbe finito il suo biberon di latte e la nonna le ebbe fatto indossare un grazioso abitino rosa con la gonnellina larga, piena di merletti e le manichette a sbuffo, prese in braccio la bambina, che subito protese le braccia verso la nonna, e la mise sul seggiolino fissato sul sedile posteriore dell’ auto di suo padre. Fissò la cintura di sicurezza e si mise al volante. Il cimitero era ad una ventina di minuti da casa loro, per tutto il tempo, padre e figlia restarono in silenzio. Rukawa ogni tanto controllava nello specchietto retrovisore che la bambina fosse ancora al suo posto. Era così tranquilla che poteva benissmo non esserci. Pensò che, in questo, si somigliavano.
Arrivati la riprese in braccio, comprò delle orchidee nel negozio di fiori fuori dal cimitero e raggiunse la tomba di Ayako.
Il silenzio era quasi irreale: sentieri di ghiaino su cui affondavano con un leggero rumore sordo i suoi piedi, si diramavano formando disegni geometrici tra le lapidi alte e sottili che si alzavano da terra con qualche sbuffo di fumo profumato. L’ incenso gli aveva sempre dato fastidio e non ne aveva mai portato. Arrivarono davanti ad una lapide sommersa di candidi gigli. Sapeva che non erano opera dei suoi genitori. Gli avevano detto che sulla tomba di Aya’ i gigli freschi non mancavano mai, e lui sapeva chi li portava.
-Saluta la mamma, Kana- Disse a bassa voce, appoggiando a terra la bambina, che andò ad appoggiare il faccino alla lapide posandovi un piccolo bacio. Quel gesto era opera dei suoi genitori, si chiese quanto venissero a trovarla, loro e la piccola.
Appoggiò le orchidee tra i gigli, il vaso era pieno di rose che avevano portato i suoi genitori. Pregò in silenzio, non gli dei, ma Aya’, perché lo perdonasse.
-Ciao, Rukawa. E’ tua figlia questa bella signorina?-
-Si-
-Ciao! Io sono lo zio Yohei!- Salutò la piccola con un sorriso, a cui lei rispose subito.
Rukawa si sentì a disagio: a lui, Kana, non sorrideva mai. Ma lui era peggio di un estraneo, era per colpa sua che Ayako era morta.
-Sa nessuno che sei tornato?- Mito lo guardava, anche lui lo riteneva colpevole, ma, a differenza degli altri, Mito sapeva che, a volte, la colpa è solo della vita, del destino, o del karma, e non lo odiava come facevano tutti.
-No-
-Chiama Hanamichi, sarebbe felice di rivederti-
-Non credo che ne avrò il tempo. Riparto dopodomani-
Mito sbuffò e si soffermò alcuni istanti a guardare la bambina.
-Credo che tu la trascuri troppo. Ogni tanto, cerca di ricordarti che hai una figlia. Ciao-
I passi si allontanarono, facendo aumentare il senso di colpa. Prese per mano Kana e ripresero la strada di casa.
Riconsegnò la figlia alla nonna e le disse che doveva vedere una persona, risalendo in macchina e chiudendo la portiera senza dare altre spiegazioni.
Girò un paio di volte per l’ isolato, non ricordava tanto bene dove fosse casa di Miyagi, ma finalmente la trovò. Parcheggiò e suonò il campanello. Dopo qualche minuto uscì una donna, la madre di Ryota, che lo guardò con astio.
-Cosa sei venuto a fare qui, Rukawa?-
-Vorrei vedere Ryota-
-Non c’è. Sei mesi fa si è trasferito a Nagoya per lavoro-
-Capisco. Potrebbe darmi il suo numero di telefono?-
-Lascialo in pace, Rukawa!- E detto questo la donna rincasò, sbattendo la porta.
Rukawa risalì in macchina, ma non aveva voglia di tornare a casa. Guidò fino alla spiaggia e fece una lunga passeggiata a piedi nudi, sulla battigia.
Ayako era morta perché lui non aveva voluto rinunciare ad una partita. Era il suo primo campionato da titolare, aveva sudato sangue per entrare in quella squadra e dimostrare che era un ottimo giocatore. L’ allenatore aveva riposto molta fiducia in lui, facendolo giocare sempre. Aveva concordato con Aya’ che era meglio che lei tornasse in Giappone, dato che mancavano solo un paio di mesi al parto, così avrebbe avuto vicino i loro genitori, mentre lui era sempre fuori casa per gli allenamenti. Lei era stata un valido aiuto, spesso era in panchina con l’ allenatore, si era imposta con la sua solita dolce determinazione, ed era stata un ottimo acquisto per tutta la squadra, ma voleva che in quel momento delicato non si affaticasse. Lei aveva acconsentito, ed era rimpatriata.
