Scelta d’amore

-Kaede’s Diary-

By elyxyz


Capitolo 39

(In corsivo, il diario di Kaede)

 

POV di Hana.  


Mi appresso ad aprire il diario, tentennando in modo nervoso.
Non riesco a staccare i miei occhi dai suoi. Chiusi.

Non vedo nessunissima differenza, rispetto ad una settimana fa, a dieci giorni fa.. a un mese fa.. come fanno a dire che è peggiorato??
Scuoto la testa, come a scacciare questo tormento senza risposta.
 

L’infermiera Saito entra.
Mi guarda, sorpresa. Non si aspettava di vedermi già qui.

“Ma tu.. quando sei arrivato?” infatti.

“Pochi istanti fa..” le spiego, giocherellando con la copertina rigida, con fare irrequieto.

“Come stai?” mi chiede, nascondendo alla meno peggio l’apprensione della domanda.
Saito-san deve aver saputo del mio incontro con Kawata.

“Certi giorni, è solo più dura.. andare avanti.” Confesso, lasciando vagare lo sguardo ovunque, tranne che su di lei.

“Il dottore mi ha ordinato di mandarti da lui, al tuo arrivo.. è importante.”

Sto per chiedere un’anticipazione, ma dal suo sguardo spento capisco che non mi dirà niente.
E la domanda muore sulle labbra.

Lascio l’agenda sulla sedia.
Uno sguardo a lui.
E poi via.

Credo sia inutile prepararsi.
In certe situazioni, non esistono salvagenti abbastanza grandi da impedirti di affogare.
…. 

Mi avvicino allo studio. La porta è solo accostata e sento provenire delle voci, dall’interno.
So che non è educato, ma..

“Non dovrebbe parlargliene, signore..” Sumai?

“Invece ritengo sia un suo diritto sapere, e prepararsi mentalmente e spiritualmente alla separazione..” Kawata?

“Mpf.. se lo dice lei..” Sì, è proprio la voce di Sumai-stronzo.
Ma di chi staranno parlando?

Mah.. comunque non posso più aspettare, busso un paio di colpi sullo stipite, chiedendo il permesso ad entrare.

L’espressione di Sumai esplica chiaramente della sorpresa, e fastidio malcelato, rivolto a me e al suo superiore.

Il terribile dubbio che stessero parlando di me sta diventando consapevolezza.

“Siediti, Sakuragi-kun.. ho bisogno di informarti sulle ultime notizie..” comincia Katawa-san, preparando il terreno.

Sumai-san si avvia verso la porta, ma viene richiamato: “Ryoji, no. Vorrei che restassi anche tu, per favore..” gli ordina.

La consapevolezza si sta trasformando in certezza.

Cos’è.. teme che lo riempia di pugni, per quello che dovrà dirmi?? Penso, stizzito.

“C’eri anche TU, nel giro-visite di stamattina.. E hai rilevato TU, il cambiamento.. potrebbe essere utile anche la tua presenza..” perché ha calcato così, su quel tu?

Il kohai si ravvicina a me, sistemandosi sulla poltrona alla mia destra. La seccatura è palese.. sa che non sarà una discussione piacevole, e se ne trova immischiato, suo malgrado.

L’isya Kawata riporta l’attenzione su di me, tamburellando nervosamente le dita sul ripiano dello scrittoio..

“Hanamichi..” -non mi aveva mai chiamato per nome.- “Non sarà facile, quello che sto per dirti. Né per me, né per te.. E non esistono metodi indolore. Mi spiace.”

Il preambolo non è dei migliori.. centinaia di ipotesi mi si figurano davanti.. una più cupa dell’altra.
Sento il battito cardiaco aumentare secondo dopo secondo, mi rimbomba nelle tempie.. forse.. riescono a sentirlo?

Kawata si sfila gli occhiali. Perché non li avevo mai notati, prima?

Non voglio pensare. Non potete costringermi a starvi a sentire..

I quadri alle pareti.. strani.
Non li conosco, mai visti prima.
Hanno colori vividi, allegri.. ispirano buonumore..

“Hanamichi…” mi richiama lui.

E io mi ostino a guardare altrove.

Sarà sciocco.
Sarà infantile.

..non me ne frega un cazzo.

“Sakuragi, ascolta..” me lo ritrovo davanti, d’improvviso seduto davanti a me. Quando si è mosso?

Mi afferra le mani. Troppo stordito, per ribellarmi a questa confidenza inusuale.
E io mi ritrovo a fissare i suoi occhi.

‘Dagli occhi di quest’uomo, posso capire che ha visto i dolori del mondo.
Lo vedo dal calore che hanno, dalla loro lucentezza.
…Occhi che lottano per strappare dalla morte anche solo un istante in più.’ Ricordo di aver pensato, il giorno in cui ci siamo conosciuti. 40 giorni fa. Un secolo fa.

“Dovrai essere forte.. so che sei un ragazzo coraggioso..”

No. Vi prego. No.

“Vuoi chiamare qualcuno.. che stia con te?” propone, incerto.

Scuoto la testa, per rifiutare.

Lo sento sospirare stancamente, riordinando le idee.. “Stamattina, vedi.. Sumai-san e il mio staff hanno monitorato lo stato di Rukawa, dopo l’aggravarsi di ieri.... e..” si ferma, si vede che è restio a continuare.

“E..?” lo imbocco, è tardi, ormai per tornare indietro.

“…e la diagnosi è mutata. Irrimediabilmente, temo.
Il coma di Kaede è arrivato al 4° stadio, ‘dépassé’..”

“..o morte cerebrale.” Concludo io, per lui.

Le sue pupille si dilatano di sorpresa.
Ma non dovrebbe stupirsi.. mi hanno rimpinzato di nozioni mediche, fin dal primo giorno, qua dentro.. e uno impara presto, il nome che non vorrebbe mai sentir pronunciare..

Silenzio.
Pesante. Greve. Claustrofobico.

Pensa veloce, Hana.. pensa..
“Non.. non è possibile che vi siate sbagliati?.. che sia.. sia una fase transitoria?” tento, più per disperazione, che per altro.

Lui muove la testa, in segno di diniego: “Tutti gli esami e i tracciati parlano chiaro..” si ripete, come se la chiave dell’accettazione fosse lì.

E’ che non so dove ho lasciato il lucchetto..

Ripenso a quella camera. Al letto. Alle ore infinite passate lì, a ridere, a piangere, a brontolare, ad arrossire.. a tutti i tracciati che ho visto disegnarsi..
All’improvviso, ricordo.

“Ma il cuore batte!! Ho sentito anche oggi il ‘bip bip’ del cardiogramma!!”

Ennesimo no. “Il coma irreversibile coinvolge la degenerazione progressiva dei tessuti cerebrali..
Fino all’abolizione incontrovertibile delle funzioni vitali: arresto della respirazione, caduta della pressione arteriosa, ipotermia. Può persistere il ritmo cardiaco.. ma è ininfluente.

Il suo cervello è semplicemente morto.”

Lo fisso, come se avesse detto una madornale castroneria.
Non è possibile, dai!!

Perché non ritorna ad usare i suoi complicati paroloni, di cui capisco solo la metà del significato?
Perché una frase così, mi mette in ansia..

“Il quadro clinico-elettroencefalografico è un responso indiscutibile.”

Sento la stretta delle sue mani farsi più serrata, come a palesarne la presenza.

E sento qualcosa di umido scivolarmi giù, contro le dita.

“E’ finita?” soffio, al mondo sfuocato attorno a me.

“Hai.” Decreta lui.

Un interminabile abisso di silenzio. Rotto solo dal tamburellare fastidioso di Sumai, sul bracciolo della poltrona.

Percepisco lontanamente le dita di Kawata attraversarmi i capelli, in un gesto di conforto. Di consolazione, di.. voglio morire.

Mi scappa un singhiozzo, e non mi sforzo nemmeno di trattenere quelli dopo..

Ho perso lui.. che senso ha tenermi la dignità?

….

Chino la testa in avanti, sconfitto. Ho perso. –tutto quello in cui credevo- ho perso.

L’ho perso.
L’unica consapevolezza che mi urla dentro.

…e adesso?

“Abbiamo già avvisato il suo tutore legale.” –m’informa lo stronzo, con il suo familiare tono sgradevolmente saccente, con quella punta di annoiato, che mi fa saltare i nervi.

Sollevo la testa di scatto nella sua direzione, cercando di mettere a fuoco la visione confusa del mondo. Perché..? Come fa a sapere..? Che abbia parlato a voce alta?