Un giorno, sua madre gli aveva telefonato, agitatissima: Aya’ si era sentita male ed era stata ricoverata in ospedale. L’ aveva implorato di tornare a casa, ma, dato che era tutto sotto controllo, non ne aveva visto la necessità. Quattro giorni dopo era stata Ayako a chiamarlo, dicendo che il medico voleva far nascere il bambino con un po’ d’ anticipo per non debilitarla e dovevano fissare la data dell’ intervento. "Quanto in anticipo?" Aveva chiesto lui senza mascherare il fastidio per quel contrattempo. Aya’ si era messa a ridere per nulla offesa, ormai lo conosceva bene. "Per lui sarebbe opportuno farlo il prima possibile" "Aya’ ho la partita dopodomani!" Silenzio. "Lo so, non preoccuparti, ma ce la fai a partire subito dopo la partita?" "Si" aveva sbuffato. "Bene, allora, chiederò di aspettare fino al tuo ritorno!" "Ok, ciao" "Kaede!" "Cosa c’è?" "Ti amo" "Riguardati" "Ciao" "Ciao" Era stata l’ ultima volta che aveva sentito la sua voce. Quella conversazione era impressa a lettere di fuoco nella sua mente, sul suo cuore. Aya’ gli aveva regalato un amore che non meritava, assoluto, incondizionato, anche quando lui le aveva confessato di non amarla, le aveva confessato di amare.... -Sakuragi- sospirò, guardando il mare. Lui aveva dimenticato di prenotare il volo, troppo preso dall’ importanza di quella maledetta partita. Era stato insuperabile, aveva giocato come mai nella sua vita, prima e dopo. E, intanto, Aya’ si sentiva di nuovo male. Trovò la segreteria telefonica piena di messaggi di sua madre che singhiozzava e lo implorava di tornare. "Maledetto, dove sei? Aya’ sta morendo!" era l’ ultimo messaggio di sua madre. A quelle parole smise di preparare la valigia. Fece in fretta il numero di telefono di casa dei suoi genitori, ma l’ apparecchio squillò a vuoto, squillò all’ infinito. Prese un taxi e corse in aeroporto, nella sua mente le parole di sua madre e gli squilli si sovrapponevano, un angolo della sua mente gli fece riascoltare le grida del pubblico in tripudio, i suoi compagni che si abbracciavano, l’ allenatore che urlava il suo nome e rideva. -Fammi arrivare in tempo- pregò per la prima volta nella sua vita.
Molte ore dopo un taxi lo lasciava davanti all’ ospedale dove era ricoverata Ayako. Aveva dovuto aspettare diverse ore il volo per il Giappone. Nella sala d’ attesa si era seduto e si era sentito vuoto, aveva avuto freddo.
Quando arrivò al reparto maternità lo mandarono nel settore rianimazione. I loro genitori e Ryota erano lì. I genitori di Aya’ piangevano, sua madre aveva gli occhi rossi, Miyagi fissava il pavimento, immobile come una statua.
"Kaede" l’ aveva chiamato suo padre, pallidissimo, appena l’ aveva visto. Aveva mosso un passo verso di loro ed una porta si era aperta. Ne era uscito un medico, li aveva guardati, loro cinque, e aveva sussurrato un semplice "Mi dispiace"
Il mondo era finito in quell’ istante. Miyagi era andato verso di lui, gli occhi gonfi di disperazione e di odio e l’aveva colpito, chiamandolo "assassino" ed era fuggito via. Gli altri piangevano disperatamente, dimentichi di lui, così se ne era andato. Non voleva vederla, non sapeva esprimere il suo dolore, era inutile che rimanesse lì.
Molte ore più tardi rincasarono i suoi genitori, affranti, spezzati, di colpo più vecchi e fragili. Sua madre si era rifiutata di guardarlo in faccia, ed era andata in camera ricominciando a singhiozzare. Lui e suo padre si erano guardati a lungo, in silenzio, poi l’ uomo aveva preso due sedie e l’ aveva invitato a sedersi di fronte a lui.