“Nani?” soffio, snebbiandomi la mente. forzandomi a capire.

Sumai ha adottato una posa più professionale, impostando un’inflessione impersonale, mentre ripete, lentamente, quasi fossi scemo: “L’assistente sociale è stato contattato, stamane, da me.”

Questa mi mancava.
“E..?”

E lo vedo rabbuiarsi, come se gli avessero sottratto un giocattolo divertente. Non mi sfiora nemmeno l’idea che sia dispiaciuto per me. o per Kaede: “E ci ha espressamente ordinato di non fare nulla, almeno finché non avrà consultato gli avvocati di mezzo Giappone, onde evitare ripercussioni legali sulla sua carriera, nel caso prendesse una scelta avventata..”

Non mi è chiaro..
La mia espressione confusa dev’essere palese ad entrambi, perché sento Kawata senpai prendere parola, chiarendo: “Il quadro clinico del paziente peggiorerà progressivamente, e in modo irreversibile, ma non ci è dato di sapere i tempi.. potrebbe essere una cosa lenta e straziante, per chi lo assiste..”

Stringe nuovamente le mie mani nelle sue.
Per la prima volta, mi viene il dubbio che stia tentando di trattenermi, e non di consolarmi.

“Ma Kaede… Kaede ha scritto che.. che..” farfuglio, ripescando con dolore frammenti scritti, convinzioni, volontà.
La sua volontà.

“Ne abbiamo già parlato, ragazzo mio..” incomincia il senpai, ma in realtà il discorso è già bello che finito. So, cosa sottintendono le sue parole.

‘Quello che Rukawa desidera.. non sarà nemmeno preso in considerazione.’

Con uno strattone, mi ribello dalla sua stretta. Lo fisso. Con lo sguardo ferito di chi è deluso.
Deluso e incazzato.
Credevo fosse mio amico. Credevo volesse aiutarmi. Credevo ci tenesse a Kaede.

Kawata lo sostiene, ma non replica alla mia muta accusa.
Poi esala un sospiro, sembra invecchiato di colpo: “Non interverremo. In alcun modo.” Precisa.

E la rabbia mi sale dentro, soverchiando momentaneamente il dolore lancinante che sento nell’animo.
Annuisco, prendendone atto. Lucidamente folle.

Da oggi, è mio nemico anche lui.

Mi risollevo dalla poltrona, facendo forza sulle braccia.
Di colpo mi manca l’equilibrio e ricado malamente indietro, con un tonfo.

Sento la testa girare.

Kawata accenna ad alzarsi, per assistermi, ma il mio disprezzo lo dissuade.
Si risistema anche lui, poco lontano da me.

Sumai è una presenza inesistente, oramai, dentro la stanza.
Un essere insignificante, che la mia mente si rifiuta di prendere in considerazione.

Mi concentro sulla volontà di andarmene da qui. E mi rialzo.
Oltrepasso la poltroncina del senpai, tra me e l’uscita, senza degnarlo di uno sguardo, ma lui mi blocca, afferrandomi un polso. Abbasso gli occhi su di lui, non mi do pena di capire cosa significhi il suo sguardo, cerco di liberarmi, con poca convinzione, in verità.
E lui non molla, non prima di avermi detto: “Se dipendesse da me, giuro.. non vorrei che finisse così.”

Non me ne frega un cazzo di come non vorrebbe che andassero le cose.. ha fatto una sua scelta?
Bene. Io, la mia.

Da oggi, le nostre strade si dividono.

“Lo dico per chiarire, al di là di ogni ragionevole dubbio, che non soffrirà.. se ti può aiutare a sopportare.. a fartene una ragione.. Kaede-kun non sente niente.. non prova alcun dolore..”

E’ morto! Che cazzo di dolore vuoi che provi??!!

Uscendo dall’ufficio, noto per la prima volta un quadro, appeso al muro.
E’ di carta-pergamena, raffinata ed elegante.
In altre occasioni, non l’avrei nemmeno osservata, ma la frase che c’è scritta sopra, mi si è conficcata dentro. E non riesco a mandarla via, nemmeno ora, che sto attraversando i corridoi che mi separano da lui.

“I medici non sono al mondo per facilitare la morte, ma per conservare a qualunque prezzo la vita.”

-Thomas Mann (1875 - 1955)-
 

Un sorriso amaro mi si dipinge sulle labbra, fratello della disperazione che sento brillare nel riflesso del vetro sui miei occhi.

E se la vita non c’è più? 

….

Entro in camera.

Tutto è come sempre.
Sembra dormire. come sempre.
E io non ho intenzione di cambiare niente. come sempre. 

“I grandi cervelloni rompono le balle..” gli dico, per dovere di aggiornamento.

E, di colpo, realizzo l’assurdità.
E’ morto, dannazione!
COSA GLI PARLO A FARE??

Mi appoggio sul bordo della sedia, accasciandomi sul letto.
Un tonfo sordo mi fa capire che il diario è caduto a terra.

Per 30 secondi, lo mando mentalmente al diavolo. Che rimanga dov’è.
Ma poi abbasso con lentezza una mano, cercando a tentoni il tomo.

Lo afferro, e lo ripongo sulle mie ginocchia.
Dovrei ignorarlo, ma c’è tanto vuoto dentro me.
Il vuoto della desolazione è un buco nero che ti risucchia, è un’apatia che ti cattura feroce, crudele, e ti lascia stordito, forse è anche peggio di mille immagini e pensieri a vorticare dentro.
Con cosa lo riempi, il vuoto, sei hai solo vuoto?

Mi lascio consolare dal ronzio del respiratore, dalla pompa che va su e giù, dai ricordi.
Il peso del diario si fa insostenibile, sulle mie gambe.

Lo afferro di scatto, infastidito, e mi preparo a lanciarlo lontano. Poi comprendo. E ci rinuncio.

C’è un pezzo della sua vita, qua dentro.

Accarezzo la copertina blue navy, con un impeto di devozione quasi religiosa.
C’è un pezzo di lui, qua dentro.

Lo apro lentamente, sfilando il segnalibro.
Manca mezza partita.

Forse è Destino che noi due lasciamo sempre le cose a metà. 

E il giorno della disgrazia.
L’ultimo giorno.

Istintiva la consapevolezza.. ci sono già troppe cose che sono finite oggi. Il diario, no.
 

Inizio a sfogliare a ritroso le pagine, soffermandomi qua e là, alla ricerca di possibili pezzi saltati, magari nella fretta, nella distrazione.. qualcosa che potrei aver ignorato?

La ricerca diventa quasi febbrile, sembra sciocco, lo so, ma mi sento incatenato dalla smania di trovare qualcosa che sia una sorpresa, un insperato regalo, da parte sua.

Ma non ci sono pagine incollate, passo e ripasso.. già tutto visto, già tutto letto.

“Cosa posso fare, io, per te?” gli chiedo, ignorando la certezza di una risposta che è ormai dentro me. Risposta che non voglio sentire, che non voglio nemmeno prendere in considerazione.

Do del codardo a Kawata-san, ma alla fine sono come lui.

In un giorno di luglio, sta la mia risposta.
Apro nuovamente l’agenda, concentrandomi su quel periodo..
Una febbricitante ricerca, sino ad arrivare a quel maledetto 9 luglio.
Leggo e rileggo tutto il pezzo. Non mi dà consolazione, no.

Ma è l’unico modo, per non lasciarmi andare alla disperazione della mia inutilità.

 

…continua.

 

Note dell’autrice:

- Per prima cosa, né la storia né i personaggi di Slam Dunk sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

- Ritengo opportuno ricordare che si farà spesso uso di termini medici, per descrivere la situazione clinica di Kaede. Per rendere tale descrizione più realistica possibile, mi sono documentata in modo scrupoloso, consultando diversi testi di medicina e anatomia, e compiendo ricerche nel web.
D’altro canto, anche tenendo conto che ogni paziente è un caso a sé stante, il decorso del quadro clinico –pur rispettoso di una certa coerenza pseudorealistica- è una mia scelta personale, ai soli fini narrativi.

- La massima citata nel capitolo appartiene a Thomas Mann (1875 - 1955).

- La storia si snocciola in numerosi capitoli, ma si è GIA’ CONCLUSA.

- Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche. Chiunque desideri, può contattarmi al solito divano blue navy: elyxyz@libero.it

- Per ulteriori note e chiarimenti doverosi, vi rimando all’ultimo capitolo.

Arigato (_ _)

elyxyz


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