"Tua figlia sta bene, ma è piccola, l’ hanno messa in un’ incubatrice. Bisogna che organizzi il funerale di tua moglie, adesso" "Perché è morta?" Finalmente parlava, e la sua voce uscì sgraziata, alterata. Non aveva pianto, ma suo padre fu rincuorato da quel segno del suo dolore. "Aveva un problema cardiaco. Quando si è sentita male la prima volta non ha voluto che te lo dicessimo. Avrebbe dovuto concludere la gravidanza subito, ma aveva chiesto di aspettare il tuo ritorno. Sapeva che era rischioso. Se fossi arrivato anche solo ieri, Kaede...."
Sentì gli occhi bruciare, non era disposto ad ammettere che aveva voglia di piangere, dette la colpa alla salsedine, alla sabbia, al vento. Il cuore di Ayako aveva ceduto, aveva ceduto indebolito da un matrimonio in cui era solo lei ad amare, indebolito dall’ amore che lui provava per un’ altra persona. Le aveva voluto veramente molto bene, ma l’ amore era un’ altra cosa. La loro vita coniugale non era stata da buttare via, erano ottimi amici, ed erano stati anche buoni amanti, ma il suo cuore apparteneva a Sakuragi, e Ayako l’ aveva accettato, sorridendo aveva risposto alla sua confessione che avrebbe amato per entrambi. Per questo era morta: perché lui non l’ amava abbastanza da anteporla ad una partita di basket. Miyagi aveva ragione: l’ aveva uccisa lui.
E ciò nonostante, non riusciva a smettere di giocare, non riusciva a smettere di amare Sakuragi. Era venuto anche lui al funerale, assieme a tutti gli amici del liceo. L’ aveva guardato con una pena immensa negli occhi, e lui aveva dovuto distogliere lo sguardo per non mostrare il suo..... desiderio? Gli altri avevano frainteso quel gesto, l’ avevano scambiato per la manifestazione del suo dolore ed avevano provato ancora più pena per lui, per lei, per la piccola che sarebbe cresciuta senza madre. E lui, in quel momento, aveva giurato di non rivedere mai più Sakuragi. Ma poi aveva chiamato sua figlia Kana, unendo per sempre gli ideogrammi del loro nome: Kaede ed Hana’. Per sempre, nell’ unico modo possibile.
Quando rincasò, l’ ora di pranzo era passata da un pezzo, ma lui non aveva fame. Sua madre insistette per preparargli qualcosa di veloce, la osservò, indaffarata e preoccupata per lui. Era sempre sua madre. Dal giorno del funerale non lo aveva più evitato, forse anche lei aveva fraiteso il suo distogliere lo sguardo dagli occhi del suo "amico". Soffriva si, ma non lo aveva mai manifestato. Non aveva mai manifestato i suoi sentimenti. Mai.
Il campanello suonò e sua madre andò ad aprire.
-Sakuragi! Quanto tempo! Dai, entra!-
-Salve signora! Come sta? C’è Kaede?-
-Si, si, vieni!-
Rukawa si alzò per andare in camera sua, non voleva vederlo, ma Sakuragi fu più veloce di lui e lo raggiunse sul primo gradino, afferrandogli un braccio.
-Ei! E’ così che si salutano i vecchi amici?-
-Ciao-
-Mi fa piacere vedere che anche tu sei felice di rivedermi!-
Rukawa fu costretto a girarsi e guardarlo. Era splendido, come sempre. Si sentì subito stanco, fragile..... avrebbe voluto buttarsi tra le sue braccia, piangere a dirotto, dirgli che lo amava.
-Dai che stavolta ti batto!- Gli strizzò l’ occhio.
Abbassò lo sguardo. In mano teneva un pallone da basket e glielo porgeva.
-Sono un professionista, te lo ricordi, idiota?!-
-Stupida volpe arrogante! Nelle ultime partite hai giocato talmente male che ti avrei battuto anche il primo giorno in cui ho preso un pallone da basket in mano!-
Rukawa sussultò: era vero: stava giocando male. Non che non segnasse più o che facesse chissà che falli, ma giocava da cani. Se ne erano accorti tutti, ma non avevano il coraggio di dirglielo. Ormai, la sua carriera aveva preso la rincorsa su una ripida discesa. Tutti lo imputavano alla morte di Ayako, dicevano che non riusciva a riprendersi, ed avevano torto: Aya’ era solo una parte del problema. L’ altra parte era alta come lui, aveva i capelli come il sole quando muore e gli occhi del colore dell’ autunno, quando tutte le foglie sono cadute e scricchiolano sotto i piedi.
-Kaede deve ancora mangiare, prendi un boccone pure tu?- Chiese sua madre.
-No, grazie signora-
-Lascia stare mamma, noi usciamo-
-Sicuro? Allora, perché non fate una bella cosa? Portate Kana al parco, io ho ancora delle faccende da sbrigare.-
-Per me non c’è problema!- Rispose Sakuragi prima che Rukawa potesse protestare.
Cinque minuti dopo, la donna scese le scale con, in braccio, la bambina ancora mezzo addormentata. Appena la piccola fu in braccio a suo padre cominciò a piagnucolare, per fortuna Sakuragi le andò davanti e cominciò a farle le boccacce. Dapprima incuriosita, la piccola prese poi a ridere ed allungare le manine verso l’ altro. Sakuragi si avvicinò per farsi toccare e, con molta decisione, la piccola afferrò una ciocca di capelli rossi e la tirò con tutta la forza, scoppiando a ridere. Anche la nonna si mise a ridere, guardando la smorfia del loro ospite, mentre un sorriso dolce increspava le labbra di Rukawa, per la prima volta da molto tempo.
Andarono al parco, con Kana che continuava a voler afferrare i capelli rossi del gigante che camminava accanto al suo papà. Al parco c’ erano altri bambini, e Kana, ritrovandosi a suo agio, zompettò felice verso un quadrato di sabbia dove altri piccoli giocavano con palette e secchielli colorati.
-Dovresti avere dei figli- Iniziò Rukawa, sedendosi su una panchina lì vicino. -Saresti un buon padre, decisamente migliore di me-
-Non credo succederà. La persona di cui sono innamorato ha fatto un’ altra scelta ed è andata a vivere lontano-
-Ti innamorerai di nuovo-
-A te non è ancora successo-
Rukawa attese qualche attimo prima di parlare. -No. Perché non mi odi come tutti gli altri, Sakuragi?-
-Perché tutti facciamo delle scelte. Purtroppo non sono sempre qulle giuste, ma non è colpa di nessuno. La vita deve andare avanti lo stesso-
-Ma io ho dato più importanza ad una partita che a mia moglie-
-Ayako non voleva che tu sapessi quali fossero le sue reali condizioni. Sapeva che era rischioso, ma ha fatto la sua scelta, e tu ti sei comportato di conseguenza. Lei non ha sbagliato meno di te. Semplicemente aveva scelto di amarti-
-Non avrei dovuto portarla via a Miyagi-
-Non gliela hai portata via tu! Tra loro non funzionava, altrimenti lei non avrebbe lasciato lui per te!-
-Fai sembrare tutto così semplice-
Kana era tornata da loro, aveva preso il pallone dalle mani di Sakuragi e ci aveva messo la pancia sopra, cercando di restare in equilibrio e ridendo, catalizzava gli sguardi dei due adulti che le stavano accanto.
-Posso venire a trovare Kana, qualche volta?-
-?-
-Ti somiglia, dovresti starle più vicino-
-Lo so, ma con la vita che faccio, non potrei occuparmi di lei. Tu vieni pure a trovarla quando vuoi, ti ha subito preso in simpatia!-
-I bambini hanno bisogno dei genitori, anche se hanno dei nonni stupendi. Dovresti tornare più spesso-
-Tornerò per Natale, rimarrò qui tre settimane, così le starò un po’ vicino-
-E con la squadra?-
-L’ hai detto anche tu che sto giocando male. Ho bisogno di una pausa-
-Bene! Allora, quando tornerai la prossima volta dovrai venire a cena da me, una sera! Sono diventato un cuoco sopraffino!-
-Perché? Tu sapresti anche cucinare?!- Scherzò Rukawa.
-Io sono il genio dei fornelli!- Rispose impettito scoppiando a ridere.
Incredibilmente anche Rukawa cominciò a ridere e Kana lo fissò sorridente protendendogli le manine per farsi prendere in braccio, chiamando "pa-pa" con la sua vocina infantile.
Rukawa, felice come avesse ricevuto il più bel regalo, la prese in braccio e le dette un bacio carico d’ affetto sulla testina nera.
Due giorni dopo, all’ aeroporto, c’ era anche Sakuragi a salutarlo.
-Ringrazia Mito da parte mia- strinse la mano a Sakuragi
-Vuoi fargli fare un colpo! Tu che lo ringrazi!-
Rukawa fece un mezzo sorriso.
-Se non ti avesse detto di avermi visto da Aya’, non ci saremmo incontrati-
-Ti aspetto per Natale-
-Ci sarò, promesso-
Rukawa partì, per tornare alla sua vita solitaria, in America.
Continua.........